28/03/13

Lester Bangs: crescere sinceri è davvero difficile

“Forse chiediamo ai lettori di essere disposti ad accettare il fatto che il miglior scrittore americano sapesse scrivere quasi esclusivamente  recensioni di dischi..! (G.M.)  
 Come diventare un critico rock:
<<"La prima cosa da capire e ricordare sempre, è che è tutto un espediente il cui unico significato sta nella possibilità di infliggere il proprio gusti alle persone. Molti iniziano a scrivere recensioni perché vogliono che agli altri piacciano le stesse cose che piacciono a loro e non c'è nulla di male in questo, è un impulso onesto. Da piccolo ero testimone di Geova e quindi ce l’avevo nel sangue. Metà dei Critici rock del paese, anzi, il 90% dei critici rock del mondo hanno una teoria che cercano di inculcarsi a vicenda e di inculcare agli altri, poiché spiegano, questa chiarisce la storia della musica e tutti i suoi punti oscuri. Hanno tutti una teoria e ognuna di queste teorie è una cazzata totale, ma vi conviene tenerne sempre una pronta se avete intenzione di andare avanti. Provate con questa: tutte le culture del rock’n’roll si plagiano a vicenda È nella loro natura intrinseca. Quindi forse i plagiatori e gli imitatori sono ancora più geniali degli artisti da cui attingono! Fare la prova: i Rolling Stones sono meglio di Chuck Berry, Gli Shadow Of Knights meglio degli Yardbirds!" >>

Genio. E ancora, l’impietosa cronistoria della parabola di Jim Morrison:

<<"L’importanza dei Doors non dovrebbe essere sottovalutata: se si considera nella giusta luce il contesto che il gruppo scardinò con la sua violenza, se si pensa ai gruppi e agli artisti entrati nell’immaginario collettivo dopo di loro (da Alice Cooper a Brian Ferry), si deve concludere che Jim Morrison fu uno dei padri del rock contemporaneo. Se gli Stones erano ‘sporchi’, i Doors erano veramente paurosi, e la differenza è rilevante perché l’elemento sostanziale della nostra epoca e proprio la paura">>

Stiamo parlando dell’anziano personaggio ritratto accanto all’illustratrice underground Dori Seda in un racconto di Bruce Sterling del 1989. Del quarto protagonista con iniziali L. B. dell'apocalisse di It’s the End of the World as We Know It dei Rem insieme a Leonard Bernstein, Leonid Breznev e al grande Lenny Bruce; del critico musicale interpretato dal bravissimo Philip Seymour Hoffman in Almost Famous (da non perdere..) , al quale il giovane alterego del regista Cameron Crowe si rivolge come a un maestro di vita. Anche i Ramones lo citano in It’s not my place, accanto a Phil Spector, Clint Eastwood, Jack Nicholson.. E’ Lester Bangs, esplicitamente invocato — anche da Cobain nei suoi diari — come il più influente, seminale critico musicale di tutti i tempi, nume tutelare della controcultura e del maledettismo rockettaro. <<Lester Bangs. Critico rock, morto e canonizzato per la sua prosa intenzionalmente sgradevole...>>. Lester, che si veste con orribili camicie da campagnolo, Lester che si lava di rado, che insulta in faccia il sue amato/odiato Lou Reed nel corso di varie interviste, che ci prova goffamente con Patti Smith, e soprattutto che stigmatizza violentemente qualsiasi forma di lucro sul cupio dissolvi» delle anime belle del rock. Lester, dalla scrittura incredibilmente suadente, indiscutibilmente incisiva e maliarda.


27/03/13

Aldrovandi: spregevole sit in del Coisp

Il Coisp, sindacato di polizia, da settimane gira con un camper per solidarizzare con i colleghi assassini di Federico Aldrovandi. Solo poche settimane fa il sindacato autonomo SAP aveva atteso fuori dal tribunale di Bologna uno dei quattro assassini per festeggiarlo con bandiere, pacche e applausi. Ma oggi si è raggiunto un vero e spregevole apice di infamia (dove l'aggettivo rischia di suonare come eufemismo!).
Con l'ipocrisia di chi sa di aver torto marcio ma gode delle spalle coperte, alcuni membri del sindacato indipendente di Polizia giunti per tenere il loro Congresso Regionale dal titolo “Poliziotti in carcere, criminali fuori, la legge è uguale per tutti?” hanno inscenato un presidio davanti alla sede del Comune con tanto di bandiere e manifesti di solidarietà per gli agenti condannati per l'omicidio di Federico Aldrovandi. Un presidio che è una grave provocazione, dato che la madre di Aldro, Patrizia, lavora proprio in Comune, ed era presente a quell'ora. Tant'è che pure il sindaco di Ferrara, fiutando l'aria provocatoria, si è recato a pregare i poliziotti di spostarsi ma questi con tanta faccia tosta non ne hanno proprio voluto sapere!

Una volta constatata la provocazione strumentale, Patrizia Moretti ha deciso di scendere in piazza con tutta la dignità e la fermezza che la contraddistingue per mostrare agli agenti solidali con i colleghi assassini la foto di Federico ormai morto e riverso in una pozza di sangue. All'ennesimo atto di sciacallaggio dei “manifestanti” in divisa la madre di Aldro ha risposto alla sua maniera, senza alcun timore, dichiarando “Speravo di non dover mai essere costretta a mostrare ancora in pubblico quella foto”.
Le facce di bronzo del Coisp hanno voltato le spalle davanti all'esposizione della foto, macchiandosi incresciosamente una volta di più della corresponsabilità di difendere degli assassini, graziati solo per indossare una divisa.

InfoOut


Intanto il Coisp..?  TANGO DOWN! 












25/03/13

Telelavoro. Yahoo!: tutti in ufficio

La necessità di rendere flessibile gli orari di lavoro,unita al forte sviluppo delle tecnologie informatiche e di comunicazione, hanno recentemente consentito l’avvio di una pluralità di iniziative, nella maggior parte dei casi finalizzate alla sperimentazione di nuove possibilità applicative, come ad esempio il commercio elettronico o il telelavoro. Nei principali paesi industrializzati l’impiego del lavoro a distanza è progressivamente cresciuto negli ultimi anni. Le esperienze pilota avviate alla fine degli anni 80 hanno convinto i decisori sia pubblici sia privati, ad adottare sistematicamente questa modalità operativa di esecuzione dell’attività. Il telelavoro rappresenta infatti, un nuovo modo di lavorare nel quale la tecnologia ottimizza la gestione delle risorse umane che rappresentano il vero fattore competitivo delle società industrializzate. I motivi della crescita ,che si sta registrando a livello mondiale nell’applicazione del telelavoro, derivano da un lato dalla notevole flessibilità operativa che il telelavoro consente, fatto questo che lo individua co me un nuovo modo di lavorare, dall’altro dai vantaggi economici, soprattutto derivati dall’ aumento di produttività, ottenuti dai soggetti (organizzazioni o liberi professionisti) che lo hanno adottato. Per primi, i paesi scandinavi e il Regno Unito e Irlanda, hanno messo in luce, inoltre, l’efficienza del lavoro remoto come strumento da inserire in strategie pubbliche, permettendo la rigenerazione di aree depresse (in particolare quelle situate in contesti rurali).

 Dagli Usa, ora, arriva un contrordine.. In totale contradizione con la filosofia che tanto ha promulgato la sua azienda , e che tanto mercato ha creato, Marissa Mayer, capo di Yahoo! ha comunicato ai suoi dipendenti statunitensi con contratti di telelavoro che devono recarsi in ufficio a svolgere le proprie mansioni e di non poter assicurare il lavoro a domicilio. Una scelta che fa tanto discutere e in controtendenza con la cultura che considera il telelavoro la nuova frontiera per un miglioramento delle condizioni di lavoro che abbiamo illustrato, sia per le imprese che per i lavoratori. Questa scelta è motivata dal fatto che alcune delle intuizioni geniali che fanno crescere un impresa derivano spesso da un commento casuale, uno scherzo, o semplicemente dagli scontri che si hanno durante confronti e riunioni in azienda. Con la metà dei lavoratori seduti a casa, secondo la Mayer, non si riproducono le condizioni di stimolo e creatività. Un isolamento dagli altri lavoratori, dall’azienda e, più in generale, dal contesto sociale può avere effetti negativi in termini di identificazione con l’azienda, di processi di apprendimento e di crescita degli skill professionali, di scambio di esperienze e di know-how, di possibilità di risoluzione collettiva dei problemi, di potere contrattuale nei confronti dell’azienda. Questo il nuovo Mayer-pensiero.

Ma quali sono i vantaggi del telelavoro? Sicuramente una serie di vantaggi che possono essere apprezzati a livello di società nel suo complesso: minore congestione del traffico, minor inquinamento atmosferico, sviluppo di zone rurali e depresse . Forse il telelavoro è nato proprio come possibile soluzione ai problemi di traffico, e dell’inquinamento urbano, anche sulla base della considerazione che il tempo impiegato per il trasferimento da e verso il luogo di lavoro è comunemente tempo “sprecato” ai fini della vita sociale dell’individuo. Questo tempo “improduttivo” è estremamente elevato su base annua: se si impiega un ora per recarsi da casa al lavoro si perde in un anno circa 440 ore, pari a 55 giorni lavorativi. Altro impatto della riduzione del tempo di viaggio sui dipendenti è da ricercare poi nella riduzione dei costi di trasporto, e inoltre, il desiderio di abitare in luoghi meno congestionati e dotati di maggiori spazi verdi rispetto all’area metropolitana ha indotto un numero elevato di famiglie a decentralizzare la propria abitazione rispetto al luogo di lavoro, con un incremento dei tempi di percorrenza per recarsi al lavoro. La possibilità di programmare il tempo e la quantità di lavoro svolto, consentono a numerosi lavoratori di contrattare con l’impresa l’esecuzione di lavoro part—time, in particolare laddove debbano essere accuditi figli o persone anziane. Avvantaggiati dall’uso del telelavoro possono essere anche quei lavoratori che sono di solito ostacolati (se non impediti) a svolgere un’attività lavorativa tradizionale, come ad esempio, le persone disabili.

Mentre per le imprese la riduzione dei costi indiretti (affitti, luce, segreteria etc.) e la maggiore flessibilità nell’utilizzazione delle capacita di lavoro disponibili, in quanto è possibile far fronte a picchi di lavoro senza costi addizionali ed è più facile ridurre la produzione quando la domanda di mercato é debole. Questa flessibilità può risultare di notevole interesse per aziende che debbano fronteggiare una domanda strutturalmente instabile, talvolta dispersa capillarmente su tutto il territorio nazionale. In questi casi il telelavoro può diventare un’importante strumento per una strategia flessibile di marketing e venire cosi ad assumere, nel funzionamento dell’azienda, una dimensione non solo operativa, ma anche strategica.

