22/11/15

Kraut Zone: una panoramica della scena e dei suoi protagonisti

Thom Yorke (Radiohead) lo considera il suo maggiore ispiratore, Bowie gli deve buona parte della sua migliore produzione. Sono totalmente in debito Punk e l'intera New Wave. Ed è strano come un tale genere musicale dalla profondità e dall'ampiezza così variegata sia stato racchiuso in una definizione e in un nome così unidimensionale. Il Krautrock...
Emerso dalle città tedesche dell' ovest come Monaco, Amburgo e Colonia durante il periodo d'oro post-psichedelico che andò dal 1969 al '75, una serie di gruppi, musicisti, artisti, collettivi crearono alcune delle più incredibili, ultraterrene e genuinamente sperimentali musiche degli ultimi 50 anni. La maggior parte del materiale è ormai pubblico, ma vista la vastissima produzione che si ebbe in quel lasso di tempo ci sono ancora una miriade di dischi e reperti che sono in attesa di essere scoperti e al minimo sussurro di pubblicazione di materiale inedito può indurre ad un febbrile sudore qualsiasi esigente aficionado del genere.

Nel corso degli anni, è diventato ben chiaro che il krautrock ha indirettamente influenzato quasi ogni forma di musica, che si tratti di rock, techno o addirittura il punk. E in questo periodo sembra essere ritornato in auge, attraverso una vera e propria rinascita, piuttosto che il solito bizzarro fascino retrò. Creatori di musica moderna imbevuta di inventiva e sostenuta da un approccio di libero pensiero, gruppi come Sunburned Hand Of The Man, Circle, Residual Echoes and Sunn O))) sono importanti portabandiera del movimento corrente. Come i predecessori, anche loro operano al di fuori dell 'industria musicale', resistono alla classificazione, incoraggiano la spontaneità, abbracciando una visione musicale più estesa e prosperando attraverso una rete do-it-yourself autoportante.
Presuntuoso e del tutto personale, data la vastità e la diversità, la scelta di alcuni dischi che secondo noi rappresentano il meglio del krautrock, poi rimandiamo al bellissimo lavoro di Julian Cope sulla musica tedesca, Krautrocksampler.

TANGERINE DREAM
Zeit
(Ohr, 1972)
Mentre gli americani e sovietici combattevano per portare il primo uomo sulla luna, anche il rock progressivo era impegnato nella corsa allo spazio. Proprio come le escursioni jazz cosmiche di Sun Ra, artisti del calibro di Pink Floyd con "Interstellar Overdrive" e di Hendrix con "3rd Stone Da The Sun" avevano generato il cosiddetto "space-rock". Ora, abbandonate punk rock e skateboard, propositi bellicosi come voler abbattere porte e immergetevi in sessioni di synth impazziti, chitarre e violoncello, con cui i TANGERINE DREAM le porte le spalancano.. Zeit è un LP incredibile
Il primo registrato con il trio Froese, Peter Baumann e Chris Franke, Zeit è un doppio album, al tempo stesso epico e meticoloso nella sua moderazione. La copertina è una delle più iconiche del Krautrock, la foto di un'eclisse solare - e il titolo, acronimo tedesco di 'Tempo', invece accenna a qualcosa di più intangibile. Froese, praticante di meditazione Zen, credeva che il tempo è un'illusione, creato dai sensi umani. A differenza del galoppante space-rock , Zeit inaugura un eternità cosmica, dove lo scorrere del tempo perde il suo significato.



EMBRYO
Rocksession
(Brain, 1972)
Uno dei gruppi kraut misconosciuti ma fondamentali. EMBRYO celebrano tutto ciò che entusiasta di questa musica. 'Rocksession' schizza verso l'alto, e non ha niente a che vedere con un confusionario space-rock. Il rock progressivo forniscela base, ma è il jazz-rock che dà sapore a questo potente e seducente albumche rivaleggiò con i più noti gruppi rock prog inglesi e statunitensi. Inizialmente la casa discografica rifiutò di pubblicare queste sessioni registrate tra il 1971 e il 1972, preferendo mettere sul mercato prima "Father, Son & Holy Ghosts". Il brano di apertura dell'album, ‘A Place To Go’, molto "orientally", ci persegue con sussurri psicotici e frustate di assoli fuzz. La resistenza è inutile.

GOMORRHA
Trauma
BASF/Comet, 1970
Eccellente e duro Krautrock, uscito nel 1971, un anno tra i migliori per la musica alternativa tedesca. Originariamente registrato nel 1969 col titolo Gomohrra, ma riregistrato un anno più tardi in inglese e pubblicato come 'Trauma', il leggendario produttore Conny Plank contribuì a trasformare il sound pseudo-psichedelico della band in un mostruoso heavy rock, disseminandolo di distorsioni Spacey e pause dissonanti. Il clou dell'album comunque è la title track di 13 minuti, che, dopo una breve introduzione vocale s'immerge in un lungo assolo di chitarra space rock. Il disco fu realizzato in condizioni piuttosto frenetiche: Conny e la band venivano avvisati quando lo studio di registrazione era libero, e questo accadeva soprattutto nel bel mezzo della notte. Senza dubbio, per goderne appieno, Trauma si dovrebbe ascoltare in cuffia.

NIAGARA
Niagara
(United Artists, 1971)
Forse è un peccato che un lavoro come questo sia relegato solo nell'ambito kraut, dato che in realtà si muove più su linee world music che su quelle fredde e sintetiche a cui viene associato il Krautrock tradizionale. Il gruppo, un collettivo di musicisti provenienti da diversi paesi attirò l'attenzione della United Artist e pubblicò, quasi autoprodotto, Niagara nel 1971. Il primo dei tre album il cui ruolo fondamentale fu un'orchestra concettuale guidata dal batterista austriaco Klaus Weiss, che portò proprio la batteria e le percussioni al centro delle composizioni della band: in pratica, il sogno di un batterista che diventa realtà. Ritmi africani e materiale sicuramente non commerciale.. adatto soprattutto agli amanti del tamburo.

CAN
Tago Mago
(United Artists, 1971)
Questa band leggendaria è in cima alle preferenze musicali non solo Kraut di INTERZONE. Chi ha ascoltato (e chi ascolta) Tago Mago o uno qualsiasi dei dischi dei Can non può non riconoscere la loro influenza su buona parte della musica rock a venire. Intenzionalmente o per difetto, ha lasciato un'impronta nel subconscio di una grande quantità di musicisti.. Tago Mago vede il gruppo davvero scatenato, con ogni sorta di visioni , dai flussi "Dreamscape" intensi e ipnotici di'Paperhouse', ai ritmi a cascate di 'Oh Yeah',al fragoroso proto-hip-hop di 'Halleluwah'. Il momento decisivo, però, è 'Aumgn', che incapsula space rock nella sua forma più pura e cerebrale. Tutta l'essenza dei Can è l'interazione, non la postura, con il principale obiettivo di fare dei 'Can' una cosa viva. "Tago Mago" è un album doppio e pietra angolare della produzione Can e di tutto il rock tedesco, imperdibile e impossibile da non possedere.




FAUST
So Far
(Polydor, 1972)
E 'difficile descrivere la musica degli anni '70 dei Krautrockers Faust: bisogna ascoltare per capire. Mentre l'omonimo debutto del 1971 suonava più come un collage di musica concreta con esplosioni occasionali di quello che potremmo definire approssimativamente musica "rock", il loro secondo lavoro, Faust So Far, registrato nella comune del gruppo nel villaggio rurale di Wümme nel 1972, ha un approccio più ritmico, accessibile e rockin, con tutti i suoi tamburi martellanti e selvaggi, le chitarre rumorose: So Far suona come la versione più heavy del successivo, e più noto Faust IV. Il secondo LP del gruppo era una dichiarazione coraggiosa, musicalmente e concettualmente. Ogni traccia ha una sua identità unica, ma è chiaramente sempre timbrata Faust. Come già detto però, bisogna ascoltare, perché questa musica è molto più della somma delle sue diverse e strane piccole parti.


Amon Duul II
Yeti
(Liberty, 1970)
Dalle ceneri degli Amon Duul, Amon Duul II avevano un sapore di rock sci/fi bizzarro, jam session psichedeliche, martellanti violinisti folk: musicisti psicopatici alla fine della generazione flower power degli anni '60 e inizi '70 .Inizialmente in risposta al freak-out dei Grateful Dead con il loro album Phallus Dei (Pene di Dio), pubblicato nel 1969, il secondo album Yeti è un album dalle dinamiche strane, più anti-hippie che mai.
Amon Duul II all'epoca erano una band di culto che aveva tra i suoi sostenitori gente come David Bowie e il critico di Rolling Stone in quegli anni Lester Bangs, che disse di loro:'Non c'è mai stato un gruppo come gli Amon Düül II prima, e non potrà mai esserci un altro gruppo capace di trasmutare così tanti suoni in seguito! Rilasciato sulla stessa etichetta e nello stesso anno di 'di Dracula Music Cabinet', questo disco dimostra come stavano le cose musicalmente in Germania verso la fine degli anni '60. Yeti, stoner krautrock capolavoro composto da 13 tracce, fu la risposta della Germania al genere Prog Rock e, naturalmente, l'inizio della Krautrock-era. Mettete le cuffie e preparatevi a sottomettervi a queste sentinelle spaziali pionieri del libero pensiero, privi di regole e di conformità e di tutte le altre cazzate che toglie la vera linfa alla musica.




