29/08/13

Rainer Werner Fassbinder: Tutto ciò che è ragionevole non mi interessa.

Nessun artista tedesco produceva tanto quanto Rainer Werner Fassbinder. Nessun altro regista della RFT si preoccupava tanto nevroticamente del proprio ego come Rainer Werner Fassbinder. 

CONVERSAZIONE CON R. W. FASSBINDER, di W. Limmer e F.Rumpler

Produttività e egocentrismo sono forse le due facce di una stessa medaglia?
Innanzitutto non Credo di essere l’unico ad occuparsi principalmente di se stesso. In certo modo anche Alexander Kluge lo fa, solo adopera un certo distacco. ll fatto che io produca più degli altri lo spiego come una sorta di malattia, oppure come il tentativo di venire a capo di questa malattia, una malattia mentale.

07/08/13

Dispacci

"A Saigon andavo sempre a letto strafatto, cosi spesso mi perdevo i sogni, e tanto valeva probabilmente, tuffato nel profondo e nell’indistinto sotto quelle informazioni, riposa quel po’ che ti riesce, svegliati scippato di tutte le immagini tranne quelle che ricordavi dal giorno o dalla settimana prima, con nient’altro che il cattivo sapore di un brutto sogno in bocca, come se avessi masticato durante il sonno un rotolo di vecchi centesimi sporchi. Avevo osservato delle reclute addormentate che sparavano i REM da sotto le palpebre come raffiche nel buio, sono certo che a me accadeva lo stesso. Dicevano (io glielo domandavo) che nemmeno loro ricordavano cosa sognavano quando erano in zona d’operazione, ma in licenza o in ospedale i loro sogni diventavano costanti, aperti, violenti e chiari, come accadde a quell’uomo all’ospedale di Pleiku la notte che mi trovai li. Erano le tre del mattino, terrificante e sconvolgente come sentire una lingua per la prima volta e in qualche modo capirne ogni parola, la voce forte e sottile al tempo stesso, insistente, chiamava: <<Chi é? Chi é? Chi c’e nell’altra stanza?>>. C’era un’unica luce schermata sul tavolo in fondo alla corsia dove stavo seduto con l’inserviente. Riuscivo a vedere soltanto alcuni letti, i primi, era come se ce ne fossero centinaia che si rifugiavano nel buio, ma in realtà ce n’erano soltanto venti per fila. Dopo che l’uomo ebbe ripetuto alcune volte quel richiamo, il suo tono cambiò, Come se per un attimo la febbre fosse cessata, sembrava un bambino implorante. Vedevo accendersi delle sigarette in fondo alla corsia, brontolii e lamenti, feriti che ritornavano alla coscienza, al dolore, ma l’uomo che prima sognava continuò a dormire nonostante tutto... Quanto ai miei sogni, quelli che persi laggiù si sarebbero fatti strada più tardi, avrei dovuto saperlo, certe cose, è naturale, si limitano a seguirti finché non hanno attecchito. Sarebbe giunta la notte in cui sarebbero stati vividi e persistenti, la notte d’inizio di una lunga catena, allora avrei ricordato e mi sarei svegliato con il dubbio di non essere mai stato per davvero in nessuno di quei luoghi.."

06/08/13

Agosto 2.0 (GIF)

Kilyos Beach , Istanbul

Alzarsi una mattina e non poterne più. Lasciarsi andare a pensieri ingovernabili, armarsi di improvvise intenzioni e scaricare in maniera imprevedibile e distruttiva ogni frustrazione possibile. 
Oppure, alzarsi una mattina e prendere confidenza in maniera un pò più decisa con le solite questioni che tormentano da sempre, provando a organizzare finalmente una reazione in maniera saggia, ponderata e imprevedibile.
Oppure, semplicemente, alzarsi, lasciare tutto così com'è e andarsene senza nemmeno prendere fiato..




House fly



High Def

Per un osservatore dalla nebulosa di Andromeda, il segno della nostra estinzione non sarebbe più appariscente di un fiammifero che si accende per un secondo nel cielo..
Stanley Kubrick


05/08/13

Hakim Bey Vs la cultura poliziesca

Alla luce del brutale omicidio di Trayvon Martin pubblichiamo un estratto da T. A. Z. (Zone Temporaneamente Autonome) di Hakim Bey, scritto nel 1995 ma quanto mai attuale


RISOLUZIONE PER GLI ANNI NOVANTA (e 2000!)
BOICOTTARE LA CULTURA POLIZIESCA!!!

