31/07/13

Cat's Playlist: Gatti nell'immaginario musicale

Gatto egiziano (Louvre)
GATTI.. Ho visto e vedo vibrisse d'ogni sorta, un catalogo smisurato di antenne radar puntate dritte in faccia al mondo. Vibrisse disciplinate, curate, pettinate. Simmetria perfetta di due metà del muso.
Vibrisse anarchiche, sghembe, arricciate, bruciacchiate, strappate via. Ma sempre così dignitose e fiere. Così evidenti e smargiasse. Orgoglio germogliato a rimarcare quanto siamo piccoli e limitati siamo noi - noi - che vediamo e sentiamo solo grazie a occhi e orecchie. Ah..poter avere una coda, così mollemente dondolante e maliziosa. Sensuale, stizzita, infallibile arma di seduzione o di lotta senza quartiere. La liscerei con la lingua tutto i giorno. La mostrerei a tutti con simulata noncuranza.
GATTI.. Sterminati orizzonti oltre il muro fissato per ore, immobili.
Sterminata bellezza, oltre quel muro, che alla fine per loro si fa trasparente..
Sterminata meraviglia..sterminato mistero..

***************
Liberi di cacciare
liberi di nascondersi
liberi di vagabondare
liberi di scavare e sottrerre
liberi di crogiolarsi al sole
liberi di saltare, arrampicarsi..

E liberi di vagare per la grande madre RETE..
Si, Internet ama i gatti, anzi, rappresentano quasi un' ossessione costante per la rete.
Postiamo e guardiamo  foto e filmati, gif divertenti,  ma siamo meno propensi a considerare più seriamente il loro posto nel nostro mondo. Un elenco di brani per analizzare il loro impatto sulla cultura musicale, gatti che abbiamo conosciuto e amato nella cultura popolare...

I giovani turchi non è solo una delle correnti di quel gran guazzabbuglio che è il Partito Democratico, ma anche un'etichetta discografica d'oltremanica ( youngtuerksrecords ).  Che pubblica i dischi dei canadesi Holy Fuck, surreale mix di rock, funky, kraut, elettronica..senza però l'ausilio di computer, loop e basi programmate.Questo è il di video di Red Lights, molto divertente, tutto interpretato da gatti: suonano, si muovono a ritmo, guidano la macchina, duellano con l'odiato cane. Uno dei migliori cat-video, su uno strumentale positivo ed energico. Dopo aver ammirato il video, e vi piace il brano, una più profonda conoscenza di questo combo pazzoide sarebbe..opportuno.




Lo sò, Love Cats dei Cure è un must per quanto riguarda i nostri amati felini, però ho preferito All Cats are grey: il video non è originale, ma la canzone è più vicino al nostro "sentire". Faith, un pò snobbato all'epoca, resta un gran bell'album..
Non avevo mai pensato che mi sarei trovato
A letto tra le pietre
Le colonne sono tutti uomini
Che vogliono solo schiacciarmi
Nessuna forma si muove sui laghi scuri e profondi
E non ci sono bandiere che mi riportino a casa
Nelle grotte Tutti i gatti sono grigi..




Non tra le nostre preferite, ma questo video di Björk è davvero carino. La nostra,  stanca del marito, interpretato da un gatto di casa, vaga per la città colma di dispiacere. Si ciucca, e va in giro con alcuni amici. Più tardi, si sveglia su un marciapiedi con graffi e lividi su tutto il corpo.  Il gatto-marito la raggiunge, la prende in braccio caricandola in macchina e si avviano verso casa. Qui, i due si riappacificano con relativo  bacio e danzando sul finire del brano.




Ascoltare dalla cavernosa voce di Nick Cave la parola, gattino fa un certo effetto. Sempre intimo, alle prese con i suoi amori e le sue perdite, qui le emozioni sono..controllate, la furia assopita. Cave ci racconta di una tristezza condivisa con un amante e considerazioni sullo stato del mondo: la tristezza collettiva, di tutti, è semplicemente troppo prepotente per non prestarci attenzione..

Mentre le sedevo, triste, accanto
Alla finestra, attraverso il vetro
Lei si accarezzava un gattino in grembo
E guardavamo il mondo che passava oltre
Delicatamente mi disse queste parole
E con occhi nuovi, spalancati
Schiacciammo i nostri visi sul vetro
Mentre le sedevo, triste, accanto
Lei disse "Padre, madre, sorella, fratello
Zio, Zia, nipote,
Soldato, marinaio, medico, operaio,
Attore, scienziato, meccanico, prete
Terra e Luna, Sole e Stelle
Pianeti e comete dalle code fiammeggianti
Tutti sono lì che cadono in eterno
In una caduta amabile e folle" ..  



Non gatti reali, ma il  rockabilly degli Stay Cats non avrebbe avuto successo senza il loro fascino felino...

gatto randagio nero e arancione seduto su una siepe
non ho abbastanza denaro per pagare l'affitto
sono al verde ma non m'interessa
mi pavoneggio con la coda per aria
gatto randagio fico sono un gatto che attira le signore
sono un casanova felino amico ecco tutto
mi prendo una scarpa addosso da un uomo vecchio e cattivo
mi prendo la cena da un bidone dell'immondizia
(parlato) miao. sì, non attravesare la mia strada!
non mi preoccupa cacciare i topi in giro
scivolo giù nel vicolo in cerca di una lotta
ululando alla luce della luna in una calda notte d'estate
cantando il blues mentre le gattine piangono
"gatto randagio e selvaggio, sei un tipo proprio andato"
vorrei essere così spensierato e selvaggio
ma ho la classe di un gatto e lo stile di un gatto




I Pink Floyd degli inizi, quelli con  l'allucinato Syd Barret. Non tutte le canzoni erano avevano per tema alienazione e disperazione, tematiche sociali e politica. Questa canzoncina è su Lucifer Sam,  gatto siamese che Syd modellò sul suo vero gatto, Rover.   Percy the Cat-Ratcher era il titolo originario..

Sam ho visto il tuo gatto sempre seduto accanto a te, sempre al tuo fianco Quel gatto ha qualcosa che non riesco a spiegare Lucifero và a vedere Sii un gatto in gamba sii un lupo di mare dovunque, comunque Quel gatto ha qualcosa che non riesco a spiegare...




Fantastico strumentale dei Messer Chups, con graffiante miagolata iniziale. Quale migliore suoneria per i nostri cellulari?



Canzone popolare strumentale resa famosa dal pianista e compositore danese Bent Fabric, uscita nel 1962.
Il brano è apparso in numerosi film, tra cui Shag, del 1989 , interpretato da Phoebe Cates e Bridget Fonda, Cabin Boy del 1994, interpretato da Chris Elliott e Andy Richter, Just Looking del 1999, interpretato da Ryan Merriman, Duets film del 2000, interpretato da Gwyneth Paltrow e Huey Lewis e Imaginary Heroes del 2004 , con Sigourney Weaver e Emile Hirsch...



Tommy The Cat, cavallo di battaglia dei Primus, riproposto in quasi tutti i concerti (ed eseguito sempre in modo diversa)..
"Said Tommy the Cat as he reeled back to clear whatever foreign matter may have nestled its way into his mighty throat. Many a fat alley rat had met its demise while staring point blank down the cavernous barrel of this awesome prowling machine. Truly a wonder of nature this urban predator. Tommy the cat had many a story to tell, But it was a rare occasion such as this that he did!..



Il fascistone, razzista, il truzzo per eccellenza. Ha azzeccato un paio di canzone che gli sono valse una carriera. Quante cose però, avremmo da dirgli al buon Ted. Aveva dichiarato, tra le tante altre amenità, che nel caso di una rielezione di Obama negli Usa, lui avrebbe preferito espatriare e perfino..morire!. Ecco: non auguriamo la morte a nessuno, chiaramente, però, tremiamo al pensiero che in un eventuale trasferimento l'Italia potrebbe essere tra i paesi papabili. Ne abbiamo teste di cazzo..quì. La sua Cat Sctatch Fever, però..



E ancora..
Cat's In The Well - Bob Dylan
Year Of The Cat - Al Stewart
Cat People (Putting Out Fire) - David Bowie
The Siamese Cat Song - Peggy Lee
We the Cats Shall Help You - Cab Calloway
The Cure, “The Love Cats”
The Cat Came Back - Fred Penner Copy Cat - Gary U.S. Bonds
The Alley Cat Song - David Thorne
Tom Cat - The Rooftop Singers
The Cat - Jimmy Smith
El Pussy Cat - Mongo Santamaria
Nashville Cats - The Lovin Spoonful
The Cat In The Window (The Bird In The Sky) - Petula Clark
The Cat Walk - The Village Soul Choir
Cats Eye In The Window - Tommy James
Hell Cat - Bellamy Brothers
Cool For Cats - Squeeze
Black Cat - Janet Jackson
Cats In The Cradle (1993)Ugly Kid Joe



26/07/13

Miss Indian America



Le vincitrici del concorso Miss indiane d'America, dal 1953-1984, si sono riunite a Sheridan, Wyoming. In origine, la manifestazione era stato organizzata per combattere i pregiudizi contro i nativi americani. Wahleah Lujan (foto), della tribù Taos Pueblo nel nord del New Mexico, che ha vinto il titolo nel 1966, con molta timidezza, ha esclamato: "La cosa più importante della mia vita è la conservazione del nostro antico popolo e del Rio Pueblo de Taos". Quarantasette anni dopo, Lujan è orgogliosa di aver contribuito a preservare la terra del suo popolo. Ora, insegnante di scuola elementare in pensione, attribuisce la sua popolarità, almeno in parte, ai suoi giorni come Miss indian America.