VAMPIRES OF DARTMOORE
Dracula’s Music Cabinet
 (Metronome, 1969)
Mai ristampato in digitale, ma solo in vinile, è valutato sul mercato tra i 300 e 500 euro. Manufatto di meraviglia spettrale, produzione molto interessante di proto kraut, perfetto per una colonna sonora per la vostra festa di Halloween. Voci impazzite di sesso e il sadismo, riverberi di chitarre esotiche, elettronica insolita, basso ipnotico. Dracula’s Music Cabinet faceva parte di un'ondata di album a tema horror, pubblicati in Germania alla fine degli anni '60 e i primi anni '70, tutti apparentemente ispirati dallo stesso tipo di film horror che l'Europa stava producendo in quel momento.

ASH RA TEMPEL
Ash Ra Tempel
(Ohr, 1971)
Kosmische power-rock di dimensioni gigantesche .Klaus Schultze suona la batteria come un centinaio di batteristi. Non è due volte più potente, è cento volte più potente. Hartmut Enke, il leader spirituale del gruppo, colpisce il suo basso Gibson come solo un gigante potrebbe, e Manuel Göttsching suona la chitarra come ante white-noise di Keith Levene. Un'interazione così intuitiva e perfetta che spesso è impossibile sentire i singoli strumenti. Un mostro di disco, che contiene l' epico 'Amboss', un intero lato che costruisce lentamente onde sonore ghiacciate, e prosegue sù e giù come fossero Stooges cosmici..

SUNBIRDS
Sunbirds
(BASF, 1971)
Perfetto colonna sonora per lunghe escursioni in autostrada.. Caratterizzato da una line-up di all-star tra cui Klaus Weiss (Niagara, e un background solido e degno di nota di jazz, avendo suonato con artisti del calibro di Johnny Griffin, Kenny Drew, Bud Powell), Philip Catherine, Fritz Pauer e Ferdinand Povel, questo disco è energico, profondo, lunatico come la Mahavishnu Orchestra che incontra classici psichedelici. L'ala più jazzy del kraut.

NEU!
Die 2
(Brain, 1973)
Comunemente conosciuto come Neu 2, il secondo LP dei Neu! formati da ex membri dei Kraftwerk Klaus Dinger e Michael Rother. L'anno è il 1973, e di nuovo il dinamico duo si rintana in un studio con il solito Conrad "Connie" Plank (Can / Kraftwerk) a produrre e registrare il loro secondo lavoro: gli undici minuti di "Für Immer" sono martellanti, i suoi ritmi di marcia in rettilineo anticipano il punk, le chitarre ronzano come gli elicotteri sopra le nostre teste. Come Plank torce magnificamente le manopole, i tamburi sono meccanici, mentre le chitarre sono bandite sullo sfondo, solo per ritornare poi di nuovo con rinnovata forza. Il basso arranca avanti con aggressività imperterrita. Il disco procede estremo e lungimirante come uno tsunami, pieno di spunti brillanti che avrebbe macerato gli standard certificati delle produzioni di album 'pop'; un manifesto artistico progressista, e talmente innovativo da risultare stupefacente. Ascoltaetelo e provate a immaginare canzoni come queste riprodotte dal vivo nel 1973, quando il punk era ancora nella sua fase embrionale! 'Lila Engel' , è una marcia tribale dai contorni di un oscuro rituale pagano e potrebbe tranquillamente stare su Never Mind The Bollocks, mentre John Lydon ancora oggi ne elogia la grandezza ad ogni occasione. Il disco ottenne all'epoca, com'era prevedibile, un riscontro commerciale quasi nullo, fattore che avrebbe concorso tra gli altri alla prima, breve separazione della coppia che ne seguì. Ma come non citare Hallogallo' del 1972, con i suoi 10 minuti introduttivi a ritmo motorik, la precisione delle macchine, e 'Fur Immer', essenzialmente 'Hallogallo' parte due, un capolavoro e uno dei miei dischi preferiti di sempre, vero punk psichedelico con strati su strati di suoni e ritmi.. Inarrivabili..




COSMIC JOKERS
Gaclatic Supermarket
(Kosmische Musik, 1974)
Supergruppo berlinese, con Manuel Göttsching, Klaus Schulze (Tangerine Dream), Harald Grosskopf (Ash Ra Tempel) e Rosi Muller, alla loro seconda prova e non c'è da meravigliarsi della musica incredibile che crearono nella loro breve esistenza. Che non sia intenzionalmente destinato per il rilascio, anche in questo caso, solo due grandi tracce - la sempre mutevole "Kinder des Als" e la title track "Galactic Supermarket". Suoni da montagne russe sonore, ritmi groove funky cadono in uno spazio ambient profondo per poi di nuovo incalzare in altri ritmi galoppanti. Le donne presenti in studio aggiungono urla, sussurri, grida, e il testo parlato ha effetti pesanti,anche se ci sono lunghi passaggi strumentali: incredibili i toni dei synth di Schulze che a volte minacciano di soffocare il resto della band.

POPOL VUH
Nosferatu
(Egg, 1978
Creare le colonne sonore di molti grandi film di Werner Herzog non è un compito facile, ed è per questo che furono affidate ai Popol Vuh, che aggiunsero sempre una dimensione distintiva ai film di Herzog. E questo è particolarmente vero per Nosferatu, Phantom der Nacht (interpretato da Klaus Kinski nel ruolo del Conte Dracula, grottesco e più spettacolare che mai). In tutti i loro album troviamo epica, mistero, malinconia e immensa bellezza. Questo è l'undicesimo album diquesta band straordinaria, colonna sonora originale di Nosferatu:La suite di Nosferatu dei Popol Vuh si evolve maestosa trascinando la mente verso le spettrali foreste dei Carpazi. Nell'album poi figurano anche altri brani, di cui almeno uno già parte del repertorio dei Popol Vuh, composizioni molto gradevoli e incisive, che però risultano meno calzanti nel contesto della colonna sonora. Detto questo, tiene nell' insieme, rimane un album coerente a sé stante e comprende materiale memorabile e eccezionalmente forte.


HARMONIA
De Luxe
(Brain, 1975)
Michael Rother dei Neu! e il duo Cluster Hans-Joachim Roedelius e Dieter Moebius, con l'aggiunta del batterista Mani Neumeier su alcune tracce. Un supergruppo quindi che ha influenzato rock e elettronica al tempo stesso. De Luxe è il secondo album degli Harmonia, oscurato dal primo "Musik Von Harmonia", ma noi lo preferiamo al primo. Registrato nel giugno del 1975 e prodotto dai membri stessi della band e (di nuovo) con il leggendario produttore Krautrock, Conny Plank. Più .. dolce, con sequenze melodiche magnifiche e paesggi più complessi e ritmati. Come molti altri dischi kraut, anche questo troppo in anticipo sui tempi, troppo visionario, e non fu apprezzato allora. Nel 1975 effettivamente era decisamente troppo presto per "De-Luxe" e per il suo sound trance, veloce ed ipnotico. Soltanto cinque magnifiche misere tracce..


CLUSTER
Zuckerzeit
Brain, 1974
Zuckerzeit è il terzo album in studio del gruppo musicale tedesco Cluster, prodotto da Michael Rother con Hans-Joachim Roedelius e Dieter Moebius. Zuckerzeit distingue lo stile da ogni altra pubblicazione del duo,che rendono un pò più morbida e organica la musica kraut, e presentando insieme a una forte componente ritmica, una maggiore definizione delle melodie e, a volte, dello stile Motorik dei Neu!, proprio grazie alla presenza di Rother alla produzione. Un salto inaspettato dagli ingorghi Kosmische che i Cluster fanno in un territorio inesplorato che ha segnato la loro direzione per gli anni a venire. Zuckerzeit presenta una visione di pop elettronico, fondendo il senso melodico del duo con graffianti programmi di drummachine. Stranamente, le dieci tracce brevi hanno crediti nella composizione separati (cinque ciascuno), un ipotesi che vede Roedelius gestire le linee dei sintetizzatori più suggestivi ("Hollywood", "Rosa"), mentre Moebius spinge il gruppo in terra sperimentale ("Rote Riki," "Caramba "). E 'senza dubbio uno dei dischi più caratteristici della discografia dei Cluster, anche se la semplice mancanza di materiale space rock ne fa un album difficile ma da raccomandare fin dall'inizio.





16/11/15

Parigi: no agli sciacalli. Il vero protagonista del conflitto è il mondo islamico.

Map by Laura Canali (click per ingrand.)

