29/11/11

Gioventù ribelle? No,cialtroni

“Gioventù ribelle”doveva celebrare l’Unità d’Italia ma non è mai uscito.
Sconcertano i fucili laser dei bersaglieri e altre stranezze

SMONTATI gli addobbi per i 150 anni dell’Unità d’Italia,dell’evento resterà soloil significato che ciascuno gli attribuisce.Giorgia Meloni, quand’era ministrodella Gioventù, ha patrocinato un progetto innovativo e affatto banale: un videogioco sul Risorgimento. S’intitola Gioventù Ribelle e naturalmente era destinato ai ragazzi.
Non aveva torto, la stessa Meloni,nel definire i videogiochi «strumenti ludici e formativi che possono essere messi al servizio della memoria nazionale» e in particolare delle generazioni più sensibili a questo tipo di supporto, ma lo slogan ha assunto tutt’altra connotazione quando fu presentato il frutto di quasi tre anni di lavoro. La promessa di «una ricostruzione storicamente fedele» si è infranta a causa di una produzione affrettata e grezza. Con aspetti esilaranti. . Ma tralasciando i dettagli paesaggistici e architettonici ciò che ha reso il titoloIl protagonista di Gioventù Ribelle, un ufficiale dei bersaglieri cui il generale Cadorna ha affidato un dispaccio da consegnare a Pio IX,affronta le truppe pontificie armato di rivoltella Colt Navy (mai impugnata dai bersaglieri) e fucile Chassepot, e quando fa fuoco suonano come armi laser. E una voce fuori campo commenta ciascuna uccisione con esclamazioni quali mega- kill! , ultra- kill! ...

Questo perché la struttura portante deriva dal videogioco Unreal Tournament III, uno sparatutto con visuale in prima persona di genere fantascientifico (ecco il motivo degli effetti sonori laser e della cronaca delle morti in inglese, nonché del teletrasporto in caso di fallimento, purtroppo non contemplato per chi perse la vita nel processo di Unificazione). un cimelio per tutti gli amanti del trash è la possibilità di incontrare il Papa in persona, alla fine del percorso, e sparargli! Il «peggior videogioco di tutti i tempi», come viene chiamato da qualcuno, è stato cancellato dalla rete, ma era scaricabile dal sito del ministero della Gioventù, selezionando la voce “d aw n l o a d ” (inglese maccaronico, analogo alle scritte “anderground ” della metropolitana romana). A conti fatti, era un tale concentrato di strafalcioni e pressapochismo da costringere il responsabile cui era stato assegnato (senza gare, né bandi) il progetto a prendere ufficialmente le distanze dalla propria creazione,mentre il ministero della Gioventù si è limitato a nasconderne ogni traccia sui siti statali e, al contempo, bollare come«strumentali» le critiche ricevute. Non ci è dato di sapere se e quanto denaro pubblico sia stato investito in questa operazione, ma il danno di immagine per lo Stato è l’ennesima dimostrazione di come i nuovi strumenti di comunicazione siano impiegati male dalle istituzioni (basti ricordare il caso del sito ufficiale del ministero del Turismo, costato uno sproposito e dalla gestazione problematica ) .I veri artigiani informatici di Gioventù ribelle sono alcuni studenti dello Ied di Roma, non retribuiti ma ricompensati con la “gloria” e l’onore di partecipare a un progetto importante e invece beffati da polemiche che non tengono conto della mancanza di mezzi e di tempo nella quale sono stati indotti a operare. Il responsabile di G i ove n t ù  Ribelle è Raoul Carbone, presidente di Aiomi Associazione Italiana Opere Multimediali Interattive), già autore di un videogioco invenduto e invendibile (Il Rosso e il Nero),un altro in cantiere (Winger s, per il quale afferma di aver raccolto un budget di 800.000 euro, ma che dopo anni non è stato messo in commercio),nonché della nota biografica auto celebrativa della voce che lo riguarda su Wikipedia italiana (prima corretta dagli utenti e poi oscurata).Una delle sedi di Aiomi è in via Livorno a Roma, dove c’era la sede di Azione Giovani, movimento di estrema destra ora scioltosi.Il sito Internet Sorge il sospetto che le frequentazioni politiche di Carbone vadano oltre i rapporti di buon vicinato. Il Rosso e il Nero poneva sullo stesso piano partigianie fascisti.Oltre al videogioco dei 150 dell’Unità d’Italia, la società da lui fondata è incaricata dell’allestimento di Vigamus,museo permanente dei videogiochi a Roma che è stato promesso entro la fine del 2011.Giacché una seconda e una terza parte di Gioventù Ribelle erano state annunciate rispettivamente per il 2 giugno e il 20 settembre del 2011, ma non si è saputo più nulla, è lecito nutrire dubbi su Vigamus,per cui furono fatti tanti proclami senza alcun seguito.Il sito Internet ufficiale riporta «lavori in corso» e la pagina su Facebook non è stata più aggiornata.In un’ottica di riscoperta di valori e virtù nazionali, sarebbe interessante conoscere l’entità dello spreco che ha contribuito a renderci zimbelli dell’industria video ludica.

