25/04/12

Rigurgiti fascisti nel mondo



Sono 133 i gruppi
di estrema destra nel mondo.

Checchino Antonini  - Globalist

Sta crescendo il network internazionale anti-islamico che ha ispirato Anders Behring Breivik. Il gruppo antirazzista britannico, "Hope not Hate", ha pubblicato un report sull'inquietante vitalità della galassia dell'estrema destra europea. Quando il trentatreenne Breivik, lo scorso luglio, uccise 77 persone, perlopiù ragazzi che prendevano parte a un campeggio di giovani socialdemocratici, si giustificò proprio in nome di una guerra in corso tra l'Occidente e l'Islam. Da allora, è l'allarme di Hope Not Hate, quella rete s'è consolidata facendo coagulare fondazioni, blogger, attivisti e gruppi organizzati o informali di ultras.

Da questo calderone sarebbe nato, tre mesi fa, lo Stop Islamization of Nations (Sion) group, una sorta di ombrello per quel tipo di attività. La sigla Sion potrebbe essere stata scelta non a caso. Infatti, c'è anche in Italia chi predica che «antisemitismo e filosionismo possono andare a braccetto», come si legge in un blog di destra piuttosto beneinformato come "Fascinazione" a proposito di personaggi come Saya e Sindoca, sospettati (e prosciolti) dall'accusa di essere agenti deviati ma con posizioni certamente "nazionaliste" e islamofobe.
Il debutto in società di Sion avverrà a New York guardacaso proprio l'11 settembre e, tra i relatori, c'è gente come Paul Weston, capo del British Freedom Party (Bfp) che ha appena annunciato un patto con l'English Defence League. Il Bfp è una costola del più noto Bnp, il partito nazionalista britannico. Novanta minuti dopo la strage, lo stesso Breivik ha citato Weston a proposito di quella "guerra civile europea" contro i seguaci di Maometto. Londra si conferma, così, crocevia di fascisti, nazisti e contractors. E, solo nel Regno Unito, Hope Not Hate ha contato 22 soggettività organizzate operative antijihadiste. Il report fa 133 nomi, sette dei quali in Norvegia e altri 47 negli States dove la saldatura vede protagonisti i network ultraconservatori ed evangelici ossessionati dalla missione di costruire una percezione diffusa negativa della cultura islamica.

Nick Lowles, è il direttore di Hope Not Hate: «Breivik ha agito da solo - dice - ma è stata quell'ideologia a ispirarlo. Ora tutti gli occhi sono per lui e si rischia che nessuno si renda conto di questa rete». Andreas Mammone, che insegna storia alla Kingston University di Londra spiega al Guardian di ieri che la crisi economica aiuta il proliferare di questi gruppi che identificano nel nemico comune l'ansia per l'Islam radicale.
Tra i nomi più influenti del network, il report cita il leader Edl Stephen Yaxley-Lennon (conosciuto come Tommy Robinson), o la più distinta Ann Marchini, una tycoon della finanza di cui il Sunday Times racconta la lussuosa magione nel quartiere londinese di Highgate London da 1 milione e seicentomila sterline. Ann Marchini è una «figura chiave della succursale dello statunitense Center for Vigilant Freedom (Cvf, anche noto come International Civil Liberties Alliance con base a Fairfax in Virginia ma presente in almeno 20 paesi), una sigla che ha promosso convegni anti-islamici col Pvv olandese con la presenza di parenti svedesi e belgi prima di stringere alleanza con l'Edl di cui figura tra i donatori e per conto della quale è stata in tournée in Svizzera, Scandinavia, Belgio. Alcuni ragazzotti da stadio hanno annunciato di recente anche in Italia una lega del genere preoccupati dalla minaccia islamica verso le sane tradizioni italiche ma hanno 67 "I like" nella pagina facebook.

Tre mesi dopo la strage di Breivik, l'Icla ha promosso una conferenza a Londra con l'aiuto del suo coordinatore europeo Christopher Knowles, un altro co-fondatore dell'Edl e direttore della branca britannica del Cvf registrata a Wakefield. E solo due settimane fa, in Danimarca, Yaxley-Lennon ha presenziato al meeting inaugurale dell' Europe-wide network of defence leagues. Un altro gruppo è stato fondato in Belgio a marzo. Si tratta di Women Against Islamisation, network europeo lanciato da Jackie Cook, moglie di Nick Griffin, capo del Bnp.
In Grecia, i sondaggi suggeriscono che a maggio a scavalcare lo sbarramento del 3% possa essere l'ultranazionalista Alba d'oro, che mutua il nome dalla setta teosofica rosacrociana che negli anni '30, tra Germania e Inghilterra coinvolse la cerchia di Himmler e settori vicini alla casa reale inglese. La mappa degli antijihadisti italiani citata da Hope Not Hate contempla nomi noti come Casapound (e il gruppo antirazzista cita lo stragista di Firenze del 12 dicembre 2011 tra i suoi frequentatori, circostanza che i legali del gruppo diffidano dal menzionare), Forza nuova, il Movimento sociale di Romagnoli (che nell'indifferenza della grande stampa ha appena tenuto un raduno europeo a Roma) e la Lega Nord di cui si ricordano le gesta di Borghezio e Calderoli. Il primo ha preso parte al Congresso Internazionale sulla islamizzazione d'Europa a Parigi il 18 dicembre 2010. Di Borghezio si ricorda l'elogio di Ratko Mladic, il serbo che ha ucciso 8mila persone descritto come un "patriota". «Il cento per cento delle idee di Breivik sono buone, in alcuni casi estremamente buone - ebbe a dire Borghezio - le sue posizioni riflettono le opinioni di quei movimenti che hanno vinto le elezioni in tutta Europa». Di Calderoli si rammenta l'appello al Papa per una crociata contro i musulmani durante la "crisi delle vignette" quando l'allora ministro si esibì in tv con una maglietta che sfotteva i maomettani. Lo show provocò scontri in Libia con 11 morti e 25 feriti. Meno nota, invece, la filiale italiana della Faith International Freedom (Ffi), organizzata attorno ad un sito web che traduce materiali della casa madre.

Ma si sta sviluppando anche il ponte sull'Atlantico tra gli europei e gli Usa. La blogger americana Pamela Geller è la figura che conduce le relazioni strette. Geller è la presidentessa di Sion, Breivik ne fa menzione nel suo manifesto ed è stata molto attiva contro la moschea prevista a Lower Manhattan nel 2010. Tra chi ha dato vita a Sion c'è anche un danese, Anders Gravers, promotore di Stop Islamisation of Europe, reduce da un incontro con Gravers lo scorso mese. Sull'altra sponda dell'oceano, invece, la campagna si concentra sul fatto che gli ambienti più conservatori sono a caccia di risorse per l'Edl, le cui immagini sono esibite negli eventi di raccolta fondi del Tea Party e ci sono incontri ufficiali con i gruppi del Christian Action Network. In Virginia funziona un blog, "The Gates Of Vienna", che annoverava Breivik tra i fornitori di contributi. Mentre in Norvegia gli esperti sono interessati a mettere in evidenza che l'islamofobia sembra in crescita. Tra i forum linkati da Breivik c'è il blog nazionalista Document.no, sul quale Breivik - supporter on line della Norwegian Defence League che mantiene stretti contatti con i compari inglesi - ha postato oltre cento commenti. Anche nei paesi scandinavi esiste una presenza «non banale» di infiltrazioni naziste nelle forze dell'ordine e in quelle armate. 