Urla, schiamazzi, strepiti, amenità e stupidità di sciacalli, e spacciatori di ignoranza e fanatismo. Ma lasciamo stare e cerchiamo di capire.. Senza dubbio trovo quest'articolo degno: alcune cose che penso sono quì ben scritte ed esplicate, ma la discussione è più che aperta.. 

di Mario Giro - Limes
 Parigi: il branco di lupi, lo Stato Islamico e quello che possiamo
Dopo il lutto e la condanna della barbarie per gli attentati del 13 novembre, ricordiamoci che il vero protagonista del conflitto che stiamo vivendo non è l’Occidente ma il mondo islamico. Le nostre priorità: rimanere in Medio Oriente e spegnere la guerra di Siria. 
Di fronte alla strage di Parigi, il primo atteggiamento giusto è dolore e lutto per le vittime assieme a tutta la nostra solidarietà e commozione per un paese fratello e una città simbolo della convivenza e dei valori europei. Subito dopo, è opportuna la più totale e ferma condanna per tali barbari attentati che nulla può – nemmeno indirettamente – giustificare. È indispensabile essere uniti nel ripudio assoluto del jihadismo e del terrorismo islamico contemporanei, chiedendo a tutti, musulmani inclusi, di far propria una incondizionata e radicale riprovazione. Infine occorre mettere in campo tutta l’intelligenza, la lucidità e la calma possibili, al fine di capire ciò che sta accedendo per trovare le misure adeguate. È da irresponsabili mettersi a gridare o agitarsi senza criterio: occorre prima pensare e comprendere bene. Se i barbari sono tra noi, c’è un’origine di tale vicenda, una sua evoluzione e – speriamo presto – un rimedio. Siamo in guerra? La guerra certo esiste, ma principalmente non è la nostra. È quella che i musulmani stanno facendosi tra loro, da molto tempo. Siamo davanti a una sfida sanguinosa che risale agli anni Ottanta tra concezioni radicalmente diverse dell’islam. Una sfida intrecciata agli interessi egemonici incarnati da varie potenze musulmane (Arabia Saudita, Turchia, Egitto, Iran, paesi del Golfo ecc.), nel quadro geopolitico della globalizzazione che ha rimesso la storia in movimento. Si tratta di una guerra intra-islamica senza quartiere, che si svolge su terreni diversi e in cui sorgono ogni giorno nuovi e sempre più terribili mostri: dal Gia algerino degli anni Novanta alla Jihad islamica egiziana, fino ad al-Qaida e Daesh (Stato Islamico, Is). Igor Man li chiamava “la peste del nostro secolo”. In questa guerra, noi europei e occidentali non siamo i protagonisti primari; è il nostro narcisismo che ci porta a pensarci sempre al centro di tutto. Sono altri i veri protagonisti. L’obiettivo degli attentati di Parigi è quello di terrorizzarci per spingerci fuori dal Medio Oriente, che rappresenta la vera posta in gioco. Si tratta di una sorta di “guerra dei Trent’anni islamica”, in cui siamo coinvolti a causa della nostra (antica) presenza in quelle aree e dei nostri stessi interessi. L’ideologia di Daesh è sempre stata chiara su questo punto: creare uno Stato laddove gli Stati precedenti sono stati creati dagli stranieri quindi sono “impuri”. L’Is sta combattendo un conflitto per il potere legittimandosi con l’arma della “vera religione”. Concorre ad affermarsi presso la Umma musulmana (la “casa dell’islam”, che include le comunità musulmane all’estero) quale unico vero e legittimo rappresentante dell’Islam contemporaneo. Questo nel linguaggio islamico si chiama fitna: una scissione, uno scisma nel mondo islamico. Per capirci: una guerra politica nella religione, che manipola i segni della religione, così come i nazisti usavano segni pagani mescolati a finzioni cristiane. Infatti l’Is, come al-Qaida, uccide soprattutto musulmani e attacca chiunque si intromette in tale conflitto. Per chi ha la memoria corta: al-Qaida chiedeva la cacciata delle basi Usa dall’Arabia Saudita e puntava a prendersi quello Stato (o alternativamente il Sudan e poi l’Afghanistan in combutta coi talebani). Daesh pretende di più: conquistare “cuori e menti” della Umma; esigere la fine di ogni coinvolgimento occidentale e russo in Siria e Iraq; creare un nuovo Stato laddove esisteva l’antico califfato: la Mesopotamia. Geopoliticamente c’è una novità: al-Qaida si muoveva in una situazione in cui gli Stati erano ancora relativamente forti; l’Is approfitta della loro fragilità nel mondo liquido, in cui saltano le frontiere. In sintesi: non esiste lo scontro tra civiltà ma c’è uno scontro dentro una civiltà, in corso da molto tempo. Per utilizzare un linguaggio da web: oggi nella Umma il potere è contendibile. A partire da tale fatto incontestabile, due questioni si impongono all’Occidente e alla Russia. La prima è esterna e riguarda la presenza (politica, economica e militare) in Medio Oriente: se e come starci. La seconda è interna: come difendere le nostre democrazie, basate sulla convivenza tra diversi, allorquando i musulmani qui residenti sono coinvolti in tale brutale contesa? Come preservare la nostra civiltà dai turbamenti violenti della civiltà vicina? Se ci limitiamo a perdere la testa, invocando vendetta senza capire il contesto, infilandoci senza riflessione sempre di più nel pantano mediorientale e utilizzando lo stesso linguaggio bellicoso dei terroristi, non facciamo niente di buono. Potremmo anzi concedere allo Stato Islamico la resa del “nostro” modello di convivenza, per entrare nel “loro” clima di guerra. Occorre innanzitutto proteggere la nostra convivenza interna e la qualità della nostra democrazia. Serve più intelligence e una maggiore opera di contrasto coordinata tra polizie, soprattutto nell’ambito delle collettività immigrate di origine arabo-islamiche, che rappresentano un’importante posta in gioco del terrorismo islamico. Da notare anche che tali attentati si moltiplicano proprio mentre lo Stato Islamico perde terreno in Siria. Contemporaneamente occorre conservare il nostro clima sociale il più sereno possibile. Mantenere la calma significa non cedere ai richiami dell’odio che bramerebbero vendetta, che per rancore trasformerebbero le nostre città in ghetti contrapposti, seminando cultura del disprezzo e inimicizia. Le immagini del britannico che spinge la ragazza velata sotto la metro di Londra fanno il gioco di Daesh. Sarebbe da apprendisti stregoni incoscienti rendere incandescente il nostro clima sociale, provocare risentimenti eccetera. Così regaliamo il controllo delle comunità islamiche occidentali ai terroristi, cedendo alla loro logica dell’odio proprio in casa nostra. Per dirla col linguaggio politico italiano: mostrarci più forti del loro odio non è buonismo complice, è parte della sfida. Il “cattivismo” diventa invece oggettivamente complice perché appunto fa il gioco dello Stato Islamico. In secondo luogo, dobbiamo darci una politica comune sulla guerra di Siria, vero crogiuolo dove si formano i terroristi. Imporre la tregua e il negoziato è una priorità strategica. Solo la fine di quel conflitto potrà aiutarci. Aggiungere guerra a guerra produce solo effetti devastanti, come pensa papa Francesco sulla Siria. Finora abbiamo commesso molti errori: l’Occidente si è diviso, alcuni governi si sono schierati, altri hanno silenziosamente fornito armi, altri ancora hanno avuto atteggiamenti ondivaghi, non si è parlato con una sola voce agli Stati vicini a Siria e Iraq eccetera. L’Italia ha dichiarato da oltre due anni che Iran (ricordate ciò che disse Emma Bonino prima di Ginevra II?) e Russia (ricordate le accuse a Federica Mogherini di essere filorussa?) andavano coinvolti nella soluzione. Matteo Renzi l’ha più volte ripetuto, facendone una politica. In parlamento se n’è dibattuto. Non siamo stati ascoltati, almeno finora. Tuttavia (finalmente!) le riunioni di Vienna con Russia e Iran possono far ben sperare: oggi tutti ci danno ragione. Meglio tardi che mai: il governo italiano è totalmente impegnato nella riuscita di un reale accordo. Nel nostro paese ci sono stati anche paralleli sforzi di pace e dialogo: dalle riunioni di Sant’Egidio con l’opposizione siriana non violenta, all’appello per Aleppo di Andrea Riccardi, all’ascolto dei leader cristiani di quell’area. La fine della guerra in Siria (e nell’immediato il suo contenimento) è il vero modo per togliere acqua al pesce terrorista. Senza zone fuori controllo ove prosperare, il jihadismo perderebbe la maschera. In terzo luogo, dobbiamo occuparci con urgenza del resto del quadro geopolitico mediterraneo: la Libia, che è per noi prioritaria (e in cui almeno si è frenato il conflitto armato mediante l’embargo delle armi); lo Yemen; la stabilizzazione dell’Iraq; le fragilità di Libano, Egitto e Tunisia… Anche se tali crisi sono in parte legate, vanno assolutamente tenute distinte. L’Is vorrebbe invece saldarle in un unico enorme conflitto (la sua propaganda è chiara), allo scopo di mostrarsi più potente di quello che è. In tale impegno occorrono alleanze forti con gli Stati islamici cosiddetti moderati: un modo per trattenere anche loro dal cadere (o essere trascinati) nella trappola del jihadismo che li vuole portare sul proprio terreno. Ogni conflitto mediorientale e mediterraneo ha una propria via di composizione e occorre fare lo sforzo di compiere tale lavoro simultaneamente. In altre parole: restare in Medio Oriente comporta un impegno politico a vasto raggio e continuo. È prioritario entrare dentro la spirale dei foreign fighters per prosciugarne le fonti. Ho recentemente scritto un libro su tale fenomeno. Qui aggiungo solo che non sarei sorpreso che tra gli attentatori di Parigi ci fossero vecchie conoscenze della polizia francese. Esistono antiche filiere degli anni Novanta, mai del tutto distrutte, che si riattivano in appoggio a chi pare egemone sul campo. Qualcuno può essere un combattente straniero di ritorno: il problema è capire la genesi del fenomeno. Ma non ce ne sarebbe nemmeno tanto bisogno: attentati di questo tipo possono essere compiuti da chiunque. Si è parlato di lupi solitari; qui siamo in presenza di un branco. Un ristorante, una trattoria, uno stadio, una sala di concerti non rappresentano reali obiettivi sensibili, segno che non occorre particolare addestramento. Sorprende piuttosto che dispongano di armi da guerra, non così facili da reperire in Francia. In Italia sappiamo che le mafie ne sono provviste ma anche molto gelose. Combattere il fenomeno foreign fighters corrisponde a coinvolgere le comunità islamiche e non spingerle verso l’uscita. Tutto ciò va fatto contemporaneamente. Gridare “siamo in guerra!” senza capire quale sia questa guerra, invocando irresponsabili atti di vendetta e reazioni armate, ci fa cadere nell’imboscata jihadista. Proprio lì lo Stato Islamico vuole portarci, per mettere le mani sull’islam europeo ma soprattutto su quello mediorientale. Vuole dividere il terreno in due schieramenti contrapposti, giocando sul fatto che per riflesso i musulmani saranno fatalmente attirati dalla sua parte. Per tale motivo la propaganda dell’Is (come quella di al-Qaeda prima) tira continuamente in ballo l’Occidente: in realtà sta parlando alla Umma islamica per farla reagire. Intraprendere tutto ciò non è facile ma necessario. Contenere e spegnere la guerra di Siria è il solo modo per prosciugare il lago terrorista. Sarà operazione lunga e complessa, ci saranno altri attentati, ma è una strada vincente alla lunga. Certo si tratta di far dialogare nemici acerrimi, di dare un posto a tavola a gente che non ci piace (Assad e i suoi) o a formazioni ribelli ambigue, ma è l’unico modo. Andare in Siria in ordine sparso è al contrario la via per compiacere Daesh e i suoi strateghi: un Occidente e una Russia divisi su tutto favoriscono chi sta creando uno “Stato” alternativo. Si tratta di una vecchia lezione della storia. L’operazione militare europea diretta, boots on the ground, è dunque necessaria? Non sembra, e comunque non ora: sarebbe andare allo sbaraglio. Ciò di cui abbiamo urgente bisogno è che ribelli siriani e milizie di Assad – assieme ai rispettivi alleati – capiscano che il nemico comune esiste, si siedano e parlino. Lo Stato Islamico furbescamente si presenta alla Umma come “diverso”: non alleato con nessuno, patriottico, anti-neocolonialista, no-global, non inquinato da interessi stranieri e puramente islamico, duro ma nazionale (nel senso che patria e nazione hanno per l’islam politico). In questo modo mette a repentaglio la sopravvivenza e gli interessi di tutti: dell’Occidente, della Russia, di Assad, dei ribelli, dei curdi e delle altre minoranze. Gli unici ad averlo apparentemente capito sono i curdi: c’è un solo nemico comune, sorto nel vuoto di potere. Il negoziato parte da questa consapevolezza e per questo deve coinvolgere anche russi e iraniani. L’obiettivo minimo è una tregua immediata; quello massimo un patto per il futuro della Siria. Solo a queste condizioni si potrà mettere in piedi un’operazione internazionale di terra, che miri a stabilizzare il paese e a mettere l’Is spalle al muro. Solo così si potrà svelare cos’è veramente l’Is: una cricca di ex militari iracheni e fanatici jihadisti che vengono dal passato e che hanno approfittato delle nostre divisioni. Il vuoto della politica, si sa, genera mostri. A meno – sarebbe l’altra soluzione – di non lasciare tutto e ritirarsi. Andarcene totalmente dal Medio Oriente, rinunciare tutti a ogni interesse e presenza, abbandonare i mediorientali al loro dramma. Qualcuno lo pensa, qualcuno lo dice. Se ce ne andassimo dal Medio Oriente, gli attentati in Europa smetterebbero subito, probabilmente. D’altro canto le vittime in quella regione sarebbero ancora maggiori. Lasceremmo il lago jihadista diventare un mare. E questa non è un’opzione. 

