30/03/11

Life and Jacknife: Keith Richards

Zio, ho assoluto bisogno di..quindicimila lire! Non sò dove sbattere la testa e tu,tu sei la mia ultima risorsa. I Rolling Stones!? Tra quella masnada di drogati e depravati? Sei minorenne e i tuoi faranno fuoco e fiamme.. Zio,quindici bigliettoni e sarò tuo schiavo..per sempre! Lo zio cedette,venti invece di quindici,il resto per una coca e un panino e vedi di fare attenzione..Non ti deluderò. Niente coca e niente panino,l'avanzo in cassa comune per la spesa,non certo alimentare.
A volte non lo sopporto,io che passai le due ore del concerto-ne al S. Paolo di Napoli con lo sguardo fisso su Keith,mentre infuriava la battaglia sulle nostre teste a colpi di bottiglie,lattine,mazze e tutto quel che si poteva lanciare tra noi delle prime file e i militari della Nato di stazza a Bagnoli,accorsi in massa e arroccati pieni di birra e bandiere a stelle e strisce sulla tribuna destra dello stadio,non appena echeggiò il riff di Street Fighters Man.. ma nel contempo non posso fare a meno di questo vecchio pirata capellone che continua a sbraitare ancora in giro per il mondo questa vecchia canzone in cui chiede amore e felicità,con quelle sue movenze da burattino indiavolato,che è stato per lungo tempo considerato un pericolo per la società e che oggi risulta impossibile quanto ridicolo che un musicista rock possa scioccare a tal punto di svegliarsi una mattina qualsiasi attorniato da venti poliziotti in assetto di guerra..Il suo modo di suonare è sempre cattivo,a volte osceno,un energia minacciosa che rimanda al sesso e alla droga e sul perché nessun musicista oggi possa avere un impatto culturale così forte come ha avuto lui (forse johnny rotten il marcio e le dieci coltellate che si beccò dai monarchici fascisti inglesi..).Il r'n'r è si un genere musicale,una comunità di anime e stile di vita,ma chi è venuto su,chi è cresciuto a pane e chitarre elettriche sa benissimo che questo ha formato,culturalmente ed ideologicamente.. Sul nostro,il buon J. Depp si ci è costruito una carriera,io ho trascorso l'adolescenza cercando di vivere da rock star,in cerca di una direzione,in un ozio sognante.Lui risveglia il fanciullo che è in noi ma senza l'ingenuità che contraddistingue i fanciulli,l'ultima illusione tenace,che ascoltarlo e sopratutto a guardarlo si arriva ad una decisione titanica:negarsi e sostituirsi ad ogni forma di autorità ed induce a lavorare,per giorni,mesi, anni per cercare e crearsi uno stile,qualcosa che ci avvicini al supremo desiderio,da Peter Pan ad Oscar Wilde..forever young..

Non c'è introduzione,ne un anteprima blanda . Si è subito dentro la storia di uno dei più grandi chitaristi della musica rock,e nella narrazione di quella che tutt'ora viene presentata nei live show come la più grande band di rock'n'roll del pianeta. E' l'autobiografia di K.Richards e di conseguenza dei Rolling Stones,dall'infanzia nei sobborghi di Londra all'incontro con M.Jagger e il resto dei componenenti che andarono a formare la prima line-up del gruppo.“Una stanzetta piena di cartoni delle uova provvista di un registratore Grundig”. È il primo studio di registrazione dove il gruppo prova interpretando le cover di Muddy Waters e C.Berry non avendo altra aspirazione che diventare la band regina del blues di Londra,fino ad arrivare a quel suono “grezzo, rauco, potente" che è il marchio di fabbrica degli Stones da circa mezzo secolo .Per poi ostentare jet privati, macchine costose, ville e castelli in giro per il mondo firmando contratti discografici milionari. E' la narrazione di un percorso musicale e umano forse unico nel grande circo della musica alternativa,perché al di là della ricostruzione della vita da pirata del 67enne chitarrista è un formidabile spaccato della cultura pop dell'ultimo mezzo secolo.Un libro da leggere tutto d'un fiato e che è stato scritto con la semplicità di una chiacchierata tra amici ,densissimo di date e di fatti,il tutto senza nessun ombra di autocensura:la creazione di riff entrati nella leggenda e che hanno influenzato generazione di musicisti, la storia della tossicodipendenza e dell’isolamento,della descrizione minuziosa delle droghe assunte,gli effetti benefici e quelli devastanti e delle terribili astinenze,spazzando via leggende e dicerie che lo hanno perseguitato per anni,come il suo presunto completo riclico di sangue in Svizzera fino alla storia secondo cui,non riuscendo a sballare abbia fumato le ceneri funerarie di suo padre. Ci sono resoconti brutali sui rapporti con gli altri menbri della band,in particolare con B.Jones e lo stesso Jagger,amori dannati e folli,passando da vere e proprie muse come Anita Pallemberg (soffiata proprio a Jones) fino alle centinaia di groupie che seguivano la band in ogni angolo del mondo,ad altri che mostrano l'altro lato di Keith,il racconto di come si prese cura di una ragazza cieca,fan sfegatata che si reca dal magistrato che lo sta giudicando in Canada per possesso e spaccio di stupefacenti e intercedere in suo favore. Una schiera impressionante di celebrità dai membri della Factory Warholiana alle top model, registi, pittori, gente che ha influenzato la moda, lo stile, le visioni di tre generazioni, restituita nella sua controversa umanità (sempre con ghigno sarcastico implicito) da Richards. , i guai con la legge e con il fisco, la Francia,la residenza in Svizzera e l'innamoramento per la Jamaica e i ritmi reggae,insomma,una vita sempre al limite e sopra le righe, vissuta attraverso il forte uso di droghe, con la convinzione di essere quasi immortale, intramontabile e del fatto di potersi ormai permettere qualsiasi cosa, alla continua ricerca di se stesso con il rischio di diventare una parodia di quel che si pensa di essere e il rifiuto di far parte dello show biz e delle sue regole,lontano anni luci dal presenzialismo e del jet set che caratterizza molte delle star del grande circo del Rock'n'Roll.



Afferma, Keith:
"Ho sempre avuto un coltello con me. Ma è sempre e solo servito per difesa,per sostenere con maggior forza il mio punto di vista e,in alcuni casi,per farmi meglio ascoltare. Se uno ha intenzione di usare una lama bisogna riuscire a fare un taglio in orizzontale sulla fronte dell'altro,il sangue cola a fiotti ma in realtà il tizio non si fa molto male e per lo spavento si limita a ritirarsi perchè non riesce più a vedere. Ma la regola principale è quella di non usare mai e poi mai la lama:è lì per distrarre l'avversario,per essere convincente e per prendere tempo:mentre lui fissa l'acciaio luccicante gli appioppi un calcio nei coglioni..ed è tuo!"

Talk is Cheap












In un tempo lontano..
Pomeriggio inoltrato. Devo avviarmi alla metro e traversare tutta la città per raggiungere un ospedale,meglio, una clinica,una delle più esclusive e costose di tutto il paese. Lì è ricoverato un mio nipote carissimo,colpito da leucemia fulminante. Ha solo 8 anni.. La piazza è deserta,semibuia,teso e nervoso,affranto. Non so minimamente come affronterò questo immenso dolore,ho la mente in completo disordine,in una condizione di fragilità emotiva estrema. Sofferenza. Cerco di attraversare la strada,un rombo improvviso e sento una botta al braccio sinistro. La moto sfreccia incurante,finisco di scansarla e resto immobile mentre mi arriva un insulto..Deficiente.. Rispondo con un..coglione,tutto il fiato che ho in corpo tanto che risuona e rimbomba su tutta la piazza. La moto si ferma e torna un po indietro Sono in due,tolgono i caschi aperti,teste rasate e avanzano verso di me. Ho la saliva che mi luccica sulle labbra,un ondata di calore mi sale alla testa,cede il passo la prudenza e la..ragione. Comincio a correre verso di loro e mentre faccio scattare la lama che ho in tasca, con movimenti da..invasato tolgo il giubbetto di pelle che indosso come seconda pelle. Attimi in cui loro osservano tutta la scena. Di colpo si bloccano,tornano indietro,rimontano in sella veloci..Io continuo a correre..correre,il respiro esce dalla bocca a piccoli sbuffi per l'aria gelida. Quello dietro si volta a guardare..gli sono addosso e riesco a tirarlo giù..L'altro continua la sua corsa. Andare incontro ai propri disastri come un fiore all'occhiello..