(Ulteriori impatti positivi del telelavoro si possono registrare nella crescita del livello occupazionale, grazie alla flessibilità che esso offre, consentendo il recupero a una attività vera e propria di parte della disoccupazione intellettuale del paese; mercati più liberi e flessibili possono infatti garantire un elevato ricambio di attività, consentendo di fatto una maggiore occupazione e riducendo nel contempo l’effetto della disoccupazione totale. Non solo, un programma di introduzione del telelavoro, basato sul modello dei tele centri britannici o svedesi, applicato alle aree meno industrializzate del mostro paese, come nel caso delle regioni meridionali, potrebbe consentire un recupero di risorse professionali (diplomati e laureati) le cui prospettive attuali sono solo quelle di una lunga disoccupazione. E’ questa un’esperienza che dovrebbe adottare l’Amministrazione Pubblica centrale italiana al fine di una riallocazione dell’occupazione ministeriale, favorendo nel contempo un riequilibrio dell’occupazione su tutto il territorio italiano (il Meridione in particolare) e favorendo il decongestionamento ambientale dell’area romana.)

Le ricadute dell’utilizzo del telelavoro sul lavoratore sono riconducibili a quattro aree principali:

— lavoro;
— famiglia; (figli, persone anziane)
— tempo libero;
— trasporti.

I vantaggi connessi con l’attività lavorativa sono principalmente collegati alla flessibilità temporale della propria prestazione lavorativa che consente di attenuare la rigida separazione tra tempo di lavoro e tempo libero (e/o da dedicare alla famiglia). Una medesima motivazione si può ritrovare in quei soggetti (specialmente giovani) che trovano sempre meno interesse nel lavoro svolto in forma tradizionale (centralizzato e parcellizzato) e che subordinano il valore “lavoro” a quello della “qualità della vita”.

Non va sottovalutato a questo proposito il fatto che lo svolgimento di telelavoro in ambito domestico comporti la messa in discussione delle abitudini e dei ruoli svolti dai diversi componenti del nucleo familiare. Tradizionalmente, infatti, la casa é il luogo dove si gestisce gran parte del tempo libero e si svolgono compiti essenzialmente inerenti alla famiglia; 1’introduzione in questo spazio fisico di strumenti e di attività di lavoro comporta una riorganizzazione, sia fisica sia temporale, delle attivita del nucleo familiare.
Ora, è vero che i figli non hanno bisogno di avere tutto il giorno i genitori tra i piedi (tranne che per la prima infanzia), e che dovrebbero interagire quanto più possibile con i coetanei, ma forse più che genitori incollati ad un terminale a casa avrebbero bisogno di genitori che lavorano meno, ma in ufficio. A dirla tutta poi, è innegabile che i luoghi di lavoro sono impersonali, stressanti, alienanti, luoghi di solitudine molto più che l’abitazione, a dispetto della socialità e della creatività. C’è bisogno di ricreare un ambiente di lavoro più sereno, che permetta una convivenza tra colleghi viva e aperta allo scambio di idee e informazioni, e alla creazione di progetti condivisi, non imposti dall’alto, e inoltre l’ufficio non deve essere solo il luogo in cui il lavoratore è costantemente controllato, sotto pressione. In tutto questo, si stanno invece creando condizioni di solitudini casalinghe connesse tra loro con le immancabili teleconferenze o chat web. Uno spazio fisico riformato consentirebbe una creazione di emozioni tra lavoratori, un intimità fertile per idee e progetti, in cui “lo sguardo ascolti e l’orecchio veda”..

Le categorie di lavoratori che possono essere interessate dal telelavoro sono alquanto differenti sia come qualifica professionale sia come tipo di attività svolta: impiegati di vario livello, programmatori, dirigenti, traduttori, opereatori di call center, operatori informatici, liberi professionisti. Le principali figure professionali che possono svolgere attività telelavorabili devono avere autonomia; basso bisogno di una continua comunicazione con gli altri; programmabilità del lavoro; facilità di controllo e valutazione dei risultati (in termini qualitativi e quantitativi) oppure non necessita del controllo stesso (nel caso di lavoratori indipendenti).

Riportiamo di seguito alcune delle definizioni di telelavoro che vengono fornite da diverse fonti:

"Qualsiasi attività alternativa di lavoro che faccia uso delle tecnologie della comunicazione non richiedendo la presenza fisica del lavoratore nell’ambiente tradizionale dell’ufficio.”
(Martin Bangemann, Commissario Europeo)

"Qualsiasi attività svolta a distanza dalla sede dell’ufficio o dell’azienda per cui si lavora, quindi anche senza ricorrere a strumenti telematici. ”
(Domenico De Masi, sociologo)

"Ogni forma di sostituzione degli spostamenti di lavoro con tecnologie dell’informazione.”
(Jack Nilles, Jala International)

"Forma di lavoro effettuata in luogo distante dall’ufficio centrale o dal centro di produzione e che implichi una nuova tecnologia che permetta la separazione e faciliti la comunicazione.”(Ufficio Internazionale del Lavoro, BIT — Ginevra)

"Un’attività si configura come telelavoro qualora siano rispettate le seguenti condizioni:
-esista una delocalizzazione delle attività rispetto alla sede tradizionale di lavoro;
- si usino strumenti telematici nello svolgimento del lavoro,·
- l’attività svolta a distanza abbia caratteristiche di sistematicità;
- esista un rapporto di lavoro basato su un contratto in esclusiva. ”

(G. Bracchi e S. Campo Dall’Orto, Politecnico di Milano).

I luoghi del Telelavoro:

Lavoro a domicilio (Homework):
il lavoratore svolge il suo compito prevalentemente o interamente utilizzando un personal computer installato presso la propria abitazione, con visite saltuarie presso il datore di lavoro o presso i clienti, oppure alterna il lavoro svolto a domicilio con attività convenzionali presso l’azienda. Questa forma di telelavoro può interessare una grande varietà di aree di lavoro, con diverso contenuto professionale (programmatori, analisti, giornalisti, oppure segretarie e impiegati, addetti ai call center). Di conseguenza, può esistere una grande varietà di forme contrattuali e di condizioni operative: il lavoratore può avere un contratto come dipendente, oppure essere un libero professionista; il computer può essere interconnesso in rete con l’azienda o meno.

Centri di telelavoro;
sono strutture all’interno delle quali operano diversi telelavoratori. Nell’ambito di questa metodologia di realizzazione del telelavoro, si possono distinguere due situazioni ricorrenti:

— uffici satellite: sono il risultato della riallocazione da parte dell’impresa di fasi del processo produttivo in una o più sedi decentrate collegate, tramite reti telematiche, alla sede principale;

— telecentri: sono centri di telelavoro dotati di sistemi informatici e telematici che vengono condivisi da più utenti (che possono essere dipendenti di aziende diverse, professionisti indipendenti oppure piccoli imprenditori) che non sono in grado di affrontare da soli l’acquisto di tali sistemi.

Sistemi distribuiti d’ufficio (Distributed Business Systems):
sono costituiti da più unità ubicate in localita differenti collegate tra loro per mezzo di apparecchiature telematiche che realizzano differenti fasi di un processo produttivo e costituiscono un sistema globale di produzione. In tal modo è possibile ottenere per alcune funzioni (ad esempio, la contabilità) economie di scala usualmente possibili solo in grandi impianti, e nel tempo stesso beneficiare della maggior flessibilità è consentita dalle piccole unita. Il collegamento delle diverse unità tramite canali di comunicazione a elevata capacità consente di ottenere un sistema estremamente efficiente nell’adattamento alle variazioni della domanda del mercato, quando questa sia strutturalmente instabile. Nel caso in cui le unità siano piccole aziende indipendenti, esse possono lavorare separatamente oppure comporsi insieme a formare sistemi aziendali distribuiti, eventualmente diversi di volta in volta, a seconda delle condizioni di mercato.

Lavoro mobile (Mobile Work): è molto diffuso tra rappresentanti, venditori e tecnici di assistenza, che lavorano presso i clienti e comunicano con la sede per mezzo di apparecchiature di telecomunicazione portatili.


22/03/13

I vaccini? Fanno diventare gay! Ecco chi c'è dentro i 'meet up' grillini

Da Vice.com
A sentire tutti gli eletti del M5S in parlamento, o anche in altri ambiti istituzionali, la loro carriera politica è iniziata da uno stesso, singolo, luogo: Meetup. Un sito nato per permettere alla persone con uno stesso interesse di conoscersi e incontrarsi fisicamente, morto velocemente per tutti, ma che ha stranamente attecchito fra le groupie di Grillo. Ancora oggi, candidati ed eletti riversano notizie e dubbi sul sito per confrontarsi e capire come muoversi. È il caso, per esempio, di Silvana Carcano, candidata Governatrice della Regione Lombardia che usa proprio la piattaforma giornalmente per sapere che fare e raccontare che accade in consiglio. Ma quali sono le persone con cui le Carcano d’Italia si confrontano e chiedono pareri e aiuto nelle regioni, e nella Camera e nel Senato? Ho voluto incontrare e conoscere per questo motivo uno dei più noti personaggi che animano il gruppo Meetup “Lombardia 5 Stelle”: Gian Paolo Vanoli.


21/03/13

Borderline: John McAfee


La vera storia del padre di tutti gli Antivirus. Sempre borderline,sempre insodisfatto, e in lotta con tutto e tutti, e sempre in fuga, anche da se stesso..


JOHN MCAFEE APRE IL CARICATORE della Smith & Wesson e lascia cadere i proiettili sul tavolo davanti a me. Qualcuno rotola per terra. John ha 67 anni, è asciutto e in forma, le braccia gonfie di vene, i capelli decolorati biondi, le spalle ricoperte di tatuaggi. Nel 1987 ha creato McAfee Associates, azienda produttrice di antivirus di grande successo che nel 2010 e stata comprata dalla Intel per 268 miliardi di dollari. Ora è nascosto in un bungalow su un’isola dei Caraibi, a 24 chilometri dalla costa del Belize. Raccoglie un proiettile, mi guarda con gli occhi spalancati: <<Questo è un proiettile, giusto?>>, dice con l’accento strascicato del Sud. <<Metti via la pistola», gli dico. Sono venuto qui per capire come mai il governo del Belize lo accusa di aver radunato una specie di esercito privato e di essere uno spacciatore internazionale di droga. Sembrava una storia impossibile: un imprenditore di successo sparisce nella giungla centroamericana e diventa un narcotrafficante. Ora sembra quasi credibile. Le accuse sono tutte false, ribatte lui: <<Non è detto che tutto quello che mi attribuiscono sia vero. Posso darti una dimostrazione?». Carica la pistola. <<Sei spaventato?>>. Se la punta alla tempia. ll cuore comincia a battermi più forte. <<Si, ho paura», dico. <<Non è necessario>>. <<Lo so», dice lui. Poi preme il grilletto. Niente. Spara altre tre volte, in rapida successione. Il caricatore contiene cinque colpi. <<Metti via la pistola>>, insisto. Mi fissa e preme il grilletto per la quinta volta. Niente. Tiene la pistola puntata contro la testa e spara a raffica.
<<Posso andare avanti cosi per ore. Posso farlo diecimila volte e non succederà mal niente. Sai perché? Perché ti sei perso un particolare. Stai ragionando in base a un presupposto sbagliato>>. Lo stesso vale per le accuse contro di lui, spiega. Ma c’è una cosa su cui sono tutti d’accordo: nell’alba nebbiosa di quel 30 aprile 2012 sono cominciati i guai grossi.