di Mario Giro - Limes


14/11/15

Prima che bruci Parigi


La Francia è un paese grande e Parigi, una città magica. Vorrei ringraziare Alec (attore di teatro), che mi ha ospitato e tutta la gente di Montemartre che mi ha accolto con gentilezza e disponibilità ( e che ama gli italiani), i negozianti e i barman che mi hanno sopportato con il mio pessimo francese, il caffe '"bien sur", senza il quale non sarei sopravvissuto, le ragazze e le donne che mi hanno sorriso tutto il tempo, i ragazzi di colore che mi hanno aiutato ogni qualvolta mi sono perso, gli artisti e musicisti di strada che mi hanno reso felice e a cui ho donato quando ho potuto. Ringrazio la metropolitana (unica nella sua capillarità, tutta Parigi è facilmente raggiungibile e non esiste punto della città che disti più di 500 metri da una stazione Metro) e i suoi guidatori che mi hanno salutato nelle mie scorribande notturne, il sole francese che stranamente è sempre rimasto con me. Vorrei ringraziare i colori e gli odori dei piccoli negozi, le boulangerie con le loro briosche e i dolci buonissimi, i mercatini, i caffè e le brasserie, la grandezza (grandeur..) dei viali, dei parchi, dei ponti, delle piazze, degli edifici e dei monumenti: la sua storia, la sua arte. Ma anche gli angoli di quiete e di pace in una città affollata, una città in continuo fermento e in movimento come Parigi. E' stata una delle settimane più belle della mia vita. Rientro a casa contento, ma con il cuore pieno di tristezza. Ma vi assicuro .. tornerò.


Parigi 13 novembre 015


Nazim Hikmet (Salonicco 1902 – Mosca 1963)

Prima che bruci Parigi

Finché ancora tempo, mio amore
e prima che bruci Parigi
finché ancora tempo, mio amore
finché il mio cuore è sul suo ramo
vorrei una notte di maggio
una di queste notti
sul lungosenna Voltaire
baciarti sulla bocca
e andando poi a Notre-Dame
contempleremmo il suo rosone
e a un tratto serrandoti a me
di gioia paura stupore
piangeresti silenziosamente
e le stelle piangerebbero
mischiate alla pioggia fine.

Finché ancora tempo, mio amore
e prima che bruci Parigi
finché ancora tempo, mio amore
finché il mio cuore è sul suo ramo
in questa notte di maggio sul lungosenna
sotto i salici, mia rosa, con te
sotto i salici piangenti molli di pioggia
ti direi due parole le più ripetute a Parigi
le più ripetute, le più sincere
scoppierei di felicità
fischietterei una canzone
e crederemmo negli uomini.

In alto, le case di pietra
senza incavi né gobbe
appiccicate
coi loro muri al chiar di luna
e le loro finestre diritte che dormono in piedi
e sulla riva di fronte il Louvre
illuminato dai proiettori
illuminato da noi due
il nostro splendido palazzo
di cristallo.

Finché ancora tempo, mio amore
e prima che bruci Parigi
finché ancora tempo, mio amore
finché il mio cuore è sul suo ramo

in questa notte di maggio, lungo la Senna, nei depositi
ci siederemmo sui barili rossi
di fronte al fiume scuro nella notte
per salutare la chiatta dalla cabina gialla che passa
- verso il Belgio o verso l’Olanda? -
davanti alla cabina una donna
con un grembiule bianco
sorride dolcemente.

Finché ancora tempo, mio amore
e prima che bruci Parigi
finché ancora tempo, mio amore.





13/11/15

Peter Tosh: "Vogliono uccidermi perchè canto dei diritti della povera gente!" Live in Montreux 1979

28 anni fa Peter Tosh,  leggenda del Reggae, viene   colpito a morte nella sua casa a  Kingston, Jamaica. Ha 42 anni  ed è stato membro fondatore dei Wailers insieme a Bob Marley.

