07/03/22

Alle origini della crisi ucraina

Membri del battaglione neonazista Azov,
Guardia nazionale Ucraina

Luciano Canfora: “Pensiero critico: nessuno è più intollerante dei liberali”

“Rivendichiamo la possibilità di osservare e analizzare lucidamente i fatti. Da quando è caduta l’Urss il metodo dell’Occidente è stato demolire tutto il blocco ex sovietico, pezzo per pezzo, facendo avanzare minacciosamente il confine della Nato fin sotto Pietroburgo”


EUGENIO DI RIENZO 
Docente e storico italiano.
IL REVANSCISMO RUSSO E LE   MANCATE PROMESSE DELLA NATO

Nel marzo 2004, l’Unione Europea festeggiò l’allargamento della sua sfera a ben dieci nazioni, di cui quattro (Repubblica Ceca, Polonia, Slovacchia, Ungheria) ex membri del Patto di Varsavia e tre (Estonia, Lituania, Lettonia), già parte integrante dell’Urss sia pure per diritto di conquista. Questa espansione non avrebbe avuto nulla d’irrituale se, tra 1999 e 2004, questi stessi Stati, con l’aggiunta di Bulgaria e Romania, non fossero divenuti membri della NATO, un’alleanza che, in ossequio alla sua stessa primitiva ragione sociale, avrebbe dovuto essere sciolta dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica. Evidentemente Bill Clinton e George W. Bush avevano deciso di non onorare la promessa fatta da George Bush senior a Michail Gorbaciov, quando il Presidente statunitense lo persuase a consentire che la Germania unificata entrasse a far parte della North Atlantic Treaty Organization assicurandogli, come contropartita, che la coalizione, nata il 4 aprile 1949, non avrebbe esteso la sua presenza oltre la linea dell’Oder.
Quando cadde il Muro di Berlino e l’Europa sotto protettorato di Mosca cominciò a emanciparsi dal suo controllo, il primo Bush incontrò Gorbaciov nel summit di Malta (2-3 dicembre 1989). I due statisti si accordarono per rilasciare un comunicato congiunto della massima importanza dove, sulla base degli accordi raggiunti durante i colloqui, si concordava sul fatto che l’Unione Sovietica dovesse rinunciare a ogni intervento per sostenere gli agonizzanti sistemi comunisti dell’Est, mentre gli Stati Uniti s’impegnavano a non ricavare alcun vantaggio militare dagli sviluppi politici conseguenti alla decisione del Cremlino.