29/03/11

Primavera

Si..la primavera è arrivata,l'aria è dolce e i profumi nell'aria.Come sempre ad ogni cambio di stagione il sonno ritarda ad arrivare,la sera.L'uomo che lavora per sopravvivere non può godere di una vera integrità,così non mi importa se faccio l'alba e la mattina arrivo stravolto al lavoro. E io..io adesso ho i problema di dormire.Essere un osservatore ti fà mantenere a distanza e comunque,costantemente in allerta. Osservi gli avvenimenti,le persone,il loro mondo,il modo di interagire..Ci vuole tempo per affinare questa..facoltà che ti tiene stranamente distaccato. Cosi mi ritrovo in un deja vù,e di quelli peggiori. Seduto nell'oscurità davanti ad uno schermo ad osservare la luce e i lampi dei tracciati di bombe e proiettili scagliati sulle città,incredibilmente commentati da una giornalista che con enfasi si sofferma sulla "bellezza" dei missili cruise sparati dalle portaerei americane. Per i media la guerra,il più grande spettacolo che esista e che fà guadagnare share pazzeschi. Qualsiasi odore percepisco nell'aria mi dà la nausea.Di tanto in tanto vado alla finestra,sul vetro,insieme a quella del gatto,vedo il mio riflesso deformato,una valanga di pensieri che,ti ripeti,non hanno senso ma che continuano a ronzarti per la testa.E' che la gente ci mette del tempo ad arrivare al punto delle cose,quando ci arriva e quello che non ho capito è che i sogni non sono fantasie:mostrano quello che la coscienza vede in mondi..superiori e nascosti e allora rimpiangi di non aver dato retta negli anni alla coscienza e alla forza delle proprie idee. La domanda è sempre quella:perchè? In spregio alla costituzione e alla disparità di trattamento nei confronti di altri paesi (Israele sopratutto,con centinaia di risoluzioni Onu a carico). Questa volta,dopo i farfugliamenti iniziali,la disinformazione sui morti civili(prima diecimila,poi ottomila..una pena) e per evitare che vengano sbugiardati dopo (le armi di distruzione di massa dell'Irak inventate di sana pianta)hanno subito ammesso:nessuna guerra è umanitaria,ma sempre di conquista. E noi siamo lì per "evidenti obiettivi strategici e interessi economici". Quanto basta.
In questa nuova guerra,una nuova aggressione ad un paese sovrano l'Italia non aveva alcuna veste per intervenire. Siamo stati un paese coloniale anche se ridicolo e straccione,siamo stati i primi ad usare i bombardamenti aerei sui civili proprio in Libia ad inizio secolo,insieme a gas nervini con cui abbiamo fatto stragi e il fatto di aver dato armi e tecnologia ci mette in una condizione morale imbarazzante,quanto meno. L'attacco dopo avere sottoscritto un vergognoso trattato di amicizia con Gheddafi,con relativa pagliacciata e pacchiana accoglienza con tanto di accampamento beduino nel centro di Roma e condita con l'ormai famosoin tutto il globo..baciamano. Siamo quelli della "pugnalata alle spalle", e lo resteremo.
Il trattato recita :
Capo 1, ART. 3 :
- Le Parti si impegnano a non ricorrere alla minaccia o all'impiego
della forza contro l'integrità territoriele o l'indipendenza politica
dell'altra Parte o a qualunque altra forma incompatibile con la Carta
Delle Nazioni Unite.-
ART. 4 :
- 1. Le Partisi astengono da qualunque forma di ingerenza diretta o
indiretta negli affari interni o esteni cherientrino nella
giurisdizione dell'altra Parte, attenendosi allo spirito di buon
vicinato.
2. Nel rispetto del principio della legalità internazionqale,
l'ITALIA NON USERA' Né PERMETTERA' L'USO DEI PROPRI TERRITORI IN
QUALSIASI ATTO OSTILE CONTRO LA LIBIA E LA LIBIA NON USERA', Né
PERMETTERA'L'USO DEI PROPRI TERRITORI IN QUALSIASI ATTO OSTILE CONTRO
L'ITALIA-
ART. 20 :
- 1. Le due Parti si impegnano a sviluppare la collaborazione nel
settore della Difesa tra le rispettive Forze Armate, anche mediantela
finalizzazione di specifici accordi che disciplinino lo scambio di
missioni di espert, istruttorie tecnici e quello di informazioni
militari nonchè l'espletamento di MANOVRE CONGIUNTE.

Firmato dagli attualui primo ministro, ministro della difesa, degli esteri...dei due paesi.
A distanza di poco più di due anni l'italia si accinge, con i medesimi
vertici, a fare ...esattamente l'opposto.




Alpini Italiani (bravagente) in Libia


28/03/11

Notizielle

Intanto il nostro governo si mobilita per la ricostruzione proprio nel Giappone del dopo terremoto e il disastro di Fukushima: lo stesso Governo che non riesce a far partire la ricostruzione de L'Aquila. Oggi il sottosegretario agli Esteri, Stefania Craxi, un nome una garanzia, ha annunciato in pompa magna un'iniziativa concreta per dimostrare la solidarietà delle imprese italiane che operano in Giappone. Il 5 Aprile alla Farnesina si riuniranno i manager del Made in Itlay che hanno partner commerciali nipponici: il tutto per avviare una raccolta fondi destinata ad un progetto di ricostruzione comune, anche questo ancora da decidere. "Il 5 Aprile mobiliteremo le eccellenze italiane" ha detto la figlia di Bettino Craxi, sotto gli occhi di Gianni Letta, Lamberto Dini e l’Ambasciatore giapponese a Roma Hiroyasu Ando; "Col ministro Gelmini – ha anche aggiunto - stiamo pensando di organizzare una giornata di solidarietà nelle scuole". Gianni Letta ha precisato che "A fianco di questa iniziativa c’è tutto il governo italiano, e soprattutto il popolo italiano", ricordando anche che in occasione del terremoto in Abruzzo "I giapponesi sono stati i primi a offrire la loro solidarietà e i primi ad a offrire un segno tangibile, offrendosi di realizzare opera simbolica per la rinascita. Si sono offerti infatti di costruire un auditorium". Struttura che è già in piedi e che da metà Aprile sarà già funzionante. L'iniziativa è sicuramente lodevole, e necessaria al prestigio internazionale, ma non può che suscitare qualche ironia.
Gianni Letta in Abruzzo - Lo Stesso Gianni Letta in questi giorni si è recato a L'Aquila per sanare le baruffe tra Sindaco e presidente della Regione in merito a chi debba gestire i fondi per la ricostruzione della città devastata dal terremoto di 2 anni fa. Nello stesso lasso di tempo in cui si sono svolti i faccia a faccia tra Sottosegretario e istituzioni Abruzzesi, a Tokyo hanno tirato su un'autostrada. Ad aumentare i risvolti comici della pomposa iniziativa di ricostruzione italiana in Giappone, c'è un altro piccolo fatto: sempre lo stesso Letta due giorni fa ha partecipato all'inaugurazione del "Lotto Zero", una variante stradale che migliora i collegamenti di Teramo con il resto dell'Abruzzo. La sua lunghezza è di 2,7 chilometri e per realizzarla ci hanno impiegato più di dieci anni. Forse è meglio restarcene a casa.

A tal proposito ecco una notiziella,da Repubblica,per sottolineare ancora una volta come si cerca di manipolare l'informazione,a volte in modo subdolo e sotterraneo,altre in modo squallido e maldestro e ricordare ,perchè sempre ce ne bisogno,che uno dei nodi da sciogliere in questo paese è il conflitto d'interessi,un conflitto macroscopico e devastante,che non ha eguali e che pesa come una spada di Damocle sulla democrazia di questo paese (una vera non democrazia)


Mediaset manda in onda una finta terremotata pagata 300 euro. Pagata per leggere un copione scritto dagli autori del programma Forum, condotto da Rita Dalla Chiesa su Canale 5. "L'Aquila è ricostruita"; "Ci sono case con giardini e garage"; "La vita è ricominciata"; chi si lamenta "lo fa per mangiare e dormire gratis". Per questo "ringraziamo il presidente..." . "Il governo... ", precisa la conduttrice.

Marina Villa, 50 anni, nella trasmissione di venerdì si dichiara "terremotata aquilana e commerciante di abiti da sposa" in separazione dal marito Gualtiero. Ed è lì in tv con il coniuge a discutere della separazione davanti al giudice del tribunale televisivo. Ma è tutto finto: lei non è dell'Aquila, non è commerciante, il vero marito è a casa a Popoli, il paesino abruzzese nel quale la coppia vive: si chiama Antonio Di Prata e con lei gestisce un'agenzia funebre.

L'assessore alla Cultura dell'Aquila, Stefania Pezzopane, ha scritto una lettera a Rita Dalla Chiesa: "Nella sua trasmissione, persone che, mi risulta, non hanno nulla a che vedere con L'Aquila, hanno fatto un quadro distorto e assolutamente non veritiero". Quando scoppia la polemica anche su Facebook, non è difficile rintracciare Marina. "Ma che vogliono questi aquilani? Ma lo sanno tutti che è una trasmissione finta". Si dice, la signora Villa, molto sorpresa dalla rabbia dei terremotati: Mediaset manda in onda una finta terremotata pagata 300 euro. Pagata per leggere un copione scritto dagli autori del programma Forum, condotto da Rita Dalla Chiesa su Canale 5. "L'Aquila è ricostruita"; "Ci sono case con giardini e garage"; "La vita è ricominciata"; chi si lamenta "lo fa per mangiare e dormire gratis". Per questo "ringraziamo il presidente..." . "Il governo... ", precisa la conduttrice.

Ma che pretendono. Io non c'entro nulla. Ho chiesto di partecipare alla trasmissione e quando gli autori hanno saputo che ero abruzzese, mi hanno chiesto di interpretare quel ruolo. Mi hanno spiegato loro quello che avrei dovuto dire". Marina racconta di essere stata pagata: "Mi hanno dato 300 euro. Come agli altri attori. Anche Gualtiero, che nella puntata interpretava mio marito, recitava. Lui è un infermiere di Ortona. Hanno scelto un altro abruzzese per via del dialetto".

Ecco il copione di Marina in tv: "Hanno riaperto tutti l'attività. I giovani stanno tornando". Durante il terremoto "sembrava la fine del mondo, non riuscivo a capire se era la guerra, la casa girava. Si sono staccati i termosifoni dal muro". Ora invece è tutto a posto: "Vorrei ringraziare il presidente e il governo perché non ci hanno fatto mancare niente... Tutti hanno le case con i giardini e con i garage, tutti lavorano, le attività stanno riaprendo". Le fa eco la Dalla Chiesa: "Dovete ringraziare anche Bertolaso che ha fatto un grandissimo lavoro". E giù applausi. Mentre Marina aggiunge: "Quello volevo pure dire". "Inizialmente - continua il copione - hanno messo le tendopoli ma subito dopo hanno riconsegnato le case con giardino e garage. Sono rimasti 300-400 che sono ancora negli hotel e gli fa comodo". "Stanno lì a spese dello Stato: mangiano, bevono e non pagano, pure io ci vorrei andare". Ma lei non è dell'Aquila, la notte del 6 aprile 2009 era a casa a Popoli. È stata solo finta terremotata a pagamento per un giorno su Mediaset.