21/04/12

Zhigulì..Goodbye

Addio Zhigulì

E’ definitivamente uscita di produzione, dopo una carriera durata oltre quarant’anni, la mitica Zhigulì, versione sovietica della Fiat 124, che avviò l’era della motorizzazione di massa in URSS e per produrre la quale furono costruiti nel 1970 a Togliattigrad i grandiosi stabilimenti VAZ (acronimo di Volzhskogo Avtomobilny Zavod, “Fabbrica di automobili di Volzhsky”, dal nome della località sul fiume Volga dove sorsero gli impianti; sulla sponda opposta ci sono le colline Zhigulì, che hanno dato il nome alla storica auto). Già da un anno le officine della città sul Volga non producevano più nessuna versione del popolarissimo veicolo, che continuava ad essere costruito, in numeri ormai piuttosto ridotti, nella fabbrica Izh di Izhevsk, acquisita da AvtoVAZ; dal 17 aprile anche questa fabbrica ha fermato le linee di montaggio della Zhigulì, la cui richiesta era calata drasticamente. A Izhevsk continuerà ancora per qualche tempo la produzione di una versione furgonata della Zhigulì.
Tecnicamente, a uscire di scena è la Lada 2107, conosciuta popolarmente con il nomignolo di Semyorka (si potrebbe tradurre con “settina” o “settetto”, se esistessero in italiano), cioè l’ultima versione, nata nel 1980 e via via aggiornata senza modifiche estetiche o strutturali importanti. Spinta da un motore 4 cilindri di 1600 cc (in origine era un 1200) a iniezione, con consumi ed emissioni molto elevati per gli standard moderni, con una scocca e delle sospensioni molto rinforzate rispetto all’originale Fiat, tali da renderla praticamente indistruttibile anche sulle sconnesse strade della provincia russa. Interni spartani ma abbastanza ampi, fatti apposta per portare una famiglia dalla città alla dacia di campagna e tornarne con un carico di patate e conserve: l’uso fondamentale che di quest’auto è stato fatto per decenni.
Vituperata come poche altre auto nel mondo per i suoi numerosi difetti, oggetto di innumerevoli sarcasmi e barzellette in Russia e fuori, la Zhigulì resta pur sempre una pietra miliare nella storia mondiale dell’automobile: non solo perché in fondo è stata anche profondamente amata dagli automobilisti sovietici – che hanno potuto sfogare sui suoi guasti la loro innata passione per la meccanica, essendo un’auto semplicissima da riparare – ma anche perché la sua  inconfondibile sagoma “a saponetta” è diventata una sorta di logo per l’industria russa nel mondo. Grazie al suo prezzo bassissimo è stata venduta a milioni di esemplari non solo in URSS ma in moltissimi altri paesi, al punto che versioni locali continuano ad essere prodotte ancora qua e là, per esempio in Egitto (per il mercato africano) o in Ucraina. Dal 1970 fino al 2012 sono state prodotte, nelle varie versioni, oltre 14 milioni di Zhigulì, il che pone questa vettura al terzo posto dopo il maggiolino Volkswagen e la Ford T tra le auto più vendute di tutti i tempi.
Il suo posto nelle linee di montaggio di Togliatti e di Izhevsk è stato preso ormai dalle varie versioni della Rénault-Dacia Logan, destinata a diventare l’automobile-base nell’ormai robustissimo mercato dell’auto russo; del resto Rénault è azionista-chiave di AvtoVAZ, di cui possiede il 25 per cento, ed è naturale che punti a spingere i suoi prodotti globali a scapito di produzioni locali obsolete, sempre meno richieste e per giunta poco remunerative visto il prezzo molto basso. Non per niente AvtoVAZ era giunta nel 2010 sull’orlo del definitivo fallimento, arrivando a licenziare oltre un terzo del personale.
di a. d.




19/04/12

Record Store Day 2012

Record Store Day 21 Aprile 2012

Fondato nel 2007, il Record Store Day è un'iniziativa statunitense nata da un'idea di Chris Brown.Una giornarta mondiale per sostenere e supportare i piccoli negozi di dischi indipendenti presenti non solo negli Usa ma in tutto il mondo e che purtroppo minacciati dalla grande distribuzione. Per chi  pensa che ascoltare e comprare musica con un semplice click su ITunes sia a volte un gesto totalmente privo di significato.Testimonial quest'anno della giornata 2012, il grande Iggy Pop. Potremo scoprire edizioni ultra rare che spunteranno come  funghi, ep, singoli, mix, bootleg e lavori realizzati solo per l'occasione,come nelle precedenti edizioni avevano fatto Black Angels,Radiohead..(Quest'anno occhio e orecchi agli Arcade Fire).

Numerosi gli artisti  che appoggiano l'iniziativa di Record Store Day, tra i quali troviamo, per l'occasione, i BlackKeys, che pubblicheranno il loro nuovo album "El camino", in versione speciale su vinile; due remix degli Arcade Fire, "Sprawl II" (che potete ascoltare QUI) e "Ready to start"; i Red Hot Chili Peppers che renderanno disponibile uno speciale cofanetto di vinili del loro album del 2006 "Stadium arcadium" e i Metallica con il loro EP "Beyond magnetic" su dodici pollici colorato. Persino il Duca bianco, David Bowie, oramai ritiratosi dalle scene da alcuni anni, tornerà con un picture disc del celeberrimo singolo "Starman" che conterrà anche un inedito eseguito negli studi di Top of the Pops nel 1973.
QUI la lista completa dei negozi che aderiscono in Italia
QUI potete leggere la lista completa dei dischi prodotti esclusivamente per il Record Store Day


11/04/12

Gunter Grass,«Quel che deve essere detto» e le farneticanti e infamanti reazioni Israeliane. Con un commento di Moni Ovadia

Anche in Italia, la poesia di Gunter Grass sul poderoso armamento nucleare israeliano (non dichiarato) ha scatenato l'altrettanto poderoso apparato mediatico e le potenti lobby ebraiche del paese,con il risultato che lo scritto è stato censurato, boicottato, nascosto o quantomeno ignorato dai media più diffusi. Così,solo alcuni siti on-line l'hanno pubblicata,non preoccupandosi delle ridicole e ignobili reazioni dei tanti attivisti pro israele,sempre le solite,ormai stantie: chiunque si azzardi a criticare le scelte di una società che vira sempre più pericolosamente a destra  la politica di israele nei confronti del popolo palestinese non è altro che un antisemita,un razzista e un sostenitore di Hitler,senza se e senza ma. Sono sempre più convinto che queste reazioni furiose non fanno altro che del male al popolo ebraico,quello onesto,quello progressista,che si oppone con coraggio alla folle politica dei dirigenti del loro governo,non fa che rafforzare in tutto il mondo l'idea che questa politica rappresenti un pericolo non solo per la pace in medio oriente..Qui sotto,quindi, "Quel che deve essere detto" con un commento di Moni Ovadia apparso oggi sul Manifesto.
Per il resto.. "per informazioni sulla patologia dei governanti israeliani è utile informarsi presso i Palestinesi..

"Dite quel che volete del sublime miracolo di una fede senza dubbi, ma io continuerò a ritenerla una cosa assolutamente spaventosa e vile."
Kurt Vonnegut

"Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario." 
(P. Levi)



«Quel che deve essere detto»
PERCHÉ taccio, passo sotto silenzio troppo a lungo
quanto è palese e si è praticato
in giochi di guerra alla fine dei quali, da sopravvissuti,
noi siamo tutt’al più le note a margine.
E’ l’affermato diritto al decisivo attacco preventivo
che potrebbe cancellare il popolo iraniano
soggiogato da un fanfarone e spinto al giubilo
organizzato,perché nella sfera di sua competenza si presume
la costruzione di un’atomica.
E allora perché mi proibisco di chiamare per nome l’altro paese,
in cui da anni — anche se coperto da segreto —
si dispone di un crescente potenziale nucleare,
però fuori controllo, perché inaccessibile
a qualsiasi ispezione?
Il silenzio di tutti su questo stato di cose,
a cui si è assoggettato il mio silenzio,
lo sento come opprimente menzogna
e inibizione che prospetta punizioni
appena non se ne tenga conto;
il verdetto «antisemitismo» è d’uso corrente.
Ora però, poiché dal mio paese,
di volta in volta toccato da crimini esclusivi
che non hanno paragone e costretto a giustificarsi,
di nuovo e per puri scopi commerciali, anche se
con lingua svelta la si dichiara «riparazione»,
dovrebbe essere consegnato a Israele
un altro sommergibile, la cui specialità
consiste nel poter dirigere annientanti testate là dove
l’esistenza di un’unica bomba atomica non è provata
ma vuol essere di forza probatoria come spauracchio,
dico quello che deve essere detto.
Perché ho taciuto finora?
Perché pensavo che la mia origine,
gravata da una macchia incancellabile,
impedisse di aspettarsi questo dato di fatto
come verità dichiarata dallo Stato d’Israele
al quale sono e voglio restare legato.
Perché dico solo adesso,
da vecchio e con l’ultimo inchiostro:
La potenza nucleare di Israele minaccia
la così fragile pace mondiale?
Perché deve essere detto
quello che già domani potrebbe essere troppo tardi;
anche perché noi — come tedeschi con sufficienti
colpe a carico —
potremmo diventare fornitori di un crimine
prevedibile, e nessuna delle solite scuse
cancellerebbe la nostra complicità.
E lo ammetto: non taccio più
perché dell’ipocrisia dell’Occidente
ne ho fin sopra i capelli; perché è auspicabile
che molti vogliano affrancarsi dal silenzio,
esortino alla rinuncia il promotore
del pericolo riconoscibile e
altrettanto insistano perché
un controllo libero e permanente
del potenziale atomico israeliano
e delle installazioni nucleari iraniane
sia consentito dai governi di entrambi i paesi
tramite un’istanza internazionale.
Solo così per tutti, israeliani e palestinesi,
e più ancora, per tutti gli uomini che vivono
ostilmente fianco a fianco in quella
regione occupata dalla follia ci sarà una via d’uscita,
e in fin dei conti anche per noi.