Se si può dire che ci sia stata una figura immaginaria che abbia dominato la Cultura popolare degli anni Ottanta (e Novanta), quella è lo Sbirro. Polizia fottuta dovunque ti giri, peggio che nella realtà. Che rottura incredibile. Sbirri Potenti - proteggono i deboli e gli umili - alle spese di una mezza dozzina di articoli della Costituzione - “Dirty Harry”. Simpatici sbirri umani, alle prese con la perversione umana, se ne escono fuori agrodolci, sai, duri e scafati, ma sempre teneri dentro - Hill Street Blues - lo show tv più malvagio che ci sia mai stato. Sbirri negri furbetti che fanno battute buffe, battute razziste contro poliziotti bianchi di campagna, ma che lo stesso arrivano ad amarsi l'un l’altro: Eddie Murphy, Traditore di Classe. Per il brivido masochista abbiamo sbirri cattivi e corrotti che minacciano di rovesciare la nostra confortevole realtà del consenso dall'interno come vermi disegnati da Giger ma naturalmente vengono spazzati via, appena in tempo dall’Ultimo Sbirro Onesto. Robocop, è un amalgama ideale di protesi e sentimentalismo.

Siamo stati ossessionati con gli sbirri fin dall’inizio - ma i pulotti di allora facevano la parte di idioti saputelli, i KeyStoneKops Car 54 Where Are You, bobby sciocchi messi su per essere sgonfiati e schiacciati da Fatty Arbuckle o Buster Keaion. Ma nel dramma ideale degli anni Ottanta, l‘ometto" che un tempo sparpagliava centinaa di bottiglie blu con la sua bomba da anarchico, innocentemente usata per accendersi la sigaretta - il Vagabondo, la vittima dall’improvviso potere del cuore puro - non trova più posto al Centro della narrazione. Una volta "noi" eravamo quell'hobo, quell’eroe Caotico quasi surrealista che vince col Wu-Wei sui risibili favoriti di un Ordine disprezzato e irrilevante. Ma "ora", siamo ridotti allo stato di vittime Senza potere, oppure criminali; non più gli eroi delle nostre storie, siamo stati emarginati e rimpiazzati dall'Altro, lo Sbirro. Cosi lo Sbirro Show ha solo tre attori - vittima, criminale e ufficiale di polizia - ma primi due non riescono a essere pienamente umani - solo il maiale è reale. Abbastanza stranamente, la società umana negli anni Ottanta (come viene vista negli altri media) appare a volte consistere degli stessi tre archetipi/clichè. Prima le vittime, le minoranze piagnucolanti che si lamentano sui “diritti” - e chi non apparteneva a una "minoranza" negli anni Ottanta? Merda, anche gli sbirri si lamentavano dei loro "diritti" che venivano abusati. Poi i criminali: largamente non-bianchi (nonostante l' integrazione" obbligatoria e allucinante dei media), largamente poveri (oppure oscenamente ricchi, quindi ancor più alieni), largamente perversi (gli specchi proibiti dei “nostri” desideri). Ho sentito che, in America, una casa su quattro viene rapinata ogni anno e che quasi mezzo milione di noi viene arrestato solo per aver fumato erba. Di fronte a tali statistiche (anche assumendo che siano “dannate bugie"), uno si domanda chi NON è o vittima o criminale nel nostro stato-polizia-di-coscienza. La giusta deve mediare per tutti noi, per quanto nebbiosa l'interfaccia - sono solo preti-guerrieri, per quanto profani.

04/08/13

Pompeo 2013

"TUTTO QUELLO CHE VEDO E' UN MINUSCOLO PUNTINO.."
Talking Heads, Drugs - Fear of music