"La mia più grande preoccupazione era quella di mostrare al mondo che abbiamo una cultura meravigliosa, non solo i Taos Pueblo, ma tutte le tribù degli Stati Uniti", dice Lujan. Ed era proprio questo lo scopo e lo spirito del concorso: quello di diffondere e far conoscere la cultura indiana nel resto del paese. "E 'stato necessario", dice lo storico Gregory Nickerson, "perché in posti come Sheridan nel 1950 era possibile leggere cartelli che dicevano cose come 'Qui no indiani e cani', e la popolazione della Crow Indian Reservationnon non poteva fare acquisti o frequentare il centro della città".

Un gruppo di residenti progressisti fecero quadrato e cercarono di cambiare le cose. Cosi nacque l'idea di un concorso per giovani donne native americane. Il concorso si distaccava da quello originario Miss America nazionale. Oltre alla bellezza, venivano valutate anche altre caratteristiche: essere apprezzate nella comunità per l'impegno sociale, la dedizione al benessere della tribù, le capacità comunicative e la diffusione della cultura indiana.. Dice Nickerson: "Non c'era ... una sezione costume da bagno! Dovevano avere l'aspetto, la personalità e l'equilibrio per rappresentare la loro gente nella comunità bianca".
Le vincitrici hanno trascorso un anno in giro per gli Stati Uniti, tenendo conferenze e incontri sulle rispettive tribù e sulle questioni riguardanti i nativi americani.





24/07/13

I cinque ragazzi di Detroit, il default e Trayvon Martin

Alla fine di luglio del 1973, era in giro per le strade di Mount Clemens, Michigan, un sobborgo di Detroit, con la sua macchina fotografica. Come fotografo del Macomb Daily. La fetta di vita che catturò quel giorno era una foto di cinque giovani amici in un vicolo spazzato dalla pioggia, nel centro di Mount Clemens. E ciò che la distingue dalle centinaia di altre foto è il soggetto: tre bambini di colore, due  bianchi, ridono, felici, abbracciati. Joe Crachiola ricorda. "Ho visto questi ragazzi che giocavano in strada, e ho iniziato a scattare alcune foto. Poi, mi hanno visto e tutti si sono girati a guardarmi: ho subito scattato e questa è la foto che ne è venuta fuori.  E 'stato del tutto... spontanea, e non ho minimamente influenzato la posa dei ragazzini ".
Questa settimana, Crachiola, che ora vive a New Orleans, ha postato la foto  sulla sua pagina Facebook. "Per me, è ancora una delle mie foto più significative", ha scritto nel suo post. "E mi domando ... A che punto possiamo iniziare a diffidare l'uno dell'altro? Quando cominciamo a giudicarci in base al sesso o razza? Mi sono sempre chiesto che cosa è successo a questi bambini. Chissà se sono ancora amici "
L'elegante semplicità della foto ha colpito. La pagina Facebook di Crachiola ha avuto ben 100.000 contatti. E seimila "mi piace". Il Macomb ha subito ristampato e attraverso i suoi archivi  ha tentato di  identificare i bambini, che sono ormai uomini e donne di mezza età. E' davvero difficile non sorridere guardando questa immagine. Crachiola ha dichiarato di aver pubblicato la foto dopo aver appreso il verdetto del processo Zimmerman (l'assassinio, in Florida, a sangue freddo di un ragazzo afro-americano,Trayvon Martin, sceso in strada per comprare thè freddo e caramelle, da parte di una guardia giurata e la sua scandalosa assoluzione). E il feedback è stato enorme: "Qualcuno mi ha inviato un'email dicendo che lavora con uno dei ragazzi che era nella foto," dice Crachiola.  "Questo", ha scritto Darnesha Taylor Shelly su Facebook, "è mio marito insieme a sua sorella". Sembra che una 'reunion' degli ex ragazzi felici di Detroit potrebbe essere imminente.

Questa la foto del 1973  dei cinque bambini che giocano in un sobborgo di Detroit.  I bambini erano (​​da sinistra) Rhonda Shelly, 3 anni , Kathy Macool, 7, Lisa Shelly, 5, Chris Macool, 9, e Robert Shelly, 6.


http://www.npr.org/blogs/codeswitch/


Intanto, Detroit è ..fallita. Da anni il simbolo della deindustrializzazione a stelle e strisce è l'epicentro di una catastrofe economica, sociale e demografica che ha piegato le metropoli del Midwest e del Nordest statunitensi. «Ground zero di un intero modello di sviluppo». Così le ha definite a Linkiesta, lo scorso ottobre, il milanese Alessandro Coppola, studioso di fenomeni urbani e autore del saggio Apocalypse Town (Laterza). Perché città come Detroit (o Flint; o Cleveland; o Buffalo) ospitano tristi «deserti urbani» dove «curarsi e fare la spesa, studiare e spostarsi, lavorare e andare al cinema è diventato incredibilmente difficile, talvolta impossibile». Realtà dove scarseggiano i cibi freschi ma avanza la natura selvaggia, le downtown si svuotano e le gang crescono (al pari degli orti urbani).



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23/07/13

Blues del ragazzo solitario: Kenneth Patchen

In quello strambo romanzo che é Memorie di un pornografo timido, una giornalista in vena di indagini letterarie interroga alcuni dei presenti alla folle festa che forma uno dei punti centrali del racconto.
- E Patchen? - chiese lei con la matita pronta. - Ah, Patchen. Nessuno lo prende sul serio – disse uno di loro. - Un apprendista che non è mai riuscito a crescere. – E’ un bambino noioso: un sacco di chiasso per nulla -disse un altro.

- Patchen ha perso l’imbarco - disse il signor Brill - Ha fatto lo sbaglio di credere che la poesia sia una specie di pattumiera dove si pub buttare di tutto, e di sicuro parecchie volte ha passato i limiti - Questo è tutto quanto, da Patchen, si è potuto raccogliere su Patchen. Il poeta, dice chi lo ha conosciuto, è un uomo scorbutico, cli poche parole. I critici, da parte loro, non si sono certo dati un gran daffare intorno a lui. Le antologie, anche quelle che raccolgono le cosiddette <<voci minori>>, lo ignorano. Una specie di congiura del silenzio, insomma, della quale il primo a non curarsi sembrava proprio il poeta. Impossibile, quindi, come dicevamo, avere delucidazioni da questo autore sconosciuto, da questo <<apprendista >> (stregone) che negli ultimi anni -- recluso in clinica per l’aggravarsi di una lunga malattia - si era ancora di più rinchiuso nel suo mutismo. Esso potrebbe comunque essere giustificato, alla fine, proprio dalla congiura del silenzio della critica: una specie di protesta, insomma, quasi uno ‘sciopero della parola’ contro un trattamento che non può non apparire ingiusto a chi prenda in considerazione un’opera poetica tanto vasta e tanto significativa.
Negli Stati Uniti, infatti, anche quei poeti e quei narratori che in gioventù hanno incontrato ostacoli sulla propria strada (accuse, e talvolta processi, per presunte << immoralità >>, o magari per spirito rivoluzionario) trovano sempre, in seguito, critici disposti a valorizzarli e la stessa “industria culturale” sa sfruttare assai bene lo scandalo << giovanile >> per un lancio in grande stile. ll caso di Kenneth Patchen è, invece, assai diverso.

Non uno scrittore per pochi: Patchen registra una schiera di lettori fedeli tra le più folte che un poeta americano possa contare (e le sue << sperimentazioni>>, da quelle verbali a quelle visive, sono servite da esempio e da prototipo a molti venuti dopo di lui). E allora? E’ probabile che l’ostilità di molta critica e della parte più conformista del pubblico - e anche, insieme, la << fedeltà >> dei suoi lettori - gli derivi dalla costante coerenza (si potrebbe dire addirittura dalla violenza via via crescente) della sua protesta sociale e antimilitaristica nel cinque volumi di versi stampati tra il ’39 e il ’45. L’essersi rifiutato di partecipare alle celebrazioni ufficiali della patria in guerra ha fatto di lui, probabilmente, il nemico che non si combatte con la critica ma con la più subdola arma del silenzio.
Padre dei << beats >>? Qualcuno ha avanzato questa ipotesi e qualche sua poesia, come << La scuola all’angolo>> o, meglio ancora, << Le grandi mani del boia>>, possono giustificare in parte una simile illazione. Patchen, tra l’altro, fu tra i primi a scrivere in favore di Ferlinghetti e di Ginsberg ai tempi del famoso processo scaturito dalla pubblicazione di <<Urlo>>.