20/03/13

Long Slow Goodbye




Where have you gone again my sweet? Everybody wants to know 
Where have you gone again my sweet? Everybody wants to know 
Where you gone? I'm just a ghost, i'm on your street Waitin', 
when you comin' home? Gone so long Where you gone? 
On a long slow goodbye? On a long slow goodbye In every voice, 
i hear you speak Waitin' by the telephone 
I close my eyes, i just can't sleep Roll & tumble all night long 
All night long Where you gone? I close my eyes, i just can't sleep 
Where have you gone again my sweet? On a long slow goodbye? 
On a long slow goodbye 
Goodbye


Jay McInerney: Regali semplici

Jay McInerney ..Uno dei migliori cronisti della mia generazione. Un umanità varia, storie affollate di droghe, musica, yuppies, medici tossicomani, travestiti, fumatori incalliti, coppie in crisi, uomini abbandonati, rockstar di provincia.. Tutti protagonisti irrequieti e in lotta, insoddisfatti e involontariamente comici. Ingannati da false ambizioni e da sbagliate speranze..

Come è finita: Regali Semplici
Quando la lasciarono a Irving Place era quasi mezzanotte. La superstrada da Buffalo era stata un inferno. Con un tempo normale il furgone sarebbe stato a mala pena affidabile; con il ghiaccio e il vento, era quasi un miracolo che fossero riusciti a tornare a casa, tenendo conto anche del fatto che, più o meno all’altezza di Utica, Lenny aveva finalmente ammesso di essersi preso mezza pasticca di acido. L’altra meta se l’era presa Rory, che quindi era stato scartato come autista, mentre a Zac era stata ritirata la patente per guida in stato di ubriachezza, il che limitava la scelta a Lori. Che per l’ennesima volta si trovava a fare da balia a tre boyscout strafatti. Accompagnare avrebbe dovuto essere sinonimo di sostegno, concretezza, guardarle la schiena, se non massaggiargliela ogni sera. Quando si era messa con quei tre, non aveva immaginato di dover trasportare amplificatori e suonare i passaggi che erano troppo fatti per ricordare. Non pensava di essere mai stata tanto stanca in vita sua, tra il viaggio e la festa della notte scorsa, anche se per un attimo era stata rinfrancata dal ritrovare la citta, le luci, la gente, l’improbabile bellezza della neve sulle strade. "Ehi, buon Natale, piccola,” disse Rory mentre scivolava sulla sedia par mettersi al volante. Allungò una mano fuori dai finestrino e le ficcò in mano un cartoccio di stagnola. Lori vide le ruote cha turbinavano sulla strada scivolosa mentre ii furgone si allontanava slittando. Sulla targa personalizzata spiccava la scritta THE MAGI. Che era il loro nome prima cha arrivasse lei. A quanto para Zac aveva messo al plurale il titolo di un romanzo di cui gli aveva parlato la sua ragazza, e dove c’era “questo tipo, una specie di mago, cha faceva delle cose fichissime”. E dato cha la band aveva già una certa fama, avevano mantenuto il nome: Lori and the Magi. Quando entrò, Jeffrey stava armeggiando con le luci dell’albero di Natale. 
“Gesù, pensavo fossi morta sull’autostrada. ” Non le sfuggì la nota di irritazione nella sua voce. 
“Quasi.” Sfinita com’era, avrebbe voluto tirarlo su di morale, a si chinò a dargli un bacio, sentando il sapora dolceamaro del whisky. 
“Lo sai, fino a dodici anni pensavo cha tutti gli uomini sapessero di scotch. Pensavo fosse un. . . come si dice. .. un carattere sessuale secondario, coma la barba e i baffi. ” “Come stanno i tre stregoni? Seguono qualche cometa, stanotte?" “Spero solo cha riescano ad arrivare a Brooklyn.” 
Gli raccontò del viaggio, omettendo qualche dettaglio e cercando di equilibrare sapientemente comicità e suspanse. “Gesù,” commentò Jeffrey, “ma quand’è che ti sbarazzi di quei buffoni?” I Magi erano sempre motivo di attrito nella loro vita a due. Gli diede un altro bacio. 
“Non appena impari a suonare basso e batteria.” Si girò per sistemare una delle lampadine. 
“E com’è stato l’ultimo concerto?” “Ti avrei telefonato, ma non volevo svegliarti. Quarantadue metallari di Buffalo in un bar grande come casa nostra.” “E rispetto ai metallari dl Syracuse?” Sono solo un po’ più pelosi, credo. “Ah, Il fascino della vita spericolata.” Com’è la commedia? “Incomprensibile. Ma le luci sono da paura.” Lori andò in cucina a prendersi una birra. “Cazzo quanto sono stanca,” disse. “Speravo che uscissimo.”“ Stasera? ” “Non so, ma avevo voglia di ballare.” “Cos’è, una tradizione di famiglia? Andare a ballare la vigilia di Natale?” “E’ la mia risposta alla messa di mezzanotte.” Era il primo Natale che passavano insieme; non avevano ancora le loro tradizioni. E quindi, perché non andare a ballare? Lori voleva venirgli incontro. In pratica era il primo tipo con cui stava che non era uno stronzo totale. O un bisessuale. O un tossico. Che di fatto era un gran bel tipo, almeno per quanto poteva dire dopo sei mesi che lo conosceva. Stava cominciando a farsi un nome cantando canzoni su quanto stronzi erano gli uomini, ed ecco che si era innamorata. Quasi contemporaneamente si era ritrovata con un amante e una band. Per quanto avesse sonno, si rendeva conto dell’importanza del momento. Le piaceva immaginare che avrebbero passato assieme i Natali futuri, e quindi pareva importante stabilire i precedenti giusti. Lui aveva comprato un albero e aveva dato fuori con le luminarie. Dopo tutto era il suo mestiere. Una delle prime cose che gli erano piaciute di lui: un lighting designer. L’idea di uno che insegnava alla luce a recitare. Dove suonava lei, era già tanto avere un riflettore. E poi il modo in cui si presentava, pronunciando quella qualifica come un altro avrebbe detto programmatore di computer. Alla vista delle luci e dei regali impacchettati sotto l’albero, Lori si sentì d’un tratto terribilmente in colpa. 
“Davvero vuoi andare a ballare? “Non preoccuparti,” le disse. “Era un’idea come un’altra.” “Non è che non voglia stare su con te ” gli disse sedendosi più vicino e baciandogli un orecchio. 
"Ma penso di poter fare appello alle mie energie per offrirti una sorpresa davvero speciale.” “Una sorpresa? Vuoi dire una Fusione Mentale Vulcaniana?” “Non mi interessa la tua mente.” “Meno male. Sia per te che per me.” “Magari una doccia mi tira su.” “Non preoccuparti. Festeggiamo domani.” Jeffrey sembrava sincero, ma a Lori spiaceva deluderlo. Si buttò sul letto e si appisolò quasi subito. Qualche minuto dopo si svegliò, ricordandosi del pacchetto che le aveva dato Rory. Era questa la risposta. Jeffrey era così contento del primo Natale che passavano assieme, e lei non voleva deluderlo. Soprattutto adesso. A Syracuse aveva visto un suo ex, Will Porter. Era venuto al concerto e lei era andata a casa sua, col pretesto che non gli piaceva andare per bar. Dopo un anno di disintossicazione, d’un tratto sembrava tutto quello che aveva desiderato allora. Era possibile cambiare così radicalmente? Trafitta dal senso di colpa, Lori pescò la roba dalla tasca dei jeans e andò verso il tavolino, aprendo la stagnola con cautela. Separò due grosse piste e arrotolò una banconota. La prima le fece quasi perdere i sensi. Gesù, pensò, ma è speed. Credeva fosse cocaina. All’inizio ne fu delusa, ma poi pensò, che cazzo, visto che voleva stare su, tanto valeva pprofittarne. Per dormire c’era tempo domani. Intanto Jeffrey aveva una con cui andare a ballare. Per sicurezza sniffò l’altra pista, e poi entrò nella doccia. Quando uscì era pronta per qualunque cosa, anche se era un po’ troppo nervosa per spompinare Jeffrey seduta stante. Al momento, anzi, l’idea le faceva un pochino senso. Ma adesso avevano tutta la notte davanti. Si mise la gonna di plastica nera e il top rosa di spandex che aveva comprato da Patricia Field per il concerto al CBGB’s. In salotto trovò Jeffrey seduto per terra a guardare Cantico di Natale alla tele. Gli si avvicinò di soppiatto e lo abbrancò. 