<<Pompeo s'era svegliato nel suo letto  e preparava con soddisfazione la prima pera della giornata, nel modo che preferiva, cioè senza levarsi dal letto, avendo l'occorrente, compresa acqua e limone, apparecchiato a portata di mano prima di coricarsi. Mentre premeva lo stantuffo in un ennessimo risucchio, lo sguardo spillato si posò su uno dei numerosi orologi che formavano la sua "piccola collezione", senza però cavarne alcuna informazione, scivolando poi sul primula dalle sedici memorie inusate, affondato tra le pieghe del piumino. Dovette allora, scalzo, correre nello studio per rimettere al suo posto la cornetta dell'altro telefono di casa, che egli sollevava ogni notte per tema d'essere disturbato. Se avesse semplicemente staccato le spine, la suoneria, autonoma, avrebbe trillato lo stesso.  Se ad essere sganciato fosse stato il ricevitore del primula, il segnale acustico l'avrebbe tenuto sveglio. Tornò a letto , accese una sigaretta, ripiegò il cuscino dietro la nuca, allungò un braccio a raccogliere il libro che stava leggendo dal tappeto di moquette, e lo sistemò, aperto sul petto col dorso in alto. Quindi prese il telefono e compose il 190, ultime notizie Rai. Ascoltò le prime due. Non era successo niente, riattaccò e chiuse gli occhi...

Tornando a casa, Pompeo pensa:
Vivo sulla lama, mi com/muovo nei bassifondi, parlo con ricercati dallo stato, brigo, mi procuro e dilapido milioni, poi, rischio, mi struggo, mi umilio, mi arrendo, poi..mi faccio e tutto torna bello, più splendente di prima !!
L alternativa è la birreria, il lavoro, il risparmio, il normale sfaldarsi del corpo, lo studio, lo scemo naturale, il simpatico, l'antipatica, due + due fa quattro, sveglia alle otto, viaggi, incidenti, cene d'affari, e non valgono quei personaggi più di quell'altri, mutuati della felicità. Palle, anche lì..palle peggio di qua. Vuoi mettere risorgere, risorgere, risorgere..Vuoi mettere..>>




POMPEO è un poema che il disegno segue, ed esaspera, sottolineandone il carattere istantaneo, diaristico della sua scrittura. A proposito dell'eroina, Andrea narra in questa storia tutto l'orrore, la bassezza che sono parte caratteristica dell'argomento, e la narra quasi con amore, ma come se volesse per questo salutare tutto ciò.. La vera forza del racconto sta nella sfrontatezza,  e durezza delle sue pagine, che pure rivelano il coraggio di chi si mette sempre nella condizione di non avere niente da perdere, ma nella struggente dolcezza e dolce successione delle sue parole..
Maria Comandini Pazienza 



Pompeo in Cold Turkey

 
Un libro da leggere nelle scuole - Visionario, allucinato, ricchissmo di citazioni, testi e ipertesti, rimandi subliminali in 180 pagine, Gli ultimi giorni di Pompeo è il libro che si dovrebbe far leggere in tutte le scuole se si vuole comunicare, senza ipocrisia e senza sconti, ai giovani cosa significa essere tossicodipendenti, quale sia la spirale di godimento e autodistruzione che avvinghia un essere umano in preda alla roba, e a quali svolte brutali e vicoli ciechi porti. Pompeo è un magma, un viaggio nell'inconscio e anche la tragicomica cronaca di una vita scandita dalle dosi, dai conflitti interiori, dalla rabbia per essersi autodivorati e dall'orgoglio di non voler mai cedere del tutto al senso di colpa. Il tratto di Paz è vulcanico, cita la storia dell'arte, quella del fumetto, ha dentro la rabbia punk e la malinconia di una vita borghese raggiunta e aborrita in un secondo. La storia del disegnatore di successo tormentato da un amore finito e dalla seduzione-lotta tossica echeggia la vita di Andrea, questo è ovvio, ma va oltre. Diventa parabola, diventa quasi mitologia (da qui la scelta di nomi epici come Pompeo e Mallardo, rifilati per accostamento irriverente a peromani persi nel vuoto di una vita risucchiata dalle siringhe e dai "tirelli"). Diventa memoria di un sé consumato, diverso dal "supereroe" ventenne che affascinava il mondo con i suoi disegni e stregava le donne con il suo fascino tenero e malandrino.
C. Sanna 

Pompeo in Pdf





03/08/13

Un briciolo d'onore

Il Financial Times all'indomani della sentenza della Corte di Cassazione che ha confermato la condanna a quattro anni per la sentenza Mediaset nel confronti dell'ex presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. "Cala il sipario sul buffone di Roma, dopo il verdetto, il Senato dovrebbe cacciare Berlusconi" che "ha accusato i magistrati di parzialità politica" nei suoi confronti "ma non è riuscito a produrre alcuna prova a sostegno delle sue affermazioni".

