25/03/16

John Peel: 4 canzoni per sessions leggendarie

Dall'archivio INTERZONE, del 17/06/014


John Robert Peel Ravenscroft (Heswall, 30 agosto 1939 – Cuzco, 25 ottobre 2004),  giornalista e conduttore radiofonico britannico.
È stato una delle voci storiche della radio inglese: ha lavorato per la BBC dal 1967 fino alla sua morte, avvenuta per infarto del miocardio mentre si trovava in vacanza lavorativa in Perù. La sua influenza nella musica contemporanea (specie alternative rock, punk e reggae) è testimoniata dagli onori dedicatigli dopo la sua morte da artisti di livello mondiale (Blur, Oasis, The Cure, New Order) e dalla fama raggiunta dal suo programma principale, le "John Peel Sessions", in cui ospitava una band per un'esibizione esclusiva di quattro canzoni del loro repertorio. Molti di questi mini-concerti vennero poi pubblicati su disco.
(Wiki)

Conversazione con S. Reynolds

Capita che la gente parli dei gruppi di John Peel come scorciatoia per indicare un certo tipo di bizzarra formazione post-punk do-it-yourself volutamente eccentrica. Tu sei stato il grande campione della musica su etichetta indipendente o autopubblicata di qualunque sorta. Ma ben prima del punk gestivi la tua etichetta indie, Dandelion, facendo uscire gruppi come Tracton, Siackawaddy e Medicine Head.
Eravamo meno indipendenti di alcune delle etichette indipendenti. Inizialmente eravamo stati finanziati dalla CBS. Poi dalla Warner Bros, e in seguito dalla Polydor. E non facemmo guadagnare praticamente nulla a nessuna! Un gesto rivoluzionario involontario. Iniziammo nel 1969 con una donna di nome Bridget St John. Avevamo una grande passione per la sua musica e nessuno era interessato a registrarla. Le etichette major spesso vengono bastonate ma a quell’epoca facevano della sperimentazione. Avevano queste sigle a fondo perduto per i prodotti di nicchia su cui di tanto in tanto appariva qualche disco interessante.

Quindi fosti molto eccitato quando dopo il punk ci fu un eruzione di piccole etichette indie e gruppi che facevano uscire in proprio i dischi?
Immagino di si. E credo che mi capiti ancora. Sono un ammiratore spassionato dell’amatorialità allegra. Inoltre più che LP erano singoli. Negli anni settanta i gruppi avevano smesso di pubblicare singoli - gente come i Led Zeppelin pensava che fosse indegno. Quindi fu davvero meraviglioso. Ti ritrovavi dei tizi riottosi, che venivano da posti nel Lincolnshire che dovevi andare a cercare sulla cartina, che ti mandavano dischi. Sembra peggiorativo essere descritti come <<provinciali>>, ma io sono provinciale e decisamente fiero di esserlo. Mi piaceva l’idea per cui se convincevi il bassista a vendere la motocicletta e scassinavi un paio di cabine del telefono potevi mettere insieme abbastanza soldi da fare un disco. La gente lo faceva, e un numero incredibile di loro erano davvero bravi. Un’altra cosa che apprezzavo è che la maggior pane delle persone erano quasi completamente prive di ambizione. 'Una Volta che avevano fatto un disco, erano arrivati dove volevano andare. Una Volta chiamammo un gruppo che aveva fatto una Peel session e gli dicemmo <<Che ne dite di farne un’altra?>>. Ci risposero che tutto quel che avevano desiderato era una esibizione da noi - bastava una.

Era come se un’ondata di creatività si fosse liberata, e oltre a essa, un ondata ancora più grande di semplice attività - non necessariamente cosi creativa o originale musicalmente, ma che faceva sentire capaci le persone coinvolte.
Allora, come oggi, riuscivi a suonare solo una percentuale di quello che avresti voluto far sentire, mentre nei primi anni settanta come dj suonavi praticamente tutto quello che avevi. Il punk fece aprire le chiuse; già il puro volume di materiale aumentò in maniera drammatica, e da allora non ha ancora smesso.