Alert ! Fukushima












Il Giappone ha fama di avere un potente sistema sanitario nazzionale. Ha un sistema sanitario nazionale a disposizione per tutti i cittadini con una particolare attenzione gli anziani,e offre l'assicurazione sanitaria a centinaia di milioni di persone, cosa che comunque è obbligatorio avere se si è cittadino della loro nazione. D'altra parte hanno un tasso di..obesità molto basso mentre questo cresce a dismisura negli USA,fattore importante sul costo sanitario nazionale,dato che l'obesità è carrello di moltre altre patologie(asma,malattie cardiocircolatorie,diabete..).L'efficienza tecnologica nipponica è risaputa. Investono pochissimo (l'1%) per gli armamenti riversando fondi cospicui nella ricerca e lo sviluppo tecnologico portando il paese in rapidi progressi in tutti i campi.E' uno dei paesi più forti soprattutto nei settori della macchine e dell'informatica, leadership nella robotica,una buonissima istruzione, una qualità complessiva della vita elevata. Ed è sostenuto da molti essere il posto migliore dove impiantare una società tecnologica invece che negli Stati Uniti. Tra qualche hanno il denaro scomparirà dalla vita dei giapponesi,insieme a carte di credito e documenti di riconoscimento:grazie al sistema Wallet,che è un sistema di sicurezza e informazione attraverso i cellulari. Questo a dimostrazione di quanto la tecnologia giochi un ruolo di qualità nella vita dei cittadini e come essa sia messa a disposizione dei cittadini stessi. Un elenco di innovazioni inaudito con una massa di informazioni prodotte senza precedenti,comunque.Il Giappone è anche il paese che ha provato sulla sua pelle cosa vuol dire un esplosione nucleare, un paese che sa cosa vuol dire vivere su delle isole soggette a terremoti, eha ben 55 centrali nucleari. Ora proprio a causa di un terremoto è successo quel che è successo a Fukushima. Fà alquanto impressione e fà spavento le facce e le espressioni dei dirigenti e tecnici del sito atomico esploso che in televisione continuano a scusarsi e a fornire informazioni di cui il popolo giapponese (e ormai tutto il mondo) diffida. La situazione è molto più grave di quanto vogliano far credere sopratutto perchè la densità di popolazione è molto più elevata rispetto a Chernobyl a fronte della quantità di fuoriuscita del materiale minore,a loro dire. Il punto è che se in questa nazione così avanzata è accaduta una tragedia simile come non pensare che non possa accadere altrove? Superficialità e negligenze ci saranno pure ma la questione è che il nucleare è un energia che non si può produrre senze conseguenze perchè non si possono prevenire eventi di clamità naturali oltre alla superficialità e alle negligenze. Inoltre non è in pericolo solo il paese che la produce:si pensi ad un esplosione in Francia ,o in Svizzera.. Qui in Italia non sappiamo smaltire i rifiuti ne riconvertirli in energia e in prodotti (creando cosi economia come tanti paesi hanno imparato a fare),come pensano di fare una volta che ci saranno quei fustoni? Sottoterra? In mare? Sarebbe il disastro in un paese già martoriato. Il contrappasso è il taglio dei fondi all'energie rinnovabili in attesa dell'avvio del progetto nucleare italiano affidato a..Scajola,lo stesso Scajola che non ricorda chi cazzo gli ha comprato un super appartamento con vista sul Colosseo!(Crozza dicet) Speriamo nel referendum e sul'opposizione che si farà al tentativo che faranno per ribaltarlo anche il caso di vittoria del Si. In Germania,paese con centrali e che dopo Fukushima ha deciso di sospendere il programma, in alcuni lander importanti i verdi hanno stravinto le elezioni,premiati per la continua e netta battaglia antinucleare. Un velo pietoso sui verdi italiani e i loro ..disastri, appunto.





26/03/11

Gli anni '90 nei suoi slanci ed eccessi: Tutt'orecchi di Dennis Cooper

Tutt'orecchi ha la felice varietà della vita. E' un incursione ispirata e approfondita nelle culture e sottoculture giovanili, ma anche una cronaca puntuale dei fermenti e dei malesseri della West Coast. La fotografia degli anni '90 nei suoi slanci ed eccessi,ma anche una riflessione di carattere universale sul nesso tra arte e vita. Tanti e diversi i protagonisti: da Leo Di Caprio ai prostituti sieropositivi di L.A., dalla fotografa Nan Goldin agli studenti stralunati dell'UCLA. Questa è una raccolta di interviste, ritratti e reportage, un vero classico del giornalismo d'autore. Tutt'orecchi è pubblicato da PLAYGROUND nella sezione Liberi e Audaci.


AIDS: LETTERE DAL FRONTE

(I nomi dei personaggi sono stati cambiati)

Me ne sto seduto a un tavolo dell’Onyx, un bar poco illuminato a East Hollywood, decorato con goffi quadri neoespressionisti e affollato da una manciata di trendoidi tutti curvi a leggere i loro libri. Jason, il cliente di un amico che lavora con ragazzi di strada sieropositivi, ha deciso di condividere un paio delle sue giornate con me, a patto che faccia un po’ di pubblicità alla sua band. Si chiamano i Rambo Dolls, ci torneremo dopo. Intanto, ecco Jason, che si infila nell’ingresso con la forza di un tornado. Non può che essere lui, basta un’occhiata: capelli biondi e spettinati, facciata ossuta, due occhi blu davvero giganteschi e tutto l’armamentario grunge regolare, jeans strappati, maglietta dei Sandy Duncan Eye, camicia di flanella fuori dai pantaloni, doc martins a pezzi. Jason sembra davvero una rockstar, anzi assomiglia proprio a Dave Pirner dei Soul Asylum. Ma non appena si avvicina al tavolo e posso squadrarlo da vicino, mi accorgo che il suo viso fa quasi paura, come se fosse troppo perfetto, costruito a tavolino. E fai davvero fatica a credere che un ragazzino così carino non abbia più una casa e viva per strada.
“Come ti sei ammalato?” gli chiedo.
“Be’, non lo so. O perché scambiavo le spade con gente che non conoscevo”, mi risponde senza spostare lo sguardo dalle gambe. “O perché mi sono fatto scopare senza goldoni, o perché mi sono scopato qualche ragazza che sapevo che aveva l’AIDS, senza mai usare un gommino. Vedi, me lo sarei potuto beccare centinaia di volte il virus”. Fa una pausa, e il suo sguardo si fa più disperato. “Credi che cambi qualcosa?” Mi fissa per un istante. “Cioè, voglio dire, credi che cambi qualcosa anche se potevo rimanerci chissà quante volte, no?”.
Riesco a malapena a balbettare, che, insomma, ecco, dovrebbe stare più attento.
“Be’, certo, ovvio, no! Sì, cioè, dovevo starci attento prima… più attento, cioè”. Si gira di scatto, all’improvviso, e grida qualcosa verso la porta dell’Onyx: “Vattene! Vai a fare qualcosa!”.
Si voltano tutti. Fuori dal locale c’è una ragazza magra, smunta, coi capelli rossi, probabilmente sui venticinque, ventisei anni. Se ne sta lì sul marciapiede. “Va bene, va bene” urla, e scivola via, scomparendo oltre lo specchio della porta.
Deve essere la sua ragazza, più o meno.
Jason si gira di nuovo verso di me. “Sì. Katie. Sto da lei ultimamente. È okay, è solo che, cioè, vorrebbe che l’amassi ma le ho detto che non posso perché io tra poco muoio, ma lei vuole che la amo lo stesso e allora…” Piega un poco la schiena, come se volesse scomparire.
“È dura”.
Annuisce con violenza. “E si fa pure di eroina capisci”. Si allunga sulla sedia. “E cioè è un casino totale perché io sono pulito da quando ho scoperto sta cosa del virus. E quindi mi tocca guardarla mentre si fa le pere ed è un casino davvero. A me poi non mi è mai piaciuta l’eroina, quindi in un certo senso è più facile, cioè è meglio che se si facesse di crack o cose così che mi piacciono insomma. Ma comunque è tutto più difficile, capito?” Sembra sempre più nervoso, e continua a fissare una strana briciola che è praticamente fossilizzata sul tavolo, proprio al centro, a metà strada tra Jason e me.
“Sì, capisco” gli dico. Comunque, che mi dici del tuo gruppo?
“Oh, cazzo”. Si irrigidisce, schizza indietro, scattando in piedi e fa un faccia come se gli avessero appena sparato. “Cioè, adesso mi tocca mantenere la promessa, vero? Se vuoi, puoi venirci a vedere quando proviamo, tra un po’. E poi decidi cosa fare con la band e tutto il resto…” Solleva le spalle.