Nato il 3 dicembre 1911, figlio di un operaio delle acciaierie, non riuscì a portare a termine studi regolari. Riuscì a frequentare per un solo anno il Meiklejohn’s Experimental College della Université del Wisconsin, ma la mancanza di mezzi lo spinse in quel grande calderone che, dopo la crisi del ’29, era la popolazione produttiva americana. Fece, come si può dire di tanti poeti e scrittori americani, tutti i mestieri. Il calderone
era pieno di fermenti ma anche di delusioni. Case grigie e squallide, camere da letto oscure, odori di smog, cavoli lessi, e urina, periferie industriali: ecco il paesaggio nel quale irrompono <<i ragazzi desolati. / Sonnambuli in una terra buia e terribile / dove la solitudine e uno sporco coltello puntato alla ,gola>>. La polemica contro i Moloch della società industriale è il filo conduttore. Un filo che si snoda su, dai quartieri poveri e che continua nel tuono contro la corruzione e il linciaggio, nella denuncia della delinquenza, dell’<<omicidio facile >>, e soprattutto in quel pacifismo umanitario che tanta parte ha sempre avuto nella letteratura di protesta americana, e che trovò una sua ragione organizzativa nel movimento delle colombe, per la fine della guerra nel Vietnam. In questo senso una poesia come << Che cos’e il bello?>> è una vera e propria dichiarazione programmatica dei diritti dell’uomo ricercati dopo il grande travaglio della rivoluzione industriale e della standardizzazione. Gran parte dell’opera di Patchen e concepita nel limbo dell’incubo, in un mondo dove l’umorismo è peggio che l’orrore. La frenesia regna in essa sovrana, in oscenità sinistre.
<< Before the Brave >> - nel 1936 e si conquistò il suo primo e probabilmente unico alloro ufficiale, il Guggenheim Felloship. Pittore, disegnatore singolare, venne colpito da una grave malattia alla spina dorsale. Essa era destinata a influenzare la sua già pessimistica visione del mondo, a rendere più completo il suo isolamento, più ostico il suo carattere. Da allora cominciò a coltivare quelle qualità << visionarie >> che sono un’altra chiave della sua esperienza poetica . Tutto, riesce a darci la misura di un poeta troppo ingiustamente ignorato in patria.
(13 Dicembre, 1911 – 8 Gennaio, 1972)

F. De Poli





ACCETTIAMO LA FOLLIA
Accettiamo apertamente la follia, O uomini
della mia generazione. Seguiamo
le tracce di questa età trucidata:
guardiamola trascinarsi attraverso la cupa terra del Tempo
fin dentro la chiusa Casa dell’eternità
con lo strepito che fa il moribondo,
con il viso che le cose morte portano - e non diciamo mai
volevamo di più; cercavamo di trovare
un uscio aperto, un completo atto d’amore,
che trasformasse la cruclele oscurità del giorno;
ma trovammo inferno e nebbia diffusi ovunque
sulla terra, e dentro la testa una putrida palude di
enormi tombe sbilenche.

LA MIA GENERAZIONE LEGGE I GIORNALI
Dobbiamo essere accorti e delicati; ricambiare
lo sguardo del poliziotto con un po’ di stima,
ricordare che questo non è un gioco di ombre cinesi,
piuttosto questo è il momento
di scrivere tutto, registrare le parole -
Voglio dire che dovremmo avere ancora un po’d'orgoglio
di gioventù e non dimenticare il destino di uomini
che dicono addio alle mogli e alle case
di Cui hanno letto, al ristorante mentre mangiavano,
<< Amore mio>>. - Senza rimpianti e Senza amarezze
ottenere la misura dei passi che facciamo,
1’ultima canzone ha scelto un tema d’amore
che ci libera da ogni male - distruggere ...?
perché no?   anche questo è strano... Buffo come
sia difficile essere accorti e delicati in questo,
nel trovare parole per segnare questa tomba,
voglio dire che nulla salvo il sangue in ogni strada
della terra puo dare Voce adeguata a questa perdita.

LO STATO DELLA NAZIONE
Capisci, erano seduti proprio dietro la porta
a un tavolo con due boccali di birra pieni e due vuoti.
Intorno s’aggirava qualche decina di persone, che ammazzavano
il tempo e si sbronzavano perché ormai niente più significava nulla
qualcuno guardò una ragazza e qualcuno disse
grandi cose succedono in Spagna
ma lei non alzò lo sguardo, neppure la Coda dell'occhio.
Allora Jack bevve la sua birra e Nellie bevve la sua
e le loro gambe si strinsero sotto la tavola.
Qualcuno guardò l’orologio e qualcuno disse
grandi cose succedono in Russia
Entrarono un poliziotto e due puttane e lui ordinò da
bere per due perché una aveva la sifilide
Nessuno sapeva perché ciò accadesse o se
sarebbe mai accaduto di nuovo in, questo mondo adirato
ma Jack bevve di nuovo la sua birra e Nellie di nuovo
la sua e, come a un segnale, un ometto entrò di furia,
attraversò il locale fino al banco e disse Ciao Steve
al barista.

BLUES DEL RAGAZZO SOLITARIO
Oh, nessuno é molto tempo, in nessun luogo é una grande sacca
per mettervi piccoli pezzi di cose graziose
mai realmente accadute a nessuno Salvo che
a coloro abbastanza fortunati da non essere nati
Oh, la solitudine é un brutto posto per accalcarvisi
soltanto con te stesso che Vai avanti e indietro
su un cieco cavallo bianco
lungo una strada vuota in cui incontri
tutti i tuoi amici faccia a faccia.
Nessuno é un lungo tempo.

LA SCUOLA ALL’ANGOLO
L’anno prossimo l’erba della tomba ci coprirà.
Ora stiamo qui, e ridiamo; guardando le ragazze che passano
scommettendo su cavalli bolsi, bevendo gin a buon mercato.
Non abbiamo nulla da fare, nessun luogo dove andare
nessuno.
L’anno scorso era un anno fa, niente di più
Non eravamo più giovani allora, nè adesso più vecchi
Riusciamo ad assumere aria di giovanotti
insensibili dietro ai nostri visi, in un modo o nell'altro.
Probabilmente non saremo del tutto morti quando moriremo
Non fummo mai nulla fino in fondo; neppute soldati.
Fratello, noi siamo gli offesi, i ragazzi desolati.
Sonnambuli in una terra buia e terribile,
dove la solitudine è uno sporco coltello puntato alla gola.
Stelle gelide ci guardano, amico,
stelle gelide e puttane

SE CIO' CHE CAMBIA E' SOLO IL MONDO
Se ciò che cambia è solo il mondo,
che si allontana sempre più dal bene e dalla grazia,
perchè sentiamo questo cambiamento l'uno nell'altro?
Se coloro che amiamo sentono il respiro come una ferita
e maledicono il sole stesso perchè dà luce
perchè sentiamo questo dubbio l'uno nell'altro?
Oh, il nostro è il cambiamento che i fiori sentono al mattino
Il nostro è il dubbio delle acque nel loro solenne scorrere!..



18/07/13

Tokio Vice, Underworld Giappone

Incontro con Jack Adelstein, giornalista e scrittore americano autore di Tokio Vice, impressionante reportage sulla Yakuza giapponese e che oggi, minacciato di morte, vive sotto scorta.

di Junko Terao 
TOKYO
Sono arrivati di notte, con il buio, le braccia tatuate coperte e i guanti a nascondere le dita mancanti, per non dare nell’occhio: i primi soccorsi, poche ore dopo lo tsunami che l’11 marzo ha devastato la costa nordorientale del Giappone, li hanno portati gli uomini della yakuza. Decine di camion carichi di medicine, coperte, cibo, acqua potabile e torce elettriche sono partiti da Tokyo diretti nel Tohoku. Non solo. Nei dieci giorni successivi alla catastrofe, a mantenere l’ordine nei rifugi allestiti per i sopravvissuti c’erano più gangster che poliziotti. Pare che per scoraggiare gli sciacalli sia più efficace un tatuaggio in bella mostra che una divisa con distintivo. Come e perchè i gruppi che controllano il crimine organizzato si siano dati tanto da fare ce lo spiega Jake Adelstein, giornalista diventato suoi malgrado un esperto di yakuza, paladino (come recita la sua firma) e autore di Tokyo Vice, uscito in Italia per Einaudi Stile Libero (466 pp., 19,50 euro).

<<I vari gruppi, ce ne sono 22 riconosciuti, si presentano come associazioni benefiche e seguono un codice d’onore che ha come principio di base l’assistenza ai più deboli. Chiaramente non c’è solo una spinta filantropica dietro la mobilitazione seguita allo tsunami, ma posso assicurare che il codice d’onore é rispettato dalla maggior parte degli yakuza. La criminalità organizzata ha una storia di soccorsi post-catastrofe alle spalle: la prima volta è intervenuta nel 1964, dopo il terremoto Niigata, poi nel '95 a Kobe - dove peraltro la sede della Yamaguchi-gumi, che con 40mila uomini é il gruppo più numeroso di yakuza, occupa un intero quartiere>>. A una grande operazione d’immagine, non c’è dubbio, utile soprattutto ad assicurarsi una fetta della ricostruzione, dato che l’edilizia e il settore con cui la yakuza è diventata cosi potente nel dopoguerra, quando c’era un intero paese da rimettere in piedi. Oltre a fornire i soccorsi, infatti, pare che gli yakuza si siano presentati puntuali con i mezzi necessari a rimuovere i detriti delle città distrutte dall’onda. Da li, allungare le mani sulla cuccagna di appalti è questione di poco. Cosi è successo in passato e cosi sta accadendo nel Tohoku, come ha rivelato un inchiesta di giugno del settimanale Sentaku: l’urgenza di ridare le Case agli sfollati farà chiudere un occhio a chi, in teoria, ‘dovrebbe vigilare sull’assegnazione degli appalti.