dal Fatto Quotidiano


27/11/11

Lifestream Vs Blog e sogni e incubi della Rete

C'è stato un tempo in cui il mondo della rete era giovane e forte..
Nel 1997 Dave Wilmer inventa il Blog. Ma si sa,il tempo e gli stili di vita,anche virtuali,cambiano. Anche se gli utenti del Web attivi continuano a leggere contenuti e contributi di altri utenti,ma della maggior parte dei siti personali,solo una piccola parte risulta attiva e aggiornata negli ultimi quattro mesi (dati: Technorati). Perché? Il blog risulta,dopo una prima esplosione e entusiasmo,troppo impegnativo,costa tempo e fatica ed è inadatto per la maggioranza degli utenti,propensi più ad una comunicazione rapida e veloce. Cosi il blog si addice a chi si occupa di argomenti specifici (musica,cinema,tecnologia,politica..), a chi scrive racconti,cerca di fare giornalismo e informazione dal basso,commenta la politica o fatti di cronaca,o semplicemente vuole parlare del proprio animale. E' inadatto invece a chi lo vorrebbe usare come "diario sociale", in cui tener traccia delle proprie attività on line. Gli strumenti e le piattaforme nate nel frattempo (prima My Space,poi Facebook fino all'ultimo Google+,i più gettonati..) sono più adatti allo scopo. Reti sociali,enormi contenitori di persone che hanno imposto l'idea di partecipazione on line legata alla rete dei propri amici. L'ultimo arrivato,Twitter(2006) ,è il più flessibile e immediato dei cosiddetti microblogging,capace di definire spazi da aggiornare con messaggi brevi quanto un sms. In pratica,chi non ha un blog (come Interzone ad esempio..) segue notizie su Facebook,ascolta musica su Last Fm o Spotify,carica video su Yuotube o Yuoreporter e foto su Flickr,si rende reperibile con FourSquare, comunica con micromessaggi su Twitter. Il blog sembra quindi relegato a semplice scheggia di un individuo digitale sempre più complesso. I Feed hanno assestato un duro colpo  al blog classico (l'ultimo con la chiusura di Splinder,una dei primi siti in cui poter costruire un blog gratuito), capaci di distribuire i propri contenuti on line attraverso abbonamenti gratuiti, che avvisa gli utenti ogni qual volta il sito viene aggiornato. Il resto lo fanno nuove piattaforme come Memolane, un aggregatore dove raggruppare ogni post, status, foto o video pubblicati nel tempo  in una cronologia dettagliata, una home page personalizzata che raccoglie visivamente tutti i contenuti dell'utente,in pratica un macro contenitore delle attività in rete.
Personalmente, resto uno di quelli che ha un approccio più romantico verso i social network: preferisco il..tocco personale,sviluppare la grafica,arricchire con immagini e foto, chat, colonne sonore a base di mp3..
Trasformare insomma il blog nella propria dimora,in cui poter approfondire in modo ragionato,senza fretta e senza per questo escludere di poter conversare, fare quattro chiacchiere di qualunque natura e riversare nelle pagine tutti i propri interessi, ossessioni, tic e quant'altro. In questo il blog risulta  sicuramente più disordinato e non è legato all'idea di partecipazione della rete sociale dei soli amici ma è rivolto a tutti. Adatto a chi trova un pò noioso e controproducente starsene davanti ad uno schermo a scambiarsi messaggini, donare alle aziende i propri dati e le proprie preferenze con un semplice..I like in cambio di pubblicità e informazioni forniteci da persone che non ci vogliono bene e che vogliono i nostri soldi.



26/11/11

CONTRO IL CARCERE


Come smantellare ogni galera
di Lanfranco Caminiti

Non c’è detenuto di qualsiasi prigione del mondo che non sogni g li capiti come a Pietro di Alife, che venga san Francesco a sciogliergli i ceppi e aprirgli le porte verso la libertà. I miracoli, però, non succedono mai ai detenuti o accadono di rado. E per evadere, come dice Renato Vallanzasca, «ci vogliono almeno cinque minuti», cioè ci vogliono organizzazione, amici fuori che ti sostengono prima e dopo, complici, armi, strutture, soldi, corruzione, tutto un ambaradam che non metti in piedi in cinque minuti e dove non basta il fegato o il culo. Io lo so. Ci ho provato anch’io nei miei anni di carcere. Da solo. Senza successo. A Napoli, a Poggioreale, m ’avevano sbattuto al padiglione San Paolo, che funzionava da ospedale interno, dopo un lunghissimo sciopero della fame per evitare di finire negli speciali (dove, invece, dopo un primo accomodamento, dalla Chiesa ci spedì) che m’aveva ridotto uno scheletro; e lì c’era una maggiore libertà di movimento. Quasi tutti ci stavano per motivi che poco avevano attinenza con le malattie, erano dei privilegiati o per motivi propri o per motivi graditi alla direzione del carcere. Il padiglione era a ridosso del portone di accesso di Poggioreale. Una posizione strategica. Da una finestra con le inferriate vedevo proprio il portone, un pezzo di camminamento e la garitta delle guardie. Non era impossibile arrivarci. E avrei potuto fare tutto da solo. O quasi. Però, a Napoli, una volta scappato, potevo contare su appoggi esterni, mi avrebbero nascosto e protetto, per il periodo necessario. E questo, dove andare subito dopo l’evasione, è proprio un elemento fondamentale, che devi programmare prima. Cominciai a muovermi su e g iù nel p adiglione, con prudenza ma forse troppo, e ebbi la sventatezza -ero ancora fresco di galera – di parlarne con qualcuno. Mi spedirono negli speciali in quattro e quattr’otto. Ancora a Napoli anni dopo, di passaggio per un processo in una sorta di specialino, da fuori erano riusciti a farmi entrare una lima nascosta in un blocco notes, sottilissima ma efficientissima, professionale. Non sapevo bene dove era meglio segare, dove sarei finito uscito dalla cella, però da dove stavo io si raggiungevano dei tetti e magari da lì... Cominciai a provarci, senza tagliare a fondo le sbarre perché le sbattevano ai turni di controllo. Funzionava. Avevo poco tempo,perché il processo sarebbe durato poco. Ero indeciso se provarci subito o tenermi l’occasione per un’altra volta, organizzandola meglio, magari non da solo. L’incertezza mi fregò. Fui rispedito negli speciali, d’improvviso e di notte e non potei portarmi dietro la lima che avevo nascosto nel bagno perché furono le guardie della squadretta a mettere assieme le mie cose – facevano così: arrivavano in sette, otto e ti prendevano com’eri nel letto e ti impacchettavano senza il tempo di dire bah. Io non ci tornai più là e non l’ho mai detto a nessuno. Magari è ancora là, quella lima.


parte dell’introduzione
«Abolire il carcere» da La fuga dal Carcere - Le evasioni diventate Storia.


