30/11/15

Affinché la morte ci trovi vivi e la vita non ci trovi morti: L'assalto a Notre Dame 1950

Alle 11 e 10 del mattino, il 9 aprile 1950, quattro ragazzi, uno abbigliato dalla testa ai piedi come un frate domenicano, entraono in Notre-Dame a Parigi. Vi si stava svolgendo la messa solenne di Pasqua; nella cattedrale c’erano decine di migliaia di persone provenienti da tutto il mondo. “Il falso domenicano” cosi fu chiamato dalla stampa - Michel Mourre, di ventidue anni - approfittò di una pausa dopo il Credo e salì sull’altare. Cominciò a leggere un sermone scritto da uno dei suoi compagni cospiratori, Serge Berna, di venticinque anni.
<<Oggi, giorno di Pasqua dell’anno Santo qui sotto l’emblema di Notre-Dame di Parigi
io accuso la Chiesa cattolica universale del dirottamento letale della nostra forza Vitale
Verso un paradiso vuoto
io accuso la Chiesa cattolica di truffa
io accuso la Chiesa cattolica di avere infettato il mondo con la sua moralità funerea
di essere la piaga purulenta sul corpo decomposto dell’Occidente
In verita vi dico: Dio è morto
Vomitiamo l'agonizzante insipidezza delle vostre preghiere poiché le vostre preghiere sono state il fumo grasso sopra i campi di battaglia della nostra Europa
Andate dunque nel deserto tragico ed esaltante di un mondo dove Dio è morto e arate questa terra nuovamente con le vostre mani nude, con le vostre mani orgogliose
con le vostre mani che non pregano
Oggi, giorno di Pasqua dell’anno santo qui sotto l’emblema di Notre-Dame di Francia
proclamiamo la morte del Cristo Dio, cosicché l’Uomo possa finalmente vivere.>>

Il cataclisma che ne seguì andò al di la delle aspettative di Mourre e dei suoi seguaci, che avevano solo pianificato di lasciare volare pochi palloncini rossi. L'organista, preavvisato che poteva verificarsi un’interruzione, copri Mourre non appena ebbe pronunciaro le parole magiche “Dio e morto”. Il resto del discorso non fu mai fatto: con le spade sguainate le guardie svizzere della cattedrale si avventarono sui cospiratori tentando di ucciderli. I compagni di Mourre si precipitarono sull’altare per proteggerlo, uno di essi, Jean Rullier, venticinque anni, ebbe il volto squarciato. I blasfemi fuggirono - l’abito macchiato del sangue di Rullier, Mourre benedisse allegramente i fedeli mentre raggiungeva l’uscita - e furono catturati, o piuttosto salvati dalla polizia: seguiti i quattro fino alla Senna, la folla era sul punto di linciarli. Il complice, che aveva una macchina pronta per la fuga, vedendo la folla avanzare sul lungofiurne, non aspettò oltre; Marc, O e Gabriel Pomerand, presenti nella cattedrale, si defilarono e si diressero immediatamente a Saint-Germain-des-Prés a diffondere la notizia.
Il contesto
I1 contesto di questo avvenimento, che apparve su tutti i giornali in tutto il mondo ed è ora dimenticato, non è piu evidente. Nel 1950 la religione aveva ottenuto un nuovo rispetto, un nuovo silenzio. La campagna per togliere le donne dai posti di lavoro e rimetterle in cucina era abbinata a una campagna per riportare tutti in chiesa. Il papa - Pio XII, un antisemita le cui simpatie per il fascismo erano appena velate - veniva considerato anche dalla stampa laica come incriticabile, dispensa mai concessa a Giovanni XXIII, e se è per questo nemmeno a Giovanni Paolo II. L'azione dei quattro di Notre-Dame oggi sarebbe scandalosa; allora era l’equivalente di un assassinio.
Il giorno dopo il New York Times dedicò le prime quattro pagine, quattro intere pagine, alla Pasqua nel mondo: la parata nella 5‘h Avenue, l’omelia papale sul vangelo sociale etc.; l'infausto" incidente di Notre-Dame ebbe lo stesso numero di righe di una notizia che veniva dalla piovosa Londra: 
<<In tarda mattinata si è svolto un “corteo di Pasqua”, provocato dall'offerta da parte di un giornale popolare londinese di un premio di 50 sterline per la donna piu elegante vista nel Centro di Londra. Attrici della radio, di teatro e del cinema hanno sfidato il tempo indossando le loro migliori toilette.>>

A Parigi Notre-Dame era una notizia da prima pagina con tanto di titoloni a caratteri cubitali. L'Humanité, il quotidiano del partito comunista, lo condannò. In termini più liberali il non allineato Combat fece lo stesso:
<<Si riconosce il diritto di ciascuno di credere, o di non credere in Dio. Si riconosce anche
che la farsa è necessaria e che, in alcune circostanze, gli scherzi sono difendibili. Ma...»; aderendo al suo ruolo di forum popolare dell’avanguardia, il giornale aprì sulle sue pagine un dibattito sull’argomento: capeggiata da André Breton, gran parte della Parigi surrealista accorse in difesa con lettere che furono pubblicate per giorni.
Il tono di fondo di queste lettere era stranamente nostalgico. La stranezza era la nostalgia per un passato che non era mai proprio successo, per giorni grandiosi che non erano stati esattamente vissuti, per un’esplosione che non aveva mai avuto luogo. l surrealisti gioiosamente rivendicarono la paternità di un grande evento pubblico, ma all’interno di quella gioia c’era un vuoto pieno di vergogna per la loro attesa ventennale nei Calle e nelle gallerie, per il fatto che dei figli bastardi esaudissero o avverassero la loro eredità.
<<E' giusto che il colpo sia stato inferto qua, nel cuore stesso della piovra che sta ancora strangolando l’Universo>>, scrisse Breton di Notre-Dame. <<Era là anche che, nella nostra giovinezza, io e alcuni degli uomini che sono stati e sono miei compagni di viaggio - Artaud, Crevel, Eluard, Péret, Prévert, Char e molti altri - alle volte sognavamo di colpire».
In tutti i suoi anni di tribuno della rivolta, Breton aveva mai mollato tanto territorio surrealista o concesso che contro un avvenimento, anche se falso, un sogno fosse solo un sogno? Mourre <<agì», scrisse René Char, come se la cristallizzazione di Mourre dello spirito surrealista, se si trattava di quello, trasformasse improvvisamente gli anni passati da Char come combattente della Resistenza in niente altro che un sostituto contemplativo del confronto con la vita vera. Profondendosi in scuse, i cattivi padri si fecero avanti per rivendicare i loro figli, ma i figli non rivendicarono i padri.
Dei quattro “illuminati” (Combat) solo Mourre fu trattenuto: l’arcivescovo lo incriminò per essersi travestito da prete. Sottoposto a un test psichiatrico, Mourre ottenne il ribaltamento dell’editoriale di Combat allorché l’esperto designato dalla Corte, un certo dottor Robert Micoud, riassunse come segue l'atteggiamento di Mourre: <<idealismo frenetico>>, <<sprezzo per le percezioni esterne>>, <<cogito preriflessivo», <<riflessi ocular-cardiaci indifferenti>>, <<ortosessualità (vergognosamente ammessa)>>, <<abilità di colpire direttamente al cuore di una dottrina>> e <<di viaggiare in un istante attraverso varie epoche>>, <<fugacità ideativa>> e <<logica paranoica angolare esagerata>>.. In definitiva venne definito un vero e proprio pericolo per la tranquillità pubblica nei quartieri borghesi.  Mourre fece undici giorni di galera. In seguito scrisse Malgrè le blaspheme (Nonostante la bestemmia) che fu accolto così bene dalla chiesa che lo stesso arcivescovo di Notre Dame raccomandò che tutte le biblioteche ecclesiastiche lo comprassero. Scrisse altri libri, biografie di personaggi della destra protofascista e monarchici, divenne un enciclopedico ecclesiastico ciarlatano. Morì rispettabile e dimenticato nel 1977..

Greil Marcus

Lipstick Traces
A secret History of the twentieth century




27/11/15

Potere e alienazione, empatia e identità: Sotto la pelle di Michel Faber (Incipit bruciante)

Nella classifica dei 20 libri più venduti in Italia, evento decisamente raro per un romanzo di fantascienza. Lasciate perdere il film che ne è stato tratto nel 2013, Under the Skin, con una pur splendida Scarlet Johansonn, perchè non centra assolutamente niente. D'altronde SOTTO LA PELLE di Michel Faber non è riconoscibile come tale, cioè un romanzo sci/fi, senza averlo letto, visto che né il risvolto di copertina, né l'illustrazione, né alcun altro segnale danno il benché minimo indizio al riguardo. Si dice che ci siano voluti vent'anni prima di arrivare alla stesura definitiva del libro, un'allegoria crudele e spietata della nostra società e delle regole che ne stanno alla base. Una società in cui lo sfruttamento domina e l'alienazione dal proprio essere e dal proprio corpo è l'unica forma di sopravvivenza. Politica, tematiche ambientali, industrie e multinazionali,  identità sessuale, e soprattutto empatia e potere, con cui ci misuriamo quotidianamente. Tante le riflessioni in un libro bellissimo, letto con colpevole ritardo..