Si trattò di un gentlemen’s agreement che allora non fu formalizzato per iscritto, ma i cui contenuti si possono evincere dal verbale del colloquio tra i due premier, nel punto in cui Bush senior garantiva il suo interlocutore che i profondi cambiamenti politici in corso non avrebbero danneggiato la posizione internazionale della Russia. L’esistenza del cosiddetto “accordo di Malta” fu poi confermata dalle dichiarazioni del Primo ministro inglese, del Cancelliere tedesco, del Presidente francese e dalla testimonianza dell’allora ambasciatore statunitense a Mosca, Jack Foust Matlock.
Più di recente, dopo un lungo periodo di enigmatico silenzio, lo stesso Gorbaciov è tornato su questo punto. Rimproverandosi tardivamente per la passata ingenuità, il penultimo Segretario generale del Partito comunista dell’Unione Sovietica ha espresso il rammarico che quell’impegno sia rimasto un semplice accordo verbale senza trasformarsi in un’esplicita convenzione diplomatica dove si sarebbero potute recepire anche le assicurazioni fornitegli allora dal Segretario di Stato, James Baker, subito dopo la caduta del Berliner Mauer, secondo le quali “la giurisdizione della NATO non si sarebbe allargata nemmeno di un centimetrò verso oriente”. Come tutte le intese sulla parola, l’accordo stipulato nella piccola isola del Mediterraneo può essere sottoposto a molteplici interpretazioni ma non azzerato nella sua sostanza. Il significato storico del compromesso tra Urss e Occidente era tutto nelle parole pronunciate da Baker: da una parte, la Russia rinunciava alla sua egemonia sull’Europa centro-orientale e, dall’altra, gli Stati Uniti non avrebbero in alcun modo approfittato di tale concessione per allargare la loro influenza su quel grande spazio e minacciare la sicurezza strategica russa.
Lo spirito di Malta fu poi ancora più profondamente tradito dalle pressioni americane per l’ingresso dell’Ucraina e della Georgia nella NATO, esercitate durante il vertice atlantico di Bucarest dell’aprile 2008, alle quali sarebbe seguita la guerra russo-georgiana. Alcuni governi europei si sforzarono di attenuare il clima di crescente tensione. Nella capitale romena, Berlino arrivò a ritardare la discussione sull’ingresso di Ucraina e Georgia nell’Alleanza Atlantica e più tardi, a Tbilisi, Parigi, dopo l’inizio del conflitto georgiano, riuscì a negoziare un armistizio che permise a Mosca di conservare il controllo dell’Ossezia meridionale e dell’Abkhazia.
Nulla e nessuno poterono però impedire prima la dichiarazione d’indipendenza del Kosovo da Belgrado (febbraio 2008), apertamente favorita da Stati Uniti e Cancellerie occidentali, che costituì un vulnus non rimarginabile per la Russia colpita nel suo antico, storico ruolo di protettrice dell’integrità della Nazione serba, poi l’adesione al Patto Atlantico di Albania e Croazia, che avvenne nel 2009, sotto la presidenza Obama, e infine la ripresa dei negoziati finalizzati a integrare Georgia, Montenegro, Kosovo, Moldavia, Ucraina nella Alleanza Atlantica.
Nel corso dell’attuale crisi ucraina, il presidente della Federazione Russa, Vladimir Putin ha ripetuto più volte, a giusto titolo, “che Mosca era stata imbrogliata, e palesemente ingannata” dagli Stati occidentali, i quali avevano assicurato che l’Alleanza del Nord Atlantico non si sarebbe allargata “neppure di un centimetro a est”. A queste affermazioni, il Segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg, ha replicato seccamente, affermando che “nessuno, mai, in nessuna data e in nessun luogo, aveva fatto tali promesse all’Unione Sovietica”.
In questi giorni, però, l’autorevole settimanale tedesco Der Spiegel ha pubblicato un documento, rinvenuto nei British National Archives dal politologo americano Joshua Shifrinson, professore alla Boston University, che rafforza la versione delle autorità russe secondo cui, quando la Germania fu unificata, all’Unione Sovietica venne fornita esattamente questa garanzia. Si tratta del verbale della riunione dei Direttori politici dei Ministeri degli Esteri di Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Germania, tenutasi a Bonn il 6 marzo 1991. Il tema del colloquio era la sicurezza nell’Europa centrale e orientale e i rapporti con la Russia vinta, avvilita ma ancora capace, secondo i convenuti, di una forte reazione se si fosse attentato alla sua sicurezza, senza tentare di stipulare con essa un duraturo patto di amicizia e collaborazione economica e politica.
L’organizzazione del Patto di Varsavia in quei mesi stava già disgregandosi, e alcuni Paesi del blocco sovietico avevano espresso alle maggiori Potenze occidentali la loro volontà di entrare a far parte della NATO. Tuttavia dal documento risulta con lampante evidenza che Inglesi, Americani, Tedeschi e Francesi furono concordi nel ritenere che tali richieste, lesive del futuro equilibrio di potenza europeo, erano “inaccettabili”. A nome di Berlino, Jürgen Chrobog affermò, infatti: “Abbiamo chiarito durante il ‘negoziato 2 più 4’ sulla riunificazione della Germania, con la partecipazione della Repubblica Federale di Germania, della Repubblica Democratica Tedesca, di Stati Uniti, Unione Sovietica, Gran Bretagna e Francia, che non intendiamo far avanzare l’Alleanza atlantica oltre l’Oder. E pertanto, non possiamo concedere alla Polonia o ad altre Nazioni dell’Europa centrale e orientale la possibilità di aderirvi”. Secondo Chrobog, questa posizione era stata concordata con il Cancelliere federale Helmut Kohl e il Ministro degli Esteri, Hans-Dietrich Genscher. Da parte sua, in quella stessa occasione, il rappresentante degli Stati Uniti, Raymond Seitz, dichiarò: “Abbiamo ufficialmente promesso all’Unione Sovietica – nei ‘colloqui 2 più 4’, così come in altri contatti bilaterali intercorsi tra Washington e Mosca – che non intendiamo sfruttare, sul piano strategico, il ritiro delle truppe sovietiche dall’ Europa centro-orientale e che l’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord non dovrà espandersi al di là dei confini della nuova Germania né formalmente né informalmente”.
Che queste mancate promesse avrebbero portato a un ritorno al tempo di ferro della Guerra Fredda, provocando forse ancora più gravi crisi nel Vecchio Continente, lo intuì con chiaroveggenza Gorbaciov, nell’intervista concessa, il 7 maggio 2008, al The Daily Telegraph, quando dichiarò che “gli Americani ci promisero che la NATO non sarebbe mai andata oltre i confini della Germania dopo la sua riunificazione, ma adesso che metà dell’Europa centrale e orientale ne sono membri, mi domando cos’è stato delle garanzie che ci erano stare accordate? La loro slealtà è un fattore molto pericoloso per un futuro di pace perché ha dimostrato al popolo russo che di loro non ci si può fidare”.


Banksy per la pace




Giorgio Bianchi è un fotoreporter, fotografo documentarista e regista italiano nato nel 1973.
Nella sua fotografia Giorgio ha sempre prestato particolare attenzione alle questioni politiche e antropologiche.