"Ero appoggiato contro un albero davanti agli studi di registrazione e aspettavo i miei musicisti per le prove. Avevo fra le dita uno spinello di circa due centimetri e meditavo sulla musica e altre cose. E' stato allora che e' arrivato quel bruto. Mi ha strappato la sigaretta e si e' piazzato davanti a me guardandomi fissamente. Gli ho chiesto: che succede?.. ma lui non ha risposto. Ho ripreso il mio joint, ho fatto una tirata e l'ho guardato seriamente. Credevo fosse un monellaccio, perche' stava in abiti civili e nulla lo faceva somigliare ad un poliziotto. Provò di nuovo a prendermi lo spinello e io gli ho detto: "sparisci figlio di puttana!" Poi ha cominciato ad afferrarmi per la camicia ed io: "sporco poliziotto!" Ho preso la sigaretta e l'ho spezzata in due e gli ho soffiato in faccia. Avevo altre cose in mano oltre la carta. "E' questo che vuoi per arrestarmi?". Non c'erano piu' prove perche' avevo sparpagliato tutto il contenuto del joint. Ha preso allora il pezzo di carta e se le messo in tasca e mi ha acchiappato strappandomi la camicia e il resto. Mi spingeva tirandomi per i pantaloni e cercava di portarmi con se. Gli ho detto: "io non mi muovo di qua..". Allora ha tirato fuori la pistola e me l'ha puntata agli occhi, al naso, alla bocca.. Credo che abbia anche provato a sparare ma la pistola non ha funzionato. Vedendo che non riusciva a portarmi via ha iniziato a fermare le macchine per farsi aiutare. Una si e' fermata e ne e' sceso un tizio e ho domandato chi fosse ma non ho ricevuto risposta. Il primo ha gridato all'altro: "Qui Thomas, aiutami a portare questo criminale alla polizia..". Il secondo ha tirato fuori una pistola ancora piu' grande e ha chiesto: "Quale criminale?" cominciando a spingermi con il revolver esattamente come aveva fatto l'altro. Con puro sadismo. Tentavano di spaventarmi ma io gli ho detto: "siete pazzi! non mi fate paura e non verrò con voi!". Allora hanno iniziato a battermi duramente: ne avevo uno a destra e uno a sinistra. Il tipo a sinistra mi ha dato un pugno ma io mi sono abbassato e ha colpito senza volere il compagno. Io ho preso un altro colpo e l'ho reso, perche' ancora non ero sicuro che fossero dei poliziotti e perche' in ogni caso, non ero stato io a cominciare. Durante la rissa uno xei due si e' ferito e ha iniziato a sanguinare. Ha messo via la pistola perche' ha capito che non ero armato e che quindi non poteva sparare. Alla fine e' arrivato un poliziotto in uniforme e mi ha chiesto cosa stesse succedendo e io ho detto: "Questi due tizi vogliono portarmi illegalmente alla centrale e non hanno nemmeno uno straccio di mandato!". Gli ho raccontato tutto e lui ha detto: "Ok.. andiamo alla centrale..". Io l'ho seguito di buon grado perche' arrivava come un fratello. L'altro tizio sanguinava ancora e aveva tutta la camicia sporca. Quando siamo arrivati alla centrale, il sergente ha guardato il tipo che sanguinava e gli ha chiesto cosa aveva fatto. Lui ha risposto: "Questo sporcaccione mi ha ferito alla bocca".. Disse proprio cosi mentre invece non ero stato io a colpirlo ma l'altro. Allora hanno preso una barra di ferro e mi hanno colpito alla testa e su tutto il corpo. Gli avevo detto chi ero, che ero Peter Tosh e che avevo diritto di essere rispettato e mentre mi maltrattavano e mi denigravano per farmi passare per un criminale gli dicevo che i suoi figli ballavano al ritmo della mia musica. Ma non avevano nessun rispetto e mi diceva che se avesse visto uno dei suoi figli ballare con la mia musica lo avrebbe ucciso.."

"Due mesi fa, quando sono tornato in Giamaica dagli Stati Uniti la mia macchina era posteggiata davanti all'aeroporto. Quando sono uscito, un altra macchina si e' improvvisamente fermata davanti a me e non mi faceva passare. Ho atteso ,pazientemente ma il tizio non si muoveva. "Hey..lasciami passare!". Lui mi ha detto: "Piccolo stronzo.. piccolo sporco rasta e fai attenzione a quello che dici..". Sono uscito dalla macchina e ho detto: "Chi e' quel figlio di puttana che osa parlarmi cosi'?". E' uscito anche lui, con una grossa pistola e ha detto" Vieni qui che ti faccio fuori, e' tanto tempo che voglio ammazzarti, per tutte quelle stronzate che canti e che racconti!". Piu' tardi ho saputo che quel tipo era l'ispettore generale della polizia in borghese. Voleva uccidermi perche' andavo allo Stadium a cantare dei diritti della povera gente! Allora, cosa devo fare, con questa gente, con gente simile? Pagargli da bere, invitarli a casa mia e offrirgli del vino? APPENDERLI PER I LORO MALEDETTI COLLI? SIIIIII!!
Io non dico questo perche ora sono in Europa. Dico le stesse cose quando sto in Giamaica. E se li vedo, gli dico che quando Jah mi dara' il potere.. li impiccherò per le loro ingiustizie e per la loro opposizione all'uguaglianza dei diritti!.

Peter Tosh (Winston Hubert McIntosh) Grange Hill, 19 ottobre 1944, assassinato a Kingston, l'11 settembre 1987

Ben detto Peter..e riposa in pace...
Scrolls of the Prophet - The Best of Peter Tosh [1999].zip

PETER TOSH ( with The Revolutionaries ) Live Montreux 1979
Peter Tosh (lead vocal & percussions) Sly "drumbar" Dunbar (drums) Robbie Shakespeare (bass guitar) Darryl Thompson (lead guitar) Mickey Chung (riddim guitar) Robbie Lynn (keyboard & organ) Keith Sterling (keyboard & organ) The Tamlins " Carlton Smith, Derrick Lara & Junior Moore (background vocals & percussions) 
 


SET LIST:
1) 400 Years (The Wailers song)  2) Stepping Razor 3) African Play 4) Get Up, Stand Up (The Wailers song)  5) Don't Look Back (The Temptations cover) 6) I'm the Toughest   7) Bush Doctor  8) The Day the Dollar Die 9) Burial  10) Buk-In-Ham Palace 11) Mystic Man  12) Pick Myself Up

Different Class dei Pulp 20 anni dopo: un invito alla rivoluzione della mente

L'indizio è nel nome: Different Class. Il disco dei Pulp ha oggi 20 anni e resta quello che più di tutti richiama apertamente alla rivoluzione di classe e lo fa in un modo che sospinse i Pulp in cima alle classifiche della Gran Bretagna, facendo di Jarvis Cocker un improbabile - e però ancora più perfetta - rock star.  Per alcuni gruppi, il successo arriva dopo anni di duro lavoro, concerti in piccoli locali, un pò di merchandising per il carburante e raggiungere posti infernali in tour senza fine. Per altri, arriva improvvisamente - cavalcando la cresta dell'onda e navigando liscio fino al disco di platino. Unicamente, Pulp sono esperti in entrambi i percorsi.

Formatisi a Sheffield nel 1978, i Pulp avevano pubblicato quattro album fino all'estate del 1995. Il loro ultimo, del '94, His 'n' Hers, era stato nominato per il Mercury Prize: un paio di singoli nella Top 40 del Regno Unito 40, ma per la maggior parte erano solo un altro gruppo di Britpoppers da presentare come attrazioni minori all'ombra degli Oasis e dei Blur. Ma nell'estate del 1995 cambiò tutto. Maggio, Common People salì vertiginosamente al numero due, aiutato da un video colorato interpretato da Sadie Frost e con Jarvis Cocker che sarebbe entrato nella storia della danza di improvvisazione. Poi, furono gli headliner nel festival musicale più grande del pianeta, sostituendo gli The Stone Roses -quando John Squire si fratturò la clavicola - a Glastonbury. Questi due importanti avvenimenti, forniti dalla fortuna, diedero lo slancio necessario per assicurare al quinto album della band, Different Class, la definitiva pubblicazione.

Al settimo posto su di NME per i migliori album del 95, 11mo su Mojo, e con il conto alla rovescia su Melody Maker, Cocker fece girare la testa a entrambi i sessi. Era il nuovo Bowie, il nuovo Lennon, il nuovo Bolan, tutto in uno. Different Class vinse il Mercury Prize nel 1996 - ma è un disco che ci premia a oltre 20 anni dalla sua uscita con alcuni delle più intelligenti, spettacolari canzoni pop di un decennio che è stato, guardando indietro, tutt'altro che brillante.

"Vogliamo le vostre case / Vogliamo le vostre vite / Vogliamo le cose che a noi non verranno consentite".
Venti anni dopo, la prima cosa che si nota nel rivisitare Different Class è come sia ancora vitale, nel suono e appunto, nei testi. Sotto un certo aspetto, è un prodotto del suo tempo e del suo luogo, nato dai danni duraturi del thatcherismo e dal cinismo fiorente di Blair e della sua "Cool Britannia" ( il sistema, tutto è rimasto invariato, indipendentemente dal numero di musicisti passati a Downing Street).

Different Class è un disco pieno di temi che continuano a risuonare nel 2015: gli effetti deleteri del capitalismo, la sensazione di stare alla finestra, fuori dagli ingranaggi, il desiderio di ambire a qualcosa di più. Il brano di apertura, "Misshapes," è un invito alla rivoluzione:
“Brothers, sisters, can’t you see/ The future’s owned by you and me.”