20/11/11

The Giant: John Coltrane

Oggi, The Giant avrebbe l'età di mio padre e questo post è un omaggio al grande sassofonista di Hamlet (N.Carolina) e a mio padre, appunto, grande appassionato, critico puntiglioso di Jazz, l'arte  che, tra tutte,è quella che più si è affidata all'impulso dell'attimo e all'improvvisazione,un arte popolare da cui si è creata una musica aperta all'individualità. Da Armstrong a Benny Goodman,da Gillespie a Monk mi si raccontava di un periodo in cui l'ottimismo sembrava prevalere: si usciva dalla seconda guerra mondiale e da una grave crisi economica, Kruscev era diventato primo ministro in Urss e incontrava Eisenhower per le prime prove di disgelo, nuovo papa, più aperto, veniva eletto Giovanni XXIII, la Francia iniziava a confrontarsi con il problema algerino, a Cuba cadeva il feroce regime di Batista,il maccartismo, l'incredibile caccia alle streghe che aveva mortificato la democrazia Usa veniva spazzata via e un giovane senatore,John F. Kennedy si preparava alla candidatura alla presidenza Usa. Era la fine del 1959. Queste furono la speranze che la generazione di mio padre ha vissuto,mentre noi,oggi,conosciamo le delusioni che scaturirono presto da tutti quegli eventi. Molto dopo ho anche capito che quella di mio padre,per il Jazz, era passione vera: quando vedemmo insieme per la prima volta Psycho di A. Hitchcock, invece di rassicurarmi,iniziò con alcuni aneddoti,come quello che il nome del personaggio interpretato da Anthony Perkins, Norman Bates, era stato dato dallo scrittore Robert Bloch (grandissimo intenditore di Jazz e autore appunto di Psycho) in omaggio al contrabbassista del quartetto di Dave Brubeck ..Norman Bates. Naturalmente, all'epoca questo aneddoto mi lasciò completamente indifferente. Non mi lasciò indifferente invece,il racconto del pestaggio,dell'arresto e del processo  subito da Miles Davis perchè in compagnia di una donna bianca: quel racconto avrebbe avuto un enorme influenza sulla mia formazione.

Il padre di Coltrane era a sua volta un amante della musica e un polistrumentista dilettante. Il giovane John cresce a stretto contatto con i suoni,il sassofono diventa la sua passione tramite il quale mette in scena il suo talento alla fine degli anni '40. Trane,il nomignolo che gli venne dato per il suo l'impeto inarrestabile nel suonare che lo faceva assomigliare ad un treno in corsa, ha scardinato i canoni usurati su cui il Jazz si era appiattito, introducendo elementi di tecnica e potenza in una continua evoluzione di studio e di ricerca che lo avrebbe accompagnato fino a quel fatidico 17 luglio del '67,quando morì per un tumore al fegato senza aver compiuto nemmeno i 41 anni. Coltrane, come molti jazzisti dell'epoca,era diventato agli inizi degli anni '50 tossicodipendente e alcolista fino a quando Miles Davis, che lo aveva voluto con se, lo convinse a disintossicarsi (come lui stesso aveva fatto): da allora,la sua musica cambiò per sempre il jazz e la maniera di suonarlo,dando vita .."ad un momento in cui i cilindri di tutte le serrature dell'universo sono perfettamente allineati". Certo,per molti ascoltatori privi di specifiche conoscenze teoriche nel campo della musica jazz (io tra questi..), ascoltare Trane che improvvisa a tutta velocità lascia ancora di sasso,dopo tanti anni, ma in alcuni dei suoi capolavori c'è un attenzione maniacale per i dettagli: non una virgola è al posto sbagliato. I brani sono lunghi ma non si ha mai l'impressione di un allungamento del brodo (molto comune in questo tipo di musica). E' uno dei pochi in cui temi ed assoli si fondono diventando tutt'uno, uno dei pochi jazzisti che davvero amo perchè ha mantenuto lo spirito del blues nelle sue composizioni  e nel jazz, anche se non nei canoni convenzionali del blues. L'ultimo..aneddoto significativo: Trane non firmò un contratto con la Blue Note,la più importante etichetta Jazz dell'epoca insieme alla Prestige, perchè durante l'incontro del sassofonista con Alfred Lion (titolare della Blue Note), il gatto di quest'ultimo cadde dalla finestra dell'ufficio,costringendo il produttore a correre in soccorso del felino,Coltrane andò via senza firmare niente e con solo l'anticipo sul disco da farsi. L'incisione per la Blue Note diede vita a Blue Train,l'unico album prodotto con questa etichetta. Eh..i gatti ci mettono sempre lo zampino.










Giant Steps












Blue Train

19/11/11

Io..sò io. Renata Polverini

Renata Polverini è la presidente del Lazio. Se non la conoscete, è la regione grande in mezzo all’Italia.
Diciamoci la verità, senza Floris che la invitava a Ballarò una volta sì e quell’altra anche, non avreste nemmeno saputo chi fosse. Certo, anche essere a capo di un sindacato inesistente ha influito. La Polverini ha fatto carriera in un sindacato di destra,ricoprendo anche il ruolo di capo ultrà. Scheletri nell’armadio: Veltroni la stimava al punto da volerla candidare nel PD. Celebre la polemica sulle iscrizioni gonfiate del suo sindacato. Be’,parlando di Renata Polverini è l’unica cosa che poteva gonfiarsi. Il 30 marzo 2010 Renata Polverini vince la corsa alla presidenza della Regione Lazio con il 51,14 percento dei consensi contro il 48,32 per cento della Bonino. Sarebbe stato interessante vedere come sarebbe andata a finire se ci fosse stato almeno un candidato donna. Venne eletta prendendo il posto di Piero Marrazzo. Nel segno della continuità. Quella vittoria giustificò i soldi spesi da Mons. Bertone per diventare ventriloquo.Il 25 aprile, in occasione della celebrazione della Liberazione, Renata Polverini viene appellata dalla folla come “fascista”. Lì dimostra la propria ineleganza, non ringraziando. Nella stessa manifestazione il presidente della Provincia di Roma Nicola Zingaretti viene colpito al volto da un agrume, lanciato da una donna non meglio identificata, con grossi occhiali tondi ed una Rosa nel pugno. Presidente giovane, amministratrice lungimirante, personaggio politico di rinnovamento: ehi, è facile trovare definizioni che non c’entrano un cazzo con la Polverini!

