Abbiamo letto e volentieri ri - pubblichiamo questa bella intervista di Antonio Gnoli, giornalista di la Repubblica, ad ANGELA DAVIS, una delle nostre donne-mito: donna, nera e comunista, così è stata 
presentata alla conferenza Donna e carcere dal giornale basco Gara, conferenza che si è tenuta lo scorso venerdì a Bilbao, in Spagna.
Nata il 26 gennaio del 1944 a Birmingham in Alabama, è stata una delle leggende politiche degli 
anni Sessanta e Settanta. Una figura di spicco del movimento americano 
per la difesa dei diritti civili, in particolare dei neri e della donne.
 Angela Davis è oggi a Roma invitata dall'Università degli studi di Roma
 Tre. Terrà stamane una lezione cui seguirà una discussione sui temi 
legati al femminismo nero nell'ambito della "Women's Liberation". La sua
 maestosa e inconfondibile capigliatura è diventata brizzolata. È la 
sola cosa che è cambiata in una donna che continua a conservare la 
passione e la sicurezza dei suoi giudizi morali. La sua vita è 
costellata da episodi durissimi e a volte drammatici. Un'infanzia 
trascorsa nella segregazione di uno stato del Sud, l'Alabama. I 
pregiudizi e le ingiustizie subite a opera dei bianchi. Gli anni del 
carcere, con l'accusa di terrorismo. L'isolamento, ma anche i movimenti 
di opinione sorti in suo favore nel mondo. L'impegno politico e 
culturale. L'incontro con un maestro come Herbert Marcuse. Gli anni 
passati in Europa, tra la Francia e la Germania. L'insegnamento 
all'università.
Ha scelto con il tempo di concentrare il suo estro 
rivoluzionario alla elaborazione di una critica femminista del sistema 
carcerario, mettendo il suo lavoro e carisma intellettuale al servizio 
di diverse campagne internazionali per la liberazione dei prigionieri 
politici.
In opposizione all’attuale modello carcerario che si basa su disuguaglianze naturalizzate, vendetta e rappresaglia, Angela Davis condivide con Interzone, (insieme a tantissime altre cose) la battaglia per l'abolizione del carcere: "<«Pensare e proporre di abolire il sistema carcerario ci impone di 
prendere molto seriamente l’anticapitalismo, l’antirazzismo e 
l’antisessismo». Angela ci dice che..<<che pur rappresentando solamente il 5% della popolazione mondiale, 
negli Stati uniti vi è il 25% della popolazione mondiale incarcerata. Ad
 oggi sono duecento mila le donne rinchiuse nel regime carcerario 
nordamericano, cifra che quaranta anni fa rappresentava il totale della 
popolazione detenuta, e che oggi rappresenta un terzo delle donne in 
stato di detenzione a livello globale.
Il prodotto di una connessione perversa e crudele tra il castigo 
politico e civile e il circuito globale dell’economia capitalista. La 
multinazionale G4S che produce, applica ed esporta “sicurezza” è la 
seconda corporation più grande al mondo: l’impero che crea più occupazione in Africa>>.
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| Murales di Ananda Nahu | 
Angela Davis ha attinto alle contraddizioni della storia americana 
sposando sempre la causa dei deboli. Oggi che l'America è impegnata in 
un'aspra campagna per le presidenziali le chiedo per prima cosa un 
giudizio su quanto sta accadendo nelle primarie. È indignata per i toni.
 "È sicuramente la campagna per le primarie più sconcertante che abbia 
mai visto. Non è concepibile che un candidato alla presidenza possa 
associarsi a delle parole pronunciate da Mussolini e giustificarsi poi, 
commentando che era una buona citazione. Donald Trump fa leva sui 
settori più razzisti e politicamente più arretrati della popolazione. È 
un pericolo contro cui bisognerà lavorare per assicurarci che in futuro 
non nuoccia più al paese".
Ritiene sia diversa l'attuale situazione dagli anni '70, quando scrisse "Autobiografia di una rivoluzionaria"?
"È cambiato il quadro internazionale, con l'affacciarsi di nuove potenze e conflitti. Ma il razzismo non è stato sconfitto".
Perché decise di scrivere un'autobiografia? Era giovane, con delle esperienze tutt'altro che compiute.