Abbiamo incontrato Jake Adelstein a Tokyo in un tranquillo quartiere residenziale, nella casa da dove fa la spola con gli Stati Uniti. Dal 2005 la sua famiglia, moglie giapponese e due figli, vive li per ragioni di sicurezza. <<Farli restare sarebbe stato troppo pericoloso>> spiega lui, che dal 2008 vive protetto dalla polizia e quando è in Giappone è scortato da una guardia del corpo, un ex boss della yazuka senza un mignolo. La storia di come é arrivato a questo punto la racconta in Tokio Vice, un po’ autobiografia, un po’ romanzo hardboiled che sve la i retroscena del giornalismo investigativo in Giappone ma, soprattutto, un tuffo nell’underworld del Sol Levante, “per vedere cosa c’é davvero sott la superfice di una società apparentemente pacifica e tranquilla”. In quel mondo buio, violento, che' puzza di alcol e fumo, tra ragazze vendute, stuprate e morte ammazzate, strozzini, personaggi scomodi ‘suicidati’ e detective insonni, Adelstein ha vissuto per dodici anni, dal '93 al 2005, come reporter dello Yomiuri Shimbun, il quotidiano più letto nel paese, primo giornalista straniero ad entrare nel gotha dell’informazione nipponica.

<<Per mia fortuna sono Stato subito assegnato alla sezione di polizia che seguiva i crimini legati alla yakuza>>, racconta Adelstein. Allora, però, non immaginava il peso che la mala giapponese avrebbe avuto nella sua vita. Allora non aveva ancora idea di chi fosse Tadamasa Goto. <<Poco prima dl lasciare lo Yomiuri, nel 2005, stavo lavorando a una storia davvero grossa: avevo saputo che quattro anni prima il Capo della Goto-gumi, la più pericolosa delle affiliate alla Yamaguchi-gumi, era volato negli Stati Uniti e aveva avuto un trapianto di fegato al Centro tumori della Ucla. Non ho mai scoperto davvero come ha fatto, ma è passato dall’ 85mo al primo posto della lista, ottenendo un fegato nuovo in sei settimane, quando normalmente ci vogliono almeno tre anni. La Ucla si è giustificata dicendo che il fegato era “scadente”. Penso che li qualcuno sia diventato molto ricco organizzando tutta l’operazione. Più tardi ho scoperto che tra il 2000 e il 2004 altri quattro yakuza hanno subito trapianti nello stesso ospedale, e hanno pagato in contanti. L’ Fbi gli ha procurato il visto in cambio di informazioni sulla Yamaguchi-gumi e sulle sue ‘front company’ negli Stati Uniti. Li la Yakuza ha molti interessi e molti soldi nelle banche americane. So che Goto, però, una volta avuto il fegato, ha fornito solo un quinto dei nomi promessi all’Fbi>>.

Doveva essere la sua ultima inchiesta, la sua “tesi di laurea” per chiudere in bellezza un’esperienza eccitante quanto dura e sfiancante. Invece un giorno riceve la visita di un uomo di Goto con un messaggio chiaro, che lascia poca scelta: o tu cancelli la storia, o noi cancelliamo te e la tua famiglia. Quella di non scrivere più sui giornali giapponesi, se non sotto pseudonimo, è stata, quindi una scelta obbligata. Ma Adelstein ha continuato a occuparsi di yakuza, scrivendone sulla stampa americana e registrando negli ultimi tempi il diverso atteggiamento delle autorità verso la criminalità organizzata. <<Qualcosa sta cambiando. La yakuza è sempre stata considerata un male necessario, il prezzo da pagare per tenere pulite le strade. Fino a poco tempo, fa tra la polizia e la criminalità organizzata spesso c’è stato un rapporto di collaborazione. Per questo in Giappone non esiste una legge contro il crimine organizzato, nessun governo liberaldemocratico ha mai avuto interesse a farla. Addirittura in passato ci sono stati casi di membri della yakuza entrati in politica: Hamada Koichi, per esempio, prima di diventare senatore era stato nella Inagawakai, il terzo gruppo del paese per numero di affiliati. O il nonno dell’ex premier Junichiro Koizumi, un ex gangster noto come il “ministro tatuato”. Nemmeno il Partito democratico, al potere dal 2008, ha inserito la lotta contro la criminalità organizzata nel suo programma politico. E non e un caso. Nel 2007 i democratici hanno fatto un patto con la Yamaguchi-gumi: la più grande famiglia di yakuza avrebbe garantito il suo sostegno, e in cambio i democratici avrebbero lasciato qualsiasi progetto di legge contro il crimine organizzato in soffitta. E cosi è stato>>.

In effetti, finora a Tokyo, dove si è appena insediato il sesto primo ministro in cinque anni, non si é parlato di legge antiyakuza. <<Con una legge ad hoc puoi arrestare i capi di un organizzazione per i crimini commessi dai loro sottoposti. Ln Giappone, invece, se un “soldato semplice” commette un omicidio, la catena di responsabilità si ferma li. Viene processato, il gruppo a cui appartiene gli fornisce un avvocato, finisce in prigione ma sa che nel frattempo la “famiglia” provvederà a mantenere moglie e figli e che quando uscirà verrà ricompensato a dovere. Non essendoci programmi di protezione dei testimoni o una legge sui pentiti mancano gli incentivi a collaborate con la giustizia>>.

Qualcosa però ultimamente è cambiato. <<Dato che la yakuza non è considerata fuori legge, la polizia cerca almeno di renderle la vita difficile. L’attuale capo dell’Agenzia nazionale di polizia dal 2010 ha fatto adottare alle singole prefetture (regioni) delle clausole da inserire in ogni genere di contratto - dall’apertura di un conto in banca a un contratto d’affitto, ai contratti nell’edilizia - che bandiscono ogni legame con il crimine organizzato. Se un costruttore si rivolge a ditte gestite dalla yakuza - molti se ne servono per sgomberare, con minacce e altri mezzi poco ortodossi, gli edifici sul terreni a cui sono interessati - lui non può essere arrestato, perché pagare la yakuza per fare un lavoro non è illegale, ma il suo nome viene reso pubblico, il che implica un azzeramento degli affari e una condanna alla bancarotta. E’ successo alla Suruga corporation, una grossa azienda di costruzioni e vendita di immobili. Nel 2008 aveva pagato 50 milioni di dollari a una ditta di facciata della Goto-gumi, proprio per un servizio di sgombero. Hanno arrestato qualche uomo del gruppo ma non il proprietario dell’azienda, che però é fallita dopo che la vicenda é venuta a galla. Un altro esempio: se chi apre un conto in banca non dichiara subito di avere legami con la yakuza quando firma il contratto, in seguito può essere perseguito per frode. Queste misure cercano di supplire alla mancanza di una legge anticrimine e credo che qualche effetto avranno. Anche perché le aziende avranno sempre meno denaro a disposizione, e ricorrere ai servizi forniti dalla yakuza sarà sempre meno conveniente>>.

Come mai proprio adesso questo giro di vite? <<Perché si è rotto un equilibrio. Finora il tacito accordo tra autorità e criminali prevedeva che la yakuza rimanesse nell’ombra. Nell’estate 2010, invece, quando è scoppiato uno scandalo che ha bloccato il campionato di sumo, è successa una cosa inedita: cinquanta membri della Kodokai, un’affiliata della Yamaguchi-gumi particolarmente indomita, hanno sfilato davanti alle telecamere. Una provocazione inaccettabile che si aggiungeva a una serie di altri episodi in cui la Kodokai si era mostrata pronta a combattere. Nel 2007 la polizia aveva fatto irruzione in una sede della Kodokai e i poliziotti avevano trovato le foto dei loro familiari appese alle pareti. Cose di questo genere. Il 30 settembre il Capo dell’Agenzia nazionale di polizia ha radunato tutti i comandanti del paese e ha dato un ordine preciso: distruggere la Kodokai, il passo necessario per attaccare la Yamaguchi-gumi. Lo scandalo del sumo non è scoppiato a caso. Tutti sapevano dei legami tra il sumo e la yakuza, del fatto che i lottatori erano nel giro di scommesse clandestine sulle partite di baseball, ma solo quando la Kodokai ha tirato la corda, la stampa ha scoperto l’acqua calda e ne ha parlato scatenando il putiferio>>. L’ultimo scandalo legato alla yakuza è quello che ha travolto Shinsuke Yamada, “il Jay Leno della tv giapponese”, come lo definisce Adelstein, che lo scorso agosto si è dovuto ritirare dalle scene dopo che i suoi rapporti con il crimine organizzato sono diventati di dominio pubblico. Una vicenda che ha messo in evidenza un altro aspetto della ramificazione della yakuza, i cui tentacoli sembrano arrivare ovunque: la sua presenza nell’industria dello spettacolo. Di questa e altre storie Jake Adelstein continua a scrivere su japansubculture.com, una fonte di notizie e aggiornamenti dall’underworld nipponico.