<<Quando avvistava un autostoppista per la prima volta Isserley non si fermava mai, si concedeva un po’ di tempo per prendergli le misure. Quel che cercava erano i muscoli: un pezzo d’uomo ben piantato sulle gambe. Di esemplari gracili, pelle e ossa, non se ne faceva nulla. A un primo sguardo, tuttavia, era incredibile quanto poteva risultare difficile notare la differenza. Si potrebbe pensare che un autostoppista solitario, fermo al bordo di una strada di campagna, sia visibile per almeno un chilometro, come un monumento lontano, o un silos per le granaglie: si potrebbe pensare di riuscire a esaminarlo con calma mentre si guida, di spogliarlo e rigirarselo nella mente con anticipo, ma lsserley aveva scoperto che non era cosi. Guidare attraverso le Highland scozzesi era di per sé impegnativo; accadeva sempre qualcosa in più rispetto a quel che ci si immagina guardando i paesaggi delle cartoline. Perfino nel silenzio madreperlaceo di un’alba invernale, con le nebhie ancora addormentate nei campi ai lati della strada, non si poteva
sperare che la A9 restasse vuota a lungo. Le carcasse di pelliccia appartenenti a creature della foresta non identificabili ingombravano l’asfalto, sempre fresche ogni mattina, e ciascuna di esse non era che un istante congelato nel tempo, quando un
essere vivente aveva scamhiato la strada per il suo habitat naturale.

Anche lsserley, spesso, si avventurava per strada a ore pietrificate in un’immobilità preistorica, al punto che il suo veicolo poteva essere il primo della storia. Era come se fosse stata calata in un mondo appena creato, cosi nuovo che le montagne avrebbero potuto ancora assestarsi e le valli coperte di boschi trasformarsi in mari.
Ciò nonostante, una volta lanciata l’auto lungo la strada deserta, velata da una nebbia leggera, sapeva che era questione di pochi minuti, e dietro di lei avrebbe cominciato a scorrere il traffico diretto verso Sud. E quel traffico non le avrebbe neppure lasciato fare da battistrada, come una fila di pecore lungo un sentiero stretto; avrebbe dovuto correre piu in fretta, o l’avrebbero cacciata dalla corsia a forza di clacson.

lnoltre si trattava di un’arteria principale, e doveva stare attenta a tutte le strade secondarie che vi confluivano. Solo una parte di quegli snodi erano segnalati chiaramente, quasi fosse stato il risultato di una selezione naturale; gli altri erano nascosti dagli alberi. Non tenere conto degli incroci era una pessima idea, anche se Isserley aveva la precedenza: da una qualunque di quelle strade poteva spuntare un trattore borbottante e impaziente, che in caso di collisione non avrebbe subito molte conseguenze, mentre lei si sarebbe spiaccicata sull’asfalto. Quel che la distraeva di più, tuttavia, non era la minaccia di un pericolo imminente ma l’incanto di ciò che la circondava. Un luminoso fossato colmo d’acqua piovana, uno stormo di gabbiani gettati all’inseguimento di una seminatrice in un campo fertile, l’apparizione fugace della pioggia due o tre monti più avanti, o anche il volo di un ostricaio solitario: una sola di queste immagini poteva far quasi dimenticare a lsserley il motivo per cui era li, per strada. ll levarsi del sole tingeva d’oro le fattorie distanti e lei era ancora al volante, quando un oggetto assai piu vicino, poco piu di u'omhra nerastra, abbandonava all’improvviso le sembianze di un ramo d’albero o di un cumulo di macerie per assumere quelle di un bipede con il braccio teso.
Allora si ricordava, ma a volte succedeva quando ormai lo aveva superato mancando di un soffio la mano tesa, quasi che le dita, come rametti, avrebbero potuto spezzarsi, se solo fossero cresciute di qualche centimetro in piu.

Premere sul freno era fuori questione. Al contrario, lasciava tranquillamente il piede sull’acceleratore, restava in fila dietro le altre auto, limitandosi a scattargli di passaggio una rapida fotografia mentale. A volte, mentre riesaminava quell’immagine lsserley si rendeva conto che l’autostoppista era in realta una femmina. A lei le femmine non interessavano, almeno non in quel senso. Che le caricasse qualcun altro.
Se l’autostoppista era maschio di solito tornava indietro per un secondo sopralluogo, a meno che non si trattasse chiaramente di un tipo mingherlino. Nel caso in cui il soggetto in questione fosse per lo meno interessante, appena possibile faceva un’inversione a U - ben lontana da lui -, non voleva che si accorgesse di nulla. Poi, guidando nella direzione opposta più lentamente che poteva, cercava di squadrarlo ancora una volta. Capitava raramente che non riuscisse a ritrovarlo: di solito perché nel fratternpo un altro autista, meno pignolo o meno cauto di lei, si era fermato e l’aveva tirato sù. Da una veloce sbirciata si rendeva conto che nel punto in cui pensava di averlo visto non c’era più nulla, solo un vuoto bordo di ghiaia. Spingeva lo sguardo oltre il ciglio della strada, verso i campi o l’inizio del bosco, nel caso si fosse nascosto da qualche parte per orinare. (Una delle loro abitudini). Dopo cosi poco tempo, per lei era inconcepibile non ritrovarlo più; aveva un corpo cosi bello - cosi eccellente - cosi perfetto - perché si era lasciata scappare quella chance? Perché non l’aveva caricato subito?

Talvolta la perdita era cosi dura da accettare che poi continuava a guidare per chilometri e chilometri, sperando che chi l’aveva caricato l’avesse di nuovo fatto scendere. Le mucche la guardavano con aria innocente mentre lei accelerava in una nuvola di gas di scarico. Di solito, però, l’autostoppista rimaneva esattamente dove l’aveva sorpassato la prima volta, il braccio meno rigido, gli abiti (se pioveva) un poco più fradici. Venendo dalla direzione opposta lsserley gli dava un’occhiata veloce alle natiche, alle cosce, o anche alle spalle, per vedere quanto erano muscolose. Perfino nella postura c’era qualcosa che permetteva di riconoscere a prima vista l’arrogante fiducia in se stessi dei maschi di prima qualità. Passandogli accanto lo guardava ancora una volta, per mettere alla prova la prima impressione, per essere sicura che la sua immaginazione non l’avesse gonfiato troppo. Se riusciva a superare l’esame fermava l’auto e lo faceva salire. lsserley era andata avanti cosi per anni. Non passava mai più di un giorno senza che si mettesse alla guida della sua malandata Toyota Corolla rossa in direzione A9 per cominciare il giro di perlustrazione. Perfino nei periodi pid fitti di incontri riusciti, al massimo della propria autostima, si preoccupava del fatto che l’ultimo autostoppista caricato potesse rivelarsi, col senno di poi, la sua ultima conquista davvero soddisfacente: che il futuro non le riservasse più nessuno all’altezza.
(....)
La giornata di oggi non era cominciata bene.
Costeggiando il comatoso villaggio di Fearn, sul ponte sopra la ferrovia prima di raggiungere l’autostrada, si rese conto di una specie di rantolo proveniente dalla ruota sotto il lato passeggeri. Lo ascoltò attentamente, trattendendo il respiro, cercando di capire che cosa le stesse cornunicando in quel bizzarro idioma straniero. Era una supplica d’aiuto? Un borbottio momentaneo destinato a svanire? Un avvertimento amichevole? Ascolto ancora un poco, provando a immaginare i diversi modi in cui un’automobile poteva farsi comprendere. La Corolla rossa non era certamente l’auto migliore che avesse avuto; l’auto per cui aveva più nostalgia era la Nissan grigia su cui aveva imparato a guidare. Si lasciava manovrare con dolcezza e delicatezza, non faceva quasi nessun rumore e aveva molto spazio nel bagagliaio - abbastanza da metterci un letto.