L’elezione della Polverini può anche esser spiegata come una risposta dell’elettorato al particolare clima esterno che si viveva nel Paese in quei giorni, come la polemica riguardante l’esclusione delle liste Pdl del Lazio perché presentate in ritardo. O lo scoprirsi governati da un presidente gay. “Io figlio della lupa, discendente della grande tradizione dell’Impero romano, di quanno s’annava a conquista’ er monno, tradizione poi ripresa cor granne Duce, che te devo di` me fa piagne ancora quanno ce penso. Non podevamose non da’ er voto a sta Polverini pe’n semplicIe motivo che mo’ vegno e te spiego: Semo cojoni”.
La Polverini è figlia di un delegato dello stesso sindacato in cui ha fatto carriera prima di rappresentare una coalizione da sempre attenta a tutelare la famiglia. Viene sfiorata dallo scandalo affittopoli documentato dall’Espresso, ma le sue giustificazioni sono tali che non siamo abbastanza demagogici per farci battute.

Quest’estate viene accusata di sprechi dopo aver raggiunto in elicottero una sagra di paese, accuse rispedite prontamente alla stampa. Con un Gronchi rosa. Tra i più convinti sostenitori di Renata Polverini è necessario ricordare Gianfranco Fini, dal quale ha ereditato lungimiranza politica,carnagione olivastra e un fastidiosissimo prurito alle palle.È comunque già stata in grado di lasciare il segno nella vita politica nazionale. Imboccando Bossi.La Polverini è stata elet... No, basta ragazzi, a tutto c’è un limite. La Polverini è il migliore esempio di come in politica non sia strettamente necessario, per una donna, essere bella e zoccola..
Umore? Maligno!

16/11/11

Death, Night and Blood: The Stranglers

Verso la fine del 1976, nel giro di qualche mese, le cose cambiarono notevolmente: la gente iniziò ad uscire dalle proprie case, persone di ogni genere, con le loro ossessioni e le loro frustrazioni : con la consapevolezza di non essere più un impero, l'Inghilterra era in piena recessione,con le cifre della disoccupazione più alte dal dopoguerra, una produzione interna in forte calo e una spesa pubblica alle stelle. Una piccola isola, strategicamente e economicamente asservita agli Stati Uniti. Il Fronte Nazionale, fascista e xenofobo, avanzava e per esorcizzare le paure e le angosce del paese le libertà degli anni '60 finirono sul banco degli imputati. Seguirono campagne contro gli immigrati, la pornografia, il vandalismo, la sessualità in genere.

“Il fascismo non sarà come in Germania,sarà Inglese: suscettibile, gretto,fatto apposta per la Thatcher in veste di madre sadica con tutti i suoi scolaretti piagnucolosi..” Di fronte a questi sintomi, larghi strati delle classi media iniziarono a protestare. I ragazzi si tagliarono i capelli e la gara a formare gruppi rock'n'roll scalcinati si intensificò. Il movimento Punk esplose, fragoroso, caotico, offensivo..

Nel suo primo periodo,il giro stretto del Punk evitava sistematicamente i Damned e..gli Stranglers. Le due band non avevano l'aspetto uniforme dei Pistols e dei Clash, ne le loro teorie socio politiche.
E gli Stranglers avevano le tastiere, malviste e in controtendenza con lo spirito autentico e selvaggio del rock'n'roll primordiale a cui il punk si inspirava dopo la sbornia progressive degli ultimi anni.
Anche l'iconografia era diversa: mentre l'estetica horror dei B-Movie horror hollywoodiani e il look da vampiro di Dave Vanian supplirono al disastroso inizio “musicale” dei Damned, l'attrazione per l'oscuro, topi,fogne caratterizzò l'avvio degli Stranglers:

“Noi siamo dei topi, viviamo in città sovraffollate, le persone che non sono ricche sono disoccupate e frustrate. L'analogia dei topi si adatta bene ad una grande città. Quando in una gabbia di topi c'è sovrappopolazione, essi si uccidono a vicenda, si mangiano tra loro.”
(J.J.Burnel, sandwich franco/inglese, appassionato di arti marziali, breve militanza negli Hell's Angels, estimatore di Yukio Mishima, bassista selvaggio riconoscibile tra mille..)

Nel '77 riuscirono a piazzare tre singoli in classifica quelli che sarebbero diventati dei classici: Peaches/Go Buddy Go, Something Better Change/Straighten Out e No More Heroes, anche questa un anomalia. Lontani dal puro idealismo punk, ne manterranno sempre lo spirito con la loro aggressività, la misoginia sbandierata, gli arresti per droga e per le risse che spesso scoppiavano ai loro concerti. Dopo i primi due dischi gli Stranglers mettono da parte i topi, anche senza rinnegarli e con Black and White, album dalle sonorità sempre dure ma anche sperimentali diventano esponenti di punta della New Wave, la variante..”commerciale" del punk.