“Ehi, che ti è successo?” “E' solo la tua ragazza rock’n’roll, pronta per ballare.” Jeffrey schivò il suo attacco e la prese per le ‘braccia, fissandola negli occhi. “Oddio, ma sei fatta.” “Volevo restare su col mio piccolo.” “Non ci credo.” “Che succede?” Lori smise di fare la lotta. Jeffrey non le aveva mai fatto storie sulla droga. “Sei fatta da far schifo.” “Te ne ho lasciata un po’, se è questo che ti preoccupa.” “Davvero fantastico.” “Perché?” Jeffrey le prese le mani. 
“Sembravi così stanca e mi spiaceva tanto” “Lo ero.” “Ho appena preso tre sonniferi.” Con la velocità cui procedeva il suo cervello, le ci volle un momento per elaborare la notizia. 
“ Oh, merda.” “Oh, sì.” Lori cominciò a ridere, e crollò tra le sue braccia. “Buon Natale,” gli disse. Jeffrey la baciò. Ma per quanto lei ne avesse voglia, le labbra di lui le fecero uno strano effetto sulle sue, che erano lievemente intorpidite e avevano cominciato ad acquistare vita propria. Jeffrey riuscì a stare sveglio per un’altra mezz’ora, durante la quale Lori lo dilettò con racconti su Toronto e gli angoli più remoti dello Stato di New York, sulle bizzarrie dei locali e sulle nefandezze commesse dai Magi, finché cominciò ad appisolarsi sul divano. “Sono sveglio,” continuava a dire, mentre tirava su la testa di scatto. Alla fine lei gli tolse le scarpe e lo coprì con un piumino. Era incredibile, ma il primo vita era finita da sola un’altra volta. Cercò di farsi venire in mente chi poteva chiamare. I suoi genitori no di certo, non gli parlava da più di un anno. Per un momento pensò di telefonare a Will Porter, l’amante perduto e ritrovato, che prima le aveva insegnato a suonare il blues come Bukka White, e poi a vivere come in un blues, a stare su tutta la notte ad aspettarlo, a nascondere i soldi nel serbatoio del water... per non dire di quando l’aveva messo in una vasca da bagno piena di acqua e ghiaccio, seguendo le sue istruzioni. Per ritrovarselo finalmente blu, se non nero. Adesso Lori stava piangendo. Per consolarsi sniffò un altro paio di piste. Non che l’effetto delle prime stesse calando, ma voleva liberarsi dal senso di colpa per Will. E ne aveva ben diritto: era la notte di Natale, ed era sola. Fece il numero del loft di Brooklyn dove dovevano essere i ragazzi, ma trovò solo la segreteria telefonica, che era un pezzetto di God Save the Queen dei Sex Pistols. Dopo aver visto Conoscenza Carnale e avere spazzato casa da cima a fondo, Lori cercò di svegliare Jeffrey, addormentato sul divano con un filo di bava che gli colava dalla bocca. “Amore?” Gli scosse una spalla. “Amore, sei sveglio?” Alzò il volume della tele, gli slacciò la cintura e cominciò a massaggiargli l’uccello. Dopo qualche minuto ]effrey scosse la testa e si girò dall’altra parte, seppellendo la faccia nel cuscino. Lori cominciò a grattarsi nervosamente. Se solo si fosse svegliato abbastanza a lungo da grattarle la schiena. A un certo punto, durante uno dei suoi numerosi andirivieni in cucina, le prese l’impulso di pulire il lavandino. Sfregò e strofinò fino quasi a consumare la spugnetta rosa. Poi prese un vecchio spazzolino per pulire gli interstizi tra le piastrelle. Al suo risveglio Jeffrey non si sarebbe potuto lamentare che non fosse una casalinga modello. Lo spazzolino le servì dopo per il prurito bastardo che le tormentava braccia e collo. Si accese una sigaretta, e guardando il lavandino luccicante si convinse che sarebbe stata risucchiata nello scarico se non si fosse allontanata subito. Cosa che fece, per poi accendersi una seconda sigaretta con la prima. Andò in camera da letto e guardò fuori, contando le finestre illuminate mentre cercava di grattarsi la schiena. La prima volta erano ventitré, la seconda ventiquattro. In quel mentre, se ne spense una al terzo piano. Tornò in soggiorno e si fermò a guardare i regali sotto l’albero. Cinque pacchetti, più una bottiglia di tequila Cuervo Oro con un nastro. I regali per lei erano avvolti in pagine di Interview. La faccia di Chrissie Hynde occhieggiava sulla scatola rettangolare che era quasi sicura contenesse un DAT. Senza motivo le venne in mente una canzone degli Shaker:
 "Tis a gift to be simple, tis a gift to be free, tis a gift to come down, Where we ought to be.” 
( “È un dono essere semplici / È un dono essere liberi / È un dono saper stare / Nel posto che ci spetta.”) (N.d.R) 

Altro non si ricordava. Mentre tornava in cucina, si chiese dove sarebbe stata il Natale successivo, e con chi. Aprì il frigo, anche se non aveva fame. Ci doveva pur essere qualcosa che voleva fare, che soddisfacesse questa frenesia senza nome, questo desiderio senza oggetto. In un modo o nell’altro, era sempre così che andava a finire: sola alle prime luci dell’alba. Il palco era buio, la gente se n’era andata a casa. Cercò di prospettarsi una vita di Natali passati con Jeffrey, e non ci riuscì. Non era colpa di lui. Era colpa sua. Tremò, avvertendo il freddo del frigorifero aperto sull’involucro irritabile della propria epidermide. Immaginò di uscire dalla pelle lasciandosela dietro come quella di un serpente, come il guscio vuoto di un regalo, sbucando fuori strana e nuova dal proprio vecchio corpo. Ecco che cosa voleva regalargli davvero. Una ragazza tutta nuova. “Svegliati, tesoro,” gli avrebbe detto.“E’ Natale.”

 

18/03/13

Elsa Morante: L'uomo mediocre




Perché un uomo mediocre, in Italia, può diventare primo ministro 

Questo testo è del 1945 e si riferisce a Mussolini. La scrittrice spiega perché secondo lei una persona senza qualità conquistò la fiducia di molti italiani



Il capo del Governo si macchiò ripetutamente durante la sua carriera di delitti che, al cospetto di un popolo onesto, gli avrebbero meritato la condanna, la vergogna e la privazione di ogni autorità di governo. Perché il popolo tollerò e addirittura applaudì questi crimini? Una parte per insensibilità morale, una parte per astuzia, una parte per interesse e tornaconto personale. La maggioranza si rendeva naturalmente conto delle sue attività criminali, ma preferiva dare il suo voto al forte piuttosto che al giusto. Purtroppo il popolo italiano, se deve scegliere tra il dovere e il tornaconto, pur conoscendo quale sarebbe il suo dovere, sceglie sempre il tornaconto. Così un uomo mediocre, grossolano, di eloquenza volgare ma di facile effetto, è un perfetto esemplare dei suoi contemporanei.
Presso un popolo onesto, sarebbe stato tutt'al più il leader di un partito di modesto seguito, un personaggio un po' ridicolo per le sue maniere, i suoi atteggiamenti, le sue manie di grandezza, offensivo per il buon senso della gente e causa del suo stile enfatico e impudico. In Italia è diventato il capo del governo. Ed è difficile trovare un più completo esempio italiano. Ammiratore della forza, venale, corruttibile e corrotto, cattolico senza credere in Dio, presuntuoso, vanitoso, fintamente bonario, buon padre di famiglia ma con numerose amanti, si serve di coloro che disprezza, si circonda di disonesti, di bugiardi, di inetti, di profittatori; mimo abile, e tale da fare effetto su un pubblico volgare, ma, come ogni mimo, senza un proprio carattere, si immagina sempre di essere il personaggio che vuol rappresentare.
Elsa Morante

Globalist





17/03/13

Punizioni

<< Ci sono delle persone che sono state punite, ancor oggi, eccessivamente per quello che hanno fatto. Volevano solo essere..onesti, con gli altri e soprattutto con se stessi. Volevano divertirsi, ma a volte si sono comportati come quei bambini che giocano per strada, che per quanto possano vedere come ciascuno di loro, l'uno dopo l'altro, rimanga ferito, ucciso, travolto, mutilato, annientato, non per questo smettono di giocare. Per un certo lasso di tempo noi tutti siamo stati veramente felici, seduti quà e là senza faticare, semplicemente vivendo, cazzeggiando. E giocando. Ma questo lasso di tempo è stato terribilmente breve.>>

<< E la punizione che ne è seguita è stata al di la di ogni immaginazione; e anche quando infine l'abbiamo visto abbattersi su di noi, non riuscivamo a crederci. Per tanto tempo anch'io sono stato (e sono ancora) uno di questi ..bambini che giocano per strada. Come tutti loro, cercavo semplicemente di essere me stesso e di giocare, invece di fare l'adulto. Le parti di me che pensavano  essere diverse, magari più intelligenti, o quello che era,  hanno portato al disastro. E' uno degli aspetti veri, sotto cui sono diventato davvero più intelligente, è che mi sono reso conto di non essere più intelligente degli altri: cioè, ci sono tanti aspetti in cui altri lo sono più di me. Gli eccessi, il lasciarsi andare non sono una malattia. Sono decisioni, come quella di sbucare davanti a un auto in corsa. Questa non si definirebbe una malattia., ma un errore di valutazione. Quando però un certo errore comincia ad essere commesso da un bel pò di persone, allora diviene un errore..sociale, uno stile di vita. E in questo particolare stile di vita il motto è: vivi, sii felce perchè domani morirai. Ma si comincia a morire ben presto e la felcità e solo un ricordo, e un miraggio per il futuro. In definitiva, un intensificazione dell'ordinaria esisenza di ciascun uomo. Non è differente dallo stile di vita di chiunque, è semplicemente più veloce. "Prendi i contanti e lascia andare i crediti", diceva Villon nel 1460. Pensarla così può essere un errore, se i contanti sono un soldo e i crediti una vita intera. Non è sbagliato considerare il fatto che giocassimo, sono le conseguenze di quelle scelte, l'errore. E' stata, quella di cazzeggiare e registrare le nostre infinite discussioni, forse, la decisione sbagliata. Sia dentro che fuori dal sistema. Se un peccato è stato commesso è stato quello di pensare che sarebbe potuto continuare per sempre, e siamo stati puniti per questo. Ma se davvero di punizione si tratta, sento che è stata eccessiva. Pertanto preferisco pensare a ciò alla maniera del teatro greco, vale a dire in termini moralmente neutri, come rapporto imparziale causa-effetto. Ora, sul lungo periodo, sò che nessuno si può prendere cura di me tranne me, e nessuno meglio di me. Perchè l'unico modo in cui si imparano davvero le cose è.. sbattendoci il muso.
Ho amato, tutti quelli con cui ho giocato. Che ho perso, che ho rischiato di perdere. Che mi sono stati vicini. Li ho amati. Tutti.. >>





16/03/13

Groupie: le canzoni

«La regola era sesso, droga e rock’n’roll. Noi eravamo il sesso».

La storia di molte di queste ragazze raccontata attraverso le canzoni a loro dedicate

«Crew Slut» Frank Zappa
Nella canzone del 1979 tratta dall’album Joe's Garage uno Zappa dissacrante come al solito mette in scena il reclutamento di una «sgualdrina del gruppo»: «Hey ragazze di questa città industriale! So che vi state annoiando dei pagliacci che abitano qui. Non vi rispettano e non vi trattano bene. Dovreste forse provare a seguire un consiglio da amici e diventare «sgualdrine del gruppo».
Se c’è un musicista rock che ha contribuito a creare e celebrare il mito delle groupie questo è stato proprio Zappa. Il suo genio musicale era pari alla sua incontinenza sessuale e si circondava di eserciti di amanti giovanissime disposte a tutto. Negli anni ’60, reclutò nel suo harem viaggiante forse la più famosa groupie di sempre, Pamela Ann Miller (in seguito Pamela Des Barres) che avrà tra le sue conquiste anche Jim Morrison, Mick Jagger, Jimmy Page, Keith Moon, Noel Redding, Gram Parson e in tempi più recenti Terence Trent D’Arby. Zappa convinse Pamela e le ragazze del suo entourage (che utilizzava anche come babysitter dei suoi figli) a fondare un gruppo rock chiamato The GTOs. La sigla era l’acronimo di Girls Together Outrageously, (Ragazze insieme oltraggiosamente) e furono la prima e, per fortuna, unica band di groupie della storia del rock. L’eclettico Frank produsse il loro album uscito nel ’69 e intitolato Permanent Damage, disco in cui compaiono anche, chissà perché, Jeff Beck, Ry Cooder e Rod Stewart. Pamela è poi diventata giornalista e ha scritto diverse memorie dei suoi anni al seguito dei grandi del rock. Zappa ha spesso celebrato e dileggiato il mondo delle groupie in pezzi dalla forte ironia misogina come Easy Meat (Carne facile) e Wet T-Shirt Nite (Notte delle magliette bagnate).

