In occasione della Giornata della Memoria, è uscito nelle sale italiane il 27 e 28 gennaio (2014, ndr) Hannah Arendt, ultimo film di Margarethe Von Trotta che ritrae la vita pubblica e privata della filosofa tedesca. Solo due giorni e in pratica, scomparso dalla circolazione. In occasione dell'anteprima per la stampa a Roma, alla Casa del Cinema, è seguito un incontro con la regista, redicontato da Sentieri Selvaggi e che noi riproponiamo.
Margarethe Von Trotta: Vorrei iniziare ringraziando Angelo Draicchio (titolare della Ripley's Film) per aver portato il mio film in Italia, che considero la patria del cinema più importante, e che, grazie al Leone d’Oro consegnatomi a Venezia nel 1981 per Anni di Piombo, ha permesso alla mia carriera cinematografica di aprirsi veramente al mondo. Anche se il film esce con un anno di ritardo rispetto al resto del mondo sono felice che possa essere visto anche dal pubblico italiano.
Da dove nasce la scelta di dedicare il film a un periodo di tempo così limitato nella vita di Hannah Arendt, cioè i quattro anni in cui ella segue il processo Eichmann e pubblica infine il suo celebre libro La banalità del male?
Io e la mia sceneggiatrice Pam Katz eravamo indecise su quale periodo scegliere della vita di Hannah, essendo così ricca di spunti. Avremmo potuto raccontare la sua fuga dalla Germania, o il periodo trascorso in Francia dove conobbe Walter Benjamin e aiutò gli esuli ebrei, o del suo arrivo in America, dove alla sua età fu costretta a imparare da zero l’inglese, che arrivò poi a padroneggiare senza però impararne l’accento. Anche per questo motivo ho chiesto esplicitamente alla distribuzione italiana di mantenere la versione audio originale accompagnata da sottotitoli, in modo da rendere esplicita la tendenza dei tedeschi espatriati a parlare in tedesco quando partecipano ad accese discussioni, come descritto in una scena del film ispirata direttamente alle testimonianze di Lotte Kohler, l’assistente di Hannah che è ancora viva oggi, ha più di novant’anni, e che ci ha raccontato numerosi episodi e aiutato nella fase di ricerca.
Il film si incentra molto sulle reazioni negative che il mondo del giornalismo e non solo dedicò all’uscita del reportage di Hannah Arendt sul processo Eichmann. Perché questa chiave di lettura?
Ricordo di come la mia generazione, durante il ’68, non osasse criticare il comunismo, e di come invece la Arendt, nei suoi discorsi sul totalitarismo, poneva allo stesso livello il regime nazista con quello stalinista. Per noi tutto ciò all’epoca era difficile da accettare, e solo dopo la caduta del muro di Berlino direi che siamo stati in grado di comprendere la portata del suo pensiero così indipendente e in anticipo rispetto ai suoi tempi.
Pensa che l’ostracismo riservato alla Arendt non fu solo su base ideologica ma anche di genere? Venne insomma così ostacolata proprio perché era una donna a formulare pensieri di portata così imponente?
Sì, mi sembra una cosa evidente. Molte delle persone che lavorarono a stretto contatto con lei affermano che, nell’ambiente accademico, nessun collega maschile venne mai rimproverato con la stessa ferocia con cui venne attaccata Hannah, accusata spesso di essere una persona priva di sentimenti.
La relazione con Martin Heidegger è stata forse la più importante nella vita della Arendt, come mai essa viene evocata solo attraverso dei flashback e tenuta in secondo piano rispetto al resto della storia?
Non volevo certo fare un film sulla presunta relazione amorosa fra Heidegger e Hannah Arendt, anche perché in questo caso mi sarebbe stato più facile trovare i soldi. Ciò che mi interessava era la contrapposizione fra il non-pensare di Eichmann, asservito al totalitarismo nazista, e la certezza utopica di Hannah secondo cui il pensiero è ciò che ci protegge di fronte alle catastrofi. In mezzo ai due vi è proprio Heidegger, lo considero come il terzo perno attorno a cui ruota il ragionamento che sta alla base del film.
Che tipo di risposta ha avuto dal pubblico? Ci sono state ulteriori controversie riguardo alla tesi della Arendt secondo cui l’olocausto è avvenuto in parte con la collaborazione degli stessi ebrei?
Sono rimasta molto sorpresa dal successo che il film ha riscontrato in tutto il mondo. Il mio precedente distributore non ha voluto credere in questo film, ma invece la mia attesa di otto anni è stata ripagata. Vi sono state alcune controversie: alcuni storici sostengono che la figura di Eichmann non tiene conto di nuove informazioni che sono emerse negli ultimi anni, ma io ho fatto un film dove seguo Hanna Arendt e il suo pensiero, e mi devo muovere con lei, non in anticipo, per questo mi sono attenuta solo alle sue convinzioni.
Una domanda per il distributore italiano, Angelo Draicchio. Perché la scelta di uscire solo in sala per soli due giorni?
Angelo Draicchio: Purtroppo il problema è il mercato italiano che ci è ostile: il film sarebbe dovuto uscire ad ottobre 2013, ma i riscontri negativi ci hanno portato ad organizzare questa distribuzione il 27 e 28 gennaio in occasione della Giornata della Memoria. Sarà una distribuzione capillare, con circa un centinaio di copie. Insomma una strategia di profondità, resa possibile grazie al digitale. Ovviamente la vita distributiva del film proseguirà nel circuito scolastico e delle associazioni che si sono dimostrate interessate al film, che verrà in seguito distribuito in Home Video dalla Ripley’s ed è in preparazione un’edizione in coppia con il libro della Arendt insieme alla Feltrinelli, in occasione dell’anniversario della pubblicazione de La banalità del male in Italia.
Sentieriselvaggi.it
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