Quanto alla storia che gli ha cambiato la vita, quella di Goto e del suo fegato nuovo, Adelstein alla fine l’ha scritta nel 2008 sul Washington Post. Nel frattempo Goto si è ritirato ed è diventato un monaco buddista.ll chenon gli ha impedito di inserire nella sua autobiografia, uscita nella primavera 2010, una minaccia di morte chiaramente diretta a lui. Toshiro Igari, l’avvocato a cui Adelstein ha chiesto aiuto per fare causa all’editore, molto attivo contro il crimine organizzato, é stato trovato morto in una stanza d’albergo a Manila. Per la polizia si é trattato di suicidio, e il caso è stato chiuso. <<Se devono eliminare qualcuno fanno cosi. E stalo cosi anche con Itami Iuzo, un cineasta scomodo che alla fine hanno ’suicidato’ buttandolo giù da un edificio. Igari non era depresso e non ha lasciato nessun messaggio. Eravamo d’accordo che al suo ritorno dalle Filippine avremmo deciso cosa fare con l’editore>>. E’ stato questo l'ultimo episodio di una guerra non ancora finita.

da Alias, 17 settembre 2011


13/07/13

James "Soprano" Gandolfini: Street Life..








La Chiesa che..vogliamo

La Chiesa che vogliamo, quella che non vogliamo e Il linguaggio del regime di Marchionne


<<No dottor Figliulo, io non sto dalla parte dei violenti, nè volontariamente nè, come dice lei, involontariamente. Bisogna provare in ogni circostanza, anche la più burrascosa, a mettere le persone intorno allo stesso tavolo. Un vescovo, un pastore, non è un dirigente di un'azienda: quando vede e sente uomini gridare, ha l'obbligo morale di andare a vedere e sentire con i suoi occhi e con le sue orecchie. E ancora:

Credo che oggi, in questo tempo così difficile, i complici dei violenti siano tutti coloro che stanno rinchiusi nei loro fortini sperando che la burrasca passi senza bagnarli. Opera davvero violenza chi nega la speranza negando prospettive di futuro alle persone e alle famiglie. La chiesa ha una sola preoccupazione: che le famiglie non perdano il salario. E proprio perché conosco la complessità dei problemi, ho spesso incoraggiato le organizzazioni dei lavoratori a dare credito e fiducia ai piani dell’azienda.>>

12/07/13

Colonialismo Digitale

Robert Castrucci
Con il digitale - sostiene una tesi ampiarnente diffusa - qualsiasi contenuto informativo perde la corrispondenza con il suo contenitore di origine: la musica non e più legata alla forma del disco; la fotografia si libera della costosissima carta fotografica; un filmato non è più il contenuto in un vhs o in un dvd; un testo non è più necessariamente contenuto in un libro cartaceo. Sotto forma di bit i contenuti fluiscono liberamente nelle reti telermatiche, sono trasmessi, scaricati e archiviati per mezzo di una molteplicità di canali, di dispositivi, di mernorie.

Eppure, l'indifferenza del testo al veicolo utilizzato non deve indurre in errore sull’importanza del contesto in cui esso è fruito. Una questione sottovalutata, quando non completamente ignorata, dai 'colonialisti digitali', secondo cui tutto ciò che puo migare verso il digitale, deve necessariamente farlo. Una tesi fortemente contestata da Roberto Casati in Contro il colonialismo digitale (Laterza, pp. 131, euro 15), in particolare per la lettura e l’istruzione che, proprio per il contesto d’uso fatto di spazi protetti e di tempi lenti, dovrebbero restate fortemente ancorate ai propri 'contenitori' analogici, rispettivamente il libro e la scuola. L’impianto dell’ argomentazione di Casati si regge su un assunto particolare: il successo dell’ ebook non sarà legato ai dispositivi espressamente dedicati al libro elettronico (ebook reader) ma dipende dal successo dell’iPad, analogarnente a quanto avvenuto alla fotografia digitale con l'introduzione della fotocamera nei telefoni cellulari: il mercato delle macchine fotografiche digitali ne risulta cannibalizzato. Due elernenti, l'insuccesso degli ebook reader e il ruolo marginale delle fotocamere digitali, entrambi quantomeno da dimostrate (curiosamente, nel libro non sono forniti dati a supporto di questa tesi)

Ammettendo come vera questa aftermazione, ci si potrebbe anche chiedere:
Che differenza c’è su quale tipo di schermo leggo un libro elettronico?
La differenza sta nel fatto che l’iPad è nato per soddisfare bisogni rapidi e per crearne incessantemente altri; é un terminale di una smisurata catena di distribuzione. Una vetrina che cornprende applicazioni in grado di permettere la lettura di libri elettronici, che si trova a competere sullo schermo con le moltissime applicazioni possibili. In un contesto altamente distrattivo, fatto di zapping e di multitasking, che non è favorevole alla lettura di saggi e finirà per non essere favorevole alla loro scrittura. Insomma, trasferendo il testo dalla carta a una qualche forma di visualizzazione su schermo, muta anche la forma del libro, non più adatto a un dispiegamento sequenziale dei concetti, che richiede al lettore grandi e lunghe dosi di attenzione. Il libro di carta - argomenta Casati - fa parte di un ecosistema, e il suo ruolo non é rimpiazzabile dall’ebook. Ha un formato cognitivo perfetto. Assolve al suo compito in rnodo egregio perché contiene solo se stesso. ll libro di carta e insostituibile dal punto di vista cognitivo, perché protegge la nostra risorsa mentale pin preziosa: l'attenzione. E inoltre impermeabile all’intrusione della personalizzazione. Ogni libro di carta è un piccolo ecosistema, una nicchia ecologica in cui convivono simbioticamente un autore e un lettore. Se l’ambiente digitale è diventato inospitale per la lettura dei libri, occorre progettare spazi dedicati alla lettura, che non può essere sostituita dall’uso pur consapevole della rete. La tecnologia non può essere subita, ma deve essere oggetto di negoziazione: il suo design deve corrispondere alle effettive esigenze della scuola e della lettura, attorno a cui nei secoli si sono cristallizzate norme e regole sociali che li deniscono e li proteggono. Un affannosa rincorsa di una tecnologia in rapidissima evoluzione che viene soltanto subita deve cedere il passo a una riflessione da cui la scuola avrebbe tutto da guadagnare, sulle sue immense potenzialità non digitali in un mondo colonizzato dagli stumenti digitali cornmerciali.

Non abbiamo nessuna ragione di subire la novità tecnologica, né per aiutarla a priori; possiamno sernpre negoziare. La novità non è un destino, ma se le tecnologie devono diventare delle opportunità bisogna reinventarle di continuo. Il design ha cercato per decenni soluzioni per attirare l'attenzione. E' giunto il momento di cercare soluzioni che la proteggano. Più che un attacco al libro elettronico, il saggio di Roberto Casati è un’accorata difesa della scuola e della lettura di libri, dei tempi lenti, di uno spazio protetto dalla continua distrazione che ci consegna l'incessante innovazione tecnologica multimediale. Con appena 26,4 milioni di italiani che leggono libri, di cui solo quattro milioni ne leggono più di dodici l’anno, ci si chiede se era necessario scomodare l'ebook  per fare i conti con la nostra cronica e diffusa ignoranza.

da ilmanifesto

06/07/13

David Foster Wallace: Come diventare se stessi

L'incontro tra lo scrittore americano e il reporter di Rolling Stone, all'indomani dell'uscita di Infinite Jest. Cinque giorni passati a chiacchierare di scrittura, fama, depressione..

F. Borrelli (Alias, ottobre 2011)
Quasi nessuno aveva letto Infinite Jest quando David Lipsky venne mandato dalla rivista “Rolling Stone” a intervistare David Foster Wallace; ma lui era già una celebrità. Quasi nessuno poteva avere letto il romanzo per la semplice ragione che le millequattrocento pagine scampate ai dolorosissimi tagli imposti dall'editor avrebbero richiesto almeno due mesi e mezzo di dedizione pressoché totale per essere adeguatamente assimilate, e la campagna pubblicitaria, invece, era partita in coincidenza con l‘uscita del libro, appena una ventina di giorni prima. Ma il faccione di Foster Wallace, con la fronte attraversata dalla famosa bandana -inaugurata per impedire al sudore di gocciolare sulla macchina da scrivere elettrica provocandogli una scossa, e mai più lasciata per <<paura che mi esploda la testa>> - era già comparso su ‘Time’ e su ‘Newsweek’, e la rivista ‘Esquire’ aveva speso per lui niente meno che la parola genio.
Alcuni dei suoi fan, del resto, all’uscita di Infinite jest erano ancora freschi di esclamativi, perché quello stesso anno, il 1996, era comparso su ‘Harper’s’ il racconto della crociera extralusso alla quale David Foster Wallace si era sottoposto su e giù per i Caraibi, un pezzo di bravura destinato a diventare famoso con il titolo “Una casa divertente che non farei mai più” (minimum fax, 1998).

Quanto a David Lipsky , era alla sua terza intervista con un personaggio famoso e alla sua prima conversazione con uno scrittore: da Foster Wallace, che aveva allora trentaquattro anni, quattro più di lui, avrebbe voluto cavare succose rivelazioni sulla sua dimestichezza con la droga e, possibilmente, qualche assaggio di cosa significhi essere depressi: insomma dettagli sullo stile di vita piuttosto che su quello letterario. I due passarono insieme cinque giorni, gli ultimi del tour di presentazioni di Infinite jest, e tutta la sbobinatura di quanto si dissero è leggibile anche in italiano, tradotta da Martina Testa per minimum fax con il titolo Come diventare se stessi (Sotterranei, pp. 443, € 18,50).