Con tutte quelle organizzazioni come Covenant House, Angel’s Flight, Gay and Lesbian Center, che si danno da fare per risolvere la piaga dei ragazzi di strada, viene quasi spontaneo pensare che la situazione sia più o meno sotto controllo. O almeno era così che la pensavo io. Jason la vede un po’ diversamente. D’altra parte lui ha fatto tutto ciò che è umanamente possibile pur di evitare qualsiasi servizio di aiuto e assistenza sanitaria, anche se non riesce nemmeno a spiegare la sua avversione. Jason dice che non gli piace essere “controllato”. A sentir lui, anche i programmi più laici, senza nessuna menata religiosa, impongono una serie di restrizioni alla sua libertà. Preferisce avere una serie di figure parentali più o meno mobili e intercambiabili. In passato si è affidato a uomini anziani che lo pagavano per un po’ di sesso e che si interessavano al suo benessere in modo abbastanza autentico da offrirgli un certo senso di calore, pur mantenendo un rapporto così corrotto da permettere a Jason di darsela a gambe ogni volta che gli faceva comodo, senza sensi di colpa. Oggi invece si affida agli amici più vicini, molti dei quali li incontrerò nel corso della giornata, più tardi: tutti più o meno affetti da una specie di sindrome del buon samaritano, persone che si dedicano al benessere di Jason, spesso sfiorando il limite dell’isterismo e della compulsione. E, be’, anch’io nel nostro breve incontro, mi ritrovo a provare qualcosa di simile a una relazione psicologica tipo padre e figlio.
Ce ne stiamo appoggiati a un’auto parcheggiata davanti all’Onyx. Mezzo isolato più in là Katie entra ed esce da un negozio di libri, fa avanti e indietro come uno yoyo, con il collo piegato. Di tanto in tanto ci lancia un’occhiata, mi pare. Jason parla di quello che gli passa per la testa, lo lascio fare. Più che altro ce l’ha a morte con la clientela dell’Onyx, e tutti quei discorsi sugli artisti scoreggioni e tronfi, l’oppio della nuova borghesia, ecco, no? Un classico predicozzo stile punk, penso io.
Jason è un rottame emotivo, ma è anche acuto, certo in uno stile un po’ da autodidatta. I suoi gusti politici e musicali, ad esempio, se li è fatti sfogliando Maximum RockNRoll, un giornale punk niente male, molto affettato, che Jason legge religiosamente da quando era un ragazzino. E adesso che ce ne stiamo al sole, mi accorgo che infilata nella cintura dei pantaloni Jason tiene una copia di un libro di Noam Chomsky, che deve avere appena rubato da qualche parte. Mi spiega che voleva leggere Chomsky da un bel po’, prima che iniziassero i suoi giorni sieropositivi e senza casa, cioè più o meno quattro mesi fa.
Allora Jason viveva con un gruppo di teenager, tutti più o meno anarchici, con i quali aveva occupato un edificio abbandonato a un paio di isolati da Hollywood Boulevard. Di questo periodo della sua vita Jason parla senza problemi, dandoti tutti i dettagli; ma qualsiasi cosa sia successa prima – vale a dire, tutta la sua infanzia e adolescenza – è praticamente un terreno minato, off limits. Ogni volta che gli scappa detto qualche dettaglio – che so, che è cresciuto nella San Fernando Valley, o che suo padre era un dottore – il suo corpo è come scosso da una strana esplosione di energia fisica. Prende a pugni l’aria, a calci il marciapiede. Se cerco di incastrarlo, Jason ammette solo che qualsiasi cosa sia accaduta, e comunque non sono affari miei, gli ha insegnato che alla gente non gliene frega un cazzo di niente degli altri, e non credere a quello che ti dicono.
Gli chiedo dei suoi amici.
“Ecco. Giusto appunto. Anche loro. Non è che me li tenga molto a lungo. La maggior parte dei miei amici non sono amici veri. È solo gente che gli piaccio sessualmente. Ma quando capiscono che sono una testa di cazzo e che mica mi faccio scopare così, se ne vanno”.
Perché non ti fai scopare? In fondo Jason è una marchetta, quindi…
“Perché loro dovrebbero essere i miei amici” mi urla. Poi si guarda la punta dei doc martins, sorride e si schiarisce la voce. “Piaccio anche a te, vero?”.
“No” gli dico. Ed è la verità.
Jason mi lancia un’occhiata. E gli si stampa in faccia un sorriso strano, tutto smancerie e flirt. “Sì, sicuro” mugugna.
Lo conosco quel sorriso. Il mio primo ragazzo era un marchettaro, come quasi tutti i suoi amici. E primi che iniziasse l’AIDS, anch’io bazzicavo i bar delle marchette, più che altro perché mi piaceva la tensione che c’era nell’aria. Ho già visto quel sorriso centinaia di volte, quando fanno i preziosi, e se Jason non è un vero esperto in materia, certo è un veterano. Se poi ci aggiungi la sua bellezza, be’, non ci metti tanto a capire che Jason deve fare affari d’oro in quel giro. Vero?, gli chiedo.
“Vero” ammette, ridendo alla grande. “Ma non è che ho deciso di passare gli ultimi giorni della mia vita nella casa di qualche vecchio porco miliardario”. A quanto dice, ha avuto un bel po’ di occasioni di sistemarsi, per usare le sue parole, soprattutto con un “famoso manager discografico” del quale non mi vuole dire il nome, più che altro perché il tizio lo invita fuori ancora di tanto in tanto, e anche perché Jason dice di rispettare la privacy della gente. “E poi se avessi la testa sulle spalle, in fondo sarei ancora là, a vivere nella casa occupata, mica a dividere i miei giorni con una tossica”: Un’altra occhiata, questa volta un po’ assassina, in direzione della ragazza. “Katie, cazzo, muovi quel culo. Andiamo”.

Siamo in macchina, sto accompagnando Jason e Katie a casa di lei, a downtown, dove i Rambo Dolls dovrebbero provare. Ho chiesto a Jason di guidarci in un tour lungo l’Hollywood Boulevard, per farmi vedere un po’ dei posti che bazzicava quando viveva ancora nella casa occupata. Dalle parti del Teatro Cinese, che Jason definisce il “posto migliore al mondo per fare moneta”, incontriamo un vecchio amico di J, uno dei suoi compagni di occupazione, poi diventato il cantante dei Rambo Dolls.
Bouncer è un ragazzo poco più che adolescente, alto, magro, con un viso dolce e una lunga e morbida cresta di capelli biondi. Se ne sta lì a chiedere moneta e Jason mi ordina di accostare.
“Ehi, sacco di merda!” gli urla, infilando la testa e un braccio oltre il finestrino. Scivola fuori così e atterra sul marciapiede. Bouncer lo aiuta ad alzarsi, e si danno un mezzo abbraccio e intanto fanno finta di fare a botte, mentre i turisti cercano di schivarli.
Katie e io li fissiamo restando in macchina, scambiandoci sorrisi divertiti. Se Jason non racconta balle sulle storie di droga di Katie, be’ allora lei in questo momento sta parecchio male. Il viso è un maschera pallida e verdastra, con due pupille gigantesche. Si è avvolta le braccia scheletriche attorno al torace, come se volesse strangolarsi. “Jason è… proprio… un bugiardo” mi dice battendo i denti e senza spostare lo sguardo dai due ragazzi che continuano a picchiarsi.
“Perché bugiardo?”
“Tipo quando dice che non mi ama. Sono sicura che lo ha detto anche a te, vero? Ma io me ne frego delle sue stronzate. E sono la prima a farlo, nessuna ha mai avuto il coraggio: lui è molto più malato di quanto dice. All’inizio non te ne accorgi, ma è magrissimo, proprio sotto peso, e ormai ha sempre la diarrea. Ecco perché non fa più tante marchette. E allora…”
All’improvviso Jason spalanca la portiera, salta in macchina spingendo Katie contro di me, che mi stringo nell’abitacolo. Sale anche Bouncer, che sbatte la portiera e si siede dietro.
“Come butta?” mi chiede il nuovo arrivato.
“Due cose. Uno: possiamo dare un passaggio a Bouncer, giusto?” Il viso di Jason è a un paio di centimetri dal mio. Il fiato gli puzza di AZT. È un odore acido, chimico, che sembra fuori posto con il corpo di questo ragazzino. “Due: Bouncer vuole sapere se dopo che hai lasciato Katie e me a casa, be’, se te lo vuoi scopare, lui ti fa un prezzo speciale, davvero quattro soldi. E poi tu e lui ci raggiungete da Katie, quando avete fatto, così vedi le prove. Cioè, gli ho detto che tu sei…” Sguardo confuso. “che sei gay, giusto? È così che vi si deve chiamare adesso, giusto? Anche Bouncer è gay, ed è carino, al verde, capito?”.

Lasciamo Katie e Jason a casa, e offro un pranzo a Bouncer, che mi racconta la sua storia, censurandola pari pari, come Jason. Al momento vive più che altro facendo moneta: fuma un sacco d’erba, ogni tanto fa qualche marchetta sul Santa Monica Boulevard, anche se le marchette lo deprimono parecchio perché è gay e forse si aspetta un po’ troppo affetto dai tizi che se lo fanno, o qualcosa del genere comunque. Al contrario di Jason, a Bouncer non dispiace avere a che fare con le organizzazioni di volontariato e quando gli serve, se ne scappa e si fa aiutare per un po’. In fondo, dice, un po’ di prediche e qualche ora di terapia di gruppo del cazzo valgono un letto caldo. Di solito però vive nella casa occupata di Hollywood, quella dove stava anche Jason. Finiamo il pranzo e gli chiedo di portarmici.
Entriamo in una vecchia villa vittoriana che deve avere vissuto almeno altre sette vite da quando è stata trasformata in un condomino con chissà quanti appartamenti. L’eleganza vittoriana è stata spazzata via, distrutta, insozzata a tal punto da trasformare l’intero edificio in una misteriosa grotta barocca. Non c’è quasi nessun al momento: i ragazzi devono essere tutti fuori, a battere i boulevard, a fare moneta per raccattare un pranzo da Mc Donald’s e comprare un po’ di droga. In casa c’è solo una coppia etero, probabilmente sui quattordici anni. I due giocano a carte in quello che doveva essere la sala da pranzo della villa, ora ridotta a uno stanzone vuoto, sporco e spoglio. I due hanno visi angelici, tagli di capelli punk un po’ fuori moda e indossano chissà quanti strati di abiti da due soldi. L’odore del loro corpo mi accompagna fino al secondo piano, dove Bouncer mi mostra la sua camera da letto, una vecchia cabina armadio nella quale ha gettato un materasso, un paio di coperte aggrovigliate e un cumulo di abiti. Bouncer si lascia cadere sul letto, per qualche secondo si fissa il pacco e poi solleva lo sguardo verso di me; e mi sorride. Uno di quei sorrisi.
“Chi decide chi può vivere qui?” gli chiedo.
“Chi vuole. Devi solo essere onesto, e non essere troppo fuori. E non devi cazzeggiare con la roba degli altri”.
“E allora Jason quale regola ha infranto?”
“Tutte. Io ho lottato per lui, per farlo restare. E avevamo quasi deciso di perdonarlo, perché è così bello lui”.
“Cioè, io è così che la penso” mi dice Jason.