Ma fu costretta a sbarazzarsene dopo appena un anno. Da allora ne aveva possedute altre due, ma erano pili piccole, e i pezzi di ricambio trapiantati dalla Nissan le davano parecchi problemi. La Corolla rossa era un po’ rigida e qualche volta capricciosa. Senza dubbio voleva essere un’auto come si deve, ma aveva le sue difficolta.
Qualche centinaio di metri prima della confluenza con l’autostrada c’era un ragazzo con i capelli lunghi che ciondolava sul ciglio della Strada, il pollice all’insù. Accelerò e lo superò. Lui sollevò pigramente il braccio, aggiungendo al suo gesticolare altre due dita. Conosceva più o meno la faccia di Isserley, e lsserley conosceva più o meno la sua. Erano entrambi del posto, anche se non si erano mai incontrati se non in situagioni del genere. La strategia di Isserley era di stare alla larga dalla gente del posto. Mentre si immetteva nella A9 a Kildary, diede un’occhiata all’orologio sul cruscotto. Le giornate si stavano allungando rapidamente: 8 e 24 del mattino e il sole aveva gia lasciato la linea dell’orizzonte. Il cielo era blu livido e rosa carne, dietro a una fascia di nubi bianchissime, preludio della gelida trasparenza che avrebbe segnato l’aria di quella giornata. Non avrebbe nevicato, ma il ghiaccio avrebbe continuato a scintillare per parecchie ore, e prima che la temperatura potesse salire sarebbe scesa la notte.
Quanto agli scopi di lsserley, un giorno freddo e luminoso come questo era ideale per la guida sicura, un po’ meno per valutare gli autostoppisti. Solo certi esemplari straordinariamente vigorosi avrebbero indossato una maglietta a maniche corte
mostrando cosi la propria muscolatura, ma la maggior parte sarebbe rimasta infagottata sotto cumuli di giacconi e strati di lana, tanto per renderle il lavoro complicato...>>



22/11/15

Kraut Zone: una panoramica della scena e dei suoi protagonisti

Thom Yorke (Radiohead) lo considera il suo maggiore ispiratore, Bowie gli deve buona parte della sua migliore produzione. Sono totalmente in debito Punk e l'intera New Wave. Ed è strano come un tale genere musicale dalla profondità e dall'ampiezza così variegata sia stato racchiuso in una definizione e in un nome così unidimensionale. Il Krautrock...
Emerso dalle città tedesche dell' ovest come Monaco, Amburgo e Colonia durante il periodo d'oro post-psichedelico che andò dal 1969 al '75, una serie di gruppi, musicisti, artisti, collettivi crearono alcune delle più incredibili, ultraterrene e genuinamente sperimentali musiche degli ultimi 50 anni. La maggior parte del materiale è ormai pubblico, ma vista la vastissima produzione che si ebbe in quel lasso di tempo ci sono ancora una miriade di dischi e reperti che sono in attesa di essere scoperti e al minimo sussurro di pubblicazione di materiale inedito può indurre ad un febbrile sudore qualsiasi esigente aficionado del genere.

Nel corso degli anni, è diventato ben chiaro che il krautrock ha indirettamente influenzato quasi ogni forma di musica, che si tratti di rock, techno o addirittura il punk. E in questo periodo sembra essere ritornato in auge, attraverso una vera e propria rinascita, piuttosto che il solito bizzarro fascino retrò. Creatori di musica moderna imbevuta di inventiva e sostenuta da un approccio di libero pensiero, gruppi come Sunburned Hand Of The Man, Circle, Residual Echoes and Sunn O))) sono importanti portabandiera del movimento corrente. Come i predecessori, anche loro operano al di fuori dell 'industria musicale', resistono alla classificazione, incoraggiano la spontaneità, abbracciando una visione musicale più estesa e prosperando attraverso una rete do-it-yourself autoportante.
Presuntuoso e del tutto personale, data la vastità e la diversità, la scelta di alcuni dischi che secondo noi rappresentano il meglio del krautrock, poi rimandiamo al bellissimo lavoro di Julian Cope sulla musica tedesca, Krautrocksampler.

TANGERINE DREAM
Zeit
(Ohr, 1972)
Mentre gli americani e sovietici combattevano per portare il primo uomo sulla luna, anche il rock progressivo era impegnato nella corsa allo spazio. Proprio come le escursioni jazz cosmiche di Sun Ra, artisti del calibro di Pink Floyd con "Interstellar Overdrive" e di Hendrix con "3rd Stone Da The Sun" avevano generato il cosiddetto "space-rock". Ora, abbandonate punk rock e skateboard, propositi bellicosi come voler abbattere porte e immergetevi in sessioni di synth impazziti, chitarre e violoncello, con cui i TANGERINE DREAM le porte le spalancano.. Zeit è un LP incredibile
Il primo registrato con il trio Froese, Peter Baumann e Chris Franke, Zeit è un doppio album, al tempo stesso epico e meticoloso nella sua moderazione. La copertina è una delle più iconiche del Krautrock, la foto di un'eclisse solare - e il titolo, acronimo tedesco di 'Tempo', invece accenna a qualcosa di più intangibile. Froese, praticante di meditazione Zen, credeva che il tempo è un'illusione, creato dai sensi umani. A differenza del galoppante space-rock , Zeit inaugura un eternità cosmica, dove lo scorrere del tempo perde il suo significato.



EMBRYO
Rocksession
(Brain, 1972)
Uno dei gruppi kraut misconosciuti ma fondamentali. EMBRYO celebrano tutto ciò che entusiasta di questa musica. 'Rocksession' schizza verso l'alto, e non ha niente a che vedere con un confusionario space-rock. Il rock progressivo forniscela base, ma è il jazz-rock che dà sapore a questo potente e seducente albumche rivaleggiò con i più noti gruppi rock prog inglesi e statunitensi. Inizialmente la casa discografica rifiutò di pubblicare queste sessioni registrate tra il 1971 e il 1972, preferendo mettere sul mercato prima "Father, Son & Holy Ghosts". Il brano di apertura dell'album, ‘A Place To Go’, molto "orientally", ci persegue con sussurri psicotici e frustate di assoli fuzz. La resistenza è inutile.

GOMORRHA
Trauma
BASF/Comet, 1970
Eccellente e duro Krautrock, uscito nel 1971, un anno tra i migliori per la musica alternativa tedesca. Originariamente registrato nel 1969 col titolo Gomohrra, ma riregistrato un anno più tardi in inglese e pubblicato come 'Trauma', il leggendario produttore Conny Plank contribuì a trasformare il sound pseudo-psichedelico della band in un mostruoso heavy rock, disseminandolo di distorsioni Spacey e pause dissonanti. Il clou dell'album comunque è la title track di 13 minuti, che, dopo una breve introduzione vocale s'immerge in un lungo assolo di chitarra space rock. Il disco fu realizzato in condizioni piuttosto frenetiche: Conny e la band venivano avvisati quando lo studio di registrazione era libero, e questo accadeva soprattutto nel bel mezzo della notte. Senza dubbio, per goderne appieno, Trauma si dovrebbe ascoltare in cuffia.

NIAGARA
Niagara
(United Artists, 1971)
Forse è un peccato che un lavoro come questo sia relegato solo nell'ambito kraut, dato che in realtà si muove più su linee world music che su quelle fredde e sintetiche a cui viene associato il Krautrock tradizionale. Il gruppo, un collettivo di musicisti provenienti da diversi paesi attirò l'attenzione della United Artist e pubblicò, quasi autoprodotto, Niagara nel 1971. Il primo dei tre album il cui ruolo fondamentale fu un'orchestra concettuale guidata dal batterista austriaco Klaus Weiss, che portò proprio la batteria e le percussioni al centro delle composizioni della band: in pratica, il sogno di un batterista che diventa realtà. Ritmi africani e materiale sicuramente non commerciale.. adatto soprattutto agli amanti del tamburo.

CAN
Tago Mago
(United Artists, 1971)
Questa band leggendaria è in cima alle preferenze musicali non solo Kraut di INTERZONE. Chi ha ascoltato (e chi ascolta) Tago Mago o uno qualsiasi dei dischi dei Can non può non riconoscere la loro influenza su buona parte della musica rock a venire. Intenzionalmente o per difetto, ha lasciato un'impronta nel subconscio di una grande quantità di musicisti.. Tago Mago vede il gruppo davvero scatenato, con ogni sorta di visioni , dai flussi "Dreamscape" intensi e ipnotici di'Paperhouse', ai ritmi a cascate di 'Oh Yeah',al fragoroso proto-hip-hop di 'Halleluwah'. Il momento decisivo, però, è 'Aumgn', che incapsula space rock nella sua forma più pura e cerebrale. Tutta l'essenza dei Can è l'interazione, non la postura, con il principale obiettivo di fare dei 'Can' una cosa viva. "Tago Mago" è un album doppio e pietra angolare della produzione Can e di tutto il rock tedesco, imperdibile e impossibile da non possedere.