Ma anche pieno di feeling, al limite del romanticismo: "starsene nella grondaia, guardando le stelle". Non è la presa della Bastiglia, o del Palazzo d'Inverno, ma soprattutto, la rivoluzione qui è quella della mente:
"Non ci sarà la lotta per la strada / Pensano di averci battuto / Ma la vendetta sta arrivando così dolce. "

E in effetti, la vendetta è un tema che appare di nuovo e in tutto l'album. Non è tanto quella di distruggere il sistema, ma la possibilità di come sovvertirlo, minarlo, cambiarlo dal di dentro. La classe operaia che Cocker evoca è più intelligente, più affamata, motivata da una combinazione curiosamente romantica di amarezza e di ottimismo. Come Cocker canta in "Common People":
"Come un cane che sta in un angolo / ti morderà senza preavviso / Attenti / Strapperanno via le vostre viscere"."E 'sporco / E non dovrebbe essere così / Ma mi sta accendendo."

Forse raramente si è vista una visione così personale della politica. Il disprezzo di classe viene espresso anche attraverso il sesso, che fornisce all'album i suoi momenti più sordidi. In quale modo? Nel mondo di Different Class il sesso è un'arma, maneggiata contro ricche casalinghe suburbane (e, per estensione, contro i loro mariti e il loro intero ambiente):

"Non sono scatole di cioccolatini e rose", Cocker canta in “F.E.E.L.I.N.G. C.A.L.L.E.D. L.O.V.E.,” “it’s dirtier than that/ Like a small animal that only comes out at night.” ( è sporco / come un piccolo animale che esce solo di notte ).

In "I Spy", Cocker è furtivamente in giro con la moglie di un altro,
"è tornato a casa inaspettatamente, un pomeriggio / E ci ha sorpreso nella stanza di fronte."
Tutto è lecito in amore e in guerra, la vecchia regola vale sempre.. Uno scenario simile torna in "“Pencil Skirt” ("So che sei impegnati con lui / Ma so che desideri qualcosa con cui giocare, baby"), mentre “Underwear” è il rovescio della medaglia, Cocker immagina un ex amante con un nuovo compagno, chiedendosi: "Perché è così difficile / darti a lui?"
Non c'è niente di bello e gratificante in tutto questo. Prendete ora ancora "Common People", il più grande successo dei Pulp e la canzone che forse meglio definisce l'estetica di questo album. Perché come abbiamo già accennato, il disco, oltre che cinico, è anche spudoratamente romantico.

"Tu sei stupita che esistono," canta a proposito della classe operaia, a cui la ragazza del St. Martin College vuole così disperatamente sentirsi vicina, "e loro bruciano in modo così brillante, mentre tu puoi solo domandare perché."
C'è una sorta di compassione perversa per chi non potrà mai bruciare come quelle persone, per chi non potrà mai sperimentare di essere così visceralmente vivo, quando è al prossimo week end il massimo del futuro a cui possono guardare.Anche "I Spy" contiene, alla fine, una promessa.
 "Ti porterò via da questo schifo / Cena al ristorante e champagne / sono la spia della possibilità di cambiare il mondo / io spio la possibilità di cambiare il tuo mondo."

Confrontando e contrapponendo la musica di Pulp a quella di band con simili preoccupazioni politiche - Gang of Four in primis- si nota che le canzoni sono più radicate nelle esperienze personali e meno retoricamente universaliste, e di conseguenza , risultano più comprensibili e in definitiva piú umane. Se Different Class fosse stato tutto sesso e amarezza marxista sarebbe invecchiato velocemente e male- invece, i suoi momenti bui e melanconici in contrappunto a quelli di fugace lievità ne fanno un disco moderno e attuale. Sono momenti effimeri, certo, ma inaspettati, proprio come accade nella vita reale e questo è ciò che li rende belli . Inciampare per casa alle prime luci dell'alba, svegliarsi dopo una sbornia colossale e miracolosamente scoprire che c'è qualcuno che ancora dorme al tuo fianco. Questo è romanticismo allo stato puro: trovare la bellezza nel banale.! A volte la speranza è un concetto che fa da consolazione nella nostra società e la nostra cultura, la consolazione della sconfitta, i Pulp invece, ne fanno una sorta di realismo spietato: se non hai niente, apprezza quel poco che si ha. Se si dispone di tutto, non apprezzare nulla.

"Il futuro è nostro. Mio e tuo."
Forse alla fine Different Class vuole rassicurarci, che anche sotto lo stivale del capitalismo, ci sono cose buone da scoprire, momenti di bellezza da trovare, e che mentre la nostra libertà è male ricompensata, con un lavoro che spesso non ci piace e senza fine e una vita che sembra non svoltare mai, è la sensazione che molti non saranno mai, e che mai avranno.Due decenni dopo, si tratta ancora di un manifesto impareggiabile per protestatari, idealisti movimentisti, disadattati...


30/10/15

La ragazza di tutti: Janis Joplin e l’eterno suggello sui sogni dell’età psichedelica

In occasione del film presentato alla 72 esima Mostra del Cinema di Venezia, un post, un piccolo special dedicato alla grande Janis Joplin, che con la propria voce e la propria musica ha segnato un'epoca. 8 anni di lavorazione, tanto ha impiegato Amy Berg, per realizzare  Janis, doc agiografico intimo, inedito, toccante e malinconico ritratto dell' indimenticata Janis Joplin,  mentre da tempo è  in cantiere ad Hollywood il biopic ufficiale (che dovrebbe vedere Amy Adams possibile protagonista).

ll Landmark Hotel a Hollywood era conosciuto come l’albergo dei drogati: “La miniera d’oro” degli spacciatori spinti li dalla polizia di Beverly Hills per tenere pulita la zona dei suoi facoltosi residenti. ln Franklin Avenue Janis Joplin aveva preso alloggio, durante le session di Pearl, proprio per farsi d’eroina dopo tre mesi d’astinenza. Aveva deciso di smettere con la droga, ma adesso ne aveva bisogno per superare l’angoscia dell’ennesimo amore infelice con un uomo, Seth Morgan, Seth il bugiardo, che la usava come tutti gli altri..

<<Quando canto è come un orgasmo, capite cosa voglio dire?>>
Sul palco del Monterey Festival e poi di Woodstock, con tutti quei ragazzi sotto, Janis faceva l’amore. Solo che dopo il concerto tutti avrebbero dormito insieme nella stagione dell’amore, mentre lei era sola. <<Faccio l’amore con cinquantamila persone e dopo sono sola a casa o da sola in una stanza di hotel>>, dichiarò in un’intervista. Sola, con l’eroina e l’alcol per provare un altro orgasmo. L’eroina e l’alcol non la giudicavano. Non le dicevano che era brutta, Janis si concedeva a essi come a chiunque le desse un minimo d’attenzione.

Proprio da Monterey emersero 2 musicisti fino ad allora misconosciuti. Divennero non solo superstars della nuova musica ma simboli capaci di incarnare le aspirazioni della generazione psichedelica. Janis Joplin e Jimi Hendrix furono la testimonianza vivente della << filosofia acida» dei tardi anni ’60, ideologia dell’impossibile ottimismo che credeva in un ritorno alle origini, ai campi di un’età senza problemi e ipotizzava utopie future/presenti capaci di vincere definitivamenle l’alienazione, l’apatia, il materialismo del mondo con la semplice forza del sogno e del desiderio. Jimi e Janis parvero provvisti della magia necessaria per esaudire quella profezia; Hendrix irradiava segnali interstellari con il suo strumento supersonico, Janis, coi piedi saldamente ancorati al terreno, mostrava semplice grinta rifacendosi non poco alla leggenda dei cantanti blues, delle regine del Mississippi.
Fra tutti i personaggi che quell’estate psichedelica suscitò d’incanto, Janis sembra ancor oggi la creatura piu fantastica e anche la piu vera. In lei c’era qualcosa di surreale, un’illuminazione paradisiaca, quasi; e forza travolgente, anche, come le innocenti, sensuali gigantesse nubili di Robert Crumb, che proprio a Janis si ispirò per i suoi fortunati fumetti. Janis fu la proiezione di un’incontenibile personalità; dopo la consacrazione al successo, divenne un ruolo sempre piu richiesto. I media vollero specularci, il pubblico si appassionò e alla fine Janis stessa fini col credere a quella recita, smaccata parodia dell’energia che davvero le vibrava in corpo.
L’illusione cosi creata era tanto perfetta che furono in molti a crederla una specie di creatura sboazata da Faulkner, prodotto genuino dell’esotico Sud agricolo che gia aveva generato gente della fatta di Howlin’ Wolf e Tennessee Williams. Ma alle spalle, a parte qualche sogno romantico, non c’era nulla che potesse sostenere il mitico ruolo che la donna era costretta a interpretare sulla scena rock.

“Prendi un altro piccolo pezzo del mio cuore, baby”. 
Chi mai poteva amare davvero la brutta ragazza texana di Porth Arthur? Era fuggita da quella cittadina petrolifera che la emarginava, con tutte quelle ragazzine belle coi loro boyfriend che giocavano a football e lei da sola da una parte, a inseguire il suo sogno di blues guidata dalle canzoni di Odetta e di Bessie Smith che ascoltava a casa in continuazione e che cantava con qualche amico beatnik.  Prima di tre flgli, nella fumosa, umida città petrolifera di Port Arthur, Texas, in un ambiente piccoloborghese di provincia simile a guello di'tanti coetanei, nell’America degli anni ’50. Janis cominciò a odiare tutto e lutti; tanto risentimento venne crudelmente ripagato con la stessa moneta al Campus dell’Università del Texas, dove gli studenti elessero Janis << l'uomo piu brutto della città universitaria >>. Un articolo della rivista “Time” che parlava di Jack Kerouac e dei <<nuovi degenerati pazzi di droga>> la convinse a farsi bearnik e a tagliare i ponti con il Texas, alla volta di San Francisco. Un amico che la incontro in quei giorni cosi la descrive:
<< Era una pazza freak, “sballata”, al limite delle forze nervose. Una di quelle che si vedono per strada con un’aureola lucente di sporco attorno agli occhi ».