"Alcuni ritengono che il reato per il quale Berlusconi è stato condannato è poca cosa rispetto all'enorme quantità di tasse che paga -si legge nell'editoriale- ma non è mai corretto ingannare il fisco. I politici hanno una particolare responsabilità nel dare l'esempio, specialmente in Italia, dove la diffusa evasione fiscale è una delle principali ragioni del terribile stato delle finanze pubbliche ". Per il Financial Times, "i giudici di Roma dovrebbero essere lodati per la loro indipendenza" e "il verdetto dimostra che nessuno è al di sopra della legge".
"Se Berlusconi avesse un briciolo d'onore, ora darebbe le dimissioni. Risparmierebbe ai suoi colleghi senatori l'imbarazzo di dover espellere un ex primo ministro". Infine, per il FT, che ricorda come l'ex premier abbia già promesso battaglia e che molti membri del suo partito potrebbero seguirlo, in Italia "i tempi sono maturi per l'emergere di un partito di destra che sia pronto a liberarsi del frenetico populismo di Berlusconi per abbracciare il liberismo economico. Dopo anni di inefficace protagonismo, l'Italia ne beneficerebbe molto", conclude l'editoriale.

Financial Times / Repubblica.it

Ma lui, l'onore non sa proprio cosa sia e il suo "esercito" di moderati, in quanto moderati, per bocca di quel moderato di Bondi arriva a minacciare la guerra civile. Solo per vedere Bondi, Cicchitto, Santalacchè, Polverini, Lupi..in mimetica ed elmetto. Al comando dell'esercito dell'amore, logicamente, Belpietro e  Sallustri. Che spettacolo, sarebbe!
Ma si..contiamoci, una volta e per tutte..!



02/08/13

Robottoni vs Godzilloni: Pacific Rim, un cult

"Ci sono cose che non puoi combattere - cause di forza maggiore. Vedi un uragano in arrivo, ti levi di mezzo. Ma quando sei in uno Jaeger puoi finalmente combattere l'uragano. Puoi vincere"

I visionari sono quelli come Bergman, ma anche quelli come Del Toro. L’immaginario comune occidentale è una spugna di robot, dinosauri giganti, effetti speciali e personaggi stereotipati, ben rappresentata nelle due ore abbondanti di questa pellicola.
Pacific Rim esaurisce la trama in pochissimi minuti, con tanto di didascalia in apertura a spiegare chi sono i cattivi e chi i buoni. Kaijū, termine giapponese per indicare i mostri alieni che devastano la Terra. Jaegers, parola tedesca per indicare i macchinari che l’uomo ha inventato per difendersi a suon di cazzotti e scontri fisici diretti. Il regista (che è anche co-sceneggiatore, insieme a Travis Beacham, autore del soggetto iniziale) si diverte come un bambino con un nuovo giocattolo, passando sul corpo della sceneggiatura senza troppi pensieri (solo delle persone tristi possono seriamente criticare film del genere per la mancanza di senso di alcuni particolari). C’è una scena in particolare (ma è bene non svelare nulla con descrizioni particolari) in cui viene da alzarsi in piedi e urlare, applaudendo, “alabarda spaziale”.

La forza del film è nella potenza visiva, che è un affresco di particolari in cui perdersi per giornate intere. Dai nomi dei robot alle loro armi, passando per la conformazione dei vari mostri invasori: niente è originale, ma nulla di simile ha mai raggiunto questo livello di tecnologia ed efficacia. Se Hollywood si avvia davvero verso la decadenza, come teorizzato recentemente da Lucas e Spielberg, Pacific Rim è una delle vette più alte di spettacolo concepibile. Nessun impegno, nessun messaggio profondo. L’umanità si difende sull’orlo dell’apocalisse, con un gruppo di eroici piloti di robot (di ogni colore e nazionalità).