Nel periodo 1979-82 ci sono molte formazioni e molti dischi del tuo programma che risaltano particolarmente nella memoria. Come i Cravats.
I Cravats semplicernente mi piacevano perché - e questo genere di cose in realtà non dovrebbe influenzarti, ma lo fa - mi piaceva questo tipo, chiamato The Shend, che era nel gruppo. Oggi fa l’attore, ed era un tipo cosi carino. Anzi, il suo biglietto da visita diceva <<The Shend - un tipo a posto>>. Dopo i Cravats entrò in questo gruppo, i Very Things, che facevano quel vecchio classico del varietà When Father Papered the Parlour e una canzone intitolata The Bushes Scream When My Daddy Prunes.

Un altro singolo che passava davvero spesso nel tuo programme era There Goes Concord Again dei Native Hipsters.
Era uno di quei dischi che mettevi su e pensavi <<Tra una settimana questo darà un fastidio tremendo. .. ma fino a quel momento, suoniamolo fino alla morte>>. E’ un disco molto richiesto nei programmi che faccio in Germania.

Poi c’era l’m in Love With Margaret Thatcher dei Notsensibles.
Quello che sfugge a un sacco di gente che scrive del punk e del post-punk e che buona parte del materiale era davvero divertente. Uso sempre quella canzone dei Notsensibles come esempio del perché non potevi prendere tutto drammaticamente sul serio. La storia viene riscritta praticamente quando è appena accaduta, e il punk è diventato un affare davvero serio e con la faccia scura. Noi andavamo ai concerti e ridevamo come matti dall’inizio alla fine. Potevi farti una serata genuinamente divertente andando al Roxy e al Vortex. E non solo con i tipi che cercavano deliberatamente di essere divertenti, ma anche se andavi a qualcosa come un concerto delle Slits. Mi verrebbe da dire che le due session che le Slits fecero per noi furono tra le migliori delle migliaia che sono state registrate. Un concerto delle Slits era un evento gioioso. Era palese che non sapessero suonare, ma si lasciavano trascinare dall’entusiasmo del pubblico e dalla loro fredda determinazione ad arrivare alla fine dell’esibizione, costi quel che costi. Era quel genere di amatorialità ispirata che trovavo attraente.

Attenzione, c’era in giro del materiale davvero dannatamente tetro in quel periodo e nel tuo programma: per esernpio Final Day degli Young Marble Giants.
Si, non tutto era da una risata al minuto. ln effetti era gradevolmente bilanciato.

Pssyche dei Killing Joke la passasti molto. Come canzone è davvero apocalittica: Jaz Coleman, che ha quasi letteralmente la bava alla bocca, canta del sinistro Controllore e di suore che vengono scopate. Poi sono diventati una sorta di gruppo gothic metal, non trovi?
Le persone hanno il diritto di cambiare, e se il mio gusto non li segue. . be’, sarebbe vergognoso se suggerissi che le persone restino povere e in miseria solo per soddisfare un qualche mio desiderio artistico. Ma le prime cose dei Killing Joke mi piacevano davvero.




Per te un gruppo assolutamente centrale furono i Fall, ma qualcuno l’ha mai capito davvero cos ’ha in testa Mark E. Smith?
Se vai alla Tate Modern, ti puoi fare un’idea in prima persona di quale sia il senso dell’opera, e probabilmente sarà molto diverso da quello che pensava l’artista nel momento della creazione. L’artista non è li seduto di fianco al quadro. Stessa cosa per i Fall. Non voglio davvero trovarmi davanti spiegazioni e resoconti sugli argomenti delle canzoni. E non è scritto da nessuna parte che se i lavori che fai sono belli devi essere una persona alla mano. Per quanto ne so io, Mark E. Smith è una persona davvero spinosa. L’ho incontrato solo qualche volta. Al giorno d’oggi se vai a un concerto rock, a volte hai l’impressione che anche se morisse l’artista, lo spettacolo potrebbe proseguire senza interruzioni fino alla conclusione. Con i Fall, ti può capitare di andare a un concerto e che sia un disastro. Siamo andati a un concerto a Cambridge qualche anno fa, e l’atmosfera di malevolenza era quasi tangibile. E’ stata una serata di quelle che mettono paura. Ma se sei un appassionato dei Fall ti sarà cara quanto ti sono care le sere che vanno in direzione opposta. Mark era di umore pessimo: continuava a fare avanti e indietro, abbaiando un verso qua e la, per poi precipitarsi di nuovo fuori. Chiaro che lui e il gruppo dovevano aver litigato alla grande.