Era fuggita per cercare l’amore attraverso la sua voce, Janis.

<<Ero pronta a buttarmi su qualsiasi cosa, e così ho fatto>>, disse. <<Ho fumato, leccato, inghiottito, iniettato e scopato>>. Ci sarebbero state le comuni hippie, l’amore per tutti, ma non per lei.

“Take another little piece of my heaff, baby”, però il suo cuore non lo voleva nessuno. “Break another little bit of my heart , now darling..

Droghe pesanti, come l’eroina. Tenta di disintossicarsi ma deve presto arrendersi a quest’unico piacere, l’unico che pare possibile per lei insieme alla musica per sentirsi davvero appagata: un cocktail di blues, alcol e droga con cui tira avanti, fino al ’66 quando il suo amico Chet Helms, patron dell’Avalon Ballroom una delle centrali della scena hippie della West Coast, colui che diceva <<Calati un acido e lascia che la gente si liberi», la chiama a San Francisco per cantare nel suo locale e nella band di cui era diventato il manager, i Big Brother And The Holding Company. Con loro tutta la rabbia e l’insoddisfazione possono sfogarsi all’Avalon come al Fillmore West e davanti alle folle giunte all’istante per darle quel surrogato d’amore di cui vuole saturarsi.

L’accoppiata Big Brother/Janis (una banda di selvaggi dai capelli biondi e dallo stile spaziale e una cantante di blues << fatta in casa >>) era quasi troppo bella per essere vera; con Grateful Dead, Jefferson Airplane e Country Joe il complesso formo il nucleo della gerarchia hip di San Francisco. Da quel momento, la vita di Janis si mosse a velocità pazzesca; furono quattro rapidissimi anni ricchi come una vita, tragici e intensi come ogni vicenda blues che si rispetti. La festa del solstizio d’estate nel 1966 la vede splendida nella sua purezza, Janis canta blues dal fondo di un vecchio camion che fa da palco per il complesso; i capelli elettricamente mossi formano un triangolo attorno al viso, mentre numerosi monili pendono dalle braccia. A lunghi sorsi, tra una canzone e l’altra, la donna beve da una bottiglia di Southern Comfort; e canta, infiamma l’aria con vecchi blues, simile a un’appassionata, amorevole madre che mette semplici cantilene in bocca ai figli, persi con estasi e droga nell’onda di un sogno che vorrebbero eterno. La Janis di quei giorni era la figlia prediletta di San Francisco e in quell’annuncio di mondo nuovo incarnava ogni aspirazione, parlando paradossalmente il vecchio linguaggio della frustrazione blues. Fu dopo Monterey, culmine della vita del gruppo, che apparvero i primi segni di cedimento. I Big Brother accusarono di certe manie divistiche di Janis.

In effetti il piacere del successo la investe al festival di Monterey e in due album, il primo nel ’67 che porta il nome della band e Cheap Thrills del ’68 (che avrebbe dovuto intitolarsi Dope, Sex And Cheap Thrills, ma la Columbia, con cui il gruppo aveva appena firmato, e il suo nuovo manager, Albert Grossman, lo censurarono). La gloria è un attimo stordente che Janis affronta aumentando il consumo di bottiglie Southern Comfort e di droghe. Nei corridoi del rock business si sente ancora più brutta e la sua crescente richiesta d’amore è sempre più frustrata. Avrà storie infelici e difficili che finiscono tutte prima del tempo con musicisti del giro come Country Joe McDonald dei Country Joe and The Fish, che le dedicherà un brano, Janis, in I Feel Like I Fixin’ To Die nel 1967, ‘Kris Kristofferson, uno dei suoi ultimi amanti e sincero amico, del quale inciderà alla fine l’hit Me And' Bobby McGee, Bob Neuwirth, che le scriverà l’ultima canzone, Mercedes Benz, e il suo chitarrista Sam Andrews. A New York durante le registrazioni di Cheap`Thrills, passava le notti nei bar della Bowery a bere whisky e a cercare di portarsi a letto qualche ragazzo (e anche qualche ragazza - Me And Bobby McGee, all’inizio l’aveva messa al femminile dedicandola a una donna e, solo dopo le insistenze della casa discografica, la riporto al maschile. Col cantautore e scrittore canadese Leonard Cohen ha una relazione che si consuma velocemente in una stanza del Chelsea di New York City, che lui ricorderà in Chelsea Hotel # 2: 
“Ti ricordo bene al Chelsea Hotel /mi parlavi con coraggio e dolcezza muovendo il tuo capo sul mio sesso sopra un letto sfatto mentre le limousine aspettavano in strada / Quelli erano i motivi e quella era New York/ Lo stavamo facendo per i soldi e per la carne / E quello era ciò che gli operai della canzone chiamano amore. Ti ricordo bene al Chelsea Hotel, eri famosa e il tuo cuore era una leggenda / Mi hai detto che preferivi gli uomini belli, ma per me avresti fatto un’eccezione/ Stringesti il pugno [...l Oppressi dalle figure della bellezza [...] Siamo brutti ma abbiamo la musica/ Ti ricordo bene al Chelsea Hotel, questo è tutto e ormai non penso a te tanto spesso”.

Sono attimi che si dissolvono cosi, in un altro sole che entra nella camera con la sua luce rinnovata di solitudine e vuoto. <<Non è quello che non c’è a renderti infelice, ma quello che vorresti ci fosse>>, disse. Non si sente mai accettata e desiderata, per questo cerca di continuo e il confronto con le tante star che le stanno intorno è mortificante. Qualcuno racconta di una lite con Jim Morrison che le aveva fatto cenno di fargli un pompino e poi l’aveva rifiutata e lei gli si era rivoltata con la violenza di cui era capace. lnferocita. Ubriachi e drogati tutti e due. Lei gli aveva rotto una bottiglia in testa. Eppure Janis joplin era diventata una Sex symbol. Anche <<Vogue>> e <<Life>> le dedicano servizi fotografici. Il <<Village Voice» scrisse che era <<un sex symbol in una brutta confezione>>. E la brutta confezione sexy si riempie ancora di più instancabilmente dei velenosi amplessi compensativi.
Lascia i Big Brother And The Holding Company: qualcuno le disse che non erano alla sua altezza, che doveva scaricarli se voleva avere ancora più successo. Insicura, quando non era peggio, smaniosa di decidere per sé e per la propria musica, Janis alla fine si arrese ai piu brutti fantasmi; un anno e mezzo dopo Monterey, dopo un concerto alla Family Dog di San Francisco, il vecchio sodalizio si sciolse. Cheap Thrills, opera che ancor oggi sembra una delle migliori di quell’epoca, con i fumetti di Crumb in copertina, un gigantesco disegno di Jim Gurley che vaga per il deserto, i freaks del Fillmore, il marchio d’approvazione degli Hell’s Angels, tutto esprime alla perfezione quanto di appetitoso e contenuto poi tra le righe: Piece Of My Heart, Turtle Blues, Combination Of The Two, Ball And Chain. E' probabile che non fossero il miglior gruppo del globo, ma con Janis formavano una famiglia e la comunità hip non perdonà mai all’artista di averla distrutta. Nella loro ottica, non si accorgevano che la donna muoveva alla ricerca di uno sviluppo musicale.

Con la Kozmic Blues Band incide nel '69 I got Dem Ol’ Kozmic Blues Again Mama! e si esibisce a Woodstock per cercare il suo più grande amplesso. Ma è un orgasmo mischiato a eroina, che non le fa sentire tutto fino in fondo. Se è vero che la formazione rimase sempre anonima, senza raggiunger mai compattezza, e vero anche che i nuovi musicisti erano gente di talento; il solo album inciso con la loro collaborazione, (I Got Dem Ol’ Kozmic Blues Mama)  fruttò un 45 giri di grande successo, Try, l’incredibile Work Me Lord e un autoritratto patetico, venato di jazz, Little Girl Blue. Dopo un anno di convivenza artistica, Janis ruppe anche con il secondo gruppo e sparì nella giungla del Brasile, << con un beatnik grande come un orso », per riprendersi e smettere il vizio dell’eroina.
Non è più il piacere di prima. Le droghe, il`Southern Comfort e il gin e vodka, il successo, non gli danno ciò che vuole. Lo ha capito. Sfinita si ferma per darsi un po’ di tregua. Decide di smetterla con l’eroina, lo dice a sua sorella Laura. Adesso corre per le strade californiane con la sua Porsche Carrera dipinta a fiori colorati da Dave Richards più bella della Rolls Royce “zingaresca fuoriserie art-noveau limousine psichedelica” di John Lennon. E più veloce. Poi un giorno, Janis s’innamora di qualcuno che la ricambia come lei vuole. Almeno questo è quello che sente. Adesso avverte che Seth Morgan, conosciuto nel luglio del ’70, la ama davvero e vuole sposarla. Cambia gruppo, adesso con lei c’e la Full-Tilt Boogie Band con cui fa un giro di concerti e comincia a registrare nell’estate del ’7O le canzoni per il nuovo disco che si intitolerà Pearl (uscirà poi nel ’7l). Janis è felice, le session d’incisione dell’album vanno bene. Pearl era il suo soprannome, e in quel momento si sentiva proprio una perla: la più preziosa. La più bella. Perché lui l’amava, e lei, quindi, non poteva che essere la più bella. Ma c’era quell’ansia che la tallonava da tre settimane. La verità dall’ennesima bugia che la perseguitava e le frantumava il cuore. “Sono innamorata>>, disse un giorno al telefono a Myra Friedman con una voce strana. <<Ma lui mi ama? Dimmi che mi ami. Ma dimmelo davvero>>. Un ultimo buco, per sei mesi non aveva toccato l’eroina e quelle poche settimane in cui si era drogata non erano niente, poteva farselo.