                             Il nervo scoperto di Israele
Alcuni giorni fa il quotidiano tedesco Süddeutsche Zeitung ha pubblicato un poemetto di Günter Grass. Il poemetto politico-didattico dal titolo «Quel che deve essere detto» punta il dito contro Israele per il suo poderoso armamento nucleare mai dichiarato, ma la cui esistenza e consistenza sono ormai provate oltre ogni dubbio e che, a parere dello scrittore, rappresenta un pericolo in sé, a fortiori a causa delle intenzioni dichiarate dal governo Nethanyahu di voler lanciare un attacco preventivo contro gli impianti nucleari di Tehran, sospettata di volere costruire un ordigno atomico.Come era prevedibile lo scritto ha scatenato un putiferio.
Il Nobel tedesco è stato sommerso da ogni sorta di critiche e di accuse infamanti, da antisemita a seminatore di odio contro Israele a casa, nel mondo e naturalmente nella stessa Israele. Il j'accuse di Grass coinvolge anche il suo paese, la Repubblica Federale Tedesca, a suo dire complice di Israele per avergli fornito un sottomarino attrezzato per la dotazione di testate nucleari e l'Occidente intero per la sua ipocrisia e il suo doppiopesismo. Il governo di Israele ha reagito, come sua consuetudine nel più stupido dei modi ovvero dichiarando Grass persona non grata nel Paese e, per dare maggiore credibilità al bando, ha tirato fuori i brevissimi trascorsi del Nobel in divisa da SS a 17 anni. Per promulgare lo stesso bando contro l'ebreo Noam Chomsky, definito dal New York Times «verosimilmente il più importante intellettuale vivente» quel surplus di infamia non era stato necessario. Alcune delle più lucide menti dell' opposizione hanno commentato così il provvedimento. Tom Segev ha scritto: «Basso livello di tolleranza... delegittimare chi critica è una tendenza molto pericolosa, autocratica e demagogica. Nethanyahu e Lieberman sono bravissimi in questo. Ogni voce contraria è subito indicata come segnale d'antisemitismo. Ma se davvero ci mettiamo a distribuire i permessi d'ingresso secondo le opinioni politiche delle persone finiamo in compagnia di Siria e dello stesso Iran». Gli scrittori Ronit Matalon e Yoram Kaniuk hanno dichiarato: «Il prossimo passo è bruciare i libri».

Ora è vero che Grass nella foga della sua vis polemica l'ha fatta fuori dal vaso. Ha omesso di dire che Ahmadinedjad, oltre ad essere un tiranno oppressore della sua gente, un giorno si e un giorno no minaccia di cancellare dalle carte geografiche Israele. Lo scrittore ha anche esagerato pesantemente le intenzioni di Nethanyahu attribuendogli la volontà di radere al suolo l'intero Iran, mentre l'obiettivo è quello di distruggere le sue potenziali dotazioni nucleari. Ma non pochi autorevoli esponenti dell'establishment israeliano, fra i quali esponenti dei servizi segreti, ritengono che un simile attacco incendierebbe l'intero Medioriente coinvolgendo, volenti o nolenti gli Stati Uniti e chissà quanti altri con conseguenze incalcolabili e certamente disastrose.

Ma il vero nervo scoperto di tutto l'affaire Grass per quanto riguarda i Nethanyahu e i Lieberman di turno non è nè l'antisemitismo, né il presunto odio per Israele. Queste accuse, a mio parere, sono solo un mediocre cocktail di folklore e propaganda. Il merito del contendere è l'assoluta indisponibilità a qualsiasi forma di controllo dell'arsenale nucleare israeliano da parte di chicchessia. Il sistema di potere dello stato di Israele pretende autoreferenzialmente di essere al di sopra di qualsiasi straccio di legalità internazionale al riguardo di certe questioni sensibili e segnatamente la sicurezza in tutte le sue declinazioni. Solo che ormai se ci si sintonizza sulla linea d'onda del governo israeliano è impossibile distinguere fra realtà e propaganda e la propaganda è ormai una sorta di metastasi della realtà. L'Occidente ipocrita per convenienza si comporta come le celebri tre scimiette: «Non vedo, non sento, non parlo». Per informazioni sulla patologia dei governanti israeliani è utile informarsi presso i Palestinesi.
Moni Ovadia (dal Manifesto)

10/04/12

P. K. Dick: "Che cos'è la realtà?" e "Il mondo Proletario dall'interno"

''Scrivendo romanzi e racconti che si pongono la domanda "Che cos'è la realtà?", ho sempre sperato che un giorno avrei trovato una risposta. È la speranza anche della maggior parte dei miei lettori.''
''Il problema è concreto, non è solo una sfida intellettuale. Perché oggi viviamo in una società nella quale i media, i governi, le grandi corporation, i gruppi religiosi e politici producono continuamente realtà fasulle, ed esiste l'hardware adatto a instillare questi pseudomondi nella mente di lettori, spettatori, e ascoltatori.''
''Lo strumento principale per la manipolazione della realtà è la manipolazione delle parole. Se siete in grado di controllare il significato delle parole, sarete in grado di controllare le persone che devono utilizzarle. George Orwell l'ha evidenziato nel suo romanzo 1984. Un altro modo di controllare le menti delle persone però è quello di controllare le loro percezioni. Se riuscite a fargli vedere il mondo nel modo in cui lo vedete voi, allora la penseranno come voi.''
''Vogliamo parlare dei serial polizieschi? Le automobili escono sempre di strada, vanno a sbattere, e prendono fuoco. La polizia è sempre buona e vince sempre. Tenete presente questo punto: la polizia vince sempre. Che lezione edificante. Non bisogna mai combattere l'autorità, e semmai lo si fa, si è destinati alla sconfitta. Il messaggio implicito è: siate passivi. E... collaborate. Se l'agente Baretta viene a chiedervi informazioni, dategliele, perché l'agente Baretta è una brava persona di cui ci si deve fidare. Lui vi vuole bene, e voi dovreste ricambiarlo.

Così, nei miei testi, continuo a chiedere: "Cos'è reale?'' Perché siamo costantemente bombardati da pseudorealtà prodotte da gente estremamente sofisticata, che adopera meccanismi altrettanto sofisticati. Non diffido tanto dei loro moventi, quanto del loro potere. Ne hanno moltissimo. Ed è un potere straordinario: quello di creare interi universi, universi della mente. Avrei dovuto immaginarlo. Io faccio la stessa cosa. È il mio lavoro creare universi in cui ambientare un romanzo dopo l'altro. E devo costruirli in modo che non cadano a pezzi dopo due giorni. O almeno questa è la speranza dei miei editori. Voglio svelarvi un segreto però: a me piace costruire universi che cadano a pezzi. Mi piace vederne lo scollamento, mi piace vedere come i personaggi nei romanzi affrontano il problema. Ho una segreta passione per il caos. Dovrebbe essercene di più.''
Tratto da ''Come costruire un universo che non cada a pezzi dopo due giorni'' (1978) di Philip K. Dick, 16/12/1928 - 2/3/1982.

Il 2 Marzo 1982 finì il futuro. O per meglio dire, morì Philip K. Dick che aveva immaginato quel futuro in tanti capolavori. Trent'anni dopo Fanucci ripubblica 30 suoi romanzi di fantascienza a soli 6,90 euro e propone un inedito di stampo diverso: Lo stravagante Mr Fergesson, pubblicato in Inghilterra nel 1986, che nasce dalla volontà di eplorare "il mondo proletario dall'interno", come l'autore raccontò alla moglie. Famiglia, denaro, tensioni razziali: un Dick davvero inedito, con qualche reminiscenza di Lewis Carroll..



09/04/12

Strage di Bologna

Strage di Bologna.
“Carlos” è disposto a parlare con i magistrati italiani

La magistratura italiana ha riaperto le indagini sulla strage del 2 agosto 1980 facendo propria la “pista palestinese”. Ma non vuole andare a sentire Carlos il quale ha finora sostenuto che dietro la strage c’erano la Cia e il Mossad.


Ilich Ramirez Sanchez, 62 anni, noto come “Carlos”, detenuto nel carcere di massimo sicurezza di Poissy, a Parigi, ha mandato due lettere a un avvocato bolognese, Gabriele Bordoni, per nominarlo difensore di fiducia ed esprimere la propria posizione sulla bomba che provocò la strage alla stazione di Bologna il 2 agosto del 1980, ma non solo. E’ quanto scrive un articolo pubblicato dal quotidiano bolognese Il Resto del Carlino. Già nel settembre 2010 “Carlos”, in una lettera inviata all'avvocato Sandro Clementi e resa successivamente pubblica, si disse disponibile a confermare le proprie dichiarazioni sulla strage di Bologna di fronte a un magistrato in Italia. Sulla strage del 2 agosto 1980 - per la quale sono stati condannati i terroristi fascisti Giusva Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini - la Procura ha da tempo aperto un fascicolo bis. Di recente il pm Enrico Cieri ha indagato due “terroristi tedeschi di sinistra” Christa Margot Frolich e Thomas Kram, ritenuti entrambi ex membri del gruppo di Carlos. È la cosiddetta “pista palestinese” peseguita da tempo dagli ambienti filo-sionisti in Italia con qualche sostenitore anche tra giornalisti di sinistra ma molto, molto filo-israeliani..Secondo Carlos – come dichiarò in una intrevista rilasciata a Paolo Cucchiarelli dell’Ansa anni fa, dietro la strage di Bologna ci furono la Cia e il Mossad. Quando il Pm Cieri nell'aprile 2009 andò a interrogare Carlos a Parigi, questi chiese di parlare davanti a una commissione d'inchiesta in Italia. Ora invece si dice pronto a parlare solo ai magistrati. “Vorrei aiutarla ad eliminare gli ostacoli al fine di trovare i veri responsabili dell'attacco terroristico di Bologna. Sono inoltre pronto a rilasciare dichiarazioni sotto giuramento alla magistratura italiana competente”, si legge nella lettera indirizzata all'avvocato e pubblicata dal Resto del Carlino. “Dovremo incontrarci qui di persona non appena possibile al fine di preparare il miglior approccio tecnico per smantellare il muro di bugie che hanno bloccato la verità degli anni di sanguinari massacri di civili innocenti avvenuti in Italia”.