Ce ne stiamo sul pianerottolo, fuori dall’appartamento di Katie, mentre lei si fa una pera in casa. Bouncer è andato in un negozio a fregare un paio di birre. “Cioè io non è che ci penso all’AIDS. Voglio dire, ad avere l’HIV. Mi dimentico sempre che non è ancora AIDS, in teoria. Ma poi se ci penso, le cose vanno così: cioè succede quasi sempre dopo che faccio sesso con qualcuno, non tanto con Katie, ma con qualche tizio che mi paga e penso ‘Ho solo l’HIV, va bene, andrà tutto bene’. Il dottore dice che mi restano magari ancora dieci anni da vivere da quando sono stato infettato, dieci anni prima che muoio se faccio le cose bene, se mi curo. Ma poi penso, ‘Be’, cazzo, magari me lo sono preso sette anni fa, visto che mi lascio scopare da quando avevo dodici anni, anche se magari sembra strano, ma è così. E poi ti viene da pensare a tutte le droghe che ti sei fatto, a come devono averti ridotto il sistema immunitario. E allora ti viene davvero paura, e pensi: affanculo, adesso mi ammazzo prima di ammalarmi davvero’. Perché è davvero troppo, capito? E ti trovi a pensare cose tipo ‘Odio tutti. È stato qualcuno ad attaccarmela questa roba. Non ti puoi fidare di nessuno’. E ti viene così tanta rabbia che vorresti ammazzare qualcuno, e i miei amici si beccano tutte queste menate, perché mi incazzo e faccio casino e loro sono sempre lì, per me, accanto a me. E allora ti senti in colpa per come li tratti, gli chiedo scusa e loro poi capiscono. Ed è un sollievo e magari torni a sentirti a posto e ti dimentichi dell’AIDS per un po’. È così che vanno le cose, la testa fa tutto un giro strano per non farti pensare più all’AIDS, cioè all’HIV. Secondo te lo fa cioè è un cosa cosciente?”.
Jason ti fa sempre queste domande impossibili. Grazie a dio il suo livello di attenzione è ridotto a uno straccio, e non si preoccupa mai delle risposte. Si gira di scatto e si mette a picchiare sulla porta di Katie. “Svegliati, cazzo di puntaspilli”.
Qualche minuto dopo arrivano gli altri Rambo Dolls. Brian è un ragazzo afroamericano, sui vent’anni, alto e gentile. Sei mesi fa un amico ha regalato a Brian una mezz’ora con Jason, per il suo compleanno, e sono diventati amici. Brian è il bassista ed è l’unico in tutto il gruppo che ha una vaga idea di cosa voglia dire suonare. Bart, il chitarrista, è un sedicenne hippie: ha appena chiuso con le droghe e a quanto pare è un specie di cristiano rinato. Non parla molto. Si è portato dietro un piccolo amplificatore scassato al quale si collegano sia la chitarra sia il basso. Jason suona la batteria, ma non si può permettere di comprarne una e allora si siede sul letto di Katie, con le gambe incrociate e un grosso libro d’arte sul quale pesta con due matite.
Per un’ora e mezza Jason colpisce il libro con tanta violenza da farsi sentire nel frastuono generale. Da quanto si riesce a capire in questo casino di suoni indistinti, il sound dei Rambo Dolls è una specie di hard core in versione parrocchiale. Più o meno come se gli Shaggs fossero cresciuti ascoltando i Melvins. Bouncer, che rimbalza e poga da solo al centro della stanza con uno strana smorfia da scimmia, canta e urla versi un po’ poetici e tronfi con le solite menate di politica punk, contro il razzismo, la droga, la misoginia ecc. E a dire la verità, di fronte a questa versione patetica dei Little Rascal, ci si sente davvero tristi. Grazie a dio, i ragazzi non mi prestano molta attenzione. Solo quando Bart e Brian se ne sono andati, e Bouncer si è addormentato in un angolo, Jason trova il coraggio per chiedermi nervosamente cosa ne penso. Ma a quel punto ho avuto tutto il tempo per prepararmi e dirgli un piccola bugia, incoraggiandoli un po’. “Niente male, davvero figo anzi”.
“Grazie” dice Jason. Mi sembra felice. Katie è sdraiata sulle sue gambe, e annuisce o forse dorme. “Sì, penso che tra un anno saremo famosi. È lì che voglio arrivare”.
“Quanto famosi?”
“Famosi come, cioè bravi quanto i Sandy Duncan’s Eye.”
“Ma non sono davvero famosi” gli dico. Comincio a capire cosa volesse dire Katie: sotto la luce tagliente che arriva dalla finestra, il corpo di Jason è come se fosse sgonfiato, la pelle del suo viso è troppo tesa, come se l’avessero tirata sulle ossa degli zigomi.
“Famosi abbastanza” risponde.
“Perché non essere famosi come gli U2?”
Jason mi sorride. “Perché fanno schifo”.
“Va bene, ma perché non essere in un grande gruppo che riesce a essere davvero famoso?”
Mi fissa disgustato. “È impossibile, amico”.
“Okay. Altri obiettivi? Cosa altro vuoi fare?”
“Non voglio morire. Almeno per un po’.” Lancia un’occhiata verso Katie. E mi sorride complice. “E avere una ragazza vera” sussurra controllando se lei è sveglia. No, dorme. “E diventare ricco, non so come, ma diventare ricco.” Abbassa di nuovo il capo. “Non vedere mai i miei genitori, mai più. E, certo, diventare un grande batterista.”
“Grande quanto?”
“Adam Pfahler.”
“Che suona con…”
“I Jawbreaker. Cazzo, sono grandissimi. Okay, ecco, voglio che il mio gruppo diventa famoso come i Jawbreaker. Bravi come loro.”
“I Jawbreaker sono più famosi dei Sandy Duncan’s Eye?”
“Be’, i Jawbreaker li conoscono tutti perché sono davvero forti. Sandy Duncan’s Eye vanno più che altro perché hanno un nome strano. Quindi sarebbe meglio essere come i Jawbreaker.” E fa una smorfia che lo fa sembrare un bambino di sette anni. La smorfia si trasforma in un ghigno, e Jason comincia a prendere a pugni l’aria. “Tanto muoio tra poco, quindi chi se ne frega, no?” Il suo sguardo si fissa nel vuoto per un secondo. All’improvviso spinge Katie che cade a terra, rotola su se stessa fino a raggiungere Bouncer. Si gira lentamente sul fianco e fissa Jason con uno sguardo preoccupato ma come annebbiato, confuso.
“Merda” biascica. “Stai piangendo, Jason?”
E, be’, cazzo, sì, sta piangendo.

Fast-forward. Questa giornata con Jason sarebbe dovuta essere la prima di una lunga serie, ma passa qualche giorno e di lui non c’è più traccia, scomparso. Ho chiamato Katie per chiederle di organizzare un incontro e lei ha cominciato a urlare, a dirmi che non sapeva dove fosse Jason e che non gliene fregava niente. Il mio amico, il terapista che mi aveva messo in contatto con lui, non vede Jason da mesi. Non ci pensa nemmeno tanto: ha almeno una dozzina di ragazzi da seguire. Ho dovuto guidare un bel po’ su Hollywood Boulevard, avanti e indietro, prima di incontrare Bouncer, sempre lì a far moneta. Dice che nemmeno lui ha visto più Jason, ed è preoccupato: cioè non che il suo amico si sia messo nei guai, ma che forse sia tornato dai suoi genitori invece di starsene lì con la sua vera famiglia, i suoi amici. Il terremoto di Los Angeles era passato da qualche giorno: la casa occupata è stata danneggiata e i ragazzi, Bouncer compreso, se ne sono andati, sparpagliandosi chissà dove.
Ancora oggi mi capita di uscire e guidare su e giù lungo il Santa Monica Boulevard, dove bazzicano i marchettari, alla ricerca di Jason. Non che sappia cosa dirgli. Fatti aiutare, curati, bla bla bla. Circa sei mesi fa ho incontrato Brian, il bassista dei Rambo Dolls, in una discoteca. Sì, mi ha detto, nessuna notizia di Jason. Ha sollevato le spalle, così come se niente fosse, ma il suo sguardo tradiva un dolore profondo: sembrava distrutto. Forse, ha continuato, l’ha rimorchiato qualche donna bellissima e l’ha portato a casa. Sì, forse. Questo è un mondo in cui la gente va e viene, e non sai mai perché e per come. Non ti resta che la tua immaginazione. Ami gli amici e gli amanti, li ami anche intensamente, ma devi essere sempre pronto a tagliarti fuori, a cancellare le emozioni. Sì, forse Jason ha avuto fortuna, ce l’ha fatta a uscirne alla grande. Chissà. Ma è davvero un errore illudersi e sperare che Jason sia tornato dai suoi genitori? Sarà sbagliato, ma spero che sia andata così. Per quanto distruttivo possa essere quell’ambiente, almeno sarebbe uno scenario reale. Se fosse tornato a casa, Jason sarebbe davvero da qualche parte, non saerbbe perso nel nulla. Ma poi per me è troppo facile: io non lo conosco, non so niente di lui.

Flash back. Subito dopo le prove dei Rambo Dolls. Sto accompagnando Jason e Bouncer al posto delle marchette, dove vogliono passare la notte per fare un po’ di soldi facili. Jason è un po’ fuori, urla, scazza, più che altro si lamenta e non sa se vuol dire a chi lo rimorchia che ha l’AIDS. Sto cercando di convincerlo che non dire niente sarebbe una cosa spietata. Bouncer annuisce e mugugna, più o meno è d’accordo con me. Più cerco di parlargli e più Jason si incazza, le sue idee si fanno più estreme: mi viene persino il dubbio che sia così incazzato solo perché cerca di farsi odiare per conquistare un po’ di simpatia e attenzione. Comunque in macchina c’è un vero casino. Si sta facendo buio, e i marciapiedi iniziano a riempirsi di ragazzi che passeggiano avanti e indietro, con aria svogliata, quasi tutti senza maglietta e lo sguardo puntato sui finestrini della macchine di passaggio. Ci fermiamo a un semaforo a ovest di LaBrea. Jason si allunga fino alla maniglia, apre la portiera, spinge fuori Bouncer e salta giù dalla macchina. Atterra quasi sui piedi di Bouncer e barcolla nel buio. Lo perdo di vista quasi subito. Bouncer si avvicina alla mia auto, chiude la portiera e appoggia i gomiti sul finestrino. Mi fissa con uno sguardo strano, come se volesse chiedermi scusa, ma è così pieno di paura e confuso che davvero non so cosa rispondere. Forse anch’io sembro spaventato. Non so che dire. Comunque sia, Bouncer si avvicina abbastanza da farmi sentire il suo alito impastato di AZT, proprio come quello di Jason.
“Staremo bene” mi dice prima di baciarmi sulla guancia. Scatta dietro, si volta e scompare chissà dove.