«She Came in Through the Bathroom Window» The Beatles
Più che una vera e propria groupie, Diane Ashley era quella che oggi definiremmo una stalker. Faceva parte di un gruppo di fan dei Beatles che passavano la loro vita a pedinare i Fab Four e stazionavano regolarmente davanti al quartier generale londinese della casa discografica dei Beatles, la Apple,tanto da guadagnarsi il nomignolo di Apple Scruffs (scarti di mela). La Ashley spese una significativa parte della propria adolescenza a seguire Paul McCartney che incontrò, si narra, 560 volte. La cifra è così precisa perché la ragazzina teneva un diario di ogni avvistamento. Un giorno però decise di passare all’azione e, con la complicità di un’amica, prese una scala entrando in casa di Paul a St. John's Wood, approfittando della finestra del bagno aperta. Aprì poi la porta alle amiche e insieme si impossessarono di qualche maglietta sporca e di souvenir assortiti, tra cui alcune fotografie. McCartney al momento dell’effrazione era negli Stati Uniti e, secondo alcune fonti, si fece restituire dalle fan una foto a cui era particolarmente affezionato. La vicenda ispirò She Came in through the Bathroom Window, canzone finita nell’album Abbey Road e resa celebre anche da Joe Cocker. Un onore forse immeritato per delle ladre. Ma Diane non ha rimpianti, sposata con 4 figli ha dichiarato dei suoi anni beatlesiani: «Non mi sono mai pentita per quello che ho fatto. Mi sono sempre divertita tantissimo».
George Harrison dedicò alle ossessive Apple Scruffs un’affettuosa canzone omonima inclusa nel suo album solista All Things Must Pass del 1970.

«Star Star» The Rolling Stones
Gli Stones sono stati tra i padri fondatori del mito delle groupie e ne descrivevano sommariamente, ma ruvidamente le imprese in questo brano del 1973, uno dei più volgari del loro repertorio. Il titolo originale era Starfucker,ma il nome fu cambiato per ordine della casa discografica. Compaiono comunque amenità ed eccessi vari («Ho visto le tue Polaroid, ecco quello che definisco osceno. Il tuo giochetto con la frutta era davvero divertente») nonché citazioni di personaggi famosi: «Ali McGraw ti odia perché hai fatto un lavoretto a Steve McQueen (…) Scommetto che ti farai John Wayne prima che muoia». Nel ’73 gli Stones erano reduci da uno dei loro tour più selvaggi, quello seguito all’album Exile on Main St. e che venne seguito anche per un breve periodo da Truman Capote in qualità di reporter. Testimone e protagonista di quegli anni selvaggi fu la groupie Chris O'Dell che non fu solo donna di corte,ma fu regolarmente assunta come assistente e poi divenne tour manager. Originaria dell’Arizona venne reclutata dall’entourage dei Beatles rimediando un lavoretto in Inghilterra alla Apple e diventando in seguito parte della cerchia più intima del quartetto e amante di Ringo Starr e George Harrison. In tour con gli Stones nel 1972, ebbe relazioni con Keith Richards, che riforniva di droghe, e con Mick Jagger che pretendeva in maniera esplicita che tutte le donne che lavoravano per gli Stones dovessero essere disposte a fare sesso con lui. La stessa O’Dell ha confessato che la sua popolarità presso le rockstar era forse dovuta al fatto che lei era una delle poche in grado di condividere con le rockstar le droghe, fatto che gli conquistò la stima e l’ammirazione di Richards. La O’Dell è una sorta di Forrest Gump del rock, assistette alle incisioni del White Album e Abbey Road, partecipò al coro di Hey Jude, compare sulla copertina di Exile on Main St., fu poi collaboratrice (e forse amante) di Bob Dylan, ebbe una relazione con Eric Clapton e lavorò con Santana, Phil Collins, Led Zepplin, Fleetwood Mac e la Electric Light Orchestra. A lei George Harrison dedicò nel 1973 la canzone Miss O’Dell.

«Living Loving Maid (She's Just a Woman)» Led Zeppelin
Dalla fine degli anni ’60 i tour dei Led Zeppelin si caratterizzarono per scene da basso impero i cui resoconti sono ormai la parte più scabrosa dell’aneddotica dell’epopea rock. Si racconta addirittura di un’orgia in un hotel di Seattle in cui vennero coinvolti alcuni squali appena pescati dalle acque dell’Oceano. Secondo Cynthia «Plaster Caster» la band inglese era come un’orda di barbari che attraversò l’America «saccheggiando e stuprando». Erano guidati da un manager senza scrupoli, Richard Cole, che il giornalista Nick Kent definì «decisamente terrificante», e da un promoter, Peter Grant, che agiva con metodi da boss della malavita. Robert Plant, Jimmy Page, John Paul Jones e John Bonham si comportavano come dei Caligola del rock, girando in motocicletta nei corridoi degli hotel, devastando camere, tirando televisioni giù dal balcone, aggredendo George Harrison a torte in faccia e bevendo quantità di alcol spropositate. Le groupie erano parte essenziale, ma anche vittime, di questa folle corte e finirono anche in diverse canzoni della band. Living Loving Maid (She's Just a Woman) è un brano del 1969 dedicato a una fan ossessiva e a caccia di soldi. In Sick Again del 1975 la band sembra più consapevole dello sfruttamento a cui molte ragazze giovanissime si sottoponevano per seguire i loro idoli. Gli eccessi alla fine costarono molto. John Bonham morì a 32 anni, Page e Plant divennero schiavi dell’eroina. Plant si è più tardi giustificato per i suoi anni selvaggi: «Ero molto giovane quando arrivai in America, avevo solo 19 anni. Quando incontrai le GTOs andai fuori di testa. Venivo dal nulla, da una città sconosciuta nelle Midlands e si presentarono davanti a noi queste bellissime ragazze che si spogliavano e si buttavano addosso a noi. E impazzimmo».

«Whole Lotta Rosie» AC/DC
«Voglio raccontarvi una storia, su una donna che conosco. Quando si parla di amore ruba la scena a chiunque».
Uno degli inni più memorabili firmati dagli AC/DC, tratto dall’album Let There Be Rock del 1977, è ispirato e dedicato a una groupie di nome Rosie con cui l’allora cantante del gruppo, il compianto Bon Scott, passò una notte infuocata al Freeway Gardens Motel di Melbourne. Scott la presenta come una dea del sesso,ma non ne nasconde le fattezze: «non è esattamente bella, né esattamente piccola». Il testo della canzone rivela che Rosie era un donnone di più di cento chilogrammi («19 stone») e cita delle misure più che giunoniche, 42-39-56, dimensioni che tradotte nei nostri centimetri diventano davvero importanti: 106-100-142. Fellini sarebbe stato contento. Bon Scott lo era anche di più e cantava: «Non ho mai avuto una donna come te». Il leader degli AC/DC però aveva la cotta facile. Sempre nell’album Let There Be Rock compare la canzone Go Down, ispirata a una celebre groupie australiana chiamataWendy. Scott la conobbe nel corso di un Festival. Era nota nel mondo del rock con un soprannome che era tutto un programma «bbra di rubino», la canzone lascia davvero adito a pochi dubbi. Scott, però, recita la parte del sedotto e abbandonato e intona
sconsolato i versi: «dove sei stata tutto questo tempo? Da quando te ne sei andata non faccio che bere whisky».

«We’re an American Band» Grand Funk Railroad
Oggi quasi dimenticati, i Grand Funk Railroad furono una delle band di riferimento della scena rock Usa all’inizio degli anni ’70. Il loro brano più memorabile è questa cavalcata in cui celebrano la loro vita on the road da divi della musica. La canzone paga pegno nei primi versi a una ragazza che di divi se ne intendeva davvero, Connie Hamzy. Per alcuni anni è stata un’istituzione nella scena americana e chiunque si esibisse nella sua città di Little Rock, in Arkansas, era destinato a richiedere le sue attenzioni. Tra gli altri tenne compagnia (per così dire) a Neil Diamond, Alice Copper, Huey Lewis, Willy Nelson, Geddy Lee dei Rush, Gene Simmons e Paul Stanley dei Kiss, Gregg Allman, Keith Moon, Don Henley, non mancano neppure il solito Frank Zappa e i soliti Led Zeppelin. Le sue avventure furono raccontate nel 1974 dalla rivista Cosmopolitan e nel 1992 rivelò tutti i dettagli più scabrosi della sua carriera a Penthouse confessando che l’amante più focoso che aveva mai avuto era stato Alex Van Halen (per una volta preferito al fratello Eddie) e il più deludente, per motivi strettamente anatomici, il chitarrista Peter Frampton. La Hamzy rivelò anche di aver ricevuto pesanti avance da Bill Clinton all’epoca in cui era governatore dell’Arkansas. Clinton fu costretto a smentire ufficialmente e diramò una versione alternativa dei fatti, corroborata da testimonianza firmate, secondo cui la intraprendente groupie si era spogliata davanti a lui. «È ancora una leggenda a Little Rock - ha dichiarato di recente un proprietario di un rock club della città -. Ogni volta che c’è un buon concerto viene qui prima dello show, si fa versare uno chardonnay e ci racconta queste straordinarie storie sulla sua vita». Chi voleva ambire al titolo di «american band», come i Grand Funk Railroad, non poteva non ricevere la sua approvazione.

«Lady Grinning Soul» David Bowie
Definire Claudia Lennear una groupie e forse è un po’ ingeneroso, certo fu modella di Playboy, donna di irresistibile sensualità, cantante di classe, amante e musa di grandi rockstar. Era una soul singer di talento e lavorò come corista per Ike e Tina Turner, gli Humble Pie, Leon Russel, Joe Cocker, incidendo anche l’album solista Phew nel 1973. Riuscì a stregare David Bowie che le dedicò la ballata Lady Grinning Soul (la signora sorridente del soul), pubblicata nel 1973 nell’album Aladdin Sane. Bowie ai tempi aveva come responsabile delle pubbliche relazioni un’altra celebre groupie che si faceva chiamare Cherry Vanilla (anch’essa amante del Duca Bianco) che spesso ospitava la coppia nella sua casa di New York in una stanza da letto con la tappezzeria rosa circondata da specchi e rifornita di sex toys. Bowie aveva conosciuto Claudia grazie al suo grande amico Mick Jagger che la frequentava dal 1968. Si narra,ma qui la questione è più controversa, che l’ammaliante Lennear fosse stata anche la vera ispirazione per il classico degli Stones Brown Sugar.

«Summer of ’68» Pink Floyd
Anche una delle canzoni più note dei Pink Floyd tratta da Atom Heart Mother è dedicata alle groupie. La band era lontana forse dagli eccessi degli Stones e dei Led Zeppelin,ma non era estranea all’abitudine di circondarsi di ragazze intraprendenti. Il brano è scritto da Richard Wright: «Ci siamo detti addio prima di dirci ciao. (...) Domani arriva un’altra città e ci sarà un’altra ragazza come te». 