FAUST
So Far
(Polydor, 1972)
E 'difficile descrivere la musica degli anni '70 dei Krautrockers Faust: bisogna ascoltare per capire. Mentre l'omonimo debutto del 1971 suonava più come un collage di musica concreta con esplosioni occasionali di quello che potremmo definire approssimativamente musica "rock", il loro secondo lavoro, Faust So Far, registrato nella comune del gruppo nel villaggio rurale di Wümme nel 1972, ha un approccio più ritmico, accessibile e rockin, con tutti i suoi tamburi martellanti e selvaggi, le chitarre rumorose: So Far suona come la versione più heavy del successivo, e più noto Faust IV. Il secondo LP del gruppo era una dichiarazione coraggiosa, musicalmente e concettualmente. Ogni traccia ha una sua identità unica, ma è chiaramente sempre timbrata Faust. Come già detto però, bisogna ascoltare, perché questa musica è molto più della somma delle sue diverse e strane piccole parti.


Amon Duul II
Yeti
(Liberty, 1970)
Dalle ceneri degli Amon Duul, Amon Duul II avevano un sapore di rock sci/fi bizzarro, jam session psichedeliche, martellanti violinisti folk: musicisti psicopatici alla fine della generazione flower power degli anni '60 e inizi '70 .Inizialmente in risposta al freak-out dei Grateful Dead con il loro album Phallus Dei (Pene di Dio), pubblicato nel 1969, il secondo album Yeti è un album dalle dinamiche strane, più anti-hippie che mai.
Amon Duul II all'epoca erano una band di culto che aveva tra i suoi sostenitori gente come David Bowie e il critico di Rolling Stone in quegli anni Lester Bangs, che disse di loro:'Non c'è mai stato un gruppo come gli Amon Düül II prima, e non potrà mai esserci un altro gruppo capace di trasmutare così tanti suoni in seguito! Rilasciato sulla stessa etichetta e nello stesso anno di 'di Dracula Music Cabinet', questo disco dimostra come stavano le cose musicalmente in Germania verso la fine degli anni '60. Yeti, stoner krautrock capolavoro composto da 13 tracce, fu la risposta della Germania al genere Prog Rock e, naturalmente, l'inizio della Krautrock-era. Mettete le cuffie e preparatevi a sottomettervi a queste sentinelle spaziali pionieri del libero pensiero, privi di regole e di conformità e di tutte le altre cazzate che toglie la vera linfa alla musica.




VAMPIRES OF DARTMOORE
Dracula’s Music Cabinet
 (Metronome, 1969)
Mai ristampato in digitale, ma solo in vinile, è valutato sul mercato tra i 300 e 500 euro. Manufatto di meraviglia spettrale, produzione molto interessante di proto kraut, perfetto per una colonna sonora per la vostra festa di Halloween. Voci impazzite di sesso e il sadismo, riverberi di chitarre esotiche, elettronica insolita, basso ipnotico. Dracula’s Music Cabinet faceva parte di un'ondata di album a tema horror, pubblicati in Germania alla fine degli anni '60 e i primi anni '70, tutti apparentemente ispirati dallo stesso tipo di film horror che l'Europa stava producendo in quel momento.

ASH RA TEMPEL
Ash Ra Tempel
(Ohr, 1971)
Kosmische power-rock di dimensioni gigantesche .Klaus Schultze suona la batteria come un centinaio di batteristi. Non è due volte più potente, è cento volte più potente. Hartmut Enke, il leader spirituale del gruppo, colpisce il suo basso Gibson come solo un gigante potrebbe, e Manuel Göttsching suona la chitarra come ante white-noise di Keith Levene. Un'interazione così intuitiva e perfetta che spesso è impossibile sentire i singoli strumenti. Un mostro di disco, che contiene l' epico 'Amboss', un intero lato che costruisce lentamente onde sonore ghiacciate, e prosegue sù e giù come fossero Stooges cosmici..

SUNBIRDS
Sunbirds
(BASF, 1971)
Perfetto colonna sonora per lunghe escursioni in autostrada.. Caratterizzato da una line-up di all-star tra cui Klaus Weiss (Niagara, e un background solido e degno di nota di jazz, avendo suonato con artisti del calibro di Johnny Griffin, Kenny Drew, Bud Powell), Philip Catherine, Fritz Pauer e Ferdinand Povel, questo disco è energico, profondo, lunatico come la Mahavishnu Orchestra che incontra classici psichedelici. L'ala più jazzy del kraut.

NEU!
Die 2
(Brain, 1973)
Comunemente conosciuto come Neu 2, il secondo LP dei Neu! formati da ex membri dei Kraftwerk Klaus Dinger e Michael Rother. L'anno è il 1973, e di nuovo il dinamico duo si rintana in un studio con il solito Conrad "Connie" Plank (Can / Kraftwerk) a produrre e registrare il loro secondo lavoro: gli undici minuti di "Für Immer" sono martellanti, i suoi ritmi di marcia in rettilineo anticipano il punk, le chitarre ronzano come gli elicotteri sopra le nostre teste. Come Plank torce magnificamente le manopole, i tamburi sono meccanici, mentre le chitarre sono bandite sullo sfondo, solo per ritornare poi di nuovo con rinnovata forza. Il basso arranca avanti con aggressività imperterrita. Il disco procede estremo e lungimirante come uno tsunami, pieno di spunti brillanti che avrebbe macerato gli standard certificati delle produzioni di album 'pop'; un manifesto artistico progressista, e talmente innovativo da risultare stupefacente. Ascoltaetelo e provate a immaginare canzoni come queste riprodotte dal vivo nel 1973, quando il punk era ancora nella sua fase embrionale! 'Lila Engel' , è una marcia tribale dai contorni di un oscuro rituale pagano e potrebbe tranquillamente stare su Never Mind The Bollocks, mentre John Lydon ancora oggi ne elogia la grandezza ad ogni occasione. Il disco ottenne all'epoca, com'era prevedibile, un riscontro commerciale quasi nullo, fattore che avrebbe concorso tra gli altri alla prima, breve separazione della coppia che ne seguì. Ma come non citare Hallogallo' del 1972, con i suoi 10 minuti introduttivi a ritmo motorik, la precisione delle macchine, e 'Fur Immer', essenzialmente 'Hallogallo' parte due, un capolavoro e uno dei miei dischi preferiti di sempre, vero punk psichedelico con strati su strati di suoni e ritmi.. Inarrivabili..




COSMIC JOKERS
Gaclatic Supermarket
(Kosmische Musik, 1974)
Supergruppo berlinese, con Manuel Göttsching, Klaus Schulze (Tangerine Dream), Harald Grosskopf (Ash Ra Tempel) e Rosi Muller, alla loro seconda prova e non c'è da meravigliarsi della musica incredibile che crearono nella loro breve esistenza. Che non sia intenzionalmente destinato per il rilascio, anche in questo caso, solo due grandi tracce - la sempre mutevole "Kinder des Als" e la title track "Galactic Supermarket". Suoni da montagne russe sonore, ritmi groove funky cadono in uno spazio ambient profondo per poi di nuovo incalzare in altri ritmi galoppanti. Le donne presenti in studio aggiungono urla, sussurri, grida, e il testo parlato ha effetti pesanti,anche se ci sono lunghi passaggi strumentali: incredibili i toni dei synth di Schulze che a volte minacciano di soffocare il resto della band.

POPOL VUH
Nosferatu
(Egg, 1978
Creare le colonne sonore di molti grandi film di Werner Herzog non è un compito facile, ed è per questo che furono affidate ai Popol Vuh, che aggiunsero sempre una dimensione distintiva ai film di Herzog. E questo è particolarmente vero per Nosferatu, Phantom der Nacht (interpretato da Klaus Kinski nel ruolo del Conte Dracula, grottesco e più spettacolare che mai). In tutti i loro album troviamo epica, mistero, malinconia e immensa bellezza. Questo è l'undicesimo album diquesta band straordinaria, colonna sonora originale di Nosferatu:La suite di Nosferatu dei Popol Vuh si evolve maestosa trascinando la mente verso le spettrali foreste dei Carpazi. Nell'album poi figurano anche altri brani, di cui almeno uno già parte del repertorio dei Popol Vuh, composizioni molto gradevoli e incisive, che però risultano meno calzanti nel contesto della colonna sonora. Detto questo, tiene nell' insieme, rimane un album coerente a sé stante e comprende materiale memorabile e eccezionalmente forte.


