22/04/14

Hurricane di Bob Dylan e The Match di Norman Mailer

Dopo una battaglia con un cancro alla prostata, muore Rubin "Hurricane" Carter, il pugile  oggetto dell'iconica  canzone di Bob Dylan "Hurricane".
Nel 1967, tre bianchi vengono assassinati da due uomini neri a Paterson, New Jersey. Carter e il suo amico John Artis furono portati in ospedale, al capezzale di uno dei tre uomini colpiti, che prima di spirare non identifica nessuno dei due accusati.. In definitiva, Carter e Artis furono in seguito condannati da una giuria di soli bianchi, sulla base della testimonianza di Alfred Bello, un criminale che poi ritrattò la sua storia. Carter fu condannato al carcere a vita.
Nel 1975, Carter inviò  una copia della sua autobiografia a Dylan,  "Il sedicesimo round: da sfidante numero 1 a numero 45472". Secondo Rolling Stone, Dylan visitò Carter in prigione dopo un mese dal ricevimento del libro. Dylan disse in un intervista:
"La prima volta che l'ho visto ho capito che la filosofia dell'uomo e la mia filosofia correvano lungo la stessa strada, e che non si incontrano molte persone del genere."

Dylan, con il produttore Jacques Levy scrisse "Hurricane", che fu eseguita durante il suo tour Rolling Thunder Revue ed è inclusa nel album Desire. La canzone contribuì  a portare la storia di Carter all'attenzione dell'opinione pubblica.
Dylan inoltre tenne due grandi concerti di beneficenza per il fondo legale a favore di Carter, a cui parteciparono  Stevie Wonder, Isaac Hayes, Santana, Richie Havens, la Band di Rick Danko, e molti altri. Nel 1976, dopo la ritrattazione di Bello, ci furono le condizioni per l'istruzione di un nuovo processo. Bello ancora una volta ritrattò, e Carter e Artis furono di nuovo condannati  e imprigionati per otto anni, prima che un giudice della corte distrettuale di Newark decise che i due imputati non avevano avuto un processo equo, affermando che l'accusa era "basata su motivazioni razziali". Ancora una volta, grazie alla pressione della pubblica opinione e  al lavoro di un giovane gruppo di avvocati si andò ad un nuovo processo, dove venne ribaltata la condanna.
Certo, la storia è meglio raccontata da Dylan:




Qui il bel film Hurricane – Il Grido dell'Innocenza (1999) con Denzel Washington



The Match

All'inizio fu un breve colpo di vento e il cielo sembrò aprire il coperchio di zinco che chiudeva da un mese Kinshasa in un unico blocco di umidità e caligine, poi in un attimo venne giù l'uragano, quasi la restituzione postuma di una preghiera o di un rito scaramantico da troppo tempo officiato a bassa voce, l’esito della cospirazione unanime di allibratori, di appassionati e degli uomini in divisa la cui presenza ubiquitaria aveva decorato l'evento come fosse uno scoppio incendiario del colore verde (ora più sgargiante, proprio perché madido di pioggia) e dunque sancito il trionfo un’Africa ancestrale e rediviva. Il tornado infierì sullo stadio che il regime di Mobutu, l’incubo in tinta verde del socialismo più autocratico, aveva allestito alla maniera dl un antico arengo o, persino, di un Colosseo panafricano dove il ring poteva simulare sia uno spazio gladiatorio sia un’ara sacrificale. Ma ogni cosa si era già compiuta un’ora avanti, alle quattro di mattina, quando il mondo della forza bruta, la dura legge della necessità, era stata violata da una forza contraria, cosi esatta e inesorabile, cosi padroneggiata nel ritmo di una danza e suggellata da una clausola d'autore, da riuscire in effetti fatale. Chiunque era autorizzato a pensare, oramai, che ll tornado esploso nella lividezza dell’alba fosse un segno apocalittico, nel senso etimologico della rivelazione, perché il vecchio Ali, l’artista e profeta, ll compagno di via di Malcolm X, colui che punge come un’ ape e vola come una farfalla, aveva vinto, mentre George Foreman, il lacche negro e bianco, il prodigio biomeccanico, la macchina da pugni e da soldi, era stato platealmente executé. A ora il cielo era un lavacro, nell'ora zero del sogno africano e dell'apoteosi di uno sport che aveva ambiguamente cominciato a morire proprio quella notte del 30 ottobre '74, nel corso dell’ottavo round, dopo un estenuante mimo che aveva visto Foreman sparare i suoi colpi nel vuoto e Ali, viceversa, rinunciare alle figure della danza consueta per adagiarsi sulle corde del ring come fossero una barra d’appoggio ovvero il soccorso del secondo principio della termo dinamica. Solo a metà dell’ottava riresa Ali si era staccato dalle corde e aveva guadagnato, imperioso, il Centro del ring accingendosi al ballo che annunciava l’inizio dell'esecuzione: 
<<Un proiettile delle dimensioni esatte di un guantone da boxe centrò in pieno la mente di Foreman, il miglior pugno di quella nottata sorprendente, il pugno che Ali aveva tenuto in serbo per tutta la sua carriera. (. . .) La sua mente lo tratteneva con un magnete grosso come il suo titolo, ma il suo corpo cercava il suolo. Andò giù come un maggiordomo sessantenne grande e grosso che ha appena udito una notizia tragica, si, cadde per due lunghi secondi, il campione, un pezzo alla volta, e Ali girava con lui in uno stretto cerchio, le mani pronte a colpirlo ancora una volta, e non ce fu bisogno, non fece altro che scortarlo al tappeto>>.


Nel 1975 Muhammad Ali, alias Cassius Clay, incontrò sul ring di Kinshasa, nello Zaire, George Foreman, campione dei pesi massimi. mai sconfitto prima, foreman si serviva del silenzio, della tranquillità e della devastante presenza fisica per intimorire gli avversari. Ali tentava di riprendere il filo di una carriera in declino, e di riconquistare per la seconda volta la corona dei massimi, investendo nell'impresa tutta la sua intelligenza, il gusto della provocazione, il talento. due uomini, due grandi campioni, due personalità opposte ma straordinarie. 
Questo è un piccolo estratto da The Match, (tornato in Italia nella nuova versione di Alfredo Colitto col titolo La sfida, Einaudi - Stile Libero 'Big', pp. 261, 14 euro) scritto in terza persona dal grande scrittore americano Norman Mailer, newyorkese, bianco ed ebreo, radicale, all’epoca tutto metafisica beat, marijuana, pacifismo e rigetto dell’establishment, di stanza da un mese a Kinshasa e presente quella notte a bordo ring, in  uno dei suoi libri più belli, in cui descrive la preparazione, il clima, la tensione delle settimane che precedettero l'evento, l'allenamento e infine l'indimenticabile match, dando ampio spazio anche alle tensioni tra Ali, sostenitore del Black Power e dei musulmani neri e amico personale di Malcom X, e Foreman, poco propenso a fare della questione razziale una priorità o una ragione di vita..



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