“L'intenzione mia è da tempo quella di andarlo a sentire in Francia - spiega nell'articolo l’avvocato Bordoni - L'ho chiesto alla Procura, ma il pm ha ritenuto non fosse utile. Mi sono rivolto inutilmente al magistrato di collegamento italo-francese e al nostro ministero. Per questo alla fine l'unica strada era quella della nomina”. Oggi il legale tornerà dal pm per chiedere di andare insieme a Parigi. In caso negativo, dice Bordoni, “ci andrò io e raccoglierò le sue indicazioni”.

I familiari delle vittime della strage, attraverso Paolo Bolognesi, si dicono scettici su questa disponibilità. A loro interessa sapere chi furono i mandanti e a tale proposito hanno presentato da tempo un esposto. Che è confluito nell'inchiesta bis, un esposto che chiede di individuare i mandanti (proseguendo quindi nel solco che ha portato alla condanna dei terroristi fascisti Mambro, Fioravanti e Ciavardini), partendo soprattutto dalle carte del processo della strage di piazza della Loggia a Brescia, un processo che aveva visto sul banco degli imputati dei fascisti, un uomo dei servizi segreti e addirittura un generale dei Carabinieri, Delfino. Ma la corte di assise di Brescia, presieduta da Enrico Fischetti, ha assolto a novembre del 2010 i cinque imputati Carlo Maria Maggi, Delfo Zorzi, Maurizio Tramonte, Francesco Delfino e Pino Rauti «per non aver commesso il fatto. Il Pm aveva chiesto invece l’ergastolo.


Qui di seguito la parte dell’intervista del 2008 rilasciata da Carlos a Paolo Cucchiarelli dedicata alla strage di Bologna.

D: Una sola domanda sulla strage di Bologna visti i molti riferimenti fatti da lei nel tempo e che sembrano alludere ad una ipotesi da lei mai espressa ma che potrebbe essere alla base delle sue osservazioni. Cioè agenti occidentali che fanno saltare in aria – con un piccolo ordigno – un più rilevante carico di materiale esplodente trasportato da palestinesi o uomini legati all’Fplp e alla sua rete con l’intento di far ricadere su questa ben diversa realtà politica tutta la responsabilità della strage alla stazione.

R: L’attentato contro il popolo italiano alla stazione di Bologna “rossa”, costruita dal Duce, non ha potuto essere opera dei fascisti e ancora meno dei comunisti. Ciò è opera dei servizi yankee, dei sionisti e delle strutture della Gladio. Non abbiamo riscontrato nessun’altra spiegazione. Accusarono anche il Dottor Habbash, nostro caro Akim, che, contrariamente a molti, moriva senza tradire e rimanendo leale alla linea politica del FPLP per la liberazione della Palestina. Vi erano dei sospetti su Thomas C., nipote di un eroe della resistenza comunista in Germania dal febbraio 1933 fino al maggio 1945, per accusarmi di una qualsiasi implicazione riguardo ad un’aggressione così barbarica contro il popolo italiano: tutto ciò è una prova che il nemico imperialista e sionista e le sue “lunghe dita” in Italia sono disperati, e vogliono nascondere una verità che li accusa.

29/03/12

Animali, Il Contante e i Vadoinmessico..


"Il guaio di essere poveri è che t'impegna tutta la giornata.."
O. Wilde

Gli animali vivono in un eterno presente,gli manca il futuro nel cervello. Comprendono i principi di causa/effetto ma non hanno la nostra capacità di sperimentare lo scorrere del tempo, ne il libero arbitrio necessario per usare il tempo.
E' il denaro, per l'essere umano, a cristallizzare il tempo e il libero arbitrio. Il contante. Il contante gli permette di moltiplicare la volontà e accellerare il tempo. E' il contante a definirci come specie..











25/03/12

Chomsky: il mondo ha paura di Israele, non dell’Iran

Chomsky: il mondo ha paura di Israele, non dell’Iran

Nel numero di gennaio-febbraio della rivista “Foreign Affairs” un articolo di Matthew Kroenig intitolato “È il momento di attaccare l’Iran” spiega perché un attacco è l’opzione meno peggiore. Sui media si fa un gran parlare di un possibile attacco israeliano contro l’Iran, mentre gli Stati Uniti traccheggiano tenendo aperta l’opzione dell’aggressione, ciò che configura la sistematica violazione della carta delle Nazioni Unite, fondamento del diritto internazionale. Mano a mano che aumentano le tensioni, nell’aria aleggiano i fremiti delle guerre in Afghanistan e Iraq. La febbrile retorica della campagna per le primarie negli Usa rinforza il suono dei tamburi di guerra. Si suole attribuire alla “comunità internazionale” – nome in codice per definire gli alleati degli Stati Uniti – le preoccupazioni per l’imminente minaccia iraniana. I popoli del mondo, però, tendono a vedere le cose in modo diverso.
I paesi non-allineati, un movimento che raggruppa 120 nazioni, hanno vigorosamente appoggiato il diritto dell’Iran di arricchire l’uranio, opinione condivisa dalla maggioranza della popolazione degli Stati Uniti (sondaggio “WorlPublicOpinion.org”) prima dell’asfissiante offensiva propagandistica lanciata da due anni. Cina e Russia si oppongono alla politica Usa rispetto all’Iran, come pure l’India, che ha annunciato che non rispetterà le sanzioni statunitensi e aumenterà il volume dei suoi commerci con l’Iran. Idem la Turchia. Le popolazioni europee vedono Israele come la maggior minaccia alla pace mondiale. Nel mondo arabo, a nessuno piace troppo l’Iran, però solo una minoranza molto ridotta lo considera una minaccia. Al contrario, si pensa che siano Israele e Stati Uniti le minacce principali. La maggioranza si dice convinta che la regione sarebbe più sicura se l’Iran si dotasse di armi nucleari. In Egitto, alla vigilia della primavera araba, il 90% compartiva questa opinione, secondo i sondaggi della “Brookings Institution” e di “Zogby International”.
I commentatori occidentali parlano molto del fatto che i dittatori arabi appoggiano la posizione Usa sull’Iran, mentre tacciono il fatto che la gran maggioranza della popolazione araba è contraria. Negli Stati Uniti alcuni osservatori hanno espresso anche, da un bel po’ di tempo, le loro preoccupazioni per l’arsenale nucleare israeliano. Il generale Lee Butler, ex-capo del comando strategico Usa, ha affermato che l’armamento nucleare israeliano è straordinariamente pericoloso. In una pubblicazione dell’esercito Usa, il tenente colonnello Warner Farr ha ricordato che «un obiettivo delle armi nucleari israeliane, che non si usa precisare ma che è ovvio, è “impiegarle” negli Stati uniti», presumibilmente per garantire un appoggio continuo di Washington alle politiche di Israele.