Quando usci The Raven, con la bellissima foto tridimensionale in copertina in cui troneggia un corvo nero, imperioso e rapace, eravamo giovani e per definizione.. immaturi. Non avevamo la più pallida idea su che direzione avrebbe preso la nostra vita. Ma eravamo felici, perché la precarietà delle cose, a volte, non gli toglie certo valore. Anzi. C'erano tante idee, energie, solo che a volte le idee ..degenerano e quel disco, così oscuro, notturno, complesso, intricato, contribuì non poco a quella degenerazione. L'eroina, l'astinenza, la genetica, la mitologia nordica, le politiche repressive e autoritarie e l'interesse per civiltà aliene e misteriose fecero di quel disco un capolavoro che come sempre venne ignorato dalla critica. Ascoltavamo The Raven e facevamo le prove per l'età adulta: guardavamo a quelli più grandi, ma non riuscivamo ad arrivarci. Forse, ancora adesso..
Ho continuato a seguire gli Stranglers negli anni a seguire, quando hanno prodotto dischi con suoni più semplici e votati alla melodia,  ma sempre di un certo spessore, mai banali e superiori alla media. Fino agli anni novanta, quando Hugh Cornwell (voce,chitarra) abbandona il gruppo, sostituito da un certo.. Paul Roberts, dopo allarmanti rumors che annunciavano Dave Vanian (!) dei Damned come possibile sostituto. Fine della storia.

10/11/11

Radio Rock: in onda i fascisti del 3° millennio. A quando un’intervista a Priebke?

Indignazione e sconcerto tra gli ascoltatori di Radio Rock per l'intervista al leader di Casa Pound Gianluca Iannone. Banalità in onda, nessuno spazio ai contestatori. 
Questa mattina i neofascisti di Casa Pound hanno trovato una insperata tribuna - senza contraddittorio - nella storica emittente romana Radio Rock che a partire dalle 9 ha trasmesso una intervista telefonica di Emilio Pappagallo a Gianluca Iannone, presidente della nota "associazione" di estrema destra Casa Pound Italia. Iannone inizialmente avrebbe dovuto parlare dagli studi di Radio Rock ma forse le annunciate contestazioni hanno fatto ripiegare intervistato e intervistatore verso la soluzione - più semplice di gestire - della conversazione tramite filo del telefono.
Radio Rock è una storica emittente di sinistra passata negli ultimi anni su posizioni qualunquiste, svolta che ha già provocato un’emorragia di ascolti verso altre emittenti più chiare sulla propria identità culturale e politica. Una emorragia in parte rimpiazzata da nuovi arrivi, soprattutto tra i più giovani.
Ma l’annuncio di ieri su facebook sull’intervista andata poi in onda oggi ha rappresentato uno strappo ulteriore che ha provocato un’ondata di indignazione tra gli ascoltatori dell’emittente romana. “Perché legittimare i fascisti del terzo millennio di Casapound?” si sono chiesti a centinaia sulla bacheca di Radio Rock, annunciando in molti casi l’addio a Pappagallo & C. Molti più accesi i toni nelle emittenti romane antifasciste o su Indymedia. Qualcuno ha anche preso la vicenda con ironia: "si fanno chiamare fascisti del terzo millennio, ma i loro metodi non li hanno aggiornati, sono ancora quelli delle squadracce di picchiatori" ricorda un commento postato su un blog. Oppure: 'l'ultima aggressione è stata ai danni di alcuni tizi del PD, al grido di 'a morte i comunisti'. Che c'entra il PD coi comunisti non si sa, ma cosa ci si può aspettare da quelli che per divertirsi si prendono a cinghiate?" ironizza un altro post.
Nessuna risposta, nessuna presa di posizione da parte della redazione che a inizio intervista questa mattina ha cercato di rimediare annunciando per la prossima settimana una intervista all’esponente di Action ed ex consigliere comunale al Campidoglio Nunzio D’Erme in nome di una par condicio che dovrebbe mettere tutto sullo stesso piano, fascisti e antifascisti.
L’intervista è scivolata via senza elementi di interesse: Iannone ha fatto la vittima parlando delle aggressioni nei confronti dei ‘volontari’ di Casa Pound e dichiarando che quelli della ‘cinghiamattanza’ si occupano per lo più di solidarietà e di sport, e che la violenza non gli appartiene. Le domande di Pappagallo non graffiano e non smentiscono le banalità snocciolate da Iannone, gli ascoltatori indignati e schifati dal passo falso di Radio Rock non ricevono udienza, i pochi sms letti dagli intervistatori sono tutti compatibili con il teatrino in onda. Impazzano buonismo e inviti alla tolleranza e al “volemose bene”, in nome del principio che ‘tutte le opinioni devono avere spazio’. Come a Porta a Porta di Vespa, tutti gli argomenti ricevono dignità, tutte le opinioni equivalenza. E i neofascisti ringraziano. A quando una intervista a Erich Priebke?
Intanto oltre che tra gli ascoltatori, l'intervista sdraiata di stamattina sta avendo pesanti ripercussioni anche sullo staff di Radio Rock: DJ Armandino ha preso le distanze, lo storico Prince Faster ha annunciato ieri sera sul suo profilo Facebook: "Da oggi non faccio più parte di Radio Rock".
Contropiano

Ulteriori commenti? Bah..