Usker Du - Warehouse:Songs and Storie

Dennis Cooper è nato nel 1953 a Los Angeles. Fonda la rivista Little Cesar, pubblica una trentina di volumetti di poesia, si dedica alla critica d'arte. Vive per dieci anni in Olanda. Un ciclo di cinque romanzi lo consacra autore di culto: Closer (1989; Tutti gli amici di George, Marco Tropea Editore 2001), Frisk (1991; Frisk, Einaudi 1997), Try (1994; Ziggy, Tropea 1997), Guide (1997; Idoli, Tropea 1998), Period (2000). Nel 1994 ha fondato la casa editrice Akashic Books, altrettanto di culto. Attualmente vive a Parigi. Fra i suoi estimatori Bono Vox,L.Di Caprio,Bret E. Ellis,S.Malkmus

Tutt'orecchi:
- Violenza, informazione, scrittura. La scrittura e la vita secondo D.Cooper
- AIDS: Parole dal fronte
- Intervista a K. Reeves
- Courtney Love e le Hole
- A colpi di fucile:la pittura di W.Burroughs
- Troppo cool per la scuola
- Tossici per emulazione:Rapporto tra rappresentazione della droga nella musica
- La ballata di Nada Godim
- L'ascesa di SonnySonny Bono
- Strettamente personale:Intervista a Bob Mould,ex leader degli Husker Du
- Ribelle tanto per:Intervista a Leo Di Caprio
- Visto da un raver Reportage dalla scena rave americana
- Il re del mormorio Stephen Malkmus
- Bellezza e tristezza La morte di River Phoneix
- La grana della voce La morte di Kurt Cobain
- La veglia di Flanagan La morte di Bob Flanagan,artista estremo
- Il re dei tossici La morte di William S.Burroughs
... ditemi se non è un libro da divorare!



Ma voi pacifisti,che fareste?


«Ma in questa situazione voi pacifisti che cosa fareste?» Tutte le volte è la stessa cosa. Quando scoppia un conflitto (Golfo 1, Kosovo, Afghanistan, Golfo 2, ora la Libia) puntualmente si assiste alla “liturgia” dei giornalisti che chiamano qualche illustre esponente del mondo pacifista/non violento e pone la domanda (convinto peraltro di aver posto una domanda intelligente). Il malcapitato intervistato cerca di articolare la risposta, ma il sagace cronista non lo lascia “tergiversare”: «Sì, ma Gheddafi voi lo avreste lasciato libero di continuare il massacro degli insorti? Come lo avreste fermato con la non-violenza?»… e via intervistando.

È una situazione difficile, per chi dice no alla guerra. Che può dire? «Sì, lascerei che Gheddafi terminasse il suo lavoro». Oppure, «no, in questo caso lo sommergerei di missili?»

Ebbene, la risposta è un’altra. Qualche anno fa feci un’intervista ad Alessandro Baricco (all’epoca stava cominciando la guerra in Afghanistan voluta da Bush). Il tema era tutt’altro, ma finimmo per parlare del non violento braccato dal quesito di cui sopra, il «voi-adesso-cosa-fareste». Lo scrittore disse che lui avrebbe risposto «adesso nulla; adesso che avete voluto la guerra, fatevela; adesso che avete compiuto tanti passi in direzione del conflitto, non vi resta che combattere, ma non chiedete la soluzione al pacifista». Già.

È come una partita a scacchi, durante la quale si chieda una via d’uscita quando mancano due mosse allo scacco matto. A quel punto c’è ben poco da suggerire. Ormai la situazione è compromessa.

È paradossale, ma i sostenitori della guerra (in questo come in tutti i casi precedenti) conducono un’azione politica che porta inevitabilmente al conflitto, salvo tacciare di disfattismo o di irenismo chi poi quella guerra contesta.

Prendiamo il caso della Libia. Chi, negli ultimi anni, ha sdoganato politicamente il ditattore Gheddafi? Chi ha sottoscritto contratti e accordi con lui? Chi lo ha invitato in visite ufficiali, in qualche caso baciandogli pure la mano? Chi lo ha chiamato a presiedere addirittura Commissioni per i diritti umani? Chi gli ha fornito l’apparato bellico? Non certo i pacifisti, per i quali Gheddafi è stato sempre e comunque un dittatore sanguinario. Non certo i pacifisti, che hanno sempre denunciato lo scandalo delle vendite di armi ai regimi autoritari e a quelli in guerra civile.

Eppure, poi, dovremmo essere noi, noi che prendiamo sul serio l’articolo 11 della nostra Costituzione (“L’Italia ripudia la guerra…”), a inventarci la quadratura del cerchio, cioè a evitare di rispondere alla guerra con la guerra, quando ormai gli insorti hanno le armi in mano e Gheddafi ha già fatto partire i suoi caccia.

No, la partita a scacchi la si conduce dall’inizio. Ci sarebbero state condotte politiche e strategie diplomatiche internazionali in grado di evitare i passi verso una guerra. Quei passi non sono stati fatti, quelle azioni non sono state messe in atto. L’Italia ha pensato al petrolio e ai respingimenti, la Francia al petrolio futuro, gli Stati Uniti a non farsi invischiare in un pantano euro-africano, e via di questo passo.

I pacifisti hanno le soluzioni. Le teorie e le prassi della non-violenza sono ormai antiche e collaudate. Ma occorre che i non violenti siedano a giocare la partita fin dall’inizio, non a tempo scaduto. A tempo scaduto continui a giocare chi ha voluto scendere in campo. E non chieda magiche soluzioni quando la partita della pace è ormai perduta.

L.Scalellari

Leghe

«Umberto, hai la patta dei pantaloni aperta!”». E lui? «Mi ha risposto: “Vaffanculo!”, ed è uscito dalla stanza. Dopo tre secondi è rientrato, e ha detto: “È aperta perché è sempre pronto”». Rosanna Sapori snocciola aneddoti sui suoi giorni verdi parlando da dietro il bancone di una tabaccheria a Zanica, provincia di Bergamo. Poco più che 50enne, ex giornalista di Radio Padania, ha tagliato i ponti con la Lega Nord nel 2004 quando, dopo vari contratti co.co.co, è stata “accompagnata alla porta”. Rompeva le scatole riguardo ai conti del Carroccio, ed era troppo in confidenza con Umberto Bossi. «Alla nomenclatura non andava bene il rapporto che avevo con lui», racconta. Eravate amici? «Lo conoscevo molto bene, ma non così tanto da diventare parlamentare. Capito mi hai?» Messaggio recepito, eccome.

Eppure, si intuisce, Bossi – “il Capo”, come lo chiamano da sempre i militanti padani della prima ora – le manca. Il Bossi che si affacciava negli studi di Radio Padania urlando: «Chi è Moretti?» (risposte dei presenti: «Un parlamentare della Lega?», «Quello della birra?»; risposta di Rosanna: «Il capo delle Brigate Rosse». Conclusione di Bossi: «Esatto! Tu lo sai perché sei una comunista di merda!»). Ricordan-dolo nel suo abbigliamento classico, Rosanna quasi si commuove: «Pantaloni grigio topo, scarpe stringate marroni, uno spolverino verde della Padania, canottiera bianca e in mano due sacchetti di plastica con dentro i sigari. Una volta gli ho detto: “Ma come sei ridotto?”. E lui: “Non ho dormito tutta la notte, non mi rompere i coglioni”».

Ma, al di là del folclore, i coperchi sollevati da Rosanna sono piuttosto interessanti. Interessanti al punto da chiedersi com’è che nessuno abbia mai fatto un grinza tutte le volte che lei ha parlato (l’ultima in ordine di tempo: lo scorso agosto al Riformista). Ad esempio: riguardo ad antiche relazioni economiche tra Silvio Berlusconi e la Lega. Alle voci secondo cui nel 2000 i due avrebbero (condizionale d’obbligo) stipulato un accordo per cui il primo avrebbe ripianato i debiti del secondo, congelando querele e rinnovando fideussioni, in cambio di cieca fedeltà. «Non ho prove», ammette Rosanna, «la mia è una supposizione. Ma se ripercorriamo la storia di quegli anni, quel che vediamo è una Lega sull'orlo della bancarotta: le rotative del giornale sotto sequestro, la disastrosa impresa della banca Credi-EuroNord...». E quindi? Quindi un patto che ha del mefistofelico: la cessione del simbolo. L'Alberto da Giussano e relativo brand leghista (s)venduti al Cavaliere in cambio di una pietra sopra le denunce nei confronti de La Padania per i titoli contro il Berluskaiser mafioso e piduista, e di sostanziosi aiuti alle casse del Carroccio fatte a pezzi da debiti.

Di un ipotetico contratto tra Berlusconi e Bossi i giornali in realtà già scrissero nel 2007, nel bel mezzo dello scandalo Telecom, parlando di una somma intorno ai 70 miliardi delle vecchie lire: «Che siano uno, 20, 70 o 100 non ha importanza», dice Rosanna. «Erano i soldi necessari per evitare il fallimento della Lega». Ma il lato più interessante (e inedito) è ovviamente quello che riguarda il simbolo. Da un’indagine di RS presso l'Ufficio Italiano Brevetti e Marchi risulta che, a nome di Umberto Bossi o di gente del suo entourage, non è registrato alcun logo raffigurante Alberto Da Giussano. L'unico marchio “Lega Nord/Lega Lombarda” depositato appartiene a una ditta di Sesto San Giovanni che produce medaglie e distintivi: da noi sentito, il proprietario spiega di aver registrato il simbolo con spadone e dicitura Lega Lombarda/Lega Nord nel 1992, dunque nel periodo di espansione del movimento padano, e di aver fornito al partito 5.000 medagliette per un evento a Monza nei primi ’90. Il Sole delle Alpi, invece, risulta sì di proprietà della società cooperativa Editoriale Nord, così come altri marchi leghisti (ad esempio, Mister Padania), ma il simbolo del partito no...