Una preoccupazione immediata, in questo momento, è che Israele cerchi di provocare qualche reazione iraniana, che a sua volta provochi un attacco Usa. Uno dei principali analisti strategici israeliani, Zeev Maoz, in “Difesa della Terra santa”, un’analisi esaustiva della politica di sicurezza ed estera israeliana, arriva alla conclusione che il saldo della politica nucleare di Israele è decisamente negativo e dannoso per la sicurezza dello Stato ebraico. E incita Israele a cercare di arrivare a un trattato regionale di proscrizione delle armi di distruzione di massa e a creare una zona libera da tali armi, come chiedeva già nel 1974 una risoluzione dell’Assemblea generale dell’Onu.
Intanto le sanzioni occidentali contro l’Iran fanno già sentire i loro effetti soliti, causando penuria di alimenti basici non per il clero governante ma per la popolazione. Non può meravigliare che anche la valorosa opposizione iraniana condanni le sanzioni. Le sanzioni contro l’Iran potrebbero avere gli stessi effetti di quella precedenti contro l’Iraq, condannate come genocide dai rispettabili diplomatici dell’Onu che pure le amministravano, e che alla fine si dimisero come segno di protesta. In Iraq le sanzioni hanno devastato la popolazione e rafforzato Saddam Hussein, a cui probabilmente hanno evitato, almeno all’inizio, la sorte toccata alla sfilza degli altri tiranni appoggiati da Usa e Gb, dittatori che hanno prosperato praticamente fino al giorno in cui varie rivolte interne li hanno rovesciati.
Esiste un dibattito poco credibile su ciò che costituisca esattamente la minaccia iraniana, per quanto abbiamo una risposta autorizzata, fornita dalle forze armate e dai servizi segreti Usa. I loro rapporti e audizioni davanti al Congresso hanno lasciato ben chiaro che l’Iran non costituisce nessuna minaccia militare: ha una capacità molto limitata di dispiegare le sue forze e la sua dottrina strategica è difensiva, destinata a dissuadere da un’invasione per il tempo necessario alla diplomazia per entrare in campo. Se l’Iran sta sviluppando armi nucleari (ciò che ancora non è provato), questo sarebbe parte della sua strategia di dissuasione. Il concetto dei più seri fra gli analisti israeliani e statunitensi è stato espresso con chiarezza da Bruce Riedel, un veterano con 30 anni di Cia sulle spalle, che nel gennaio scorso ha dichiarato che se lui fosse un consigliere per la sicurezza nazionale iraniano auspicherebbe certamente di avere armi nucleari come fattore di dissuasione.
Un’altra accusa dell’Occidente contro l’Iran è che la Repubblica islamica sta cercando di ampliare la sua influenza nei paesi vicini, attaccati e occupati da Stati uniti e Gran Bretagna, e che appoggia la resistenza all’aggressione israeliana in Libano e all’occupazione illegale dei territori palestinesi, sostenute dagli Usa. Al pari della sua strategia di dissuasione contro possibili atti di violenza da parte di paesi occidentali, si dice che le azioni dell’Iran costituiscono minacce intollerabili per l’ordine globale. L’opinione pubblica concorda con Maoz. L’appoggio all’idea di stabilire una zona libera dalle armi di distruzione di massa in Medio Oriente è schiacciante. Questa zona dovrebbe comprendere Iran, Israele e, preferibilmente, le altre due potenze nucleari che si sono rifiutate di entrare nel Trattato di non proliferazione nucleare (Tnp) – Pakistan e India – paesi che, come Israele, hanno sviluppato i loro programmi atomici con l’aiuto Usa.
L’appoggio a questa politica nella conferenza sulla revisione del Tnp, nel maggio 2010, fu tanto forte che Washington si vide obbligata ad accettarla formalmente, però imponendo condizioni: la zona non potrà divenire effettiva prima di un accordo di pace fra Israele e i suoi vicini arabi; il programma di armamenti nucleari di Israele sarebbe esentato dalle ispezioni internazionali; nessun paese (si legga: Usa) potrebbe essere obbligato a fornire informazioni sulle installazioni e le attività nucleari israeliane, né informazioni relative a trasferimenti anteriori di tecnologia nucleare a Israele.
Nella conferenza del 2010 si fissò una nuova sessione per il maggio 2012 con l’obiettivo di avanzare nella creazione di una zona libera da armi di distruzione di massa. Tuttavia con tutto il bailamme sollevato intorno all’Iran, è molto poca l’attenzione che si dà a questa opzione che pure sarebbe il modo più costruttivo per gestire le minacce nucleari nella regione: per la “comunità internazionale” la minaccia che l’Iran arrivi alla capacità nucleare; per la maggior parte del mondo, la minaccia rappresentata dall’unico Stato della regione che possieda le armi nucleari e una lunga storia di aggressioni, e dalla superpotenza che gli fa da padrino.

(Noam Chomsky, “La bomba iraniana”, da “Il Manifesto” del 18 marzo 2012)

03/03/12

Marzo, Stagione della Prevenzione. Visite gratis per cani e gatti

E' il mese del dottor Dolittle,visite gratuite per cani e gatti.

Al via la VII edizione della "Stagione della prevenzione" organizzata da Hill's Pet Nutrition e dalle associazioni dei veterinari. Per tutto marzo esami e controlli gratis in tutta Italia. "Un atteggiamento responsabile tutela la salute pubblica oltre che quella fra le mura domestiche"

ROMA - Non è sempre una banalità l'espressione "meglio prevenire che curare". Soprattutto nel caso in cui l'oggetto delle nostre attenzioni non è in grado di dirci se ha mal di pancia o un altro dolorino che potrebbe rivelarsi qualcosa di più serio. Parliamo di animali domestici, cani gatti e compagnia. Perché per il settimo anno consecutivo Hill's Pet Nutrition, leader mondiale nell'alimentazione di mantenimento e dietetica clinica per cani e gatti, insieme all'Associazione Nazionale Medici Veterinari Italiani (ANMVI), con il patrocinio della Federazione Nazionale Ordini Veterinari (FNOVI), promuove per tutto il mese di marzo la Stagione della Prevenzione, iniziativa che offre la possibilità ai proprietari di cani e gatti di tutta Italia di far visitare gratuitamente il proprio animale.
La visita, un esame generale senza l'utilizzo di strumenti offerto dai veterinari, ha l'obiettivo di stabilire lo stato di salute dell'animale e, eventualmente, verificare la necessità di successivi esami più specifici. Collegandosi al sito Stagionedellaprevenzione.it 1 è possibile identificare il veterinario più comodo per prenotare e la visita gratuita.

L'iniziativa, che riscuote ogni anno un successo maggiore, è di fatto un invito a una maggiore attenzione del proprietario nei confronti del proprio pet. Basta affidarsi regolarmente alla consulenza del veterinario e puntare, anche, su un'alimentazione corretta. Un atteggiamento responsabile che non ha effetto solo all'interno delle mura domestiche ma tocca e tutela la salute pubblica, sia animale che umana. Sono oltre 4.000 (11% in più rispetto al 2011) i veterinari che parteciperanno a questa edizione, e grazie alla loro collaborazione "siamo riusciti nel corso di questi anni a far visitare gratuitamente decine di migliaia di cani e gatti - spiega Stefano Roserba, Marketing Manager di Hill's Pet Nutrition Italia - nell'edizione 2011, con oltre 3.600  veterinari di tutta Italia abbiamo effettuato 23.000 visite gratuite. Oltre il 70% degli animali visitati non ha mostrato patologie a conferma di come la cultura della prevenzione sia la strada giusta da perseguire per avere animali sani e una sana società".

"La prevenzione veterinaria è un traguardo culturale a tre - aggiunge Marco Melosi, Presidente di ANMVI - proprietario, animale e veterinario. Per il tramite dell'animale, il veterinario entra in relazione con la società e agisce sui suoi diritti e sui suoi bisogni, diventando un mediatore del rapporto uomo-animale. Questo traguardo va di pari passo con il progressivo innalzamento della considerazione etica e giuridica dell'animale e delle conoscenze scientifiche". E in un quadro economico sfavorevole, dice Gaetano Penocchio, presidente della FNOVI, "in cui i proprietari degli animali sono spesso costretti a ridurre o contenere le spese della gestione degli animali di famiglia, Hill's e i veterinari italiani con la Stagione della Prevenzione rivolgono ai cittadini un messaggio di salute e confermano l'impegno a favore della tutela del benessere degli animali".

La Repubblica

23/02/12

Anti - Acta e gli spioni

Chi spia il Web a caccia di contenuti illegali? Si diffondono, tra le critiche, le società specializzate nel contrastare la pirateria. Con l'approvazione di Acta potrebbero dilagare in tutta Europa. Che continua a protestare: il prossimo appuntamento il 25 febbraio.
Le chiamano “ Copyright Enforcement Companies” e sono i bounty killer dell’industria del copyright. Sono società private specializzate nella repressione della pirateria informatica. Diffondono file danneggiati o corrotti ( file decoy) e tentano di compromettere i network di condivisione. Setacciano i siti e le reti P2P registrando gli indirizzi Ip degli utenti che condividono materiale protetto da copyright, per poi rivenderli ai propri clienti. Per individuare fisicamente questi utenti però, serve la collaborazione dei provider dello Stato dove risiede il presunto pirata. Le industrie del copyright hanno spesso invocato l’imposizione di un obbligo di collaborazione a carico di questi gestori di rete. Con il nuovo trattato internazionale Acta potrebbero vedere esauriti i loro desideri anche là dove finora sono rimasti delusi.

Fino a oggi, in Italia la giurisprudenza ha dato ragione a provider e utenti. Per esempio nel 2010 la Federazione anti pirateria audiovisiva ( Fapav) aveva chiesto che Telecom si impegnasse a controllare l’attività dei propri clienti e, su richiesta, a dare i nominativi collegati agli Ip individuati a scaricare materiale protetto. I giudici hanno dato ragione a Telecom e alle associazioni di consumatori costituitesi in giudizio. Se la Fapav intende lamentare una violazione del copyright deve fare istanza al tribunale, come tutti, e sarà il giudice eventualmente a richiedere a Telecom i nominativi. Durante il processo erano emerse notizie inquietanti sull’impiego di compagnie di copyright enforcement da parte di Fapav. In particolare la Coo-peer-right Agency era sospettata, oltre di aver violato le norme sulla privacy, di aver usato anche dei malware-spia per conoscere i siti visitati dagli utenti.

Ma in altri Paesi la situazione è più favorevole ai detentori di copyright. In Germania, per esempio, i gestori di servizi passano ogni mese alle industrie dei contenuti dati riguardo a circa 300mila utenti. Le compagnie di copyright enforcement, attivate dai legali delle industrie, individuano chi mette in condivisione determinati file protetti dal diritto d’autore. A questo punto i proprietari dei diritti incrociano le informazioni e chiedono i danni ai singoli utenti. La cifra richiesta per evitare un processo va dai 300 ai 1200 euro di solito, e spesso viene pagata.