"È un problema che allora mi posi. Per un po' fui incerta se parlare 
della mia vita. Fu Toni Morrison, nel suo ruolo di editor alla Random 
House, a convincermi che sarebbe stato possibile scrivere un libro al 
cui centro ci fosse una storia collettiva di movimenti e di lotte, più 
che il racconto privato di una donna, allora trentenne".
Per quasi due anni lei è stata rinchiusa in una prigione, con 
l'accusa di terrorismo. Seguì il processo e la piena assoluzione. Con 
che sentimenti ha vissuto quel periodo: paura, noia, disperazione?
"Le emozioni che lei elenca le ho provate durante tutta la prigionia. Ma
 nello stesso tempo sentivo crescere la speranza. Molta gente si 
mobilitò, ritenendo un'ingiustizia la mia detenzione. La cosa più dura 
che mi toccò allora subire fu l'isolamento nel quale venni tenuta per la
 gran parte del tempo".
Oggi come ripensa a quell'esperienza?
"Oggi ritengo sia stato importante conoscere la realtà carceraria. Tanto
 più perché mi ha consentito di lavorare contro l'istituzione delle 
carceri. È stata un'esperienza che tra l'altro mi ha messo in contatto 
con le donne detenute e doppiamente discriminate: sia nella vita che 
nelle prigioni".
L'ha sorpresa che anche fuori dai confini americani ci fosse un movimento per la liberazione di Angela Davis?
"In un certo senso direi di sì. Seguivo con molto coinvolgimento le 
manifestazioni a mio favore. Ho visto foto di manifestanti in Europa, 
particolarmente Francia, Italia, Germania e Regno Unito; ma anche in 
Asia, in Africa, in America latina e in Australia".
È stata, in fondo, la prima globalizzazione in difesa dei diritti di una persona.
"E la cosa mi fa pensare che c'è molta più gente contro il razzismo che a favore".
Lei ha vissuto in Europa?
"Sì, arrivai la prima volta in Francia nel 1962. Ricordo che stava 
finendo la guerra contro l'Algeria. Ero cosciente che un razzismo, 
diverso da quello americano, veniva praticato sotto la forma del 
colonialismo. Il memoriale La question di Henri Alleg, che denunciava le
 torture contro i resistenti algerini, mi aprì gli occhi. Fu allora che 
conobbi anche lo straordinario lavoro di Frantz Fanon I dannati della 
terra ".
Ha conosciuto Sartre e Camus?
"Purtroppo no. Camus morì nel 1960. Mi sarebbe piaciuto incontrarlo. 
Ricordo che nell'estate del 1961 lessi il suo libro L'homme révolté . Il
 mio viaggio a Parigi era funzionale alla decisione di laurearmi in 
letteratura francese. Mentre leggevo i classici Corneille, Moliére, 
Racine, scoprii la forza di seduzione di Sartre e Merleau-Ponty. Anche 
se non ho mai incontrato Sartre, sono orgogliosa per la sua adesione 
alla campagna in mia difesa. I suoi libri mi hanno aiutato a spostare i 
miei interessi dalla letteratura alla filosofia. Ma la persona che in 
questo campo è stata decisiva fu Herbert Marcuse".
Come lo ha conosciuto?
"Durante una lezione alla Sorbona e poi in America, dove ha insegnato a 
lungo. Marcuse mi ha convinto a prendere molto sul serio la filosofia 
continentale. Trovavo affascinante il modo in cui parlava del primo 
Marx. La sua tesi era che non si poteva capire l'economia politica senza
 aver affrontato la parte filosofica di Marx. Ho avuto il privilegio, 
nel corso del mio ultimo anno di studi universitari, di lavorare fianco a
 fianco con lui. Fu Marcuse a consigliarmi di continuare a studiare a 
Francoforte con Adorno, Horkheimer, Habermas e Negt".
E il consiglio lo ha seguito?
"Sono stata per due anni a Francoforte. Durante quel periodo partecipavo
 allo SDS, un movimento studentesco di estrazione socialista, che 
lottava contro la guerra in Vietnam, contro lo Scià in Iran e contro i 
rigurgiti neonazisti tedeschi".
Adorno non era molto contento della contestazione.