Al Landmark Motor Hotel di Hollywood, la notte del 4 ottobre del 1970, si fece quella dose e usci dalla camera per scendere giù dal portiere a farsi cambiare cinque dollari per le sigarette. La sera dopo, verso le 19 e 30, john Byrne Cooke, il suo road manager mandato li da Paul Rothchild, il produttore del disco preoccupato perché Janis non si era fatta vedere in sala d’incisione, la trovò sul pavimento priva di vita col sangue che le era colato dalla bocca e dal naso per la caduta e con in mano ancora i quattro dollari e trenta cent del resto. Vince MitChell, corista in Pearl, disse invece d’averla trovata lui dopo che John Cooke aveva aperto la porta con la chiave presa alla reception dell’albergo. Comunque, entrambi erano troppo fatti per ricordare bene i dettagli. Solo di una cosa pero sembrava certo Mitchell: che quella notte .Janis non era sola nella stanza. Pareva che qualcuno, dopo la sua morte, avesse ripulito la camera dalla droga e fosse fuggito. Gli investigatori all’inizio pensarono a un omicidio ma quando il coroner della contea di Los Angeles, il dottor Noguchi, certificò il decesso, avvenuto verso l’una e quaranta per overdose d’eroina “incredibilmente pura”, l’inchiesta fu chiusa come “Morte accidentale”.
Janis mori in solitudine,  a ventisette anni; pochi mesi prima era morto Hendrix, soffocato dal suo stesso vomito, in un <<suicidio» da droga per molti versi simile. Con la sua scomparsa, scese l’eterno suggello del silenzio sui millenari sogni dell’età psichedelica.
In quel weekend altre otto persone furono uccise dalla stessa droga. Come se qualcuno volesse bonificare la zona. C’è una foto, scattata a San Francisco nel 1967 da Bob Seidemann, che ritrae Janis Joplin nuda con tante collanine che le arrivano fino a sotto l’ombelico. Il seno piccolo con i capezzoli che escono tra quelle collane e le mani, una con gli anelli e al polso i braccialetti a coprire il pube. Guarda l’obiettivo, seria, con i lunghi capelli chiari sciolti e pettinati. E’ bella. Molto bella…

Discografia:
Big Brother And The Holding Company, Big Brother And The Holding Company (1967);
Cheap Thrills (1968). 
Janis Joplin, I Got Dem Ol’ Kozmic Blues Again Mama! (1969);
Pearl

Cheap Thrills.rar
Pearl (1971).



29/10/15

Pablo "Ramone" Echaurren: un tributo allo spirito degli anni settanta

“Si tratta di trovare il proprio punto di sottosviluppo, un proprio dialetto, un deserto tutto per se”
(Gilles Deleuze)

Ai Ramones (oggi quì, domani via) è il titolo di uno dei quadri di Pablo Echaurren dipinti in omaggio al gruppo punk nato negli anni settanta.
ll primo disco dei Ramones esce nel 1976. Un anno dopo, la loro musica irrompe come puro concentrato di energia nel clima anarchico, rivoluzionario del ’77, cosi descritto dallo stesso Echaurren:
“Era il 1977, tutt’intorno la citta bruciava sconvolta da gruppuscoli di rivoltosi, corpi speciali camuffati da pischelli, generici street fighting men, schegge impazzite sfuggite di mano a questo e quello. La piazza era un vivaio talmente agitato e intorbidato da ospitare ogni genere di deformazione impolitica: squinternazionalisti, trasversalisti, indiani metropolitani & altro. Io ero fra loro, fra i mohicani romani cioè. Avevo gettato alle ortiche il pennello e impugnato il pennarello dell’agit-pop.”

I Ramones sono adottati come esempio di contro-cultura, in sintonia con le strategie anti-istituzionali del “movimento”, soprattutto della sua ala creativa, di cui proprio Echaurren è la voce collettiva. All’elementarità di un ritmo martellante e ripetitivo basato sul “tre per due” - tre accordi per due minuti -, si accompagnano delle liriche altrettanto brevi - una, due, al massimo tre frasi -, quasi definibili come “haiku-punk”. Al ritmo ipnotico, che funziona alla maniera di un mantra, corrisponde un testo provocatorio, spesso costruito sul non-sense: “Blitzkrieg Bop ”, “I dont’ wanna be learned”, “Second verse same as the first”...
L’elogio della demenza come forma di resistenza, di provocazione, era una strategia propria delle avanguardie storiche. Soprattutto di quella futurista, nei cui testi lo storico dell’arte Maurizio Calvesi gia nel 1978, nel saggio Avanguardia di massa, riconosce la filiazione degli esperimenti linguistici e letterari degli indiani metropolitani. Il gioco di parole, il non-sense, l’elogio dell’idiota, lo stile telegrafico, il calembour sono usati per l’esplosione di significato, per rivendicare al linguaggio un’altra possibilità di senso, una possibilità basata sull’intensita della parola e del suono.

Il testo di una canzone dei Ramones, Beat on the brat with a baseball bat, è sorprendentemente analogo a Sitting like Pat with a bat in her hat, titolo di un quadro di Oyivind Fahlstrom del 1962, ispirato ai comics di Batman. E lo stesso Fahlstrom, artista poliedrico, poeta visuale e pittore raffinato, sembra anticipare il percorso creativo di Echaurren, nell’attraversamento spregiudicato di generi, forme e poetiche, principalmente nell’introduzione della parola e dell’immagine del comic nella pittura. Procedimento adottato da Echaurren sin dagli inizi del suo iter artistico, nei suoi sensibili “quadratini” ad acquarello e china su carta. Per il comic, come anche per Echaurren e i Ramones, si tratta della ricerca di un linguaggio altro
all’interno di quello stabilito: un linguaggio “minore”. Quello che Deleuze qualifica come necessariamente collettivo, politico e sintetico.

I Ramones sono il collettivo per antonomasia: Ramone si diventa, ed ecco gli stessi identici capelli a caschetto, le stesse identiche scarpe da ginnastica, gli stessi identici jeans sdruciti, aperti sulle ginocchia. Un’entita collettiva appoggiata sbilenca alla parete graffitata di una qualunque Strada di New York, un’icona punk fumettistica. I Ramones impersonano quell’idea di “identita partecipata, dilagata, precipitata” (Echaurren), di orizzontalità comunicativa che animava anche il “movimento”. Nell’uso creativo, onomatopeico ( la riproduzione dei suoni attraverso le parole ), essenziale, estatico, della propria lingua si cerca un nuovo linguaggio che vada oltre il significato, inteso come “sequenza di stati intensivi”. I quadri di Echaurren sembrano dipinti al ritmo di questa sequenza. La rappresentazione è schematica; il gesto rapido; i colori acidi galleggiano sulla superficie delle tele; lo spazio si anima nel movimento veloce. Il ritmo Ramones sembra incitare i diversi elementi che configurano il flusso concentrico della pittura. La ripetizione di forme e immagini della composizione acquisisce carattere estatico, lo stesso della musica. L'artista sembra essere agito da un movimento ritmico, come onde scandite dalla circolarità del gesto. Sia nelle tele in cui sono rappresentati i Ramones, ora con aureole ora avviluppati da draghi, sia in quelle piu simili a visioni notturne, tra incubo ed esaltazione, popolate di volta in volta da animali-ibridi, memori dei mostri dell’iconografia precolombiana, tutto gira vorticosamente in questo spaziosenza gravità, in un horror vacui memore delle decorazioni medievali. Nello spazio cosi aperto delle composizioni è come se le immagini perdessero identità e trovassero senso solo nel flusso, nel continuum circolare.

Nel loro essere un omaggio ai Ramones questi quadri diventano nature morte, meditazioni sulla vanitas. Cosi l’ultimo quadro della serie, La fine del tempo, rappresenta una deità femminile che stritola tra le mani i suoi figli, alla maniera di un Cronos primitivo, mentre la morte cavalca falciando teschi. Come omaggio a un modo di essere, quello della generazione rock-punk, che si pensava indistruttibile, questi quadri sono più in generale un tributo allo spirito degli anni settanta, a quel particolare vento di resistenza, anti-accademico, che caratterizza in ugual modo i linguaggi delle avanguardie e dei movimenti rivoluzionari..