Stando al racconto della Sapori, (ripreso anche da Leonardo Facco nel libro Umberto Magno. La vera storia dell'imperatore della Padania, Aliberti 2010), Silvio Berlusconi durante una cena a Milano in compagnia di alcuni onorevoli avrebbe detto: “Non preoccupatevi di Bossi, lui non tradirà più. Lo spadone è mio”. Correva l'anno 2000 e insieme al Cavaliere – sempre secondo la Sapori – ci sarebbero stati Gianfranco Fini e l’onorevole (attualmente Alleanza per l’Italia) Bruno Tabacci. Quest'ultimo, presunto testimone della dichiarazione di Berlusconi, smentisce però a RS l’episodio, aggiungendo di non essere mai stato a cena con l'attuale premier.
Di certo, riprende Rossana, una siffatta configurazione spiegherebbe perfettamente perché: «...in tutti questi anni la dirigenza leghista abbia digerito certe cose». In effetti... «Sono convinta», conclude, «che dal 2001 quello della Lega sia un partito tenuto in mano da una persona». E questa persona non sarebbe Bossi, «tuttora amatissimo dalla base» e tuttora ricordato, quantomeno con affetto, da Rosanna. Dopo il famoso ictus della notte tra il 10 e l'11 marzo del 2004, «venuto a mancare lui, tutti quelli che gli giravano intorno sono stati fatti fuori». Sapori compresa, che ha smesso di fare la giornalista e ha aperto, appunto, una tabaccheria. Ci accomiatiamo con una sua ultima tagliente battuta: «Continuo comunque a vendere fumo, no?».

Quel che si intuisce quasi subito, bazzicando l’universo della Lega, è che al di là del suo peso politico nelle ultime legislature (non indifferente, soprattutto in quella in corso), al di là della manifesta capacità del partito di muoversi sul territorio e parlare alla famosa “base”, il mito delle origini padano (e bossiano) ha dei passaggi poco chiari. Leonardo Facco, autore del già citato pamphlet Umberto Magno, ex militante leghista e giornalista a La Padania dal 1997 al 2003, ha le idee molto chiare al riguardo, idee che spesso esprime in maniera assai colorita. «Ero a Pontida nel 1990», racconta. «Ero tra quelli che dicevano: “Per fortuna abbiamo il Bossi”. Credevo avrebbe scardinato il sistema, invece non ha fatto che incrementarlo». Una delusione... «Sì, ma lui è così. Era così anche da giovanissimo: diceva di essere laureato, usciva di casa in giacca e cravatta sostenendo di andare a lavorare in ospedale quando invece si arrabattava in mille lavoretti casuali». Ma fin qui sarebbe ancora roba leggera. Sulla famosa questione del federalismo, invece, Facco suggerisce di fare mente locale alla storia recente del nostro continente. «Durante la guerra in Serbia, è risaputo che Bossi si è schierato al fianco di Milosevic, contro l'indipendenza del Kosovo».

E ancora. Franco Rocchetta: classe 1947, già padre della Liga Veneta. Con Bossi, uno dei fondatori della Lega Nord. Lo sento al telefono. Lui mi richiama da un call center (per paura di intercettazioni...). Gli chiedo di ricordare la riunione da cui è nato tutto: quella da lui organizzata all'hotel Due Torri di Verona il 7 aprile 1979, e in cui confluirono tutti i movimenti autonomisti, etnici e federalisti. «C'erano sardi, siciliani, albanesi...». E ovviamente c'era anche Bruno Salvadori, leader dell'Union Valdotaine che – proprio nel '79 – fulminò Bossi sulla via per Pontida. «Io allora ero al corrente di gruppi in Veneto, Liguria, Emilia Romagna... ma dalla Lombardia non mi risultava nulla. Salvadori non mi ha mai parlato di Bossi, allora. Io stesso l’ho incontrato per la prima volta solo nell'81». Secondo punto: al famoso meeting di Verona venne respinta la partecipazione della Lista per Trieste, «perché erano iper-nazionalisti, cripto-fascisti, anti-sloveni». La stessa Lista per Trieste che nel 1983 presentò a Varese proprio Bossi, ora paladino del Federalismo, «candidato per un partito anti-federalista».

Nel 1989 Rocchetta fonda con Bossi la Lega Nord. Ne viene quindi espulso, nel 1994, “per aver cercato di creare una scorciatoia verso un partito unico di berlusconiana origine” (pensa te). Questioni di leadership, in realtà, e di conflitti tra lombardi e veneti. A questi ultimi non è mai andata giù la centralità di via Bellerio (sede milanese del partito). «Ma soprattutto», conclude Rocchetta, «i 12 punti del programma politico della Lega non li ha inventati Bossi, sono copiati dai nostri». Nostri della Liga Veneta...

Rolling Stone Magazine

23/03/11

HIGH TECH And LOW LIFE - ELEMENTI DI CYBERPUNK



HIGH TECH And LOW LIFE - ELEMENTI DI CYBERPUNK

Antecedenti del Cyberpunk:
G. Ballard – W. Burroughs – P.K. Dick – T. Pynchon.T. Leary
Contemporanei Cyber:
W. Gibson – B. Sterling – R. Rucker – Pat Cadigan
John Shirley - Paul Di Filippo - Walter Jon Williams
Neal Stephenson..

high tech and low life 


Negli anni 40/50 la Fantascienza riuscì a sintetizzare il rapporto tra tecnologia e società, celebrando il sogno di un’infinita espansione della produzione, esaltando le grandi conquiste scientifiche che avrebbero portato l’umanità ad un futuro di tecnologia avanzata e di sviluppo. Più tardi, nei ’60, la fantascienza attraversò un periodo di riflessione e sperimentazione, la ricerca di un linguaggio per esprimere l’influenza delle nuove tecnologie sulla coscienza individuale e collettiva. La controcultura degli anni ’60 era pastorale, romantica, antiscientifica, la cultura hippie imperava con una forte visione antitecnologica, ma aveva una contraddizione nascosta, rappresentata dalla chitarra elettrica.
La New Wave degli anni settanta elimina quell’alone di magia e di mistero che era propria della fantascienza classica, la musica Rock rimane sullo sfondo, e il rapporto tra corpo e mezzi tecnologici cambia l’idea e l’autorappresentazione che l’uomo ha di stesso.
J. Ballard, con Crash e La mostra delle atrocità, convoglia sullo stesso piano la letteratura scientifica, la storia, la cronaca e in genere la letteratura mainstream. Nel 1984 esce Neuromante, romanzo di William Gibson in cui la società è priva di potere politico e il pianeta è dominato da un regime delle multinazionali fondato su una rete immateriale delle comunicazioni, all’interno di un’enorme rete mondiale di computer, la matrice o cyberspazio. I beni e gli strumenti più preziosi in questo mondo sono proprio quelli dell’informazione, organizzati in immense banche dati che i proprietari proteggono con gli Ice, entità informatiche simili al sistema immunitario dell’uomo. Con Neuromante nasce il Cyberpunk.
Gibson con altri scrittori esibivano un forte legame con la cultura Pop, facendone non solo uno sfondo delle loro opere, ma un vero e proprio elemento narrativo. Il Rock acquistava valore centrale, mentre era stato escluso e guardato con sospetto dagli autori della fantascienza classica (molti dei maestri della fantascienza erano reazionari e conservatori).
Come nella musica della metà dei ’70 (Clash – SexPistols…) il termine Punk rimandava a un atteggiamento di rottura non solo nei confronti del linguaggio (rifiuto nei Punks di una pur minima sintassi musicale) ma in generale nei confronti di uno stile di vita conforme a regole stabilite che negavano l’individualità.

La tecnologia del Rock col passar del tempo si è sviluppata, raffinata, con studi di registrazione ad alto livello, video con i satelliti, applicazione del computer alla musica e alla grafica.
La cultura Pop ribelle ha come avanguardia tecnici degli effetti, maestri del mix, hacker grafici… La cultura tecnologica e il progresso delle scienze sono divenuti incontrollabili, rivoluzionari, inquietanti, tanto da influenzare tutto l’universo della cultura stessa. Nasce l’alleanza tra tecnologia e controcultura degli anni ’80, tra mondo della tecnica e il dissenso organizzato del pop underground. Il personal computer rappresenta questo collegamento.

Cyber ricorda esplicitamente la “cibernetica”, la nuova scienza del controllo degli organismi artificiali. I racconti Cyberpunk riconoscono l’esistenza della macchina e la sua integrazione con l’uomo sempre più spinta, fino alla fusione tra di esse (tramite sofisticate interfacce) e la nascita di un nuovo essere.
Come gli autori di questi racconti, anche i loro lettori non si limitano a leggere la fantascienza ma frequentano trasversalmente la musica Pop e d’avanguardia, il video e cinema indipendente, il fumetto, le arti visive. Questo collegamento tra nuova letteratura fantascientifica e la street culture permette a piccole comunità, a culture marginali e individuali di incontrarsi, di comunicare, riunendo movimento internazionale degli hackers e nuovo underground tecnologico sotto la bandiera del Cyberpunk.

“La narrativa Cyberpunk si occupa prevalentemente dell’informazione” (da R. Rucker).
Parlerà spesso di computer, di software, di microprocessori ecc…
Il Cyberpunk è una fantascienza colta, di facile lettura, che contiene molta informazione e dice qualcosa sulle nuove forme di pensiero derivate dalla rivoluzione informatica.
Uno dei punti fondamentali del C. è quello di affiancare alla narrazione un lavoro di ricerca e di analisi delle nuove possibilità legate alla tecnologia: la repressione delle attività degli hackers è una delle contraddizioni nel rapporto tra poteri istituzionali con la società informatizzata, la criminalizzazione di chi resiste all’uso autoritario di queste tecnologie dimostra la difficoltà del potere di rispondere alle istanze di democratizzazione espresse dalle nuove generazioni già familiarizzate con lo scenario informatico. Tre sono i temi che più ricorrono nelle storie Cyber: l’invasione del corpo (membra elettroniche, innesti genetici, circuiti impiantati…);
l’invasione della mente (intelligenza artificiale, interfacce cervello-computer…)
il mondo del Pop sopracitato;
il mondo delle droghe, sempre più sperimentali e prodotte sinteticamente. Alla base di tutte queste argomentazioni è al centro una costante e difficile ricerca dell’io nel 2000 del futuro.Cyberpunk quasi sempre si concentra sull'underground,la storia può portare alla rivoluzione e rovesciare la struttura del potere, la prospettiva è sempre quella degli oppressi e il punk diventa l'anti-eroe degli oppressi.