Freelance ha coperto storie in Siria, Ucraina, Burkina Faso, Vietnam, Myanmar, Nepal, India e in tutta Europa. Dal 2013 compie diversi viaggi in Ucraina, dove segue da vicino la crisi ucraina dalle proteste di Euromaidan fino allo scoppio della guerra tra l'esercito governativo e i separatisti filorussi. Grazie al suo ricco archivio di filmati e immagini sul conflitto nel Donbass ha realizzato un docufilm intitolato "Apocalypse Donbass".

Giorgio ha vinto diversi premi internazionali e ha ricevuto numerosi riconoscimenti di pubblico, e le sue foto sono regolarmente pubblicate su giornali e riviste, sia cartacee che online. Il suo lavoro è stato esposto in numerosi festival internazionali e nazionali. Giorgio Bianchi è attualmente rappresentato da Witness Image. Ha vinto il World Report Award nella categoria Spot Light con il suo progetto Donbass Stories-Spartaco e Liza.




Tra gli ospiti della puntata di Piazzapulita c’era il professore Alessandro Orsini, Direttore dell’Osservatorio sulla Sicurezza Internazionale della LUISS.

“Possiamo uscire da questo inferno soltanto se noi riconosciamo i nostri errori".
Dopo aver specificato che la responsabilità militare di questa tragedia è di Putin, e che condanna questa invasione, ha voluto spiegare perché la responsabilità politica è principalmente dell’Unione europea.
“In primo luogo perché questa era la guerra più prevedibile del mondo. Mi sono sgolato per dire che certamente la Russia avrebbe invaso l’Ucraina, perché esiste una legge ferrea della politica internazionale, la quale prevede che le grandi potenze proibiscano categoricamente ai Paesi confinanti, laddove sia possibile, di avere una linea di politica estera che rappresenti una minaccia per la sicurezza nazionale”.
La lezione di storia
Secondo il professore, quello che Putin sta facendo all’Ucraina è esattamente la stessa cosa che Kennedy fece a Cuba nel 1962.
“Gli Stati Uniti dissero a Cuba «tu non puoi avere una linea di politica estera indipendente dagli Stati Uniti che mette a repentaglio la mia sicurezza nazionale. Se tu provi a impiantare missili sovietici a Cuba, io ti distruggo e sono disposto ad arrivare fino all’escalation militare»”.
Poi ha aggiunto: “In altre parole quello che accade è che l’Ucraina sta alla Russia come il Messico e il Canada stanno agli Stati Uniti. Se il Messico oggi si alleasse con Putin, certamente gli Stati Uniti distruggerebbero il Messico. O assassinando il suo presidente o favorendo una guerra civile, oppure con uno sfondamento del confine, facendo esattamente questo tipo di guerra”.
Orsini ha spiegato che il punto fondamentale è comprendere la logica delle grandi potenze, i cui comportamenti sono largamente prevedibili: “Fanno le stesse cose da centinaia di anni”.
Lo scontro tra Alessandro Orsini e Federico Fubini
Poi ha detto dove ha sbagliato l’Unione europea. “Tutte le grandi potenze, o quelle che ambiscono a essere grandi, hanno delle linee rosse. Gli Stati Uniti hanno delle varie linee rosse, una delle quali è Israele, che non può essere toccato. La Russia ha una linea rossa in Ucraina e Georgia. La Cina, quando le sarà possibile farlo, ha una linea rossa a Taiwan. L’Unione europea non ha linee rosse e avrebbe dovuto dire a gli Stati Uniti: «Noi vi amiamo ma abbiamo una linea rossa che voi americani non dovete permettervi di superare»”.
Quando Formigli ha chiesto quale fosse la linea rossa dell’UE, Orsini ha risposto “il rifiuto da parte dell’Unione europea a qualunque politica che metta in pericolo la vita degli europei”.
Per il professore un errore gravissimo è stato quello di far credere agli ucraini che potessero accedere alla Nato.
“L’Unione europea ha demandato questa questione alla Nato. Mentre i Paesi dell’UE sono tutti in Europa, i Paesi che compongono la Nato non sono tutti in Europa. Dunque il Canada, l’Australia e gli Stati Uniti non temono una guerra in Ucraina come dovremmo temerla noi europei”.
A questo punto è intervenuto Federico Fubini: “Lei non conosce la storia degli Stati Uniti, perché non hanno mai attaccato Cuba”. Quando ha aggiunto che nessuno sta minacciando la sicurezza della Russia, Orsini ha replicato.
“Quello che lei dice è falso, perché c’è stata la Siria, perché noi Putin lo abbiamo attaccato a destra e a manca. Che cosa è successo in Siria? Lei dice delle cose non vere. L‘Iraq? L’Iran? Ma lei in che mondo vive?”







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