Del Toro mancava dalla regia in prima persona da ormai cinque anni. L’ambizione sembra essersi gonfiata con lo scorrere dei mesi, pari ai milioni di costo. Qualcuno ha storto il naso per la molta pubblicità e il trailer lanciato rende poco onore alla qualità della pellicola. In realtà, lasciando da parte ogni pretesa, accettando di vedere quello che è puro intrattenimento, si esce dalla sala quasi tramortiti. La colonna sonora di Ramin Djawadi (già dietro Il Trono di Spade e Iron Man, tra gli altri titoli) aiuta a cancellare ogni legame con il mondo reale, immergendosi completamente nel colossal adatto tanto ai nerd quanto ai neofiti del genere.
Non spicca la recitazione, ovviamente, ma non è richiesto dal tipo di film in questione. L’unica ovvia eccezione è quella di Ron Perlam (già Hellboy), che ricorda a tutti perché Del Toro ha avuto la possibilità di accedere a risorse così ampie.
Un’ottima consolazione per chi ancora non si è ripreso dalla decisione che tolse a Del Toro la regia de Lo Hobbit.
Non si rischia niente, così come niente è stato rischiato dagli sceneggiatori e dagli attori: è un piccolo gioiello “garantito”, non un capolavoro. Senza sorprese, ma archetipi e luoghi comuni, per uscire sazi, più che stuzzicati.
Con la soddisfazione di aver visto il mondo salvato da robot giganti.

Dmitrij Palagi

01/08/13

De Gregori: Non sparate sul cantautore e il processo del '76

De Gregori rilascia un intervista al Corriere della Sera e la rete si scatena. Le dichiarazioni del cantautore romano, politico per eccellenza, infiammono gli animi. Ma cosa ha detto per così tanta animazione?  De Gregori spara sulla sinistra italiana: <<Secondo lei cos'è oggi la sinistra italiana?>> <<È un arco cangiante che va dall'idolatria per le piste ciclabili a un sindacalismo vecchio stampo, novecentesco, a tratti incompatibile con la modernità. Che agita in continuazione i feticci del "politicamente corretto", una moda americana di trent'anni fa, e della "Costituzione più bella del mondo". Che si commuove per lo slow food e poi magari, "en passant", strizza l'occhio ai No Tav per provare a fare scouting con i grillini. Tutto questo non è facile da capire, almeno per me>>. 
Dire che è come sparare sulla Croce Rossa è un..eufemismo. Dichiara che vanno tutelate le fasce più deboli della popolazioni, a favore della scuola pubblica e della meritocrazia e che la ricchezza in quanto tale non "vada punita". E, giustamente, per favorire queste prospettive ha votato Monti e Bersani. Si dice sconvolto da quelli che gridano all'inciucio quando i due grandi partiti cercano un accordo per fare qualche riforma!! Potete poi leggervela tutta l'intervista sul Corriere: ce ne per tutti, da Veltroni a Moretti, da Castro fino ai 5 Stelle. Ma la ciliegina sulla torta è la sua "nuova passione": non si salva proprio nessuno?
<< Papa Francesco, la più bella notizia degli ultimi anni. Ma mi piaceva anche Ratzinger. Intellettuale di altissimo livello, all'apparenza nemico del mondo moderno e in realtà avanzatissimo, grande teologo e per questo forse distante dalla gente. Magari i fedeli in piazza San Pietro non lo capivano. Ma il suo discorso di Ratisbona fu un discorso importante>>. 
Sembra proprio una moda: non bastava il poco lindo Giovanni Ferretti, passato in poco tempo dal bolscevismo al berlusconismo, poi al razzismo della Lega e infine approdare alla celeste via di Ratzinger. Di sicuro, il cantante di Buonanotte fiorellino incendiario non lo è stato mai. Davvero uno strano paese, questo, con strani personaggi. Per non tirarla per le lunghe, tra i tanti commenti e risposte all'intervista, quella più appropriata ci sembra proprio quella dei giovani Pd: caro Francesco, stai invecchiando male! E del De Gregori che non voterà più a sinistra, ce ne faremo una ragione. 

Intanto, nell'articolo che segue, ricordiamo un altro De Gregori e altri tempi: la contestazione e "il processo" che il cantautore subì nell' aprile 1976 durante il famoso concerto al Palalido di Milano, da parte di una frangia del "movimento". La ricostruzione è di Alberto Piccinini ed è comparsa sul numero 27 di Alias del luglio 2011.