HARMONIA
De Luxe
(Brain, 1975)
Michael Rother dei Neu! e il duo Cluster Hans-Joachim Roedelius e Dieter Moebius, con l'aggiunta del batterista Mani Neumeier su alcune tracce. Un supergruppo quindi che ha influenzato rock e elettronica al tempo stesso. De Luxe è il secondo album degli Harmonia, oscurato dal primo "Musik Von Harmonia", ma noi lo preferiamo al primo. Registrato nel giugno del 1975 e prodotto dai membri stessi della band e (di nuovo) con il leggendario produttore Krautrock, Conny Plank. Più .. dolce, con sequenze melodiche magnifiche e paesggi più complessi e ritmati. Come molti altri dischi kraut, anche questo troppo in anticipo sui tempi, troppo visionario, e non fu apprezzato allora. Nel 1975 effettivamente era decisamente troppo presto per "De-Luxe" e per il suo sound trance, veloce ed ipnotico. Soltanto cinque magnifiche misere tracce..


CLUSTER
Zuckerzeit
Brain, 1974
Zuckerzeit è il terzo album in studio del gruppo musicale tedesco Cluster, prodotto da Michael Rother con Hans-Joachim Roedelius e Dieter Moebius. Zuckerzeit distingue lo stile da ogni altra pubblicazione del duo,che rendono un pò più morbida e organica la musica kraut, e presentando insieme a una forte componente ritmica, una maggiore definizione delle melodie e, a volte, dello stile Motorik dei Neu!, proprio grazie alla presenza di Rother alla produzione. Un salto inaspettato dagli ingorghi Kosmische che i Cluster fanno in un territorio inesplorato che ha segnato la loro direzione per gli anni a venire. Zuckerzeit presenta una visione di pop elettronico, fondendo il senso melodico del duo con graffianti programmi di drummachine. Stranamente, le dieci tracce brevi hanno crediti nella composizione separati (cinque ciascuno), un ipotesi che vede Roedelius gestire le linee dei sintetizzatori più suggestivi ("Hollywood", "Rosa"), mentre Moebius spinge il gruppo in terra sperimentale ("Rote Riki," "Caramba "). E 'senza dubbio uno dei dischi più caratteristici della discografia dei Cluster, anche se la semplice mancanza di materiale space rock ne fa un album difficile ma da raccomandare fin dall'inizio.





16/11/15

Parigi: no agli sciacalli. Il vero protagonista del conflitto è il mondo islamico.

Map by Laura Canali (click per ingrand.)

Urla, schiamazzi, strepiti, amenità e stupidità di sciacalli, e spacciatori di ignoranza e fanatismo. Ma lasciamo stare e cerchiamo di capire.. Senza dubbio trovo quest'articolo degno: alcune cose che penso sono quì ben scritte ed esplicate, ma la discussione è più che aperta.. 