"Adorno non amava la figura dell'intellettuale impegnato ed era molto 
critico verso ogni forma di attivismo politico. D'altro canto Marcuse 
era la personificazione di tutto ciò che Adorno detestava. Il suo 
impegno intellettuale era per tutti noi il modello culturale in cui 
credevamo".
In cosa credeva?
"Che il nostro compito, in quanto studiosi, fosse di cambiare il mondo sociale nel quale vivevamo".
Ammetterà che le cose più interessanti sul piano dell'interpretazione arrivarono proprio da Adorno.
"La sua acutezza come pensatore è indiscutibile. Continuo a leggere e a 
insegnare ai miei studenti la sua opera. In particolare La dialettica 
negativa e la Teoria estetica . Come studentessa, seguii le sue lezioni,
 partecipai ai suoi seminari e parlai con lui per discutere il lavoro 
della tesi. Fu in quel momento che mi resi conto che avrei dovuto 
operare una scelta".
Quale?
"Tra il desiderio di usare la mia formazione filosofica per cambiare il 
mondo e quella solo di interpretarlo. Decisi allora di interrompere la 
collaborazione con lui e di tornare in America".
Ritiene che la sua Teoria critica abbia ancora validità?
"Assolutamente sì! Nella versione che ne diede Marcuse si capisce che 
gli approfondimenti della filosofia riguardo alla libertà, l'uguaglianza
 e la giustizia, spesso ci obbligano a lasciare l'arena filosofica. 
L'eredità della "teoria critica" è di averci fatto abbracciare uno 
sguardo interdisciplinare".
Che cosa pensa del postmoderno?
"È un concetto ormai talmente largo che è difficile sappia fornire 
risposte convincenti su ciò che accade. Detto questo, credo che le 
teorie di Derrida e Foucault, sebbene i due abbiano poco in comune, 
siano di estremo interesse. Ma sono davvero dei postmoderni?".
Preferisce ancora Marx?
"Come si fa a buttarlo a mare? È ancora di grande aiuto consultarne i 
libri per capire i limiti dell'attuale neoliberismo. A questo proposito 
anche l'opera di Antonio Gramsci riveste un'importanza particolare in 
questo momento".
Gli anni della protesta contro il razzismo sono stati 
accompagnati da un clima culturale straordinario. Intellettuali come 
James Baldwin, scrittori della Beat generation, artisti come Bob Dylan 
hanno secondo lei interpretato lo spirito di quel tempo?
"I movimenti di massa che reclamano un cambiamento influenzano sempre il
 mondo culturale. Baldwin seppe dare una direzione al movimento e 
continua a essere per i giovani una spinta verso l'impegno. Quanto alla 
musica di Dylan, era il barometro che segnò il cambio di temperatura nel
 movimento culturale. Ha saputo indirizzare la coscienza popolare nella 
direzione progressista".
A proposito di musica, John Lennon e Yoko Ono le dedicarono una canzone. Che cosa ha provato?
"Ho un grande rispetto per Lennon e per la sua opera. E un rispetto 
ancora più vivo per Yoko Ono. Sono grata per avermi dedicato una canzone
 e per il fatto che hanno scelto di onorare la memoria di George 
Jackson".
Jackson fu un importante esponente delle Pantere nere. Venne ucciso nel carcere di Saint Quentin.
"Era il 1971. Fu ucciso per le idee in cui credeva e per le quali lottava".
Che ricordo ha di Angela Davis bambina?
"Non credo che la mia infanzia sia stata molto diversa da quella di 
altri bambini neri cresciuti nel sud segregazionista. Ma sono grata ai 
miei genitori per avermi aiutato ad avere una visione del mondo 
infinitamente più vasta del chiuso universo del Sud di "Jim Crow". 
Ancora oggi ho molti contatti con gli amici della mia infanzia e ritorno
 spesso a Birmingham, in Alabama, dove molti di loro vivono tuttora".
Chi è oggi Angela Davis?
"Una persona che crede che il mondo nel quale viviamo possa diventare un
 posto migliore per tutti. L'ho sempre pensato e ho sempre lottato per 
questo".
intervista tratta da la Repubblica del 14/03/016
Antonio Gnoli 



 
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