«Look away» Iggy Pop
«Sono andato a letto con Sable quando aveva 13 anni. I suoi genitori erano troppo ricchi per fare qualcosa. Si fece strada a Los Angeles finché un New York Doll la portò via». Nel suo album del 1996 Naughty Little Doggie, Iggy Pop racconta la storia di Sable Starr che fu nota negli anni ’70 come la regina delle groupie di Los Angeles. Iniziò a frequentare giovanissima e ancora minorenne i club di LA diventando nota come la «baby groupie».
Senza curarsi molto della sua età, le rockstar facevano a gara a conoscerla. Un’altra groupie, Bebe Buell (mamma di Liv Tyler) disse che «ogni rocker che arrivava a Los Angeles voleva incontrarla». In un’intervista del 1973, Sable dichiarò di aver avuto relazioni con i Led Zeppelin, David Bowie, Mick Jagger, Rod Stewart, Marc Bolan e Alice Cooper. Arrivò alle mani con la moglie di Mick Jagger, Bianca, che pure era al corrente delle infedeltà del marito. Si fidanzò poi con Johnny Thunders chitarrista dei New York Dolls con cui ebbe una tormentata storia d’amore autodistruttiva tra droga e violenza. L’esperienza con Thunders mise fine ai suoi giorni da «regina delle groupie» della West Coast. «Anni più tardi - canta Iggy - Thunders morì al verde, Sab è tornata a casa e ha avuto un bambino».

«Plaster Caster» Kiss
Cynthia Albritton divenne nota come «Plaster Caster», l’ingessatrice. Trasformò le sue passioni per il sesso e le rockstar in una forma d’arte. A partire dalla fine degli anni ’60 iniziò a frequentare le maggiori celebrità musicali dell’epoca chiedendo loro di immortalare i loro genitali in un calco di gesso. Jimi Hendrix fu la sua conquista più prestigiosa, ma fu Frank Zappa che rimase impressionato dall’idea e introdusse Cynthia a molti protagonisti dell’epoca. Zappa pensò addirittura di creare un’intera collezione per una futura grande esposizione ma il progetto non si concretizzò. Nella raccolta compaiono calchi tra gli altri di Noel Redding, Eric Burdon, Wayne Kramer e Jello Biafra. A quanto pare però nessuno può competere con quello del grande Jimi. I Kiss le dedicarono una canzone nel 1977 anche se nessuno della band, neppure Gene Simmons, autore del brano e notorio sex-addicted, si prestò mai all’operazione. Cynthia, che fu anche amante di Keith Moon ed ebbe un incontro burrascoso con i Led Zeppelin, raccolse rifiuti eccellenti tra cui quello di Eric Clapton nonostante i buoni uffici di Zappa. Ha proseguito questo hobby come forma d’arte e ultimamente ha raccolto calchi di seni di artiste e musiciste tra cui Peaches. A lei è dedicata anche la canzone Five Short Minutes di Jim Croce. È citata anche in un brano di Caparezza, La rivoluzione del sessintutto.

«I Need Lunch» Dead Boys
Anche il punk ha avuto le sue groupie. Siouxsie Sioux, all’anagrafe Susan Janet Dallion, fu una delle ragazze dei Sex Pistols e divenne poi protagonista della scena musicale inglese. Nancy Spungen fu vicina a band quali Aerosmith, New York Dolls e Ramones, si fidanzò poi con il bassista dei Pistols, Sid Vicious e il loro amore finì nel dramma. Lydia Lunch, musicista, scrittrice, attrice, performer, fu da giovanissima l’amante di tutti i membri della punk band dei Dead Boys di Stiv Bators che in Young Loud and Snotty, album d’esordio del 1977, le dedicarono il brano I Need Lunch («No baby, non ho bisogno di romanticismo - canta Stiv Bators - voglio solo infilarmi nei tuoi pantaloni»)

G.M. Alias




She Came In Through The Bathroom Window, cover di Joe Cocker, fu anche la sigla di apertura di Avventura, storico e mitico programma della Rai della seconda metà degli anni '70, a cura di B. Modugno e S. Dionisi. Programma di formazione di una generazione, che ricordo con gioia,Avventura era una trasmissione dedicata ai documentari, tutti di produzione RAI, sulla natura e alle imprese di esplorazione in luoghi impervi o sconosciuti, alla scoperta di popoli lontani, ed a culture diverse. Un vero viaggio intorno al mondo in un palinsensto televisivo che dimostrava una sensibilità didattica ed educativa ormai persa nel tempo. Attraverso la visione di quella trasmissione molti giovani si ritrovarono per la prima volta faccia a faccia con antiche popolazioni, scoprirono affascinanti figure storiche (dai Faraoni ai Re e Imperatori di Roma..) , fino ad argomenti più "particolari" come il deja-vu e la reincarnazione. La sigla di chiusura era A Salty Dog dei Procol Harum. Come a dire di come sia cambiata e peggiorata, di molto, la tv dei giorni nostri..


14/03/13

AMEN

Era attorniato dai più screditati ex ministri dei peggiori e più corrotti governi dell’Argentina post dittatura, quelli di Carlos Menem e di Fernando De la Rua. Menem ha governato l’Argentina negli anni ’90 nel periodo che è passato alla storia come “il decennio canaglia”, ha portato al fallimento lo Stato vendendolo alla speculazione finanziaria internazionale e alle mafie del traffico di armi e di droga. Oggi è sotto processo per reati legati alla corruzione. De la Rua ha seguito la stessa impostazione in politica economica e ha praticato analoghi processi di corruzione che lo hanno coinvolto personalmente. Dopo due anni di governo è stato cacciato da una imponente manifestazione di popolo e, il 20 dicembre del 2001, con ignominia, è fuggito in elicottero dalla Casa Rosada (Il palazzo del Governo di Buenos Aires). Nel frattempo però, nella notte del 19, aveva decretato lo stato di assedio, sospeso tutti i diritti e le garanzie costituzionali, comprese la libertà di espressione e di riunione. Per gli argentini era il ritorno alla dittatura.

E poche ore prima della sua fuga aveva dato ordine di sparare contro la folla. Sette giovani manifestanti furono uccisi.
Nel corso della conferenza stampa monsignor Bergoglio ha presentato, assieme a Roberto Dromi, Horacio Juaunarena, Armando Figueroa, Roche Fernandez e Jorge Vanossi, il “Contrato Social para el Desarrollo”, un documento che non prevede in realtà alcuno “sviluppo” ma che, al contrario, ripropone devastanti e illegali politiche di selvaggio liberismo che sono state alla base delle tragedie sociali e civili che hanno colpito il Paese durante e dopo la dittatura. Un documento che reclama la totale autarchia del Banco Central, l’eliminazione delle tasse per i grandi esportatori agrari, la drastica riduzione delle politiche e dei servizi sociali, la repressione del conflitto sociale e la unificazione delle strutture di Sicurezza e di Difesa, con conseguente rafforzamento dei militari e compromisisone dei processi di democratizzazione in corso. Ma vediamo dunque, oltre a Bergoglio di cui diremo dopo, da chi è formata questa “santa alleanza” che propone, assieme al cardinale, un vero e proprio “manifesto politico di opposizione” che tende a riportare indietro le lancette della storia argentina ed a cancellare persino conquiste fondative della democrazia restaurata nel 1983. Roberto Dromi è stato sindaco della città di Mendoza durante la dittatura, quando i sindaci venivano direttamente nominati dai militari. Ministro delle Opere Pubbliche con il governo civile più corrotto della storia argentina, quello di Menem, fu autore delle “leggi di emergenza” che produssero privatizzazioni selvagge e deregulation dei mercati, l’abbasamento drastico degli stipendi, la sospensione dei diritti sociali fondamentali.

Horacio Jaunarena è stato ministro della Difesa di Alfonsin, De la Rua e Duhalde. Nel suo primo mandato fu autore delle leggi “de punto final” e “de la obediencia debida”, le due leggi che assicuravano l’impunità dei comandanti e di tutti i militari responsabili della dittatura e di 30.000 morti.

Armando Figueroa è stato ministro del Lavoro di Menem e vice-capo di gabinetto di De la Rua. Autore del “piano di flessibilizzazione del lavoro” che ha portato all’esplosione del lavoro nero e illegale, alla privatizzazione del sistema pensionistico convertito in un mercato finanziario a solo vantaggio delle banche.

Roche Fernandez è stato presidente del Banco Central dal 1991 al 1996 (gli anni di Menem) e ministro dell’economia. In quel periodo la Banca Centrale Argentina è stato il centro e lo snodo della peggiore corruzione finanziaria. Banca che fu coinvolta anche in affari riconducibili, ed evidenziati da sentenze giudiziarie, alla n’drangheta calabrese.

Jorge Vanossi è stato ministro della Giustizia di Duhalde, successivamente è passato con il sindaco di Buenos Aires Macri, esponente di spicco della attuale destra argentina.

Ma Bergoglio non si è limitato a questo. Ha avanzato un’altra proposta, sotto il nome di “operaciòn amnistia”, che è stata formalmente respinta dal governo. La sollecitazione, non è la prima, chiede apertamente, e senza vergogna, l’amnistia per tutti i militari della dittatura e per chiunque coinvolto, processato o condannato per i crimini commessi in quel periodo. Nella richiesta si elencano tutti coloro che dovrebbero beneficiare dell’amnistia, ci sono tutti i membri della giunta, da Videla a Bignone, da Santiago Omar Riveros a Higo Siffredi, e oltre 100 altri militari dell’esercito, della marina e dei servizi segreti. E c’è Cristian Von Wernich (mai nome fu così blasfemo nei confronti del Cristo della Croce), cappellano militare della polizia di Buenos Aires durante la dittatura, condannato all’ergastolo perché ritenuto colpevole, tra gli altri, del sequestro di 33 persone e di 19 omicidi. Assassini di giovani innocenti che non si sono mai pentiti per quello che hanno fatto, che non hanno mai chiesto perdono né ai familiari delle vittime né al Paese, rivendicando con arroganza, anche durante i processi, le brutalità commesse in nome della “guerra all’eversione”.

E infine, chi è Jorge Mario Bergoglio? Arcivescovo di Buenos Aires, presidente dei vescovi argentini, tra i più votati nel conclave vaticano che ha poi eletto Ratzinger. Sostenuto dallo stesso Bergoglio. È stato più volte accusato di collusione con la dittatura argentina. Le prove più esplicite e documentate sono racchiuse nel libro L’isola del Silenzio. Il ruolo della Chiesa nella dittatura argentina del giornalista Horacio Verbitsky che da anni indaga con rigore il periodo più tragico del Paese sudamericano, lavorando sulla ricostruzione degli eventi con ricerche serie e documentate. Quello del ruolo della Chiesa sotto la dittatura è una ferita ancora aperta in Argentina, un dibattito certamente complesso e doloroso che approfondiremo ulteriormente nei prossimi numeri della rivista. Doloroso anche perché la maggior parte di quei 30.000 giovani assassinati erano cattolici, figli di famiglie cattoliche, impegnati nelle “villa miserias” in opere sociali di assistenza e di difesa dei diritti umani. Figli di quella Chiesa di base che in America Latina ancora resiste ed esiste. Il segno evidente che la Teologia della Liberazione è ancora viva, nei valori e nei comportamenti di tanti cristiani che con il proprio esempio e impegno gridano forte ai vertici vaticani «noi siamo Chiesa». 

 www.emigrazione-notizie.org

Altro profilo interessante e obiettivo su:  Il papa argentino Francesco, il conservatore-popolare nei torbidi della dittatura 




Three, lucky number

Forse la musica non potrà cambiare il mondo, ma di certo ci sono dischi e canzoni senza i quali è impossibile vivere, e che ci cambiano. Dischi che si legano a doppio filo alle esperienze che abbiamo vissuto, o che sono essi stessi delle esperienze fondamentali. Dischi che parlano di noi, dellla nostra vita, delle nostre piccole felicità, delle nostre paure, dei nostri sogni e dei nostri desideri. Dischi che prefigurano il futuro, che ci riportano in tempi lontani, e che illuminano il presente. Canzoni che ci fanno commuovere, e ridere. Canzoni che ci raccontano storie, come quelle che leggiamo nei nostri libri preferiti, o che vediamo al cinema, a volte con un linguaggio duro, violento, disinibito, altre con garbo e con parole sempre al loro posto. Quale altra forma d'arte riesce a raccontare il mondo, che ci svela segreti e ci emoziona..in soli tre minuti?