CYBERMOVIE

1980
Arancia Meccanica*
Alien*
Creation of the Humanoids
Cyborg 2087
Metropolis*
Westworld (Non cyberpunk, ma un proto-cyberpunk )

1980 - 1989
Akira
Android
Blade Runner*
Brainstorm
Brazil*
Cyborg
Heavy Metal*
Liquid Sky
Robocop
Runaway*
Tetsuo (The Iron Man)
Terminator*
Tron
Videodrome*
War Games
Fuga da N.Y
1990 - 1999
964 Pinocchio
Aeon Flux
Alien Resurrection*
American Cyborg: Steel Warrior
L'uomo bicentenario
Cyberpunk (Documentario)
Cyborg 2
Dark City*
Death Machine
eXistenZ*
Il quinto elemento
Freejack* (Cn M.Jagger e D.Johannsen!)
Full Metal Yakuza
Gattaca*
Hackers
Johnny Mnemonic
Judge Dredd
Matrix*
Nemesis*
Nirvana
RoboCop 2
Robocop 3
Screamers*
Sneakers
Strange Days*
Terminator 2: Il giorno del giudizio
Tetsuo II: Body Hammer
Timecop
Total Recall
L'esercito delle dodici scimmie*
Virtuosity
Webmaster
X-Files: Kill Switch (Episodio 11, Stagione 5)
Fuga da L.A
Dobermann
Johnny Mnemonic2000
2009: Lost Memories
A Scanner Darkly*
Absolon
Aeon Flux (2005)
Armitage: Dual Matrix
Artificial Intelligence: AI
Avalon
Beyond Human
I, Robot
Matrix Reloaded*
Matrix Revolutions*
Maya
Metropolis (2001)
Minority Report*
Terminator 3: Rise of the Machine*s
Terminator Salvation
Terminator: Sarah Connor Chronicles Pilot Episodes
The Island
Ultraviolet
William Gibson: No Maps for These Territories*
Battlestar Galattica



CYBERMUSIC

Sonic Youth
Nine Inch Nails
Atari Teenager Riot
Sigue Sigue Sputnik
Voivoid
Billy Idol(?!)
Prodigy
Ramstein
Paul Oakenfold
Spiral Tribe
Warren Zevon
Daft Punk
Matthew Dear
Pop Will Eat Itself
Zeromancer
Overcoat
D.Bowie



DA CAOS E CIBERCULTURA:
TIM LEARY E WILLIAM GIBSON



Tim Leary: Se potessi riassumere Neuromante in una sola frase,come lo descriveresti?
W.Gibson: Più che altro mi importa il fatto che si parla del presente. Non parla in realtà di un futuro immaginario;è un modo di confrontarmi con la soggezione e con il terrore che mi ispira il mondo in cui viviamo. Non vedo l'ora di sapere cosa ne pensino i giapponesi. Oddio..comincio a sentirmi come Edgar R. Burroughs o qualcuno del genere. Voglio dire,in cuor suo che sentimenti può aver avuto nei confronti di Tarzan? Ne fu prpprio stufo marcio e alla fine andò a vivere a Tarzana,California..
TL: E tu finirai per andare a vivere in una colonia spaziale chiamata Neuromante
WG:Non sarebbe male. Non credo che siamo destinati ad un futuro di questo tipo. Penso che il libro sia tanto più simpatico di quanto sembra stia accadendo davvero. Voglio dire,sarebbe un bel posto da visitare,non mi dispiacerebbe andarci
TL: Dove
WG: Allo Sprawl,a quel futuro..C'è un sacco di gente che trova Neuromante un libro pessimista,ma io lo trovo ottimista
TL: Anch io
WG: Io penso che in realtà il futuro sarà più..noioso.Penso che un qualche tipo di futuro alla Falwell potrebbe con ogni probabilità essere la mia idea del peggio che possa accadere
TL: Si..è bella quella scena in cui ci sono quei Cristiani che stavano per assalire quelle ragazze in metropolitana
WG: Non è chiaro se vogliono assalirle oppure semplicemente costringerle ad accattare qualche orrendo volantino o qualcosa di simile.Personalmente ho una vera fobia contro i tipi cosi (a chi lo dici,William! ndr)che mi vengono incontro per strada
TL: Quella scena è potente! E descrivi le ragazze come animali con gli zoccoli che portano tacchi alti
WG: Si..le segretarie dello Sprawl
TL: E indossano vagine,oddio è una scena potentissima!
WG: Mi piace l'idea di quella metropolitana:è la metro allo stato dell'arte,và da Atlanta a Boston,proprio veloce!
TL: Hai creato un mondo..
WG: Il messaggio che ti arriva quando leggi quel libro,l'impressione è molto complessa ma in realtà tutto ha lo spessore di una sola molecola. In parte è ancora abbastanza misteriosa anche per me.Sai..deglui USA non si parla neppure una volta nel libro.E c'è qualche dubbio circa il fatto che gli USA asistano come entità politica o se siano stati balcanizzati in qualche strano modo. E' una delle mie idee preferite che il mondo venga spezzettato in..
TL: Anche io..
WG: Separatissimo dalla costa occidentale. In Count Zero parlo un pochino di cosa sta accadendo in California. Uno dei personaggi ha la ragazza che abita in una città galleggiante ancorata al largo di Redondo. Più o meno come una specie di allucinato..è lo Sprawl diventato come Sausalito,lo Sprawl ma più mite. Alla fine di Neuromante tutta la matrice è senziente,ha una sola volontà. E come dice a Case,in un modo abbastanza terra-terra,ha trovato un altro suo simile ad Alfa del Centauro o in qualche posto simile,cosi ha qualcosa con cui parlare. Count Zero comincia sette anni dopo e come nella poesia di Yeats su come il centro non potrebbe tenere,questa specie di consapevolezza divcina è ormai frammantata. non è riuscito a tenere tutto insieme. Cosi i cultisti vudù dello Sprawl,che credono di essere entrati in contatto attraverso la matrice con il pantheon vudù,in realtà hanno a che fare con gli elementi frammentati di questa stanchezza divina. E i frammenti sono tanto più demoniaci e umani;riflettono aspattative..culturali!
TL: A proposito..Adoro Norman Spinrad
WG: Ha scritto un libro intitolato The Iron dream (Sogno di ferro). E' un romanzo di fantascienza il cui autore sarebbe A.Hitler,in un mondo alternativo in cui Hitler è scrittore di SF. Molto divertente. Per me ,in base ai dati forniti nei libri,le chiavi alla personalità di Case sono l'alienazione dal suo corpo,dalla carne,che mi sembra riesca a superare. la gente ha criticato Neuromante perchè non conduce Case a qualche specie di esperienza trascendentale. eppure secondo me ci arriva:ci arriva nel costrutto della spiaggia e ci arriva quando ha il suo orgasmo.C'è un lungo paragrafo in cui accetta la carne come cosa infinita e complessa e,da certi punti di vista,in seguito è più umano
TL: Mi ricorda qualcuno dei personaggi di W.Burroughs..
WG: Si..Case potrebbe essere uno dei ragazzi di Burroughs. In un certo senso,Burroughs mi ha influenzato profondamente. Non avevo pensato di riuscire a convincere il pubblico americano della fantascienza,perchè non sanno chi è Burroughs,oppure sono immediatamente..ostili! Ha trovato la fantascienza degli anni 50 e l'ha usata come apriscatole arrugginito sulla vena giugulare della società (!!).Non hanno mai capito. ma quando avevo qualcosa come quindici anni ho letto Il Pasto Nudo e mi ha fatto per modo di dire..scoppiare la testa. E io,da bravo megalomane ho la fantasia di qualche ragazzetto che si mette a leggere Neuromante e..Bam!.. Ho dovuto insegnare a me stesso di non scrivere troppo come Burroughs. avevo questa influenza e ho dovuto filtrare il mio lavoro per eliminare una parte della roba burroughsiana.In un intervista a Londra,in uno dei miei rari momenti di lucidezza,ho detto al tipo che mi intervistava che la differenza tra quello che faccio io e quello che fà Burroughs,è che lui semplicemente incolla la roba sulla pagina,mentre io faccio tutto il lavoro con l'aerografo..
TL:..Eravamo molto amici.Non ci sopportava (Burroughs),eravamo fin troppo bravi e buoni. E' implicito che la gente che frequentava Case fosse un gruppo interessato alle droghe
WG: Si,questo sembra essere un mondo in cui tutti sono di regola abbastanza fatti
TL: Tu definiresti in Cyberspazio come matrice di tutte le allucinazioni?
WG: Si,è un allucinazione consensuale creata da questa gente,come se,con questi strumenti,sia possibile mettersi d'accordo e condividere le stesse allucinazioni.In effetti stanno creando un mondo.Che non è in realtà un posto,non è uno spazio. E' spazio nozionale,concettuale.

WG: ..E' un libro pieno zeppo di psicotici
TL: Ma qualcuno trova che è un libro molto positivo,malgrado tutto
WG: Davvero?Io cerco solo di riflettere il mondo che trovo intorno a me
TL: Si..lo sò. Sei uno specchio. Quale libro ti è piaciuto di recente?
WG: Bruce Sterling è lo scrittore di fantascienza che amo di più. Schismatrix è il romanzo di fantascienza più visionario degli ultimi 20 anni. L'umanità si evolve,muta rapidamente usando ingegneria genetica e biochimica. E' un libro sconvolgente.Sarà una miniera per la gente,che ne userà le idee per i prossimi 30 anni
TL: Come Gravity's Raimbow?
WG: Si.E' uno dei miei preferiti. Mi ha bloccato la vita per tre mesi. E' andata a puttane la carriera universitaria,stavo sempre lì a leggere questa cosa
TL: L'industria cinematografica non è riuscita mai a fare niente con Grevety's Raimbow
WG: Contiene otto miliardi di volte più roba di Neuromante. Un romanzo..enciclopedico
TL: Una delle cose meravigliose del Neuromante è questa gloriosa camerateria tra Case e Molly. Hanno dei figli?
WG: Figlio di Neuromante. In Count Zero la gente ha si dei figli,che per me è stata una cosa nuova. stavo cercando di aggiornarmi. Mi piace di più Count Zero. Neuromante per me,è un pò il mio libro adolescente. Il mio libro di teenager,ma che non avrei potuto scrivere quando lo ero davvero..