I primi commenti furiosi. Poi il comunicato stampa: “Così facendo - scrivevano il capogruppo della Federazione della Sinistra alla Regione Lazio, Ivano Peduzzi, e Filippo Cannizzo, coordinatore Giovani Comunisti Lazio - Radio Rock legittima l’azione di Casapound, nota organizzazione neofascista, che, pur definendosi ‘fascista del terzo millennio’, usa comportamenti fascisti del secolo scorso”. Il riferimento, manco a dirlo, è alla recente aggressione subita da quattro giovani del Pd nel IV municipio. Solo l’ultima di una lunga serie.
La notizia fa il giro del web in un lampo. Si temono incidenti. Così, per prudenza, questa mattina l’intervista a Iannone avviene per telefono. Invece che negli studi della radio.
LA RABBIA DEGLI ASCOLTATORI - Dar voce ai fascisti significa fare apologia del fascismo? Ascoltare le loro “ragioni” significa giustificare la loro violenza? Farli parlare alla radio significa legittimarli? Secondo molti sì. Già da ieri pomeriggio la bacheca di Radio Rock su Facebook è stata letteralmente inondata di commenti sdegnati (per usare un eufemismo) di molti radioascoltatori romani. Oltre 800 in pochissime ore. Finché qualcuno è costretto a mettere un freno alla rabbia degli “indignados”: “Ci scusiamo per aver dovuto chiudere la bacheca, ma le offese e i toni utilizzati avevano oltrepassato i limiti del civile confronto”.
Boicottiamo Radio rock
C’è chi cita il codice penale. Chi ne fa una questione di “coerenza editoriale”: “Il rock - scrive Max - non è solo un genere musicale, ma è stato sempre anche una filosofia di vita che è contraria a qualsiasi tipo di fascismo. Aver fatto parlare quel boia è stato tradire quello che Radio Rock ha significato per tanti anni”. Chi mette in dubbio la professionalità di Pappagallo per aver fatto passare “quelle merde come degli eroi rivoluzionari antisistema”. Chi lo accusa di essere “amico dei fasci”. Chi mette su un gruppo: “Boicottiamo Radio Rock” (manco fosse Israele!). E chi polemicamente si chiede: “A quando l’intervista a Erich Priebke?”. In molti vorrebbero che il dj venisse mandato via, espulso: "Per far sì che questa situazione abbia fine, dovete tenere Pappagallo fuori dalla sede". Tanti, da domani, cambieranno stazione.
CASAPOUND? UN TABÙ - Emilio Pappagallo non è nuovo a questo genere di polemiche. Già ai tempi del terremoto dell’Aquila, era stato duramente contestato. Per la stessa ragione di oggi: aver pronunciato il nome di Casapound in trasmissione. C’erano i morti per le strade, un’intera regione distrutta dal sisma e Radio Rock si dava da fare per raccogliere beni di prima necessità da portare ai terremotati. L’associazione di estrema destra si offrì come punto di raccolta. Inaccettabile, secondo qualcuno. 
Oggi anche i suoi colleghi lo attaccano. Su tutti, Prince Faster, voce storica di Radio Rock, che sulla sua bacheca scrive: “In merito all’intervista: tutta la redazione ne era all’oscuro fino a ieri pomeriggio e certe scelte dovrebbero essere discusse con tutti quanti, come facciamo per ogni cosa tutte le settimane da un anno a questa parte. La decisione è stata presa autonomamente da Emilio Pappagallo, scelta che ha messo in difficoltà la radio tutta”.
Anche il gruppo napoletano dei 99 Posse, a Roma in tour i primi di dicembre con il suo ultimo album, diffida la radio dal trasmettere i propri brani: “Mai più una nostra canzone, nessuna richiesta di intervista, né di supporto alle nostre esibizioni nella capitale o altrove. Non c’è nessun dialogo possibile con chi fa dello squadrismo la stella polare della propria azione politica, nessuno spazio di condivisione con chi distingue i diritti sulla base della nazionalità, del colore della pelle, della lingua con la quale si parla. La tolleranza si riserva ai tolleranti, la democrazia ai democratici, il dialogo a chi crede nel dialogo”.
Lo scontro si sposta anche sulla bacheca Facebook di Emilio Pappagallo. Il suo cellulare è spento da ore. Ma il suo ultimo post recita: "Giovedì 17 novembre, alle ore 9, in collegamento telefonico ci sarà Nunzio D'Erme, movimentista di Action".
E ANCHE ACTION DA' DISDETTA - Passano poche ore è arriva la notizia della disdetta: Nunzio D'Erme non parteciperà alla trasmissione. In protesta contro chi, a suo giudizio, cerca solo di coinvolgere lui e l'associazione di cui fa parte nel "becero giochino degli opposti estremismi". "Quando ho accettato l'invito - scrive in una nota - ero completamente all'oscuro di quanto sta accadendo a Radio Rock: proprio non potevo immaginare che il mio intervento sarebbe servito a fare da contro altare all'intervista che Emilio Pappagallo ha effettuato allo squadrista Iannone. Radio Rock è libera di scegliere la propria linea editoriale, ma certo io e il movimento che rappresento non ci presteremo ad operazioni di equiparazione utili solamente a legittimare chi, come i fascisti di Casapound, da anni si rendono costantemente protagonisti di intimidazioni, aggressioni e violenze nei confronti delle forze democratiche della città".