Nulla di comparabile all’impegno maniacale con il quale David Foster Wallace ha sempre scelto le parole viene fuori dall’intervista, che tuttavia raccoglie alcuni frutti della vivacità mentale dello scrittore americano, informazioni interessanti e esercizi di ironia alternati a qualche rapsodica presa di contatto con i ricordi del suo breakdown depressivo - <<vedevo il filtro che mi scendeva davanti agli occhi, non so se mi spiego, vedevo come distorceva le immagini>>. Era il 1989, DFW aveva dovuto interrompere il suo Corso di filosofia a Harvard per scegliere di ricoverarsi all’ospedale psichiatrico McLean's, <<l’atto più coraggioso che abbia mai fatto>>, raccontò, <<la prima volta in vita mia che mi trattavo come avessi davvero un valore>>. Tra i venti e i trent’anni, la pressione delle enormi aspettative riposte nel suo talento già evidente lo avevano esasperato: la sua tesi di laurea, rielaborata, aveva preso la forma di un primo romanzo fluviale, La scopa del sistema, alle cui proposte di editing aveva ribattuto con una lettera di diciassette pagine dove spiegava che tutto il libro andava inteso come “una conversazione tra Wittgenstein e Derrida”. La sua seconda performance, il racconto lungo ‘Verso Occidente’, suonava come “una chiamata alle armi della metafiction postmoderna “: detto in altri termini, rifaceva il verso a John Barth. Questi i precedenti.

Non a caso, DFW si ritrovò a dire, nell’intervista a Lipsky: <<le parti di me che pensavano fossi diverso, più intelligente o quello che era, mi hanno quasi portato alla morte>>. Allora, la possibilità che ogni frase uscita dalla sua penna fosse men che fantastica gli era intollerabile. Il gusto di lavorare a lungo sulla pagina era venuto più tardi, e con questo la consapevolezza di essersi costruito ‘dei muscoli interiori’ che, all’uscita di Infinite Jest lo autorizzavano finalmente a sentirsi uno scrittore. Il momento era arrivato di <<starsene seduti in prossimità degli allori e guardarli con affetto>>.

Certo, la visibilità ottenuta come persona non avrebbe giovato alla sua scrittura, ma valeva la pena correre il rischio se almeno fosse stato possibile <<rimediarci un po’ di sesso>>. Purtroppo, pare che non andò cosi. Tuttavia Lipsky assicura che DFW <<pompava fascino come un reattore>>, il che naturalmente era basato su un pregiudizio, ossia sulla leggenda rapidamente diffusa circa la singolarità della sua scrittura; ma poi, alla prova dei fatti, chiunque lo abbia conosciuto può testimoniare di un fascino tutto vero. Difficile pensare che le folle siano state rapite nei gorghi delle sue note a piè di pagina, certo é che l’intelligenza ansiosa nascosta dietro il bisogno di rendere conto di tante e diverse prospettive deve avere lusingato l’amor proprio di molti lettori, e quella implicita chiamata alla violazione del senso comune deve avere fatto il resto. D’altronde, stando a quanto racconta lo stesso Lipsky nella sua bellissima postfazione, già quando venne pubblicato lo sterminato resoconto che DFW scrisse sulla crociera nei Caraibi non poche persone se ne leggevano brani al telefono, lo fotocopiavano, lo faxavano, insomma gli tributavano le attenzioni dovute a un feticcio. Non sarebbe stato dunque possibile, dopo la sua morte, evitare la tentazione di dare alle stampe anche ciò che lo scrittore americano non aveva licenziato: cosi, l'ultimo romanzo al quale stava lavorando, The Pale King é stato fatto uscire in America con il sottotitolo “romanzo incompleto” e in Italia è uscito per Einaudi. Il fatto stesso di stabilire la successione dei capitoli - in questo romanzo che ha tra i suoi temi principali la natura della noia e come set l’agenzia tributaria americana - ha comportato un notevole arbitrio, per non parlare delle centinaia di pagine estromesse; ma secondo il ragionamento dell’editor storico di DFW, Michael Pietsch, il fatto stesso che l'autore abbia preservato il dattiloscritto nonostante l’intenzione di suicidarsi, e il posizionamento al centro della sua scrivania di duecentocinquanta pagine apparentemente ultimate, starebbero a indicare l’intenzione di rendere pubblico il romanzo. Del resto, ha commentato la sua agente Bonnie Nadell, <<quando muori sono gli altri a prendere le decisioni per te>>. A favore della pubblicazione parlano i dodici anni di lavoro riversati nel libro, mentre a sfavore si potrebbe citare quel che DFW disse a Dave Eggers nel 2003, nel corso di una interista destinata a ‘The Believers’: <<Cio che la gente alla fine legge, della roba che scrivo, é il prodotto di una specie di lotta darwiniana nella quale solo le cose che per me, a livello empatico, sono vive, solo quelle vale la pena di finirle, sistemarle, editarle, adeguarle alle norme redazionali, ritoccarle nei minimi dettagli e cosi via>>. Una sensazione, questa che valga solo ciò che sulla pagina sembra animarsi di una esistenza propria, esplicitata anche nella intervista con Lipsky, quando DFW dice <<sento come se i personaggi mi parlassero. Sento che quella pagina, che quella pagina, è una cosa viva>>. Poco disponibile a commuoversi per ciò che usciva dalla sua testa, I ‘autore di Infinite Jest aveva tuttavia preso gusto alla fatica di scrivere, come lui stesso dice nei passaggi dedicati al suo lavoro, mentre della persona che era rende meglio conto la postfazione di Lipsy, che sta alla intervista come la verità narrativa sta alla verità storica nei resoconti dei casi clinici: la prima è un costrutto creativo guidato dalla ricerca del senso, ricerca “particolarmente insidiosa – ha scritto uno psicoanalista di nome Donald Spence - perché riesce sempre”; la seconda è una attività ricostruttiva, che pesca da quanto documentato nel passato. Le due verità, naturalmente, esibiscono non poche costanti.

Per esempio, il giusto peso attribuito da DFW alla fama: <<a gran parte delle persone intelligenti >> ha detto - capita di rendersi conto che questa considerazione degli altri nei nostri confronti, non è abbastanza nutriente per impedirci di spararci in testa>>...



05/07/13

Datagate, l’Europa e il discorso dello schiavo

Riscrivere la storia di Emma Bonino sarebbe inutile, noioso e assolutamente di poco interesse. Gli internauti però sono scatenati. Bonino "massone", (ex) membro di quel ristretto gruppo di "vampiri" che è il gruppo Bilderberg, sionista, radicale e quindi voltaggabbana per eccellenza. Mascherata da difensore dei diritti civili (ma come si fa, senza vergona, a braccetto con gente come Gasparri, Storace..) la sua candidatura aveva già regalato la regione Lazio alla disastrosa Polverini. Non contenti, con neanche l'uno per cento di consensi viene nominata ministro degli esteri. E da questa poltrona tuona patetica: niente asilo a Snowden, abbiamo fiducia negli alleati americani. Patetica. Ridicola. Per non parlare dell'ignobile comportamento sull'incredibile atto di pirateria internazionale,  il dirottamento dell'aereo del presidente della Bolivia Evo Morales, (di cui la Bonino neanche mezz'unghia..) e la negazione del nostro spazio aereo (insieme a Francia e Portogallo) all'ingresso, legittimamente richiesto, dell'aereo del presidente Morales, per il sospetto che a bordo ci fosse la "talpa" Snowden. Naturalmente il ministero diretto dalla Bonino non commenta e non smentisce, in perfetto stile Cia.
Detto questo è davvero avvilente il servilismo degli stati occidentali davanti all'arroganza della principale potenza imperiale, gli Usa. E aggiungiamo che a Edward Snowden, (come a Julian Assange)  non solo si dovrebbe dare asilo, ospitalità e protezione, ma fargli una statua, per l'impegno e il coraggio con cui ha rivelato al mondo come gli Stati Uniti spiino tutte le comunicazioni possibili e immaginabili, anche tra i propri alleati, servendosi del super  programma Prism. E magari affidargli incarichi di governo, con la speranza che  personaggi come la Bonino spariscano dalla vita politica di questo paese e dalla scena pubblica.. definitivamente..