LASCIA QUI' L'INCASSO !
Passò alla storia come il <<processo a De Gregori>>. Processo politico, s'intende. Venerdi 2 aprile 1976, al Palalido di Milano, un centinaio di persone fermò a metà il concerto sold out del cantautore romano di fronte a seimila spettatori. Rimmel, uscito l’anno prima, era stato in classifica 40 settimane, vendendo la cifra record di 500.000 copie. Proiettato in una nuova dimensione di popolarità, De Gregori aveva un album in uscita: Buffalo Bill. La tourneè la organizzava il Piccolo Teatro di Milano. Sullo sfondo c'e la Rca, la casa discografica del cantautore. ll biglietto costa 1500 lire. Prima del concerto della sera, accanto al botteghino, vengono distribuiti volantini <<contro i padroni della musica>> firmati da Stampa Alternativa: <<Decine di migliaia di incazzati hanno capito che i Palalido sono i loro Vietnam, i loro campi di battaglia>>. Soltanto due mesi prima, nello stesso Palalido, uno  spettrale Lou Reed (2000 lire) é stato costretto a interrompere il concerto tra lanci di sassi e bottigliette. Per evitare altri attriti si aprono precauzionalmente le porte a tutti. E il concerto si svolge con le luci accese. <<Vedevo la gente che applaudiva appena salivo sul palco, cosa mai successa prima. - é il ricordo De Gregori raccolto dal giornalista Claudio Bernieri -  Poi c’erano quelle luci accese>>.  Dopo una prima interruzione (<<gli strapparono la chitarra di mano», ricorda il batterista Carlo Marcovecchio), e la lettura dal palco di un comunicato contro l’arresto di un compagno a Padova, il concerto riprende. De Gregori e la sua band finiscono come possono, poi tomano nei camerini.
E’ qui che-va in scena il processo vero e proprio. I <<verbali>> li scoviamo nella cronaca che il giorno dopo usci sul Corriere della Sera:
“Quanta hai preso stasera?” urla un giovane.
“Credo un milione e due... “ sussurra con un filo di voce De Gregori – ma poi c'é la SIAE.  “Se sei un compagno, non a parole ma a fatti, lascia qui l'incasso”, ribattono.
Fu il critico Mario Luzzatto Fegiz a firmare il pezzo. Calcò la mano:
<<Al microfono si alternano volti lombrosiani e giovani che sembrano colti da raptus isterico...>>.  Secondo i testimoni un vero e proprio processo neppure ci fu: il Palalido si stava svuotando, il diverbio tra i contestatori e De Gregori si sarebbe svolto tra il sottopalco e i camerini. D’altra parte la cronaca, pure romanzata, coglie bene la centralità drammatica che quell’evento avrà nella storia  successiva della canzone italiana. Continuiamo a leggere: Prende la parola un uomo con la barba bianca, d’età indefinibile: <<La rivoluzione non si fa con la musica. Prima si fa la rivoluzione, poi si potrà pensare alle arti o alla musica. Lo diceva anche Majakowski che era un vero rivoluzionario e si é suicidato. Suicidati anche tu!>>. De Gregori ascolta pallido e silenzioso. Con scarsa convinzione mormora al microfono: <<Forse sono una vittima dell'industria...>>.
Di chi erano quelle voci? In un’intervista televisiva recente De Gregori chiedeva che almeno si facessero vedere. A quasi 40 anni di distanza. E’ rimasto qualche nome. Gianni  Muciaccia, punk della prima ora, chitarrista dei Kaos Rock, poi perso nei gorghi del socialismo milanese. C’era sicuramente Marcello Baraghini, che dell’arcipelago di Stampa Alternativa era il volto più noto. Accetta di rovistare nei ricordi di un evento del quale sono rimasti, dice, solo pochi flash: <<No, non ero io quello dj Majakowskij. - sorride - Non avevo la barba bianca. Penso fosse Gianluca, che adesso non c’è più. Gianluca faceva teatro, guidava un furgone col quale abbiamo girato il mondo e la cosa più incredibile è che non aveva mai documenti  con se. Scendeva, parlava con le guardie, ripartiva>>.
“Non ricordo molta violenza quella sera. - riprende Baraghini - Esasperazione, si. C’erano nel nostro gruppo delle frange accese, autonomi, che però in genere riuscivamo a calmare. Naturalmente una parte del pubblico si incazzò. Ricordo bene De Gregori, stizzito. Avrebbe potuto spiegarsi, ma non lo fece>>. <<Mancava solo l'olio di ricino>>, fu invece il commento del cantautore riportato ancora dal Corriere. <<La contestazione é quando tu prendi una persona e gli contesti delle cose (...) Un’aggressione è quando io ti prendo a cazzotti e ti dico che sei  stronzo. .. Quella fu un aggressione, cioè non ci fu nessun dialogo>>.