Per uniformare le diverse normative e, sospettano alcuni, per imporre una legislazione restrittiva sul copyright in tutti gli Stati, è stato scritto il trattato internazionale Acta. La sua esistenza è stata svelata, prima di qualsiasi dichiarazione ufficiale, dai cablo di Wikileaks nel 2008. L’Unione europea l’ha siglato il 26 gennaio 2012 e da allora sono cominciate imponenti manifestazioni e proteste in tutta Europa. Sul Web i cyberattivisti di Anonymous hanno lanciato la loro campagna contro Acta. Singoli membri del Parlamento europeo, facendo proprie alcune delle preoccupazioni emerse nelle opinioni pubbliche nazionali, hanno espresso perplessità e critiche. Il relatore parlamentare di Acta, il francese Kader Arif, ha rinunciato al suo incarico per dare un forte segnale di protesta. In ogni caso dal 29 febbraio comincerà l’esame del trattato nelle commissioni competenti e, per tenere alta l’attenzione pubblica sul tema, si continuano a organizzare manifestazioni coordinate in tutto il mondo. La prossima è prevista il 25 febbraio e in Italia si svolgerà a Roma (in precedenza si parlava di Verona).

Perché il trattato entri in vigore, è necessario che il Parlamento europeo lo approvi e gli Stati membri lo ratifichino. Dopo le pressioni venute dalle piazza alcuni governi, come quello polacco, hanno messo in discussione la propria firma. E intanto la Commissione ha chiesto oggi alla Corte di giustizia europea un parere sull'accordo Per salvare il trattato dal rischio di naufragio, la Commissione europea ha diffuso un documento teso a rassicurare i cittadini sul fatto che con Acta non cambierà nulla o quasi nella loro vita quotidiana. Ma la comunità telematica non è convinta. Troppo generiche le promesse della Commissione e il testo del trattato è talmente vago, sottolineano alcuni blogger, da non offrire garanzie sui risultati a cui potrebbe portare.

Il rischio è che presto in tutta Europa, e non solo, si diffondano pratiche repressive scarsamente controllate, spesso intimidatorie e non sempre precise. Può capitare che le compagnie di copyright enforcement sbaglino il loro bersaglio e si creino situazioni paradossali. Questo è il caso, ad esempio, capitato a una signora tedesca raggiunta dall’accusa di aver scaricato illegalmente un film particolarmente violento sugli hooligans. Le hanno chiesto 650 euro per evitare di andare in tribunale. Peccato che, come ha fatto notare il suo avvocato Christian Solmecke, la signora non avesse nemmeno un computer. Per la serie, nessuno è al sicuro. 

Wired


02/02/12

Inquinamento acustico, rock, frastuoni e i pericoli per l'udito

 Sette milioni di italiani hanno problemi di udito e il numero tende ad aumentare. Nell'80 per cento delle nostre città si superano giornalmente i lielli di tollerabilità del rumore. Le terapie genetiche e le cellule staminali sono i rimedi,ma per il momento,contro la sordità, restano armi del futuro,mentre si potrebbe iniziare con..un pò di silenzio. Perchè il rumore e il frastuono delle città sono diventati letteralmente assordanti e ,insieme all'allungamento della vita media,sono la cusa principale della perdita dell'udito. E' la commissione europea a lanciare l'allarme,prevedendo un peggioramento delle capacità uditive tra il 4 e il 6 per cento ogni anno. Il problema oramai non coinvolge solo gli anziani,ma anche giovani e adulti esposti a livelli di rumore (traffico stradale,discoteche,elettrodomestici..) che superano di gran lunga la soglia di sicurezza stabilita dall'OMS dei 65 decibel diurni e 55 decibel durante la notte. Tutti gli abitanti delle grandi città sono quindi potenzialmente soggetti a danni uditivi provocati dal rumore: vanno dall'insonnia alla difficoltà di concentrazione,dall'irritabilità ad uno stato di sordità temporanea, fino a dei veri e propri traumi acustici che hanno conseguenze drammatiche sulla qualità dela vita. Perchè,come spiegano gli esperti dell'Aiac (Associazione italiana Audiologia Clinica), la sordità,nelle sue diverse forme,è un deficit sensoriale che mette in questione le relazioni,le emozioni,la socialità Il 60% delle persone anziane cade in depressione e si isola dal mondo esterno,mentre i giovani ancora non accettan le protesi acustiche e soffrono per la loro condizione.

La ricerca intanto fa progressi. E' stato individuato il gene (MY01A) che se alterato causa una forma di sordità ereditaria,mentre studiosi giapponesi e americani sono riusciti a far ricrescere le cellule ciliate dell'orecchio interno in mammiferi adulti con una raffinata tecnica genetica. Già, perchè la ricerca sulle cellule ciliate all'interno della coclea è importantissima: per la funzione uditiva, queste cellule sono molto vulnerabili di fronte ai rumori esterni,ad alcuni farmaci e alle labirintiti e il loro danneggiamento è all'origine della maggior parte delle sordità neurosensoriali che colpiscono bambini e adulti. Tuttavia non c'è ancora una soluzione del problema nell'immediato. Le cellule staminali sono pluripotenti,possono dare origine a tessuti diversi ma perchè si specializzino in un campo molto selettivo (come la finzione uditiva)  occorrono stimoli fisiologici o biochimici che ancora non si conoscono. In soccorso arriva la bioingegneria protesica,con apparecchi acustici sempre più sensibili e intelligenti nell'elaborazione dei suoni. Quelli di terza generazione,digitali, sono anche più confortevoli nell'uso,con un suono più naturale e i larsen (fischi) ridotti al minimo. Usare queste protesi non è però come indossare gli occhiali:necessitano di un "allenamento" a quei suoni che la persona torna a sentire dopo un certo periodo di tempo,allenamento che può ricgiedere dai sei mesi ad un anno. Si sa che il cervello, che rielabora i suoni,se rimane in silenzio per un lungo periodo ha bisogno di recuperare le sue funzionalità,rendendo quindi indispensabile l'intervento precoce. Come precoce deve essere la diagnosi di sordità nei neonati,in media entro i tre mesi,mentre sei mesi è il tempo entro cui si deve applicare la protesi con una terapia riabilitativa. Verso i due anni è poi possibile ricorrere all'impianto cocleare,un dispositivo elettronico sempre più sofisticato e piccolo che è in grado di sostituire in gran parte il funzionamento dell'orecchio interno e della coclea.

 Si sa che il rock è «un'emozione tirata fuori ad alto volume» come disse una volta il chitarrista Ted Nugent (63 anni), che ormai da un decennio porta l'apparecchio acustico. Come il chitarrista e il cantante degli Who, il gruppo che negli anni Sessanta suonava a ben 130 decibel. Sia Pete Townshend (66 anni) sia Roger Daltrey (67 anni) sono passati dall'inno generazionale per eccellenza (My generation appunto) al cornetto. Stessa cosa è accaduta a Roger Taylor (62 anni), il batterista dei Queen (le frequenze del rullante sono micidiali per l'orecchio sinistro) e per Phil Collins (60 anni) completamentesordo da un orecchio. La lista dei musicisti,soprattutto nel Rock'n'Roll, che sono arrivati quasi alla sordità è lunga e in costante aggiornamento..


Il vero motivo del blitz dell'F.B.I contro MegaUpload


Kim Dotcom (MegaUpload): 'Presto accordi con gli artisti stanchi delle major'



(Dicembre 2011)
Al centro di polemiche per un videoclip e una canzone che promuovono in rete il servizio di file sharing MegaUpload (e che la major Universal Music ha cercato di far togliere da YouTube), il vulcanico e discusso fondatore dell'impresa, Kim Dotcom (vero nome Kim Schmitz), ha in serbo altre sorprese poco gradite all'industria discografica. Si tratta, come ha raccontato al blog TorrentFreak che ne ha ospitato un lungo intervento scritto, di due iniziative che riguardano il settore dei servizi "direct to fan", e che sono emerse proprio nel corso della vertenza legale con Universal: Megabox.com, "un sito che presto permetterà agli artisti di vendere le loro creazioni direttamente ai consumatori trattenendo il 90 % dei guadagni", e Megakey, "una soluzione che agli artisti consentirà di ricavare introiti dagli utenti che scaricano musica gratuitamente. Esatto, pagheremo gli artisti anche per i download gratuiti. Il modello di business è stato testato su oltre un milione di utenti e funziona".
Kim Dotcom, che nel suo scritto racconta dal suo punto di vista la diatriba insorta intorno a "MegaUpload mega song", sostiene di essere vicino alla firma di accordi esclusivi con numerosi artisti "desiderosi di abbandonare modelli di business superati". E, nel suo intervento, non risparmia attacchi ai discografici: "Bisogna capire che alcune etichette sono gestite da dinosauri arroganti e superati che sono nel settore da 1000 anni. Questa gente crede che l'iPad sia un prodotto per la cura del viso, che Internet sia il diavolo e che i telefoni a filo siano ancora di moda. Nega le nuove realtà e le nuove opportunità. E non ha capito che i giorni degli imbrogli ai danni del pubblico sono finiti".

Sappiamo tutti com'è finita: MegaUpload oscurato,Kim Dotcom arrestato,miliardi di file cancellati da piattaforme per il filesharing.. Hanno vinto forse una battaglia,ma perderanno la guerra. Questo,è sicuro..