di Mario Giro - Limes
 Parigi: il branco di lupi, lo Stato Islamico e quello che possiamo
Dopo il lutto e la condanna della barbarie per gli attentati del 13 novembre, ricordiamoci che il vero protagonista del conflitto che stiamo vivendo non è l’Occidente ma il mondo islamico. Le nostre priorità: rimanere in Medio Oriente e spegnere la guerra di Siria. 
Di fronte alla strage di Parigi, il primo atteggiamento giusto è dolore e lutto per le vittime assieme a tutta la nostra solidarietà e commozione per un paese fratello e una città simbolo della convivenza e dei valori europei. Subito dopo, è opportuna la più totale e ferma condanna per tali barbari attentati che nulla può – nemmeno indirettamente – giustificare. È indispensabile essere uniti nel ripudio assoluto del jihadismo e del terrorismo islamico contemporanei, chiedendo a tutti, musulmani inclusi, di far propria una incondizionata e radicale riprovazione. Infine occorre mettere in campo tutta l’intelligenza, la lucidità e la calma possibili, al fine di capire ciò che sta accedendo per trovare le misure adeguate. È da irresponsabili mettersi a gridare o agitarsi senza criterio: occorre prima pensare e comprendere bene. Se i barbari sono tra noi, c’è un’origine di tale vicenda, una sua evoluzione e – speriamo presto – un rimedio. Siamo in guerra? La guerra certo esiste, ma principalmente non è la nostra. È quella che i musulmani stanno facendosi tra loro, da molto tempo. Siamo davanti a una sfida sanguinosa che risale agli anni Ottanta tra concezioni radicalmente diverse dell’islam. Una sfida intrecciata agli interessi egemonici incarnati da varie potenze musulmane (Arabia Saudita, Turchia, Egitto, Iran, paesi del Golfo ecc.), nel quadro geopolitico della globalizzazione che ha rimesso la storia in movimento. Si tratta di una guerra intra-islamica senza quartiere, che si svolge su terreni diversi e in cui sorgono ogni giorno nuovi e sempre più terribili mostri: dal Gia algerino degli anni Novanta alla Jihad islamica egiziana, fino ad al-Qaida e Daesh (Stato Islamico, Is). Igor Man li chiamava “la peste del nostro secolo”. In questa guerra, noi europei e occidentali non siamo i protagonisti primari; è il nostro narcisismo che ci porta a pensarci sempre al centro di tutto. Sono altri i veri protagonisti. L’obiettivo degli attentati di Parigi è quello di terrorizzarci per spingerci fuori dal Medio Oriente, che rappresenta la vera posta in gioco. Si tratta di una sorta di “guerra dei Trent’anni islamica”, in cui siamo coinvolti a causa della nostra (antica) presenza in quelle aree e dei nostri stessi interessi. L’ideologia di Daesh è sempre stata chiara su questo punto: creare uno Stato laddove gli Stati precedenti sono stati creati dagli stranieri quindi sono “impuri”. L’Is sta combattendo un conflitto per il potere legittimandosi con l’arma della “vera religione”. Concorre ad affermarsi presso la Umma musulmana (la “casa dell’islam”, che include le comunità musulmane all’estero) quale unico vero e legittimo rappresentante dell’Islam contemporaneo. Questo nel linguaggio islamico si chiama fitna: una scissione, uno scisma nel mondo islamico. Per capirci: una guerra politica nella religione, che manipola i segni della religione, così come i nazisti usavano segni pagani mescolati a finzioni cristiane. Infatti l’Is, come al-Qaida, uccide soprattutto musulmani e attacca chiunque si intromette in tale conflitto. Per chi ha la memoria corta: al-Qaida chiedeva la cacciata delle basi Usa dall’Arabia Saudita e puntava a prendersi quello Stato (o alternativamente il Sudan e poi l’Afghanistan in combutta coi talebani). Daesh pretende di più: conquistare “cuori e menti” della Umma; esigere la fine di ogni coinvolgimento occidentale e russo in Siria e Iraq; creare un nuovo Stato laddove esisteva l’antico califfato: la Mesopotamia. Geopoliticamente c’è una novità: al-Qaida si muoveva in una situazione in cui gli Stati erano ancora relativamente forti; l’Is approfitta della loro fragilità nel mondo liquido, in cui saltano le frontiere. In sintesi: non esiste lo scontro tra civiltà ma c’è uno scontro dentro una civiltà, in corso da molto tempo. Per utilizzare un linguaggio da web: oggi nella Umma il potere è contendibile. A partire da tale fatto incontestabile, due questioni si impongono all’Occidente e alla Russia. La prima è esterna e riguarda la presenza (politica, economica e militare) in Medio Oriente: se e come starci. La seconda è interna: come difendere le nostre democrazie, basate sulla convivenza tra diversi, allorquando i musulmani qui residenti sono coinvolti in tale brutale contesa? Come preservare la nostra civiltà dai turbamenti violenti della civiltà vicina? Se ci limitiamo a perdere la testa, invocando vendetta senza capire il contesto, infilandoci senza riflessione sempre di più nel pantano mediorientale e utilizzando lo stesso linguaggio bellicoso dei terroristi, non facciamo niente di buono. Potremmo anzi concedere allo Stato Islamico la resa del “nostro” modello di convivenza, per entrare nel “loro” clima di guerra. Occorre innanzitutto proteggere la nostra convivenza interna e la qualità della nostra democrazia. Serve più intelligence e una maggiore opera di contrasto coordinata tra polizie, soprattutto nell’ambito delle collettività immigrate di origine arabo-islamiche, che rappresentano un’importante posta in gioco del terrorismo islamico. Da notare anche che tali attentati si moltiplicano proprio mentre lo Stato Islamico perde terreno in Siria. Contemporaneamente occorre conservare il nostro clima sociale il più sereno possibile. Mantenere la calma significa non cedere ai richiami dell’odio che bramerebbero vendetta, che per rancore trasformerebbero le nostre città in ghetti contrapposti, seminando cultura del disprezzo e inimicizia. Le immagini del britannico che spinge la ragazza velata sotto la metro di Londra fanno il gioco di Daesh. Sarebbe da apprendisti stregoni incoscienti rendere incandescente il nostro clima sociale, provocare risentimenti eccetera. Così regaliamo il controllo delle comunità islamiche occidentali ai terroristi, cedendo alla loro logica dell’odio proprio in casa nostra. Per dirla col linguaggio politico italiano: mostrarci più forti del loro odio non è buonismo complice, è parte della sfida. Il “cattivismo” diventa invece oggettivamente complice perché appunto fa il gioco dello Stato Islamico. In secondo luogo, dobbiamo darci una politica comune sulla guerra di Siria, vero crogiuolo dove si formano i terroristi. Imporre la tregua e il negoziato è una priorità strategica. Solo la fine di quel conflitto potrà aiutarci. Aggiungere guerra a guerra produce solo effetti devastanti, come pensa papa Francesco sulla Siria. Finora abbiamo commesso molti errori: l’Occidente si è diviso, alcuni governi si sono schierati, altri hanno silenziosamente fornito armi, altri ancora hanno avuto atteggiamenti ondivaghi, non si è parlato con una sola voce agli Stati vicini a Siria e Iraq eccetera. L’Italia ha dichiarato da oltre due anni che Iran (ricordate ciò che disse Emma Bonino prima di Ginevra II?) e Russia (ricordate le accuse a Federica Mogherini di essere filorussa?) andavano coinvolti nella soluzione. Matteo Renzi l’ha più volte ripetuto, facendone una politica. In parlamento se n’è dibattuto. Non siamo stati ascoltati, almeno finora. Tuttavia (finalmente!) le riunioni di Vienna con Russia e Iran possono far ben sperare: oggi tutti ci danno ragione. Meglio tardi che mai: il governo italiano è totalmente impegnato nella riuscita di un reale accordo. Nel nostro paese ci sono stati anche paralleli sforzi di pace e dialogo: dalle riunioni di Sant’Egidio con l’opposizione siriana non violenta, all’appello per Aleppo di Andrea Riccardi, all’ascolto dei leader cristiani di quell’area. La fine della guerra in Siria (e nell’immediato il suo contenimento) è il vero modo per togliere acqua al pesce terrorista. Senza zone fuori controllo ove prosperare, il jihadismo perderebbe la maschera. In terzo luogo, dobbiamo occuparci con urgenza del resto del quadro geopolitico mediterraneo: la Libia, che è per noi prioritaria (e in cui almeno si è frenato il conflitto armato mediante l’embargo delle armi); lo Yemen; la stabilizzazione dell’Iraq; le fragilità di Libano, Egitto e Tunisia… Anche se tali crisi sono in parte legate, vanno assolutamente tenute distinte. L’Is vorrebbe invece saldarle in un unico enorme conflitto (la sua propaganda è chiara), allo scopo di mostrarsi più potente di quello che è. In tale impegno occorrono alleanze forti con gli Stati islamici cosiddetti moderati: un modo per trattenere anche loro dal cadere (o essere trascinati) nella trappola del jihadismo che li vuole portare sul proprio terreno. Ogni conflitto mediorientale e mediterraneo ha una propria via di composizione e occorre fare lo sforzo di compiere tale lavoro simultaneamente. In altre parole: restare in Medio Oriente comporta un impegno politico a vasto raggio e continuo. È prioritario entrare dentro la spirale dei foreign fighters per prosciugarne le fonti. Ho recentemente scritto un libro su tale fenomeno. Qui aggiungo solo che non sarei sorpreso che tra gli attentatori di Parigi ci fossero vecchie conoscenze della polizia francese. Esistono antiche filiere degli anni Novanta, mai del tutto distrutte, che si riattivano in appoggio a chi pare egemone sul campo. Qualcuno può essere un combattente straniero di ritorno: il problema è capire la genesi del fenomeno. Ma non ce ne sarebbe nemmeno tanto bisogno: attentati di questo tipo possono essere compiuti da chiunque. Si è parlato di lupi solitari; qui siamo in presenza di un branco. Un ristorante, una trattoria, uno stadio, una sala di concerti non rappresentano reali obiettivi sensibili, segno che non occorre particolare addestramento. Sorprende piuttosto che dispongano di armi da guerra, non così facili da reperire in Francia. In Italia sappiamo che le mafie ne sono provviste ma anche molto gelose. Combattere il fenomeno foreign fighters corrisponde a coinvolgere le comunità islamiche e non spingerle verso l’uscita. Tutto ciò va fatto contemporaneamente. Gridare “siamo in guerra!” senza capire quale sia questa guerra, invocando irresponsabili atti di vendetta e reazioni armate, ci fa cadere nell’imboscata jihadista. Proprio lì lo Stato Islamico vuole portarci, per mettere le mani sull’islam europeo ma soprattutto su quello mediorientale. Vuole dividere il terreno in due schieramenti contrapposti, giocando sul fatto che per riflesso i musulmani saranno fatalmente attirati dalla sua parte. Per tale motivo la propaganda dell’Is (come quella di al-Qaeda prima) tira continuamente in ballo l’Occidente: in realtà sta parlando alla Umma islamica per farla reagire. Intraprendere tutto ciò non è facile ma necessario. Contenere e spegnere la guerra di Siria è il solo modo per prosciugare il lago terrorista. Sarà operazione lunga e complessa, ci saranno altri attentati, ma è una strada vincente alla lunga. Certo si tratta di far dialogare nemici acerrimi, di dare un posto a tavola a gente che non ci piace (Assad e i suoi) o a formazioni ribelli ambigue, ma è l’unico modo. Andare in Siria in ordine sparso è al contrario la via per compiacere Daesh e i suoi strateghi: un Occidente e una Russia divisi su tutto favoriscono chi sta creando uno “Stato” alternativo. Si tratta di una vecchia lezione della storia. L’operazione militare europea diretta, boots on the ground, è dunque necessaria? Non sembra, e comunque non ora: sarebbe andare allo sbaraglio. Ciò di cui abbiamo urgente bisogno è che ribelli siriani e milizie di Assad – assieme ai rispettivi alleati – capiscano che il nemico comune esiste, si siedano e parlino. Lo Stato Islamico furbescamente si presenta alla Umma come “diverso”: non alleato con nessuno, patriottico, anti-neocolonialista, no-global, non inquinato da interessi stranieri e puramente islamico, duro ma nazionale (nel senso che patria e nazione hanno per l’islam politico). In questo modo mette a repentaglio la sopravvivenza e gli interessi di tutti: dell’Occidente, della Russia, di Assad, dei ribelli, dei curdi e delle altre minoranze. Gli unici ad averlo apparentemente capito sono i curdi: c’è un solo nemico comune, sorto nel vuoto di potere. Il negoziato parte da questa consapevolezza e per questo deve coinvolgere anche russi e iraniani. L’obiettivo minimo è una tregua immediata; quello massimo un patto per il futuro della Siria. Solo a queste condizioni si potrà mettere in piedi un’operazione internazionale di terra, che miri a stabilizzare il paese e a mettere l’Is spalle al muro. Solo così si potrà svelare cos’è veramente l’Is: una cricca di ex militari iracheni e fanatici jihadisti che vengono dal passato e che hanno approfittato delle nostre divisioni. Il vuoto della politica, si sa, genera mostri. A meno – sarebbe l’altra soluzione – di non lasciare tutto e ritirarsi. Andarcene totalmente dal Medio Oriente, rinunciare tutti a ogni interesse e presenza, abbandonare i mediorientali al loro dramma. Qualcuno lo pensa, qualcuno lo dice. Se ce ne andassimo dal Medio Oriente, gli attentati in Europa smetterebbero subito, probabilmente. D’altro canto le vittime in quella regione sarebbero ancora maggiori. Lasceremmo il lago jihadista diventare un mare. E questa non è un’opzione. 

di Mario Giro - Limes


14/11/15

Prima che bruci Parigi


La Francia è un paese grande e Parigi, una città magica. Vorrei ringraziare Alec (attore di teatro), che mi ha ospitato e tutta la gente di Montemartre che mi ha accolto con gentilezza e disponibilità ( e che ama gli italiani), i negozianti e i barman che mi hanno sopportato con il mio pessimo francese, il caffe '"bien sur", senza il quale non sarei sopravvissuto, le ragazze e le donne che mi hanno sorriso tutto il tempo, i ragazzi di colore che mi hanno aiutato ogni qualvolta mi sono perso, gli artisti e musicisti di strada che mi hanno reso felice e a cui ho donato quando ho potuto. Ringrazio la metropolitana (unica nella sua capillarità, tutta Parigi è facilmente raggiungibile e non esiste punto della città che disti più di 500 metri da una stazione Metro) e i suoi guidatori che mi hanno salutato nelle mie scorribande notturne, il sole francese che stranamente è sempre rimasto con me. Vorrei ringraziare i colori e gli odori dei piccoli negozi, le boulangerie con le loro briosche e i dolci buonissimi, i mercatini, i caffè e le brasserie, la grandezza (grandeur..) dei viali, dei parchi, dei ponti, delle piazze, degli edifici e dei monumenti: la sua storia, la sua arte. Ma anche gli angoli di quiete e di pace in una città affollata, una città in continuo fermento e in movimento come Parigi. E' stata una delle settimane più belle della mia vita. Rientro a casa contento, ma con il cuore pieno di tristezza. Ma vi assicuro .. tornerò.