Datagate, l’Europa e il discorso dello schiavo
F. Mastrogiovanni |
C’è un aereo presidenziale su cui vola un presidente di una democrazia amica dell’America latina. Sta viaggiando per i fatti suoi sopra l’Europa quando scopre che non può sorvolare l’Italia, la Spagna, la Francia e il Portogallo. Dicono che non può farlo perché a bordo del suo aereo presidenziale, che in quanto tale gode di totale immunità, soprattutto se al suo interno viaggia il presidente stesso, nel caso della nostra storia Evo Morales, presidente della Bolivia, potrebbe essere nascosto un giovine accusato di un delitto in un altro Paese.
Questo aereo presidenziale diretto a casa, la Bolivia, è costretto a fare scalo (uno scalo obbligato di 14 ore) nell’aeroporto di Vienna, in Austria, unico paese che gli consente di atterrare. Non c’è alcuna ragione per la quale quattro paesi europei, sovrani, debbano impedire a un capo di stato amico, in tempo di pace, di sorvolare il loro suolo o attraversare il loro spazio aereo. Si vocifera però che il presidente andino ospiti a bordo del suo jet un pericoloso criminale ricercato in tutto il mondo per aver svelato che il governo del suo Paese, gli Stati Uniti, ficca il naso nella privacy di mezzo mondo. Va bene, allora dicevamo non c’è nessuna ragione tranne la cessione di sovranità a un Paese terzo, in questo caso gli Stati Uniti. È interessante osservare come governi europei, di fronte a un atto illegale, la violazione della privacy da parte di organismi statali statunitensi anche a danno di istituzioni e di cittadini europei, preferiscano mettersi al servizio del Paese che commette l’illecito piuttosto che al servizio delle vittime (in questo caso degli stessi cittadini europei). È bizzarro osservare come si preferisca incrinare rapporti diplomatici con paesi amici e violare accordi internazionali per obbedire agli ordini di qualcun altro, che ha già dimostrato in che considerazione tenga i suddetti popoli europei. Non ci si deve meravigliare che le spie facciano le spie, che lo squalo faccia lo squalo, che il più forte detti le regole e che il subalterno (o cane da guardia) le esegua, anche contro se stesso, nel più classico cliché del discorso dello schiavo. Fa sorridere invece la grottesca indignazione che i membri del governo italiano mostrano nei confronti degli Stati Uniti, quell’indignazione di facciata di chi non conta nulla (e lo sa) e che ormai viene espressa addirittura contro voglia, senza nemmeno cercare di convincere l’audience. Vedere Emma Bonino, tenace ministra, una vita spesa da paladina dei diritti umani, che oggi appare sotto tono nel tentativo di difendere l’indifendibile. Battuta miseramente sul suo stesso campo. Rimaniamo pazientemente in attesa di vedere cosa si inventeranno i rappresentanti della nostra patria e della nostra bandiera, oltre a bandire l’espressione “Italia paese di merda”, considerata da oggi vilipendio, per difendere il nostro onore, il nostro suolo patrio e i nostri sacri valori.


Reporters senza frontiere e Julian Assange in favore di Edward Snowden

Il direttore di Reporters sans frontières Deloire Christophe e il fondatore di WikiLeaks Julian Assange hanno firmato un editoriale su Le Monde, chiedendo all’Unione Europea di proteggere Edward Snowden.

“Il 12 ottobre 2012 il premio Nobel per la pace è stato assegnato all’Unione europea per ‘il suo contributo alla promozione della pace, della riconciliazione, della democrazia e dei diritti umani in Europa’. Ora l’Europa deve essere all’altezza e dimostrare il suo impegno nella difesa della libertà di informazione, indipendentemente dai timori di pressioni politiche da parte del suo ‘migliore alleato’, gli Stati Uniti”, scrivono su Le Monde Assange e Deloire.
Gli stati membri dell’Unione europea, soprattutto la Francia e la Germania, devono riservare la miglior accoglienza possibile a Edward Snowden, secondo i due attivisti. “Gli Stati Uniti rimangono uno dei paesi al mondo che più di altri portano avanti l’ideale della libertà di espressione, ma il loro atteggiamento verso chi rivela delle informazioni riservate è chiaramente in contrasto con il primo emendamento della loro costituzione”.
“Gli informatori come Edward Snowden sono stati definiti dall’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa come ‘persone che divulgano informazioni riservate o segrete, nonostante il loro impegno, ufficiale o meno, a tutelare la riservatezza o di segretezza’ e una risoluzione del consiglio d’Europa ne ha previsto la difesa in caso di buona fede”, prosegue la lettera.
Le rivelazioni di Edward Snowden hanno un chiaro interesse pubblico, secondo Assange: “Le informazioni che ha diffuso hanno permesso a giornali come Guardian, Washington Post e Der Spiegel di fare luce su un sistema di sorveglianza che controlla decine di milioni di cittadini. Se i paesi europei dimenticheranno i loro princìpi e il motivo dell’esistenza stessa dell’Unione europea però, quest’uomo resterà bloccato nella zona internazionale dell’aeroporto di Mosca”.
“I leader statunitensi dovrebbero capire l’evidente contraddizione tra i loro discorsi sulla libertà d’espressione e il modo in cui si comportano. I membri del congresso devono essere in grado di combattere gli abusi del Patriot act, riconoscendo i legittimi diritti degli uomini e delle donne che lanciano l’allarme della libertà d’espressione. La legge Whistleblower Protection Act, che protegge gli impiegati del governo che denunciano illeciti, deve essere modificata per assicurare una protezione efficace agli informatori che agiscono nell’interesse pubblico. Un interesse completamente diverso da quello che intendono i servizi segreti”, conclude la lettera.

04/07/13

Diario dell'Apocalisse

Francis Ford e tutta la famiglia Coppola. E Marlon Brando, Martin Sheen, Robert Duvall, le intuizioni di Dennis Hopper, le Filippine, Gerry Garcia e i Grateful Dead. E ancora le sbornie, l'erba, le difficoltà finanziarie, i disastri e gli incidenti.. L'incredibile racconto della realizzazione di Apocalypse Now, diciasette mesi nella giungla per creare uno dei film più leggendari della storia del cinema scritto da Eleanor Coppola.. 

Ieri sera Francis ha visionato il montaggio preliminare della prima settimana di riprese. Erano le scene con Harvey Keitel, che fa la parte di Willard. Poi si e seduto sul divano con i montatori e Gray e Fred, i produttori. Ha chiesto: <<Be’, che ve ne pare?>> Sono salita a dare la buonanotte ai bambini e quando sono scesa di nuovo, dopo un quarto d’ora, erano già al telefono per prenotare dei posti sul volo per Los Angeles. ll giorno dopo Francis ha deciso di sostituire l’attore protagonista. Gray gli ha detto: <<Gesù, Francis, ma come fai ad avere il coraggio di fare una cosa del genere?>> Stamattina Francis si e svegliato ancora pin presto del solito; la notte non aveva dormito granché. Ha cominciato a radersi la barba. Quando, verso le sei, e sceso per far colazione, i ragazzi erano davvero stupiti. Ultimamente si era messo le lenti a contatto, perché è più facile guardare in macchina senza occhiali, e aveva perso una quindicina di chili. Sembrava proprio un altro. Ci ha detto che voleva andare a Los Angeles senza essere notato dai giornalisti. Non voleva che cominciassero a spargersi voci sulle difficoltà del film prima che avesse trovato a chi assegnare la parte di protagonista. Quindi ha detto di essersi tagliato la barba per dimostrare a se stesso, con una specie di gesto simbolico esteriore, che anche quando si trova in grosse difficolta è sempre in grado di cambiare.

Sylvia Ji , "ci piace"

la tehuana
Ritratti di persone, volti sconosciuti, bellezza decadente. Contemplativa, spirituale, a tratti misteriosa, e tuttavia  un prolungamento di se stessa, bizzarra, divertente. Sylvia Ji è giovanissima, nata nel 1982  a San Francisco, in California, e trasferita a Los Angeles nel 2005, dove attualmente risiede. I suoi disegni, sono incentrati su figure femminili , autoritratti e donne eteree e carnali allo stesso tempo, provocatorie ed evanescenti. I colori (predomina il rosso) sono  audaci, abbaglianti e dai tono..psichedelici, descrivono una femminilità pericolosa e inquietante: la sensualità, la lussuria, la provocazione. Tutte le opere sono acrilico su tele e pannelli di legno.  L'arte come piace a noi. Sylvia Ji, ci piace..
Una galleria dei lavori pubblicati sul sito ufficiale è visibile qui













03/07/13

Zombie Vs Vampiri: 2.0

Addio vampiri. Dracula & co sono un’espressione dell’era moderna. Lo zombie, al contrario, incarna il postmoderno. E’ una contraddizione, un ossimoro ambulante: morto vivente. E un remake dell’individuo, e, come tutti i remake, è inferiore all’originale. Marcio. Una serie tv, The Walking Dead, ne celebra il grande ritorno.