C’é stato an momento in cui hai avuto la sensazione che la mentalità fosse sfuggita di mano? Come il boom delle etichette che pubblicavano su cassette, la sensazione che fosse degenerata in gente che si agitava senza combinare nulla sprecando il tempo suo e degli altri?
Non riesco a ricordare di aver mai suonato qualcosa che pensassi fosse una cazzata. Più che un calo della qualità, fu che i progressi nella tecnologia resero possibile praticamente a chiunque di fare un nastro demo in maniera competente. Non c’è molto di divertente in tutta quella roba perché sono tutti un po’ grigi. Le cose che mi divertivano e sorprendevano maggiormente semplicemente non succedevano più. Per esempio ci arrivavano regolarmente delle cassette di un tipo che cantava con i dischi di Cliff Richard in sottofondo. Cercai di convincere la BBC Che dovevamo scritturarlo e farglielo fare in studio, ma risposero che ci sarebbero stati problemi di diritti d’autore. Non faceva altro che cantare le canzoni quanto meglio potesse in base alle suequalità, che erano decisamente minime.

C’e stato un momento in cui tutti parlavano del New Pop e gareggiavano tra loro nelle classifiche. Non fosti oggetto di critiche violente ala parte di Alan Home della Postcard per aver incoraggiato l ’emergere di un ghetto post-punk? E Paul Morley che nel 1979 ti ricopriva di lodi, arrivati al 1982 iniziò a essere critico verso il Peel show.
Alan Horne mi aggredi – non fisicamente, ma fu incredibilmente ostile nei miei confronti quando una volta lo incontrai.

Però in quel periodo - 1978, 1980, 1981 - non c’era solo il tuo programma; tutta la sera di Radio One a partire dalle sei di pomeriggio era davvero notevole. Diventava regolarmente più, avventurosa con l’avanzare della notte fino ad arrivare al tuo programma. Ma sembrava che tu fossi una sorta di prestanome morale per gli altri dj; quelli che occupavano gli spazi della sera.
Il migliore era Kid Jensen. Era un tipo talmente delizioso, ci chiamavamo gli Amici del Ritmo. E anche gente come Mike Read e Janice Long.

Le cose che scoprivi filtravano fino ai loro programmi, come O Superman di Laurie Anderson, che poi divenne un grande successo.
Si quella l’ho messa io per primo. Non sono mai partito con l’intenzione di creare un qualche ghetto indie. So che le indipendenti non sono per forza moralmente superiori rispetto alle grandi etichette. Le grandi etichette sono organizzazioni che fanno investimenti a lungo termine la cui intenzione è guadagnare dai loro artisti più soldi possibile. Quindi quando tipi come i Clash firmano con la CBS e poi pubblicano subito un pezzo come Complete Control, penso che o sono meravigliosamente stupidi oppure sono vagamente ipocriti. E analogamente, nel corso degli anni alcune delle persone che gestivano le etichette indipendenti sono state abbastanza sgradevoli e prive di scrupoli.