15/01/12

Indignati,Occupy e inni ancora in voga


«Noi siamo il 99 percento della popolazione che subisce il sistema, voi l’1 percento che ne gode gli sproporzionati vantaggi». Lo slogan degli indignati si presenta quanto mai efficace e carico di un populismo che rompe con alcune parole d’ordine classiche della sinistra. Prendiamo la pietra angolare marxista della lotta di classe: divideva la società in proporzioni diverse e nessuno pensava che la vituperata borghesia fosse tanto esigua. Invece gli «indignados» americani pretendono di parlare a nome di tutto il paese,eccezion fatta per il manipolo di potenti che lo rovina. Una maggioranza tanto schiacciante (sulla carta) da far apparire una banda di delinquenti la minoranza che detiene le leve economiche. Ma qual è la provenienza di questa parola d’ordine messianica che divide il bene dal male in maniera tanto schiacciante? In un recente filmato comparso su youtube Angela Davis conciona il pubblico al grido di «Occupy Philly», occupiamo Philadelphia. Angela, militante di lungo corso della sinistra, utilizza la retorica americana «da predicatore» che ha influenzato l’oratoria dei politici di colore di estrazione religiosa (ma non solo), da Martin Luther King a Jesse Jackson, dai rivoluzionari come Malcolm X fino al sogno infranto di Obama. Angela Davis affronta il pubblico con la pratica del salmo responsoriale: all’affermazione dell’officiante fa da immediato contraltare la risposta in coro dei fedeli: è la tecnica del «call and response», tipica del gospel, del blues, del jazz. Il drappello dei credenti si scalda al rauco arringare del predicatore mentre tuona di inferno e dannazione o zufola di paradiso e salvezza: un’esperienza distante da quella della sinistra tradizionale legata al comizio politico o sindacale di piazza. Ecco perché una parola d’ordine così può derivare da un gospel: 99 and a Half Won’t Do(99 e mezzo non bastano, dobbiamo essere 100). Come per il 99 percento degli indignati contro l’1 percento: la lotta del bene (grande) contro il male (piccolo, infimo) è simile in questo celebre inno, ancora oggi cantato nelle congregazioni nere. Il testo si rifà alla parabola del buon pastore citata dai vangeli di Matteo e Luca. Gesù narra che il pastore, accortosi che le sue pecorelle sono novantanove e non cento, si mette in cerca di quell’unica smarrita. Egli tornerà felice dal resto del gregge solo quando l’avrà trovata. Il regno dei cieli appartiene a tutti e il pastore deve cercare di salvare l’anima del singolo peccatore più che gioire delle coscienze già redente. Una canzone dalla lunga storia. L’ultima versione l’hanno cantata il diacono Joseph Carter Jr. e il ministro Leslie Sims Jr. nel disco Sing Me Back Home (2006) inciso dai New Orleans Social Club per raccogliere fondi dopo l’uragano Katrina, ma il brano aveva assunto già negli anni Cinquanta un valore secolare a fianco di quello religioso: non tutti i cittadini godevano della piena libertà e i neri volevano conquistarsi un posto nella società americana, non solo ambire al regno dei cieli. Per gli afroamericani la speranza messianica consisteva nell’arrivare a un’America che non fosse più un inferno ma il paradiso in cui entrare come comunità. Le classiche versioni rese dal gruppo gospel Harmonettes o dalla cantante Rosetta Tharpe giocano sul doppio registro: significato religioso visibile e accezione politica in filigrana. La carica potenzialmente eversiva rimase al brano anche quando negli anni Sessanta Wilson Pickett ne fece una versione r’n’b tostissima, reclamando furioso di voler possedere tutto il cuore della sua bella e di non accontentarsi del novantanove e mezzo. Dalla chiesa alle classifiche, dall’amore sacro a quello profano; ma il messaggio resta: vogliamo tutta la libertà, non quasi tutta. Il fatto che dietro il ruggente Pickett graffiasse anche un riff del giovane Hendrix ne amplifica l’ascendente sul rock. Cover successive di questo brano arrivano dai Credence Crearwater Revival (versione bianca e dura), da Buddy Guy (blues rock), Mavis Staples (soul). Fa anche capolino durante un tour mondiale di Springsteen. Insomma novantanove continuano a non bastare, bisogna fare cento e cancellare (o convertire) quell’uno. Impresa faticosa. Non era l’inventore Edison ad affermare -riecheggiando anch’egli la parabola del buon pastore - che: il genio richiede un 1 percento di inspiration e un 99 di perspiration (sudore)? Un pizzico di genio e tanta buona volontà: vale per il gospel, per il rock e forse anche per gli indignados.

di F.BERGOGLIO (Alias)














12/01/12

Roma - Capitale Europea

Nel 2008 era la capitale europea più sicura. In tre anni è diventata una città violenta, in preda alla guerra tra mafie. A Torpignattara, dov'è morta la bimba cinese, la strada era al buio da settimane  

DI PIETRO ORSATTI

Una città senz'anima, che ha perso il treno per diventare davvero capitale. Cupa, egoista, provinciale, sporca di una sporcizia immateriale. Una sporcizia morale. Questa la città che ci riconsegna la peggiore amministrazione comunale che si è insediata al Campidoglio dopo quella che si credeva insuperabile del sindaco Giubilo negli anni 80. Roma è questo. Oggi. Non era così tre anni fa. E non è solo a causa della crisi, che colpisce duro e non solo la capitale. È colpa di chi si è preso il Campidoglio giocando fin dalla campagna elettorale, in modo incosciente, la carta della paura per gli immigrati. Tutti violenti, parassiti, ladri, stupratori. Nel 2008 Roma era la capitale europea più sicura. Oggi è quello che ci racconta la cronaca.

Il 105. Una torre di Babele su quattro ruote che dalla stazione Termini ti porta fino a Torbellamonaca. Lungo la Casilina, attraversando piazza Vittorio, costeggiando il Pigneto, incrociando Torpignattara. Cingalesi, indiani, somali, tunisini, senegalesi, italiani, cinesi, peruviani. Un coro di mille lingue impastate in un dizionario nuovo di culture. Il 105 è la metafora di questa città che, cambiata dalla storia e dall'avanzare di un epoca nuova, si censura, si nega. Attraverso l'esclusione, la rimozione della realtà e alla fine la violenza.

"Sono romano, romanista e italiano", proclama l'adolescente, il 'pischello' con i genitori somali. "So' nato qua. E l'amici mia so'tutti der quartiere". Torpignattara. Che ora sembra sotto assedio, ma che fino a poche settimane fa era esempio di integrazione "fai da te". Che funzionava. Nascosta, negata, rimossa da un'amministrazione comunale che invece di investire su un welfare popolare ha creato tutte le condizioni perché prendesse il sopravvento il degrado, la paura e il sangue. Il sangue che per due giorni è rimasto su quel marciapiede. Il sangue di un padre e di una figlia di sei mesi. Ammazzati per una rapina finita "no schifo". Dicono che fossero "du pischelli" italiani. Altri parlano di due dell'est. Alla fine la polizia, grazie a una telecamera, li avrebbe identificati: due marocchini. Ma rimane la scena del crimine a rendere chiaro come sia stato possibile che questa tragedia succedesse.

La strada era buia. Ci aveva pensato "er sindaco" a lasciarla così. Da quasi un mese era al buio e nonostante le chiamate di centinaia di cittadini romani non era arrivato nessuno. Come non era arrivato nessuno da mesi per i tombini sfondati, per le buche piene "de zoccole lunghe tanto" (i ratti che popolano ogni luogo degradato). "Ma devi vedè come so' arrivati subito a mette a posto li lampioni e le buche 'sti pezzi de merda - ti racconta un ragazzone di Torpignattara doc, che il padre ha pure conosciuto Pasolini -. C'era er sangue fresco ancora pe' strada ma nun te poi immaginà che prescia che c'aveveno de rimette tutto a posto per le telecamere e li fotografi. Erano mesi che protestaveno tutti, ma qui mica è Roma. Noi potemo pure morì per li cazzi loro. Questa è Torpignatta. Per 'sti infami nun valemo 'n cazzo".

Torni indietro verso il centro e ti ritrovi una delle sale bingo più grandi di Roma dove c'è gente che si brucia i pochi soldi che ha alle slot machine inseguendo un sogno da Las Vegas. Ogni tanto ci scappa una rissa. Vola qualche coltellata, che a Roma da qualche anno sono tornate di moda "le lame". E le lame le trovi ovunque, non solo allo stadio, ma per strada. E si usano senza pensarci tanto. Qui dove si spinge la coca, dove lo strozzino si piglia le pensioni sociali, dove si organizzano i raid contro i romeni che sono il nemico numero uno "pe' chi se vo' fa li cazzi sua".