09/11/11

Noi c'eravamo: Black Angels Roma Sett. 2011

Uno di quei party a cui mai e poi mai mancare, quello di stasera. La nuova stagione dei concerti capitolini comincia a fare sul serio e, sarà per l’astinenza, sarà per il rinnovato interesse (hype?) sulla psichedelia d’oltreoceano, il Circolo degli Artisti è pieno.Sul palco, la pozione al fosfene dei Black Angels si conferma oltremodo collaudata. A prova di gradazioni altamente estive della scala Celsius. Circolo degli Artisti, Roma, 13 settembre The Black Angels, tre anni dopo. Chi era presente, in questa stessa sede nell’inverno 2008, ricorderà un live più tetro e in un certo senso più “sinistro” di quello di stasera. Sicuramente più grezzo e - senza togliere nulla all’intensità che ancora caratterizza la band - meno avvolgente, certamente meno sapiente ma, in termini di vibrazioni, più vicino all’estetica delle bad vibes che apre lo stesso Phosphene Dream. E soprattutto, chi era presente allora, ricorderà un pubblico di circa trenta persone, che tutt’oggi sfoderano un compiaciuto “io c’ero”, dopo aver passato mesi a chiedersi perché gli eredi dei 13th Floor Elevators non fossero un po’ più noti. Ebbene, con il terzo e più caleidoscopicamente garage Sogno al Fosfene, il quintetto di Austin ha messo d’accordo pubblico e critica, riempiendo i club della provincia dell’Impero (i nostri) come un qualunque locale sulla Bowery (quelli di New York): una constatazione che riempie di ottimismo i fedeli al culto psichedelico, salvo implicare future normalizzazioni basiche di una formula oggi ancora abbastanza acida da procurare good trip attraverso i fantasmi del passato (Nuggets, Doors,Velvet Ungerground). L’apertura della serata è affidata a The Night Beats, formazione di Seattle legata agli angeli texani attraverso il chitarrista di questi ultimi, Christian Bland, insieme al leader della band più giovane, Lee Blackwell, nel progetto The Ufo Club, presumibilmente qualcosa di molto vicino a ciò che prenderà forma sul palco per quelli che avrebbero dovuto essere i bis dei Black Angels. Garage rock alla Black Lips e look di discendenza grunge, per il trio di giovinastri che compiace il pubblico sottopalco con un’impetuosità 60s in un set riassumibile come “fast and furious”. Mentre in sala il pubblico aumenta insieme alla temperatura, al primo feedback dei Black Angels il fondale in stile optical art anni 60 sembra addirittura ondeggiare. Ma le Bad Vibrations con cui aprono il set sono ormai un ter-ritorio sicuro, conosciuto, e la penombra attraversata dalle luci rosse in cui si avvolgono Alex Maas e soci completano adeguatamente un live dal passo lento, solcato da un’ipnosi trance-oriented quando sono le doppie percussioni a dettare il ritmo, o più suggestivo in senso doorsiano quando sono gli organi ad essere usati in coppia. La voce di Maas sembra filtrare attraverso effetti stile electric jug, mentre i fumi di Phospene Dream stampano gongolanti sorrisi Thompsoniani sui volti degli astanti.Suono che arriva compatto, saturo, ad eccezione di una distur-bata Yellow Elevator #2, subito recuperata dalla prepotenza hard rock di Black Grease: è quando sono le chitarre a tracciare la stra-da psychica che i Black Angels sfoderano la loro anima più fosca ed oscura, sebbene l’esplosione festante su Telephone segni uno dei passaggi migliori della serata. Al bis richiesto a gran voce,risponde Christian Bland accompagnato dai Night Beats, che improvvisano una jam (da saletta) con tanto di citazione Floydiana (Lucifer Sam). Pure Texan good vibes.
Chiara Colli

05/11/11

Industria discografica: Mute Records


La parabola dell’industria discografica contemporanea è un po’ schizoide: da una parte il ribaldo idealismo avant-garde del compianto Tony Wilson (fondatore della Factory Records, famoso per aver firmato il contratto con i Joy Division col proprio sangue, l’unico della sua carriera); dall’altra il business puro, culminato con l’acquisizione della Emi nel 2007 da parte di un fondo di investimento. Ma in mezzo c’è anche qualche animale raro capace di garantire qualità e profitti. Daniel Miller, lo schivo boss della Mute Records - l’etichetta che ha dato al mondo i Depeche Mode ma anche i Laibach; gli Erasure ma anche i Birthday Party; Yazoo, ma anche i DAF; Goldfrapp ma anche gli Einstürzende Neubauten - è uno di questi.




videoclip ufficiale di Apparat - Song Of Loss.


Come ha fatto?
Non ho mai pensato coscientemente a creare un catalogo che comprendesse mainstream e cose sperimentali, a percentuale. Tutto si è sempre basato sull’istinto”.

Da una trentina d’anni la Mute continua a macinare ottima musica, ogni tanto infilando anche qualche successo commerciale. Bisognava celebrare il passato, senza averne paura. Per questo, la scorsa primavera, a Camden Town, nella leggendaria Roundhouse, (dove hanno suonato tutti, dai Clash ai Pink Floyd, da Hendrix a Bowie, dagli Stones ai Led Zeppelin) sono convenuti The Residents, Laibach, Moby, Richie Hawtin, Martin L. Gore e Andy Fletcher (Depeche Mode) Alison Moyet, Vince Clarke per citare solo quelli del passato. E poi, il presente della Mute: S.C.U.M, Josh T. Pearson, Beth Jeans Houghton, Big Deal.
“ È straordinaria l’energia spesa, gli artisti hanno preso solo un rimborso spese. Ho voluto parlare con tutti, molti non li vedevo da anni, è stato emotivamente molto intenso”. Ma l’uomo a cui si deve parte della musica più innovativa degli ultimi tre decenni non può indugiare guardandosi alle spalle. “ Non l’avrei fatto se mi fossi reso conto che era un’operazione nostalgica. Siamo un’etichetta che rispetta e gode del proprio passato ma non ce ne stiamo seduti sugli allori”.

La Mute è oggi tornata indipendente, dopo esser stata comprata dalla stessa EMI, dalla quale è distribuita. Pur avendo raggiunto grandi numeri, soprattutto con un mostro commerciale come i Depeche Mode, il metodo di Miller è lo stesso di allora.
“ Il mio rapporto personale con gli artisti è molto importante e diretto. Non voglio fingere di essere il loro migliore amico o che usciamo tutti insieme la sera, ma tra noi c’è senz’altro un grado di rispetto e fiducia reciproca”.
Gli artisti li sceglie in base all’originalità, non al genere musicale. Classe 1951, Daniel Miller ha vissuto l’età d’oro della musica popolare, folgorato dai Beatles all’età di dieci anni:
“ Provenivano da un altro pianeta, sotto ogni punto di vista, avevano un suono indescrivibilmente nuovo”. Anni di creatività torrenziale, ma anche di curiosità e sperimentazione tecnologica, che sarebbero diventate più tardi marchi di fabbrica di casa Mute.
“ Tra il 1962 e il ’67 il grado di innovazione e progresso nella musica popolare è stato immenso. In quei dischi di allora qualsiasi cosa era un esperimento che tentava di cambiare le regole, anche forzando i limiti della limitata tecnologia allora disponibile”.

