![](https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhwAKxhyphenhyphenvDiozseFQsOjzw1dH4Vg0FWPqMeGpYj3yM9_FN5HMlMyQafTEFSe88PMLwrqSgsnCun12wsHSRlkm9kp2ZuinZjam0UcRRkL4IY790L90QT0-LtGc4PuD5zZoOs78f_iLG2ucM/s1600/palladium-sep-79.jpg)
Time Magazine, che di abitudine offriva spazio alla musica solo in rari casi, definì il loro primo breve tour americano un mini-blitz. Una breve tournée, in effetti (dieci giorni, sette città), che era nell’aria come una promessa di nuova energia nel sempre più morbido mondo del record business. Mentre il tour cominciava nella tanto ironizzata California (ormai un bersaglio fisso per tutti i new wavers inglesi insofferenti della sua pacifica rilassatezza), i reportage lo definivano con parole piene di elettricità e rivelazione. L’ultima serata, al Palladium di New York, era destinata già in partenza alla gloria-ultimo assalto vittorioso di una crociata rock’n`roll che lasciò decisamente il segno. Quando la sacra insegna calò sulla cena - una bandiera cosmopolita che non lascia dubbi sulle intenzioni del gruppo - non una persona rimase seduta: una delle rare volte di una audience già in estasi prima ancora dell’inizio. Un trionfo. Una totale dedizione di entrambi, critica e pubblico americano per il gruppo più rappresentativo della new wave inglese dopo il <<suicidio>> dei Sex Pistols. Rifletteva il momento, e rifletteva la necessità di contrapporre al Disco-power (e al suo fratello di vendite, il formato morbido di easy-pop) qualcosa che poteva ancora riconoscersi, e dare nuovo senso e vigore, allo spirito del rock’n’roll. The Clash, lo Scontro.