A quei tempi Radio One non aveva davvero nessun rivale per il pubblico pop, almeno a livello nazionale. A livello locale c’erano alcune stazioni commerciali, come Capital, ma nel complesso la radio era controllata e finanziata dallo stato.
Si, è sempre stata finanziata dallo stato, ma non avevamo i capi nazisti che ci dicevano che eravamo obbligati a suonare gli Sham 69. Il problema delle stazioni radio indipendenti nella maggior parte dei casi è che si orientano rapidamente Verso il compromesso per cause di pura necessità. E in molti casi sono finite a scimmiottare i lati peggiori della Radio One diurna.




No, mi hai frainteso. Volevo arrivare a suggerire che il tuo programma, se mai, ha fornito un buon argomento a favore del controllo statale delle onde radio. In una strana maniera, irradiare Notsensibles e Native Hipsters in ogni angolo del paese era un estensione dell’ idea della BBC che aveva John Reith.
Continuo a pensare che se non fosse stato già morto, a Lord Beith sentendo uno dei nostri programmi negli anni del punk sarebbe venuto un colpo! Ma l’idea alle spalle del programma era in qualche modo sull’onda di Reith. Sento di stare portando avanti una sorta di grande tradizione della BBC. E solo quando il programma viene messo in contrapposizione con la programmazione diurna che le persone iniziano a vederlo come una sorta di Baader-Meinhof dell’emissione britannica. ln realtà non è cosi estremo. Se il mio obiettivo fosse stato solo l’essere strano, l’avrei sicuramente potuto rendere molto più bizzarro.

A quei tempi potevi scoprire davvero il post-punk e gli altri territori di confine della musica solo sintonizzandoti sul tuo programma o comprando ogni settimana i giornali musicali.
Era un periodo strano per i giornali musicali, perché il grosso degli articolisti recensivano se stessi. Non ti dicevano molto della musica. Mi interessavo alle fanzine, ma solo come guide su quel che valeva la pena approfondire. Se arrivavano due fanzine da Chesterfield che dicevano che un gruppo era bravo, sapevi che probabilmente il gruppo era davvero bravo. A meno che il tizio che faceva la fanzine non fosse uno del gruppo.

Quali riverberi vedi ancora in corso oggi di quel periodo dopo il punk?
L’idea del do-it-yourself, è come la flessione dell’atomo: non puoi disimpararla. Un sacco di quelli che facevano roba dance negli anni novanta erano passati per una fase punk o post-punk, ed era per quello che sapevano che far uscire dischi in proprio era una cosa che si poteva fare.

Parlando di musica dance, sono sempre sorpreso dall’ampiezza delle cose che tieni sott’occhio. Quindi in un certo senso fui sorpreso e contemporaneamente non sorpreso, scoprendo che ti piace l’happy hardcore e che lo hai mandato in onda nel tuo programma.
Piaceva a mio figlio Thomas e la stupidità trascinante dell’happy hardcore era semplicemente grande, anche se pareva avessero smesso di farlo.

Cosa pensi di tutte quelle formazioni che, come i Life Without Buildings, passavano consciamente per quell’eco del periodo post-punk?
Non mi facevano particolarmente impazzire. Suonano un po’ ricercati. Nel complesso gli statunitensi sembrano meno a disagio nell’ammettere il proprio lignaggio, mentre le formazioni inglesi cercano di far finta di non avere storia né influenze. Mi sembra davvero infantile.

Hmm, non saprei. .. vedi, quel che trovo cosi eccitante, e anche, in un certo senso, affascinante rispetto a tutta quella stranezza post-punk dei tardi settanta sono proprio gli strenui tentativi dei gruppi di creare musica senza storia né radici.
Sono d’accordo, ma credo sia il genere di cosa che può avvenire solo una volta per generazione. Più di tutti sono stati i Ramones: semplicemente non suonavano come nessun’altra cosa che tu avessi già sentito. E’ bello quando ti arriva qualcosa e pensi: <<Non so che musica hanno ascoltato questi gruppi>>.

John Peel se ne è andato il 25 ottobre 2004. RIP.


J. Peel Sessions: The Vapors

J. Peel Sessions: Tractor

Killing Joke: The Singles Collection 1979- 2012

The John Peel Sessions: 2001

The Peel Sessions page 

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