Anche se tutto era cominciato da Elvis.
“ Elvis era la techno dell’epoca. Oggi si tende a considerare la sua musica come un esempio di tradizione e autenticità: nulla più lontano dal vero: era un sound distorto, che faceva un uso deliberatamente eccessivo dell’eco… un trasgredire qualsiasi regola”.
Poi arrivò l’inevitabile stasi.
“ Tutto si fermò anche per cinque o sei anni dopo la fine degli anni Sessanta, con il rock che celebrava se stesso. Io avevo sedici, anni non mi interessava la celebrazione, volevo qualcosa di altrettanto folle e creativo. Per questo cominciai ad ascoltare cose diverse, lontane, grazie a John Peel”.
Fu ascoltando il programma di Peel alla BBC che conobbe i Can,
“ Nel 1969, un’altra esperienza che mi cambiò la vita: scoprii i Neu! e i Faust e mi dissi: “Cari amici della musica angloamericana, è il momento di emigrare culturalmente!”.

La Germania di allora stava producendo una musica orgogliosamente anticommerciale e sperimentale, chiamata col nomignolo sciovinista di “Krautrock”, che faceva un ampio uso di elettronica. E naturalmente c’era quella band di Düsseldorf, tali Kraftwerk, forse la più influente della storia assieme ai Beatles.
“ La generazione del dopoguerra non voleva avere nulla a che vedere con il passato, voleva iniziare una nuova cultura. La musica fu una combinazione fra questa frattura e il non voler essere una colonia americana”.
Con questo background Miller si ritrovò in mezzo al ciclone del punk: la città della musica era da ricostruire dalle fondamenta.
“ Volevo far circolare le idee tedesche e combinarle con quello che veniva prodotto musicalmente qui. Il punk per la prima volta affermava che potevi fare qualunque cosa purché lo volessi, era l’etica del DIY, saper suonare non contava. Dal 1978 il punk era evaporato, lasciandosi dietro uno spazio vuoto. In quello spazio c’era gente che aveva delle idee ma che non sapeva ancora bene come realizzarle”.

Miller fece uscire un singolo “Warm Leatherette” con il moniker The Normal. Poi divenne manager del pioniere synth Fad Gadget (Frank Tovey, 1956-2002): nasceva ufficialmente la Mute. Ormai era possibile comprare un synth, “ uno strumento più punk della chitarra”, allo stesso prezzo di una chitarra e di un amplificatore.
“ Divenne possibile fare cose che fino ad allora non ci si poteva nemmeno sognare”.
Poi arrivarono i Depeche, scoperti mentre suonavano di supporto a Fad Gadget. Il resto è storia. E oggi, Miller è ancora esaltato dai nuovi acquisti della sua scuderia, come Apparat, il cui disco, The Devil’s Walk è appena uscito, o i giovani S.C.U.M.
“ Naturalmente deve piacermi la musica, devo sentire che hanno una visione originale e che siamo d’accordo sul tipo di pubblico a cui si rivolge il disco”.
Ma è vera questa storia che entrò nello studio dei Depeche Mode mentre provavano “Personal Jesus” e che la cambiò di sana pianta?
“ Non ricordo, forse gli dissi di accelerare il ritmo. Ma l’ho fatto con talmente tante altre band…”


Frullifer: Sul Ciclo di Eymerich


Valerio Evangelisti, scrittore ormai di culto,tra i più geniali ed originali nel panorama letterario italiano, tradotto e pubblicato in tutto il mondo. Noi di INTERZONE siamo fan accaniti del ciclo di Eymerich e in generale di tutta l'opera di Evangelisti, di cui è in imminente uscita il nuovo, monumentale romanzo, One Big Union, ambientato negli States a cavallo tra l'ottocento e il novecento, quando One Big Union significava una nuova concezione di sindacalismo, un fronte comune per opporsi al potere delle industrie, sempre più grandi ed organizzate.
Di seguito l'intervento di Jumpinshark,uno dei più lucidi e interessanti tra le tantissime pagine,recensioni,articoli in rete dedicati allo scrittore bolognese, fondatore e animatore del sito Carmilla on line.

Picatrix è il sesto romanzo del Ciclo di Eymerich, pubblicato nel 1998 direttamente su Urania [lo storico periodico di fantascienza della Mondadori], come i primi tre titoli della serie e a differenza dei due precedenti - Il mistero dell'Inquisitore Eymerich e Cherudek - proposti prima in Mondadori Superblues e quindi ristampati in Urania. Il ritorno alla pubblicazione originale su periodico [1] non significa per nulla una "retrocessione", proprio negli anni 1996-1999 esplode, su scala europea (Italia e Francia in testa), il fenomeno di Eymerich; Picatrix è infatti l'ultima opera di Evangelisti pubblicata in prima edizione in edicola, tutti i suoi testi successivi compariranno direttamente in libreria, in forma di (para)tascabili e, negli ultimi anni, di (para)rilegati (qui la distinzione vera si fa sul prezzo di copertina). La spiegazione forse più semplice della scelta di distribuzione editoriale di Picatrix è data dalla prolificità (o dalla profondità dei cassetti...) di Evangelisti in questa prima fase del ciclo di Eymerich - sei romanzi in tre anni e mezzo, da Ottobre 1994 a Marzo 1998 -, difficilmente contenibile nei limiti tradizionali dell'"offerta da libreria".
Lo scrittore non diminuirà il ritmo della sua produzione negli anni successivi, anzi all'opera narrativa si affiancherà un'importante attività critica, e in tutte e due queste manifestazioni la formazione di storico (con diverse pubblicazioni all'attivo e sporadici graditi ritorni) sarà sempre al lavoro. Il ciclo di Eymerich subirà invece un rallentamento drammatico (l'espressione non è assolutamente di circostanza per tutti i fan!): il tempo di attesa per gli quattro romanzi sarà di dodici anni e mezzo, da Marzo 1998 a Novembre 2010, data di uscita del volume finale, Rex Tremendae Maiestatis.