Parigi 13 novembre 015


Nazim Hikmet (Salonicco 1902 – Mosca 1963)

Prima che bruci Parigi

Finché ancora tempo, mio amore
e prima che bruci Parigi
finché ancora tempo, mio amore
finché il mio cuore è sul suo ramo
vorrei una notte di maggio
una di queste notti
sul lungosenna Voltaire
baciarti sulla bocca
e andando poi a Notre-Dame
contempleremmo il suo rosone
e a un tratto serrandoti a me
di gioia paura stupore
piangeresti silenziosamente
e le stelle piangerebbero
mischiate alla pioggia fine.

Finché ancora tempo, mio amore
e prima che bruci Parigi
finché ancora tempo, mio amore
finché il mio cuore è sul suo ramo
in questa notte di maggio sul lungosenna
sotto i salici, mia rosa, con te
sotto i salici piangenti molli di pioggia
ti direi due parole le più ripetute a Parigi
le più ripetute, le più sincere
scoppierei di felicità
fischietterei una canzone
e crederemmo negli uomini.

In alto, le case di pietra
senza incavi né gobbe
appiccicate
coi loro muri al chiar di luna
e le loro finestre diritte che dormono in piedi
e sulla riva di fronte il Louvre
illuminato dai proiettori
illuminato da noi due
il nostro splendido palazzo
di cristallo.

Finché ancora tempo, mio amore
e prima che bruci Parigi
finché ancora tempo, mio amore
finché il mio cuore è sul suo ramo

in questa notte di maggio, lungo la Senna, nei depositi
ci siederemmo sui barili rossi
di fronte al fiume scuro nella notte
per salutare la chiatta dalla cabina gialla che passa
- verso il Belgio o verso l’Olanda? -
davanti alla cabina una donna
con un grembiule bianco
sorride dolcemente.

Finché ancora tempo, mio amore
e prima che bruci Parigi
finché ancora tempo, mio amore.





13/11/15

Peter Tosh: "Vogliono uccidermi perchè canto dei diritti della povera gente!" Live in Montreux 1979

28 anni fa Peter Tosh,  leggenda del Reggae, viene   colpito a morte nella sua casa a  Kingston, Jamaica. Ha 42 anni  ed è stato membro fondatore dei Wailers insieme a Bob Marley.

"Ero appoggiato contro un albero davanti agli studi di registrazione e aspettavo i miei musicisti per le prove. Avevo fra le dita uno spinello di circa due centimetri e meditavo sulla musica e altre cose. E' stato allora che e' arrivato quel bruto. Mi ha strappato la sigaretta e si e' piazzato davanti a me guardandomi fissamente. Gli ho chiesto: che succede?.. ma lui non ha risposto. Ho ripreso il mio joint, ho fatto una tirata e l'ho guardato seriamente. Credevo fosse un monellaccio, perche' stava in abiti civili e nulla lo faceva somigliare ad un poliziotto. Provò di nuovo a prendermi lo spinello e io gli ho detto: "sparisci figlio di puttana!" Poi ha cominciato ad afferrarmi per la camicia ed io: "sporco poliziotto!" Ho preso la sigaretta e l'ho spezzata in due e gli ho soffiato in faccia. Avevo altre cose in mano oltre la carta. "E' questo che vuoi per arrestarmi?". Non c'erano piu' prove perche' avevo sparpagliato tutto il contenuto del joint. Ha preso allora il pezzo di carta e se le messo in tasca e mi ha acchiappato strappandomi la camicia e il resto. Mi spingeva tirandomi per i pantaloni e cercava di portarmi con se. Gli ho detto: "io non mi muovo di qua..". Allora ha tirato fuori la pistola e me l'ha puntata agli occhi, al naso, alla bocca.. Credo che abbia anche provato a sparare ma la pistola non ha funzionato. Vedendo che non riusciva a portarmi via ha iniziato a fermare le macchine per farsi aiutare. Una si e' fermata e ne e' sceso un tizio e ho domandato chi fosse ma non ho ricevuto risposta. Il primo ha gridato all'altro: "Qui Thomas, aiutami a portare questo criminale alla polizia..". Il secondo ha tirato fuori una pistola ancora piu' grande e ha chiesto: "Quale criminale?" cominciando a spingermi con il revolver esattamente come aveva fatto l'altro. Con puro sadismo. Tentavano di spaventarmi ma io gli ho detto: "siete pazzi! non mi fate paura e non verrò con voi!". Allora hanno iniziato a battermi duramente: ne avevo uno a destra e uno a sinistra. Il tipo a sinistra mi ha dato un pugno ma io mi sono abbassato e ha colpito senza volere il compagno. Io ho preso un altro colpo e l'ho reso, perche' ancora non ero sicuro che fossero dei poliziotti e perche' in ogni caso, non ero stato io a cominciare. Durante la rissa uno xei due si e' ferito e ha iniziato a sanguinare. Ha messo via la pistola perche' ha capito che non ero armato e che quindi non poteva sparare. Alla fine e' arrivato un poliziotto in uniforme e mi ha chiesto cosa stesse succedendo e io ho detto: "Questi due tizi vogliono portarmi illegalmente alla centrale e non hanno nemmeno uno straccio di mandato!". Gli ho raccontato tutto e lui ha detto: "Ok.. andiamo alla centrale..". Io l'ho seguito di buon grado perche' arrivava come un fratello. L'altro tizio sanguinava ancora e aveva tutta la camicia sporca. Quando siamo arrivati alla centrale, il sergente ha guardato il tipo che sanguinava e gli ha chiesto cosa aveva fatto. Lui ha risposto: "Questo sporcaccione mi ha ferito alla bocca".. Disse proprio cosi mentre invece non ero stato io a colpirlo ma l'altro. Allora hanno preso una barra di ferro e mi hanno colpito alla testa e su tutto il corpo. Gli avevo detto chi ero, che ero Peter Tosh e che avevo diritto di essere rispettato e mentre mi maltrattavano e mi denigravano per farmi passare per un criminale gli dicevo che i suoi figli ballavano al ritmo della mia musica. Ma non avevano nessun rispetto e mi diceva che se avesse visto uno dei suoi figli ballare con la mia musica lo avrebbe ucciso.."

"Due mesi fa, quando sono tornato in Giamaica dagli Stati Uniti la mia macchina era posteggiata davanti all'aeroporto. Quando sono uscito, un altra macchina si e' improvvisamente fermata davanti a me e non mi faceva passare. Ho atteso ,pazientemente ma il tizio non si muoveva. "Hey..lasciami passare!". Lui mi ha detto: "Piccolo stronzo.. piccolo sporco rasta e fai attenzione a quello che dici..". Sono uscito dalla macchina e ho detto: "Chi e' quel figlio di puttana che osa parlarmi cosi'?". E' uscito anche lui, con una grossa pistola e ha detto" Vieni qui che ti faccio fuori, e' tanto tempo che voglio ammazzarti, per tutte quelle stronzate che canti e che racconti!". Piu' tardi ho saputo che quel tipo era l'ispettore generale della polizia in borghese. Voleva uccidermi perche' andavo allo Stadium a cantare dei diritti della povera gente! Allora, cosa devo fare, con questa gente, con gente simile? Pagargli da bere, invitarli a casa mia e offrirgli del vino? APPENDERLI PER I LORO MALEDETTI COLLI? SIIIIII!!
Io non dico questo perche ora sono in Europa. Dico le stesse cose quando sto in Giamaica. E se li vedo, gli dico che quando Jah mi dara' il potere.. li impiccherò per le loro ingiustizie e per la loro opposizione all'uguaglianza dei diritti!.