"Three's my lucky number ..And fortune comes in threes", canta Nicolette con i Massive Attack in Protection, e tre è il numero dei titoli di canzoni che prendiamo in considerazione oggi. Titoli con tre parole puntate, acronimi per sintetizzare storie, personaggi, accadimenti. La lista è aperta, se avete da suggerire..



U2: M. L. K (Unforgettable Fire)



KASABIAN: L. S. F (Kasabian)



JACK WHITE: H I P (Blunderbuss)



ROXY MUSIC: 2 H B



HAPPY MONDAYS: W. F. L  (Greatest Hits)



PRESIDENT OF U.S.A: L. I. P (II)



INTERPOL: N. Y. C (Turn on the Bright Lights)



12/03/13

Brecht: La Cultura contro il fascismo

Agli scrittori che in persona propria o altrui sperimentano le atrocità fasciste e ne sono atterriti, l’esperienza e il terrore non conferiscono necessariamente la capacità di combatterle. Taluno può pensare che basti descriverle, quelle atrocità, soprattutto se a descriverle è un grande talento letterario ed una collera autentica. Invero simili descrizioni sono molto importanti. Si compiono atrocità. E questo non deve essere. Si percuotono esseri umani. E non deve accadere. Perché continuare a discutere? Ci si levi e si fermi il braccio dei seviziatore. Ci leveremo, forse. Non è troppo difficile. Ma poi viene ii momento di fermare quelle braccia. E questo è già più difficile. La collera c’è, il nemico è individuato. Ma come farlo cadere? Lo scrittore può dire: il mio compito è quello di denunciare l’ingiustizia, tocca al lettore fare ii resto. Ma in questo caso lo scrittore compirà una curiosa esperienza. Si avvedrà che la collera, come pure la compassione, è qualcosa di quantitativo, qualcosa che esiste e può manifestarsi in una o in altra quantità. E, peggio, si manifesta nella misura in cui è necessaria. Alcuni compagni mi hanno detto: quando per la prima volta abbiamo fatto sapere che i nostri amici venivano uccisi, si levò un grido di orrore e un aiuto grande. Cento erano gli uccisi. Ma quando gli uccisi furono mille e l’eccidio non ebbe fine sopraggiunse il silenzio e solo scarso fu l’aiuto. Quando i delitti si moltiplicano, diventano invisibili. Quando le sofferenze diventano insopportabili non si odono più grida. Si uccide un uomo e chi guarda perde le forze. E’ naturale sia così. Quando i crimini vengono come la pioggia, nessuno più grida: basta. Come comportarsi allora? Non c’è modo di impedire all’uomo di distrarsi dalle atrocità? Perché se ne distrae? Se ne distrae quando non scorge la possibilità di intervenire. L’uomo non si ferma accanto al dolore di un altro uomose non può dargli aiuto. Ci si può riparare da un colpo se si sa quando cade, dove cade e perché cade, per quale scopo. E se si ci può riparare dal colpo, se ve ne sia una possibilità qualsiasi, anche minima, allora si può avere compassione della vittima. Dunque, perché cade il colpo? Perché si butta a mare la cultura come fosse zavorra (vale a dire quel tanto di cultura che ci è rimasto) , perché la vita di milioni di uomini è stata così immiserita, spogliata, e in parte o del tutto annientata? Alcuni di noi non hanno risposta a questa domanda. Rispondono così: per brutalità. Credono di assistere in una sempre più ampia parte dell’umanità ad una spaventosa eruzione, ad un pauroso processo di inconoscibile origine, che improvvisamente compare, che forse - si spera – altrettanto improvvisamente sparirà; alla emersione impetuosa di barbarici istinti bestiali lungamente repressi o assopiti. Una simile risposta, ovviamente, fa poca strada. E sentono da soli che alla brutalità non si può conferire l’aspetto di una forza bestiale, di invincibili potenze infernali. Parlano quindi di imperfetta educazione della stirpe umana. Qualcosa che è stato trascurato o che, nella fretta, non è stato compiuto.Eè necessario recuperarlo. Alla brutalità dobbiamo fare appello alle grandi parole, allo scongiuro che già altre volte è stato utile, ai concetti intramontabili – l’amore per la libertà, la dignità, per la giustizia – la cui efficacia è storicamente garantita. Ed eccoli pronunciare il grande scongiuro. Che cosa succede? All’accusa di essere brutale, il fascismo risponde con il fanatico elogio della brutalità. Imputato di essere fanatico, risponde con l’elogio del fanatismo. Convinto di lesa ragione, mette allegramente sotto processo la ragione medesima. E poi anche il fascismo trova che l’educazione è stata imperfetta. Si ripromette grandi cose dalla possibilità di influenzare le menti e di rafforzare i cuori... Alla brutalità dei suoi sotterranei adibiti alla tortura aggiunge quella delle scuole, dei giornali, dei teatri. Educa tutta la nazione e tutto il giorno. Non ha rnolto da offrire alla grande maggioranza, quindi ha molto da educare. Non dà da mangiare e quindi deve educare all’autodisciplina. Non può mettere ordine alla sua produzione e ha bisogno di guerre: deve quindi educare al coraggio fisico. Ha bisogno di vittime e quindi deve educare al sactificio. Anche questi sono ideali, mete richieste agii uomini. Ora, noi sappiamo bene a che cosa servono questi ideali, chi è che educa e a chi quella educazione debba servire: non a coloro che sono stati educati. E i nostri ideali? Anche quelli di noi che nella brutalità, nella barbarie, scorgono il male maggiore parlano, come abbiamo già veduto, soltanto di educazione, soltanto di interventi sullo spirito, comunque, di nessun altro genere di interventi. Parlano di educazione al bene. Ma il bene non verrà dall’esigenza di bene, di bene in qualsiasi circostanza, persino nelle peggiori circostanze, così come la brutalità non è venuta dalla brutalità Personalmente non credo alla brutalità per la brutalità. Bisogna proteggere l’umanità dall’accusa di essere per la brutalità indipendentemente dal fatto che essa sia un buon affare. È una spiritosa distorsione, quella del mio amico Feuchtwanger quando afferma che la volgarità vien prima dell’interesse personale. Ha torto. La brutalità non viene dalla brutalità ma dagli affari che senza di essa non si possono più fare. Nel piccolo paese dal quale vengo c’è una situazione meno temibile che in molti altri paesi. Ma ogni settimana vi si distruggono 5000 capi di bestiame della qualità migliore. E una brutta cosa, ma non è manifestazione d’una improvvisa sete di sangue. Se così fosse, la cosa sarebbe meno brutta.

photo: Retronaut
La distruzione di bestiame e la distruzione di cultura non sono originate da istinti barbarici. In entrambi i casi si distrugge una parte di beni non senza fatica prodotti, perchè sono divenuti un peso. Di fronte alla fame che impera in tutti e cinque i continenti misure simili sono indubbiamente dei crimini, ma non hanno nulla a che fare con le tendenze malvagie, assolutamente. Nella maggior parte dei paesi del mondo ci sono oggi situazioni sociali tali che crimini di ogni specie vengono altamente premiati mentre l’esercizio della virtù costa molto caro. . «L’uomo buono è indifeso e l’indifeso è bastonato a morte. Ma con la brutalità non si può avere tutto. La volgarità programma se stessa per diecimila anni. Il bene ha bisogno invece di una guardia del corpo; e non ne trova». Guardiamoci dal chiederla agli uomini! Facciamo in modo, anche noi, di non chiedere nulla di impossibile! Non esponiamoci a lanciare anche noi appelli all’umanità, perché faccia cose sovrumane e cioè sopporti con l’esercizio di elevate virtù situazioni terribili che certo possono essere mutate ma che poi non lo saranno! Non parliamo soltanto per la cultura! Si abbia pietà della cultura ma prima di tutto si abbia pietà degli uomini! La cultura è salva quando gli uomini sono salvi. Non lasciamoci trascinare alla affermazione che gli uomini esistano per la cultura e non la cultura per gli uomini! Questo ricorderebbe troppo il costume dei grandi mercati dove gli uomini esistono per il bestiame da macello e non il bestiame da macello per gli uomini. Pensiamo alla radice del male! Un grande insegnamento, che sul nostro ancor molto giovane pianeta penetra, sempre più grandi masse di uomini, afferma che la radice di tutti i mali sono i nostri rapporti di proprietà. Questo insegnamento, semplice come tutti i grandi insegnamenti, è penetrato in quelle masse d’uomini che più soffrono degli attuali rapporti di proprietà e dei barbari metodi con i quali quei rapporti vengono difesi. E’ messo in pratica in un paese che rappresenta un sesto della superficie terrestre, dove gli oppressi e i nullatenenti hanno preso il potere. Là non c’è più distruzione di generi alimentari né distruzione di cultura. Molti di noi scrittori che hanno sperimentato la crudeltà del fascismo e ne sono inorriditi non hanno ancora capito questo insegnamento, non hanno ancora scoperto la radice della brutalità che li atterrisce. Corrono sempre il rischio di considerare le crudeltà del fascismo come crudeltà non necessarie. Tengono ai rapporti di proprietà perché credono che per difenderli non siano necessarie le crudeltà del fascismo. Ma per mantenere i rapporti di proprietà esistenti quelle crudeltà sono necessarie. Con questo i fascisti non rnentiscono. Con questo essi dicono la verità. Quelli fra i nostri amici che di fronte alle crudeltà del fascismo sono atterriti quanto noi ma vogliono mantenere immutati i rapporti di proprietà o rimangono indifferenti di fronte alla loro conservazione non possono condurre vigorosamente e abbastanza a lungo la lotta contro la barbarie dilagante perché non possono suggerire né promuovere le condizioni sociali che rendono superflua la barbarie. Quelli invece che cercando la radice del male si sono imbattuti nei rapporti di proprietà, sono discesi sempre più profondamente, attraverso un inferno di atrocità sempre più profonde, finché sono giunti là dove una piccola parte dell’umanità aveva ancorato il proprio spietato dominio. Essa lo ha ancorato in quella proprietà del singolo individuo che serve allo sfruttamento del prossimo e che viene difesa con le unghie e coi denti, a prezzo dell’abbandono di una cultura che non si offre più in sua difesa o che .non ne è più capace, a prezzo dell’abbandono puro e semplice di tutte le leggi della convivenza umana per le quali l’umanità tanto a lungo e con disperato coraggio ha combattuto. Parliamo dei rapporti di proprietà! Questo volevo dire a proposito della lotta contro la dilagante barbarie perché venga detto anche qui oppure perché a dirlo sia stato anche io.