Se il vampiro seduce, lo zombie terrorizza. Non a caso, in informatica, è usato come metafora dell’infezione virale: un pc compromesso da un cracker o infettato da un virus in maniera tale da permettere a utenti non autorizzati di assumere in parte o per intero il controllo viene definito, appunto, “zombie”. Di norma, il vampiro coesiste con gli esseri umani. Lo zombie ne segna l’estinzione. Come tale, rappresenta l’apocalisse. Negli ultimi cent’anni, il vampiro non è mai veramente cambiato. Lo zombie, invece, ha subito upgrade significativi: se quello romeriano d’annata 1968 procedeva lentamente, quello contemporaneo rilanciato dal Danny Boyle di 28 giorni dopo e dallo Zack Snyder di Dawn of the Dead - è uno sprinter, alla faccia del rigor mortis. Non c’é scampo. E nel contesto videoludico, il vampiro è sporadico, mentre lo zombie e pervasivo. Alcune delle saghe pin celebri - da Resident Evil a Left for Dead - ci costringono a fronteggiare orde di morti viventi in scenari allucinanti. Esiste tuttavia un medium che, fino a oggi, è rimasto relativamente al sicuro: la televisione. Forse perché il piccolo schermo, come ci ricorda Clay Shirky, é già morto, dominato com’e da logiche commerciali del Ventesimo secolo, infestato da figure grottesche e personaggi lobotomizzati. Le cose, tuttavia, stanno per cambiare. L’invasione televisiva é ufficialmente cominciata: The Walking Dead ha debuttato su AMC (il network che ha prodotto il meglio delle serie statunitensi, da Mad Men a Rubicon; in Italia la trasmette Fox Channel) ed è arrivato alla terza serie. Tratto dall’eccellente fumetto di Robeit Kirkman per Image Comics e prodotto da Frank Darabont (II miglio verde, TheMist), The Walking Dead è la realizzazione di un sogno, o meglio di un incubo collettivo. Ci troviamo di fronte alla prima vera meta-narrazione dello zombie, un racconto che diventa un’epica e che trascende i limiti strutturali del formato cinematografico. Per esempio, una durata non superiore alle due ore, una struttura episodica limitata, una caratterizzazione dei personaggi appena abbozzata. The Walking Dead realizza una convergenza mediale (fumetto-televisione) ma anche generica (è horror, western e drammatico). Eleva lo zombie a personaggio: il morto vivente non si perde nell’orda, ma acquista personalità propria, grazie all’incredibile make-up di Greg Nicotero. E come ogni opera postmoderna, The Walking Dead si produce in un’orgia di riferimenti all’immaginario filmico degli ultimi trent’anni.
Wired
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Sì. Lo zombie rinasce di nuovo nelle nostre città, nelle nostre piazze, figlio del disagio, incarna l’ansia e il male di vivere della popolazione, rappresenta la crisi dell’individuo vessato dal malgoverno e dalle inesistenti politiche sociali. Il suo incedere lento e orrorifico è reale e, lungi dallo spaventare le persone, è accolto con gioia, dalle persone presenti e dalla polizia che controlla la manifestazione. Il perché di tutto questo risiede nel fatto che la marcia claudicante dello zombie è foriera di Valore, è redenzione, rivalsa e ostinazione di un popolo vessato ma che è duro a morire, combatte ogni giorno trascinando la propria esistenza al limite delle possibilità di vita. È l’individuo che dopo essere stato ucciso dalla tirannia delle banche e dagli interessi del potere, dopo essere morto e sepolto nell’indifferenza delle grandi manovre economiche, scarnificato, vessato, ritorna a vivere, con grande dignità.

Franco La Polla e Giuliano Santoro, L’alba degli Zombie, che chiarisce esattamente le dinamiche in campo:
«Il potere ha inventato il terrore e il sovrannaturale è la conseguenza di una radicata tradizione di paura che il potere ha coltivato e instillato nel corso dei secoli. Certo, oggi nel 2011, ci sentiamo di aggiungere che il sovrannaturale è anche qualcos’altro che investe soprattutto una dispercezione del Reale provocata ad arte attraverso un diabolico matrimonio tra tecnologia e tecniche invasive di persuasione..».

La notte dei morti viventi ha anche il merito di sottrarre il cinema horror per usare le parole di Carpenter “all’abbraccio mortale del gotico e di trasportare l’orrore che, sino allora, era quasi sempre stato ritratto e identificato in un luogo “altro”, direttamente negli Stati Uniti d’America".
Se gli zombie degli anni '80 erano una chiara metafora dell'istupidimento della società, quelli contemporanei propongono due contrapposte visioni del mondo: da una parte la volontà di sopravvivere a tutti i costi in un mondo di zombie, con sparute comunità umane che devono rinunciare a ogni forma di tecnologia sociale, e difendere i pochi oggetti simbolici che li identificano come vivi. Dall'altra opposta la consapevolezza che, se davvero il mondo sta morendo, i ragazzi sono già pronti ad andare oltre: si dicono già-morti. E guardano cosa succede. A differenza dei vampiri, dove il male è estetizzato(fino a diventare.. irresistibile) la cultura zombie mortifica il corpo. L'orrore viene esposto ed esaltato, una sorta di ribellione come lo fu il punk, a questo mondo dove sembra invece indispensabile avere una totale cura di se e del proprio aspetto. La nuova morale zombie non è abbracciare la morte o la non-vita: si sentono dei sopravvissuti, rivendicano la possibilità di essere brutti.

C’è qualcosa di terribilmente malinconico nella strana esistenza di questi esseri: vestono ancora i camici da dottore, i pigiami in cui dormivano, la cravatta dell'ufficio.. Quando si accalcano contro una porta e iniziano a sbatterci contro, quasi con delicatezza, senza lamentarsi, non sono tanto diversi da quelli che fanno le file di fronte agli Apple Store per comprarsi l'ultimo modello IPhone. Lo zombie in fondo è il simbolo del consumismo americano e non ha nessun potere soprannaturale, nessun fascino, nessuna possibilità di redenzione: è l'ultimo degli schiavi. Ci assomigliamo e chiunque intorno a noi può trasformarsi in un Walking Dead. Barcollanti, con vestiti logori sembrano animali feriti pronti a sbranarsi tra loro, proprio come gli zombie vagano nei centri commerciali affamati di una fame che non si estingue mai. In ambedue i casi, vagano forse alla ricerca della loro vita passata.. Gli zombie emergono dalle tombe, a volte è un virus sintetizzato in un oscuro laboratorio che ci trasforma. E' semplicemente un’onda che va arginata e fatta esplodere senza rimorsi. Solo in ventotto Giorni dopo di Danny Boyle sono apparsi ..gli zombie 2.0: non ondeggiano come sonnambuli, ma sono veloci e agili, come babbuini con la rabbia. Si aggirano tra case abbandonate trasformate in rifugi in cui farsi e vivere, senza servizi igienici, tra sporcizia e distese di tappeti di siringhe. Nell'ortodossia, uno zombie lo evitiamo senza problemi, due anche, tre sono guai, ma quelli aumentano e alla fine inesorabilmente ti divorano. La massa, ignorante, ha sempre la meglio sull'intellettuale isolato. Non c’è altra morale..

S. King dice che tramite gli zombie, e l'horror in generale, l'essere umano instaura un rapporto dialettico con la propria ventura e inevitabile estinzione, e ha un valore consolatorio. Magari, nell'horror si trova, soprattutto per chi non possiede una fede religiosa, nessuna illusione nell'alida', la speranza che si possa rivivere tornando dalla morte, che è un tema primario nel genere...




La Tv pubblica norvegese, modello Pirate Bay

Eirik Solheim

<La TV modello Pirate Bay >

<<Ci costera una birra o due».
<<COSA?». <<Si, il software ha una licenza beerware>>.

Sono a una riunione e cerco di spiegare il costo del tracker di BitTorrent che abbiamo appena installato alla NRK, Norwegian Broadcasting Corporation. Non e facile. Ho passato settimane intere a illustrare perché il più grande gruppo televisivo pubblico in Norvegia dovesse utilizzare un sistema che si basa sullo stesso software che alimenta il sito di Pirate Bay. E ora devo far capire le nozioni fondamentali del beerware. <<Vedete, se mai incontrassimo il programmatore che ha realizzato il software, dovremmo offrirgli una birra. Questo è quanto. E’ tutto ciò che chiede>>.

Questo software ha aiutato l’emittente televisiva di proprietà del governo a distribuire terabyte di dati a migliaia di persone. Attraverso una tecnologia temuta dall’industria dei media, e tuttavia estremamente efficiente e solida, diffondiamo enormi quantità di contenuti a un costo totale di distribuzione vicino allo zero. E tutto questo costituisce solo un piccolo esperimento tecnico. Durante la riunione, mentre cercavo di spiegare il termine “beerware” a un responsabile aziendale, mi sono reso conto che davanti a noi si aprivano anni entusiasmanti. “Informare, educare e intrattenere”, sono queste le parole che il primo direttore generale della Bbc, John Reith, utilizzò nel lontano 1929 per descrivere il sistema radiotelevisivo pubblico. Questa definizione è ancora assolutamente valida. Ma cosa direbbe oggi? Internet ha democratizzato la distribuzione. Il progresso tecnologico ha democratizzato la produzione. Ora abbiamo possibilità che Mr Reith non aveva a disposizione. Condivisione e partecipazione, combinate ad abbondanza e libertà di scelta impossibili da immaginare ai suoi tempi. Noi della Norwegian Broadcasting Corporation, in quanto servizio pubblico, abbiamo la libertà di sperimentare con i contenuti in collaborazione con il nostro pubblico, senza essere limitati dai modelli tradizionali di business. Un esperimento recente è stato la trasmissione su uno dei nostri canali televisivi di un documentario di sette ore su un viaggio in treno attraverso il paese. Gli indici di ascolto sono stati da record, ma un altro risultato inatteso è che la gente si è “riunita” attorno al nostro documentario attraverso l’uso di Twitter e di altri strumenti di comunicazione sul web. Insomma, una sorta di enorme evento parallelo che non ha avuto inizio da noi. L’esperienza ci ha convinto a distribuire l’intero viaggio in free download, completo di una licenza Creative Commons che consente qualsiasi utilizzo e ridistribuzione. Cosi, non appena e terminata la discussione durante lo show, il testimone è passato alla creatività del dopo-trasmissione: in Rete il documentario si é arricchito di numerosi e interessanti progetti e video, prodotti gratuitamente dal nostro pubblico. Un altro esperimento é stato includere i file dei sottotitoli per i nostri show televisivi più popolari downloadabili via Internet. Il risultato é che tutti questi prodotti televisivi sono ora tradotti (in inglese e, in alcuni casi, in tedesco) dal nostro pubblico e, di nuovo, gratuitamente. Quando facciamo esperimenti cosi radicali, molti ci chiedono se non siamo spaventati di perdere il controllo. Ma sbagliano. Il futuro riguarda il pubblico. Il futuro riguarda il fatto che, se vuoi il controllo sui tuoi contenuti, devi essere il loro miglior distributore. 

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