Peter Tosh (Winston Hubert McIntosh) Grange Hill, 19 ottobre 1944, assassinato a Kingston, l'11 settembre 1987

Ben detto Peter..e riposa in pace...
Scrolls of the Prophet - The Best of Peter Tosh [1999].zip

PETER TOSH ( with The Revolutionaries ) Live Montreux 1979
Peter Tosh (lead vocal & percussions) Sly "drumbar" Dunbar (drums) Robbie Shakespeare (bass guitar) Darryl Thompson (lead guitar) Mickey Chung (riddim guitar) Robbie Lynn (keyboard & organ) Keith Sterling (keyboard & organ) The Tamlins " Carlton Smith, Derrick Lara & Junior Moore (background vocals & percussions) 
 


SET LIST:
1) 400 Years (The Wailers song)  2) Stepping Razor 3) African Play 4) Get Up, Stand Up (The Wailers song)  5) Don't Look Back (The Temptations cover) 6) I'm the Toughest   7) Bush Doctor  8) The Day the Dollar Die 9) Burial  10) Buk-In-Ham Palace 11) Mystic Man  12) Pick Myself Up

Different Class dei Pulp 20 anni dopo: un invito alla rivoluzione della mente

L'indizio è nel nome: Different Class. Il disco dei Pulp ha oggi 20 anni e resta quello che più di tutti richiama apertamente alla rivoluzione di classe e lo fa in un modo che sospinse i Pulp in cima alle classifiche della Gran Bretagna, facendo di Jarvis Cocker un improbabile - e però ancora più perfetta - rock star.  Per alcuni gruppi, il successo arriva dopo anni di duro lavoro, concerti in piccoli locali, un pò di merchandising per il carburante e raggiungere posti infernali in tour senza fine. Per altri, arriva improvvisamente - cavalcando la cresta dell'onda e navigando liscio fino al disco di platino. Unicamente, Pulp sono esperti in entrambi i percorsi.

Formatisi a Sheffield nel 1978, i Pulp avevano pubblicato quattro album fino all'estate del 1995. Il loro ultimo, del '94, His 'n' Hers, era stato nominato per il Mercury Prize: un paio di singoli nella Top 40 del Regno Unito 40, ma per la maggior parte erano solo un altro gruppo di Britpoppers da presentare come attrazioni minori all'ombra degli Oasis e dei Blur. Ma nell'estate del 1995 cambiò tutto. Maggio, Common People salì vertiginosamente al numero due, aiutato da un video colorato interpretato da Sadie Frost e con Jarvis Cocker che sarebbe entrato nella storia della danza di improvvisazione. Poi, furono gli headliner nel festival musicale più grande del pianeta, sostituendo gli The Stone Roses -quando John Squire si fratturò la clavicola - a Glastonbury. Questi due importanti avvenimenti, forniti dalla fortuna, diedero lo slancio necessario per assicurare al quinto album della band, Different Class, la definitiva pubblicazione.

Al settimo posto su di NME per i migliori album del 95, 11mo su Mojo, e con il conto alla rovescia su Melody Maker, Cocker fece girare la testa a entrambi i sessi. Era il nuovo Bowie, il nuovo Lennon, il nuovo Bolan, tutto in uno. Different Class vinse il Mercury Prize nel 1996 - ma è un disco che ci premia a oltre 20 anni dalla sua uscita con alcuni delle più intelligenti, spettacolari canzoni pop di un decennio che è stato, guardando indietro, tutt'altro che brillante.

"Vogliamo le vostre case / Vogliamo le vostre vite / Vogliamo le cose che a noi non verranno consentite".
Venti anni dopo, la prima cosa che si nota nel rivisitare Different Class è come sia ancora vitale, nel suono e appunto, nei testi. Sotto un certo aspetto, è un prodotto del suo tempo e del suo luogo, nato dai danni duraturi del thatcherismo e dal cinismo fiorente di Blair e della sua "Cool Britannia" ( il sistema, tutto è rimasto invariato, indipendentemente dal numero di musicisti passati a Downing Street).

Different Class è un disco pieno di temi che continuano a risuonare nel 2015: gli effetti deleteri del capitalismo, la sensazione di stare alla finestra, fuori dagli ingranaggi, il desiderio di ambire a qualcosa di più. Il brano di apertura, "Misshapes," è un invito alla rivoluzione:
“Brothers, sisters, can’t you see/ The future’s owned by you and me.”

Ma anche pieno di feeling, al limite del romanticismo: "starsene nella grondaia, guardando le stelle". Non è la presa della Bastiglia, o del Palazzo d'Inverno, ma soprattutto, la rivoluzione qui è quella della mente:
"Non ci sarà la lotta per la strada / Pensano di averci battuto / Ma la vendetta sta arrivando così dolce. "

E in effetti, la vendetta è un tema che appare di nuovo e in tutto l'album. Non è tanto quella di distruggere il sistema, ma la possibilità di come sovvertirlo, minarlo, cambiarlo dal di dentro. La classe operaia che Cocker evoca è più intelligente, più affamata, motivata da una combinazione curiosamente romantica di amarezza e di ottimismo. Come Cocker canta in "Common People":
"Come un cane che sta in un angolo / ti morderà senza preavviso / Attenti / Strapperanno via le vostre viscere"."E 'sporco / E non dovrebbe essere così / Ma mi sta accendendo."

Forse raramente si è vista una visione così personale della politica. Il disprezzo di classe viene espresso anche attraverso il sesso, che fornisce all'album i suoi momenti più sordidi. In quale modo? Nel mondo di Different Class il sesso è un'arma, maneggiata contro ricche casalinghe suburbane (e, per estensione, contro i loro mariti e il loro intero ambiente):

"Non sono scatole di cioccolatini e rose", Cocker canta in “F.E.E.L.I.N.G. C.A.L.L.E.D. L.O.V.E.,” “it’s dirtier than that/ Like a small animal that only comes out at night.” ( è sporco / come un piccolo animale che esce solo di notte ).

In "I Spy", Cocker è furtivamente in giro con la moglie di un altro,
"è tornato a casa inaspettatamente, un pomeriggio / E ci ha sorpreso nella stanza di fronte."
Tutto è lecito in amore e in guerra, la vecchia regola vale sempre.. Uno scenario simile torna in "“Pencil Skirt” ("So che sei impegnati con lui / Ma so che desideri qualcosa con cui giocare, baby"), mentre “Underwear” è il rovescio della medaglia, Cocker immagina un ex amante con un nuovo compagno, chiedendosi: "Perché è così difficile / darti a lui?"
Non c'è niente di bello e gratificante in tutto questo. Prendete ora ancora "Common People", il più grande successo dei Pulp e la canzone che forse meglio definisce l'estetica di questo album. Perché come abbiamo già accennato, il disco, oltre che cinico, è anche spudoratamente romantico.

"Tu sei stupita che esistono," canta a proposito della classe operaia, a cui la ragazza del St. Martin College vuole così disperatamente sentirsi vicina, "e loro bruciano in modo così brillante, mentre tu puoi solo domandare perché."
C'è una sorta di compassione perversa per chi non potrà mai bruciare come quelle persone, per chi non potrà mai sperimentare di essere così visceralmente vivo, quando è al prossimo week end il massimo del futuro a cui possono guardare.Anche "I Spy" contiene, alla fine, una promessa.
 "Ti porterò via da questo schifo / Cena al ristorante e champagne / sono la spia della possibilità di cambiare il mondo / io spio la possibilità di cambiare il tuo mondo."

Confrontando e contrapponendo la musica di Pulp a quella di band con simili preoccupazioni politiche - Gang of Four in primis- si nota che le canzoni sono più radicate nelle esperienze personali e meno retoricamente universaliste, e di conseguenza , risultano più comprensibili e in definitiva piú umane. Se Different Class fosse stato tutto sesso e amarezza marxista sarebbe invecchiato velocemente e male- invece, i suoi momenti bui e melanconici in contrappunto a quelli di fugace lievità ne fanno un disco moderno e attuale. Sono momenti effimeri, certo, ma inaspettati, proprio come accade nella vita reale e questo è ciò che li rende belli . Inciampare per casa alle prime luci dell'alba, svegliarsi dopo una sbornia colossale e miracolosamente scoprire che c'è qualcuno che ancora dorme al tuo fianco. Questo è romanticismo allo stato puro: trovare la bellezza nel banale.! A volte la speranza è un concetto che fa da consolazione nella nostra società e la nostra cultura, la consolazione della sconfitta, i Pulp invece, ne fanno una sorta di realismo spietato: se non hai niente, apprezza quel poco che si ha. Se si dispone di tutto, non apprezzare nulla.

"Il futuro è nostro. Mio e tuo."
Forse alla fine Different Class vuole rassicurarci, che anche sotto lo stivale del capitalismo, ci sono cose buone da scoprire, momenti di bellezza da trovare, e che mentre la nostra libertà è male ricompensata, con un lavoro che spesso non ci piace e senza fine e una vita che sembra non svoltare mai, è la sensazione che molti non saranno mai, e che mai avranno.Due decenni dopo, si tratta ancora di un manifesto impareggiabile per protestatari, idealisti movimentisti, disadattati...