Bertolt Brecht

Nato ad Augsburg in Baviera nel 1898, Bertolt Brecht iniziò la sua attività di scrittore nel primo dopoguerra, componendo ballate e poesie di carattere popolaresco. È stato uno dei grandi drammaturghi di questo secolo. Il suo primo dramma rappresentato fu Tamburi nella notte, che meritò nel 1922 l’importante premio Kleist. Dopo questo esordio,Brecht si trasferì a Berlino, dove venne in contatto cori gli ambienti del teatro di avanguardia (soprattutto il regista Erwin Piscator), gli espressionisti, musicisti come Kurt Weill e Hans Eisler (con cui collaborò per molti anni). Aderì al movimento comunista, studiò a fondo Marx e l'economia politica: nel suo caso, non si può certo parlare di un semplice «compagno di strada». Al periodo berlinese risalgono Ifopera da tre soldi, forse il suo dramma più famoso, Un uomo è un uomo e Mabagonny. Nel 1927, aveva pubblicato una raccolta di poe sie liriche, titolata Sermom domestici. Con l’avvento del nazismo, nel 1933, comincia per Brecht un lungo periodo di esilio, che lo porta successivamente in Francia, Danimarca, Finlandia, Unione Sovieticae infine negli Usa, dove soggiornerà fino al 1946. Durante l'esilio, continua nella sua attività di drammaturgo, regista, romanziere, poeta. negli Stati Uniti collabora con il poeta inglese W.H. Auden e con il regista Fritz Lang. 
Nel 1946  Brecht è processato dal comitato per le attività antiamericane. Poco dopo, torna in Europa, prima in Svizzera e poi, nel '48, a Berlino Est, dove dà vita con la moglie, l'attrice Helene Weigel, al <Berliner Ensamble>. Muore nel 1956.

( Questo post è dedicato al Presidente della Repubblica Bolivariana del Venezuela, HUGO CHAVEZ )


11/03/13

Morozov: Fuzz, la "People-Power Radio" e il populismo digitale di Grillo

Evgeny Morozov, classe 1984, giornalista, blogger e scrittore bielorusso. È un esperto di tecnologia e di internet. Insegna a Stanford. Scrive su Foreign Policy e collabora con Economist, Washington Post, Wall Street Journal e Financial Times. E' uno dei più giovani e lucidi esperti della Rete che ci siano al mondo. Il suo libro, The Net Delusion è forse la prima seria ricerca su i lati oscuri di Internet: dalle nuove tecnologie che aiutano i regimi totalitari a rimanere tali fino all’altra faccia dei social network non solo strumento per il coordinamento di rivolte spontanee ma anche piattaforme ideali per schedare facilmente dissidenti di ogni genere e provenienza. 

Fuzz: Alla rete serve ancora un DJ 

Di tutte le start up avviate lo scorso anno, Fuzz è probabilmente la più interessante e la meno conosciuta. Si definisce una people-powered radio, una radio fatta dalla gente, assolutamente priva di robot, e in questo modo si oppone alla crescente tendenza a usare gli algoritmi per scoprire nuova musica. A differenza di altre popolari stazioni radio in Internet, che utilizzano algoritmi per scegliere i brani da segnalare agli ascoltatori, Fuzz dà spazio a dj umani, utenti che sono invitati a caricare la loro musica sul sito, creando e condividendo le loro «stazioni radio». L’idea — o forse la speranza — che sta dietro Fuzz è che il fattore umano possa ancora offrire qualcosa che gli algoritmi non riescono a dare. Come ha detto Jeff Yasuda — fondatore di Fuzz — a «Bloomberg News» lo scorso settembre, «si sente il bisogno di tornare a credere che i consigli più interessanti provengano dagli esseri umani».

Ma anche se il lancio di Fuzz è stato in gran parte ignorato, non è più possibile eludere il crescente ruolo degli algoritmi in tutte le fasi della produzione artistica. La questione è stata recentemente affrontata da Andrew Leonard, giornalista di «Salon», in un interessante articolo su House of Cards, una serie televisiva molto discussa che ha segnato il debutto di Netflix, pay-tv in streaming, nella produzione in proprio. L’origine di House of Cards è risaputa: dopo aver analizzato i dati di accesso dei suoi utenti, Netflix ha scoperto che un remake dell’omonima serie britannica avrebbe potuto avere un grande successo, soprattutto se a interpretarla e curarne la regia fossero stati rispettivamente Kevin Spacey e David Fincher. «Nell’età in cui gli algoritmi sono il principale strumento di marketing, gli autori riusciranno a sopravvivere?», si chiedeva Leonard, provando a immaginare in che modo l’enorme quantità di dati raccolta da Netflix mentre gli utenti vedevano in streaming la prima stagione della serie ne avrebbe condizionato il futuro (quante volte avranno premuto il pulsante «pausa»?).

In molti altri settori si affrontano questioni analoghe. Amazon, ad esempio, raccoglie molte informazioni sulle abitudini di lettura dei suoi utenti attraverso il suo e-reader Kindle: quali libri leggano fino in fondo e quali no; quali parti saltino e quali leggano con particolare attenzione; con che frequenza cerchino le parole nel dizionario e quali passaggi sottolineino. Avvalendosi di questi dati, Amazon riesce a prevedere quali siano gli ingredienti che ci faranno arrivare — un click dopo l’altro — alla fine di un libro. Potrebbe magari fornirci dei finali alternativi, per meglio accontentarci. Come diceva un recente articolo sul futuro dell’intrattenimento, il nostro è un mondo in cui «le storie possono diventare algoritmi adattativi, creando un futuro più coinvolgente e interattivo». Proprio come Netflix ha capito — grazie ai dati raccolti — che sarebbe stato stupido non entrare nel business della produzione di film, così Amazon ha scoperto che sarebbe stato stupido non entrare nell’editoria. I dati a disposizione di Amazon sono però più estesi di quelli di Netflix: dato che ha anche un sito che vende libri, conosce molto bene le nostre abitudini negli acquisti e i prezzi che siamo disposti a pagare. Oggi Amazon possiede 7 marchi editoriali e ne ha in progetto altri.

Da diversi anni l’industria della musica ha decisamente adottato metodi analoghi: ricavare informazioni da enormi database di precedenti successi e insuccessi per prevedere se un nuovo brano musicale può sfondare. Il vantaggio è evidente: per ottenere un contratto non occorre più essere introdotti nell’ambiente, come accadeva una volta. Basta avere una canzone che, sulla scorta dei dati raccolti dalle esperienze trascorse, potrebbe piacere. Ma lo svantaggio è altrettanto chiaro: le canzoni finirebbero per essere insipide e assomigliarsi tutte. Come ha detto Christopher Steiner in Automate This, il suo libro del 2012, queste nuove tecnologie «ci possono portare nuovi artisti, ma dato che basano il giudizio su quel che era piaciuto in passato, finiranno col proporci la solita musica banale che conoscevamo. Uno dei punti deboli della tecnologia è che tra i dati che analizza ci sono anche anni e anni di musica mediocre».

Il supercomputer Watson dell’Ibm sta già analizzando migliaia di documenti legali e medici per arrivare a valutazioni che nessun avvocato o docente sarebbe in grado di fare, almeno non basandosi su una tale quantità di informazioni. Se l’obiettivo è studiare quel che si è venduto in passato e, su questa base, cercare di prevedere quel che si venderà nel futuro, Watson potrebbe facilmente allargare il suo campo d’azione alla musica, ai film e ai libri.Purtroppo questo sarebbe un vantaggio per le vendite ma non per l’innovazione culturale. Se allora ci fosse stato un Watson, avrebbe potuto prevedere la nascita della pittura impressionista o della poesia futurista o della Nouvelle Vague al cinema? Avrebbe approvato Stravinsky? Dubito che i Big Data si sarebbero accorti del Dadaismo.

Per comprendere i limiti e i vantaggi degli algoritmi nel contesto della creazione artistica, dobbiamo ricordare che essa è fatta di tre elementi: scoperta, produzione e segnalazione agli utenti. Start up come Fuzz puntano su quest’ultimo fattore — la segnalazione — sperando che qualcuno preferisca ancora essere guidato da esseri umani anziché da algoritmi. FiveBooks applica un metodo simile ai libri. Anche nel suo caso, l’idea è che l’uomo sia preferibile agli algoritmi. Amazon fa molte ottime segnalazioni, ma FiveBooks — con i suoi libri consigliati da Paul Krugman, Harold Bloom e Ian McEwan — si pone su un altro piano. Nelle segnalazioni l’elemento umano e quello matematico possono probabilmente coesistere, almeno nel prossimo futuro: gli utenti possono trovare il giusto equilibrio tra i due. Ma quando si tratta di scoprire nuovi talenti e produrne le opere, le cose sono molto meno facili. Dopotutto, le segnalazioni sono importanti solo se c’è qualcosa di veramente significativo da segnalare. Quando un lavoro artistico viene scelto sulla scia di quanto era già piaciuto e viene creato pensando all’immediato feedback del pubblico, le vendite potranno magari aumentare, ma da tutto questo marketing uscirà qualcosa di veramente innovativo?

Lo scorso dicembre, l’edizione in inglese di «Global Times», giornale cinese pubblicato dal gruppo del «Quotidiano del Popolo », ha pubblicato un articolo sui Bear Warrior, gruppo punk che ha trovato un modo ingegnoso per misurare la reazione del pubblico alle sue canzoni. Il cantante solista è studente presso un’università di Pechino e si sta specializzando in strumenti di precisione. Ha quindi progettato un dispositivo — il «termometro pogo» — che misura l’intensità della danza del pubblico attraverso una serie di sensori applicati alla moquette della sala. I segnali vengono poi trasmessi a un computer che li analizza. Secondo il «Global Times», la band ha scoperto che i fan «cominciavano a muoversi quando entrava in scena la batteria, e ballavano con maggior foga quando il solista cantava su un registro acuto». «Le informazioni — dice il cantante — ci aiutano a capire come migliorare gli spettacoli in modo che il pubblico risponda alla musica secondo le nostre intenzioni». Forse questo sistema li aiuterà amigliorare gli spettacoli, ma come ha fatto la musica punk a diventare così gradevole? Far felice il pubblico deve essere la maggior preoccupazione dei manager, non deimusicisti punk. I Sex Pistols avrebbero usato quel tappeto solo in un modo e, vi assicuro, senza valersi di sensori. Ma i Sex Pistols, senza pensare al feedback, hanno lanciato una rivoluzione, mentre i Bear Warrior, nella migliore delle ipotesi, lanceranno la loro carriera.

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