All'inizio fu un breve colpo di vento e il cielo sembrò aprire il coperchio di zinco che chiudeva da un mese Kinshasa
in un unico blocco di umidità e caligine, poi in un attimo venne giù
l'uragano, quasi la restituzione postuma di una preghiera o di un rito
scaramantico da troppo tempo officiato a bassa voce, l’esito della
cospirazione unanime di allibratori, di appassionati e degli uomini in
divisa la cui presenza ubiquitaria aveva decorato l'evento come fosse
uno scoppio incendiario del colore verde (ora più sgargiante, proprio
perché madido di pioggia) e dunque sancito il trionfo un’Africa
ancestrale e rediviva. Il tornado infierì sullo stadio che il regime di Mobutu,
l’incubo in tinta verde del socialismo più autocratico, aveva allestito
alla maniera dl un antico arengo o, persino, di un Colosseo panafricano
dove il ring poteva simulare sia uno spazio gladiatorio sia un’ara
sacrificale. Ma ogni cosa si era già compiuta un’ora avanti, alle
quattro di mattina, quando il mondo della forza bruta, la dura legge
della necessità, era stata violata da una forza contraria, cosi esatta e
inesorabile, cosi padroneggiata nel ritmo di una danza e suggellata da
una clausola d'autore, da riuscire in effetti fatale. Chiunque era
autorizzato a pensare, oramai, che ll tornado esploso nella lividezza
dell’alba fosse un segno apocalittico, nel senso etimologico della
rivelazione, perché il vecchio Ali, l’artista e profeta, ll compagno di via di Malcolm X, colui che punge come un’ ape e vola come una farfalla, aveva vinto, mentre George Foreman,
il lacche negro e bianco, il prodigio biomeccanico, la macchina da
pugni e da soldi, era stato platealmente executé. A ora il cielo era un
lavacro, nell'ora zero del sogno africano e dell'apoteosi di uno sport
che aveva ambiguamente cominciato a morire proprio quella notte del 30
ottobre '74, nel corso dell’ottavo round, dopo un estenuante mimo che
aveva visto Foreman sparare i suoi colpi nel vuoto e Ali, viceversa,
rinunciare alle figure della danza consueta per adagiarsi sulle corde
del ring come fossero una barra d’appoggio ovvero il soccorso del
secondo principio della termo dinamica. Solo a metà dell’ottava riresa
Ali si era staccato dalle corde e aveva guadagnato, imperioso, il Centro
del ring accingendosi al ballo che annunciava l’inizio
dell'esecuzione:
<<Un
proiettile delle dimensioni esatte di un guantone da boxe centrò in
pieno la mente di Foreman, il miglior pugno di quella nottata
sorprendente, il pugno che Ali aveva tenuto in serbo per tutta la sua
carriera. (. . .) La sua mente lo tratteneva con un magnete grosso come
il suo titolo, ma il suo corpo cercava il suolo. Andò giù come un
maggiordomo sessantenne grande e grosso che ha appena udito una notizia
tragica, si, cadde per due lunghi secondi, il campione, un pezzo alla
volta, e Ali girava con lui in uno stretto cerchio, le mani pronte a
colpirlo ancora una volta, e non ce fu bisogno, non fece altro che
scortarlo al tappeto>>.
Nel 1975 Muhammad Ali, alias Cassius Clay, incontrò sul ring di Kinshasa, nello Zaire, George Foreman,
campione dei pesi massimi. mai sconfitto prima, foreman si serviva del
silenzio, della tranquillità e della devastante presenza fisica per
intimorire gli avversari. Ali tentava di riprendere il filo di una
carriera in declino, e di riconquistare per la seconda volta la corona
dei massimi, investendo nell'impresa tutta la sua intelligenza, il gusto
della provocazione, il talento. due uomini, due grandi campioni, due
personalità opposte ma straordinarie.
Questo è un piccolo estratto da The Match, (tornato in Italia nella nuova versione di Alfredo Colitto col
titolo La sfida, Einaudi - Stile Libero 'Big', pp. 261, 14
euro) scritto in terza persona dal grande scrittore americano Norman
Mailer, newyorkese, bianco ed ebreo, radicale, all’epoca tutto
metafisica beat, marijuana, pacifismo e rigetto dell’establishment, di
stanza da un mese a Kinshasa e presente quella notte a bordo ring, in
uno dei suoi libri più belli, in cui descrive la preparazione, il
clima, la tensione delle settimane che precedettero l'evento,
l'allenamento e infine l'indimenticabile match, dando ampio spazio anche
alle tensioni tra Ali, sostenitore del Black Power e dei musulmani neri e amico personale di Malcom X, e Foreman, poco propenso a fare della questione razziale una priorità o una ragione di vita..
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