Quest’ultimo commento lo ha raccolto un cronista/musicista che allora collaborava con L’Unità, Claudio Bernieri. Ne fece un libro, Non sparate sul cantautore - preziosa raccolta di interviste a cantautori della meta degli anni '70, da tempo introvabile, che il prossimo settembre viene ripubblicato dalle edizioni Vololibero con allegati i nastri originali delle conversazioni. <<C’era quest’area libertaria, moralista se vuoi – ricorda oggi Bernieri – Riteneva che si dovesse suonare a un prezzo politico,  saltare l’intermediazione di quelli che chiamavano i padroni della musica. Erano cani sciolti. Andavano a vedere con quale macchina arrivavano a suonare i musicisti, facevano i conti in tasca>>.  Moralismo a parte, l‘idea della “musica gratis” non godrà mai di grande considerazione, né allora e né mai. Sull‘utopia, pericolosa o naif che fosse, vinse fin da subito una specie di necessario realismo mercantile. Per due anni in Italia non si fecero grandi concerti. Poi, negli anni '80, si ricomincio daccapo. Su quelle contestazioni Bernieri ha un`altra idea: <<Per capirci, é come se oggi si riuscisse a impedire il download gratuito dalla Rete. Che succederebbe?>>.
Ancora. Chi ce l‘aveva con De Gregori, e perché? Re Nudo e Andrea Valcarenghi avevano chiesto al cantautore di organizzare il concerto di Milano, ricevendo in cambio un garbato rifiuto (da qui la scelta di coinvolgere il Piccolo Teatro). Con Lotta Continua, poi, c'era stato uno scontro a proposito del rimborso chiesto in occasione di un Concerto militante. Il giornale sfotteva cosi:  <<E’ venuto compiendo un pericoloso viaggio da Roma centro alla periferia di Roma tale De Gregori, pare celebre, il quale ha chiesto 400.000 lire per esibirsi, e ha preso 400000 pernacchie>>. De Gregori, da parte sua, si difese con un lettera al giornale facendo notare ai compagni che <<la musica é ancora in mano ai Tony Santagata, e non ai proletari>>.
E c’era Muzak, il mensile di musica e politica diretto da Giaime Pintor. La stroncatura di Rimmel (e dell’ermetico “canto degregoriano”) comparsa su quelle colonne a firma dello stesso Giaime é rimasta celebre: <<Non é un caso da sottovalutare che la fortuna dell'ermetismo dati anni '30-'40, e cioé si collochi programmaticamente come isolamento dal fascismo, isolamento nell‘attività pubblica e nella poesia come risposta "privatistica" alla retorica mussoliniana. (...) Una poetica ermetica, dell’intuizione lirica, é una poetica tendenzialmente idealista, dunque di destra, arretrata negli anni '70, dunque incapace di rispecchiare tensioni, di farsi portatrici di valori positivi e rivoluzionari>>.
Più prosaica e velenosa risultò tuttavia una cronaca-coeva di Enzo Caffarelli per Ciao 2001, Raccontava il De Gregori privato cosi: <<Lo sguardo sbigottito mentre gioca a poker e beve champagne all’Hotel Belle Vue di Rimini, categoria di lusso, una stanza tutto escluso 38.000 lire a notte, mentre cala il sipario. Ma tutto questo Alice non lo sa>>. Fu quella che colpi nel segno, eccitando il moralismo dell'epoca? Per uno scherzo del destino la maniera dylaniana di De Gregori, nei testi e nello stile, si allargò in quegli anni fino a investire il volto pubblico del cantautore, il difficile rapporto con il tumultuoso “vogliamo tutto” di quegli anni. Sembrava la storia di quell'”immondiziologo” che nel 1965 si era messo a frugare nella spazzatura di Dylan per scoprire le prove del tradimento. Dylan era scappato a gambe levate verso il rock elettrico, nascosto giorno e notte dietro i Ray Ban scuri . <<Dylan - attaccò una volta Giaime Pintor – è solo il ripiegarsi su se stesso dell'intellettuale giovane americano>>.
Il paradosso lo spiegò una volta lo stesso De Gregori <<“Dylan non è mai stato inquadrabile politicamente al contrario di me che invece quando mi chiedono per che partito voto non ho nessun problema a dirlo>>. Dopo quella brutta serata, il cantautore minacciò di smettere del tutto, di non cantare più. Per più di un anno non suonò in pubblico. Lo avvistarono a fare il commesso in una libreria di Trastevere..