E da un anno a questa parte a Roma, e non solo a Roma, c'è chi ha ritirato fuori "er ferro". La pistola. Ma non per fare una rapina finita male come a Torpignattara. No, a Roma si spara e si uccide, una trentina di morti nel 2011, per il controllo del territorio. Perché a Roma è in corso una vera e propria guerra di mafia, anzi di mafie. Ci sono tutte a Roma. Quelle tradizionali, campane, calabresi e siciliane e pure la "quinta", tutta romana. Forse figlia dell'eredità della banda della Magliana (e qualche superstite di questa c'è finito, infatti, nella guerra in corso, insieme a qualche ex estremista nero), forse una roba nuova ma che comunque una sua capacità militare, evidente, l'ha messa in atto. Non solo sparando. Non solo con i morti e i feriti e i gambizzati per "lezione". Ma anche con gli attentati alle aziende che lavorano ai cantieri di "Roma Capitale" (quanti sono i mezzi che si sono rotti o hanno preso fuoco nessuno lo sa) e gli esercizi commerciali che prendono fuoco non certo per autocombustione. E sono tanti.

Racket, appalti. Tradizione delle mafie. E poi droga. Non solo il "fumo" e la coca che ormai sono mercati stabili e sicuri. Oggi, dopo una lenta penetrazione in provincia, è tornata l'eroina. E con la ricomparsa dell'eroina è scoppiata la guerra per il controllo del territorio. E l'amministrazione comunale che fa? Nega, si defila, per mesi. Aiutata finora da un governo che pur di non toccare il bacino elettorale del presidente della Regione Renata Polverini ha fatto di tutto per non sciogliere il consiglio comunale di Fondi, nonostante le centinaia di pagine di relazione del locale prefetto. Che è stato punito con fulminante trasferimento dal ministro leghista Roberto Maroni. Fondi. La porta di Roma. Dove le mafie si spartiscono gli affari, e lo sanno anche i sassi, fin dagli anni 70.

Poi in strada si ammazza una bambina di sei mesi e suo padre e il sindaco Gianni Alemanno dichiara candidamente che "ci sono troppe pistole in giro". Ma guarda te che strano. E prima? Quando solo 24 ore prima del doppio omicidio si  gambizzava un ex NAR  poi Forza Nuova e Casa Pound, implicato nello scandalo parentopoli dell'Atac, sospeso dal servizio per dichiarazioni razziste e reintegrato in silenzio? Prima niente. Episodi.

La violenza è diventata linguaggio in questa città. Con ragazzini che si ammazzano per una lite in un centro commerciale. Con episodi continui contro immigrati e senza tetto che quasi mai vengono denunciati. Con lo spaccio, l'usura, le estorsioni, il degrado, i gruppi neofascisti in gran fermento e riorganizzazione, le sparatorie in pieno giorno e in ogni parte della città anche nei quartieri "bene" della borghesia. E con la crisi economica che sta per dare il suo colpo finale. Creando sacche incontrollabili non di disagio sociale. Ma di disperazione.

segue su Rassegna.it






07/01/12

Lavoro,tutele,articolo 18 e le cazzate del fronte..progressista

Una volta tanto, La Repubblica si rende utile pubblicando un dossier sulla flessibilità del lavoro nei Paesi OCSE: si nota come la rigidità delle tutele per i dipendenti a tempo indeterminato in Italia sia sotto la media OCSE e in particolare molto più bassa che in Francia, Spagna, Germania, Cina (!!) e parecchi altri Stati. In una scala da 0 (nessuna protezione) a 6 (massima protezione) siamo a 1,89, contro il 3,05 della Francia e il 2,12 della Germania. I dati sono aggiornati al 2008; non sorprendentemente, la serie storica mostra un crollo dell’indice (da 2,51 a 2,01 in un anno) in Italia in corrispondenza dell’entrata in vigore della “legge Treu” che ha introdotto i contratti a termine nel nostro ordinamento. I lavoratori a termine non sono computati nella statistica, che riguarda soltanto quelli a tempo indeterminato, ma è evidente che l’abbassamento della tutela per alcuni determina un abbassamento per tutti.
Proprio questa è la chiave di interpretazione da utilizzare nel valutare le proposte di riforma del lavoro di cui si discute in questi giorni. Su questo sito abbiamo analizzato in tempi non sospetti la proposta di Nerozzi di introdurre un Contratto Unico di Ingresso e quella di Ichino che in maniera ancor più drastica vorrebbe sostanzialmente abolire l’Articolo 18 dello Statuto. A proposito, il 6 dicembre 2010, circa quest’ultima proposta (in fondo al commento del secondo link), scrivevo: “un governo tecnico che succedesse a Berlusconi potrebbe approvare una riforma su queste linee in tempi brevi“. Profetico, vero?
Comunque, adesso diamo un occhio alla terza proposta di legge partorita dalle fila del PD: il DDL 2630 che porta la firma, tra gli altri, di Cesare Damiano (già Ministro del Lavoro nell’ultimo Governo Prodi) e contiene ”Disposizioni per l’istituzione di un contratto unico di inserimento formativo e per il superamento del dualismo nel mercato del lavoro“.
Per superare il “dualismo nel mercato del lavoro” (ovviamente sempre il solito, tra fantomatici lavoratori iper-protetti e reali precari senza diritti) si propone l’istituzione di un Contratto Unico di Inserimento Formativo (CUIF) non dissimile dal CUI del disegno Nerozzi: in sede di prima assunzione, per un periodo compreso fra 6 mesi e 3 anni e definito, per ciascun settore, dalla contrattazione collettiva nazionale, il datore di lavoro assume il lavoratore a salario ridotto (non meno del 65%, bontà sua), con totale libertà di interrompere il rapporto quando gli pare salvo il preavviso (la “libertà” è reciproca – la sorella di Grazia e Graziella avrebbe qualcosa da dire in proposito). Dopo questo periodo “di abilitazione” può decidere se tenerlo e assumerlo a tempo indeterminato oppure sbarazzarsene definitivamente, sempre a costo zero. In pratica, è una colossale liberalizzazione del periodo di prova, quello durante il quale è possibile il licenziamento senza alcuna causa, con l’aggiunta di ridicoli obblighi formativi.

A compensare questa gigantesca fregatura, se non altro, “si prevede il superamento del contratto di lavoro a tempo determinato“. Non sarebbe male, se non fosse che non è vero. Infatti il contratto a termine rimane vivo e vegeto e vede addirittura estesa la sua previsione rispetto a oggi, dal momento che è possibile stipularlo, oltre che nei casi già consentiti, anche “quando l’assunzione ha luogo per l’esecuzione di un’opera o di un servizio aventi carattere straordinario od occasionale” (chi lo decide?) e soprattutto “nel caso di altre fattispecie non comprese nel presente articolo, attraverso la contrattazione collettiva nazionale o aziendale“. Sì, proprio la contrattazione aziendale che da qualche mese, grazie all’accordo interconfederale del 28 giugno 2011 e all’art. 8 della manovra di agosto, può derogare in peggio la contrattazione nazionale.
Non spariscono neppure i contratti a progetto, ma soltanto istituti meno applicati come lavoro intermittente, lavoro ripartito, contratto di formazione e lavoro, apprendistato professionalizzante. Che per carità, è meglio che un calcio nei denti, ma non di molto.
E questo è quanto. Non fatevi prendere in giro: l’unico modo per superare il dualismo del mercato del lavoro che non sia una fregatura per tutti i lavoratori è estendere l’unica tutela davvero efficace, l’Articolo 18 dello Statuto. Ogni diminuzione delle tutele per qualcuno comporta automaticamente l’abbassamento per tutti.


AVVOCATOLASER








Intanto..le supercazzate di Ichino

Il sospetto lo avevo da tempo, ma grazie a Leonardo Tondelli ora è diventato una certezza: Ichino è un docente di diritto del lavoro che non sa nemmeno cosa sia un rapporto di lavoro o un licenziamento.
E a rivelarlo è stato proprio lui, rispondendo malamente a un post nel quale Leonardo aveva affermato en passant che: “lui non lo licenzia nessuno”.
Scrive Ichino sul suo blog:
“Visto che anche Leonardo – come già tanti miei contestatori di sinistra – utilizza questo argomento basato sulla mia persona e il mio lavoro, per di più sul sito de l’Unità, mi sento legittimato a ricordargli che nel corso della mia vita di lavoro sono stato licenziato anch’io un paio di volte. La prima volta accadde nel 1983, quando, terminata l’ottava legislatura, il Partito comunista non mi volle più tra i suoi deputati per la nona(nulla mi garantisce, del resto, contro la possibilità di un licenziamento analogo al passaggio tra la legislatura in corso e la prossima)”.

Incredibile, Ichino confonde un mandato parlamentare con un rapporto di lavoro subordinato, subordinato al PCI che scegliendo di non ricandidarlo lo avrebbe “licenziato” come un datore di lavoro fa con un dipendente. Assurdo anche perché quello che lui crede il “contratto di lavoro” di parlamentare si esaurisce con lo scadere della legislatura e quindi, nemmeno se si trattasse davvero di un rapporto di lavoro quello sarebbe un licenziamento.
Ancora più assurdo in quanto fu eletto come “indipendente” nelle liste del PCI, circostanza che implicherebbe da parte sua anche un falso nei confronti degli elettori che l’hanno votato e che non sapevano di votare in realtà un “dipendente” di Botteghe Oscure.
Quella di Ichino suona come una bestemmia e non solo perché prova malamente a paragonarsi a un lavoratore precario qualsiasi, ma perché nel farlo non si rende nemmeno conto degli spropositi che scrive. E sorvoliamo sul fatto che Ichino in caso di licenziamento oggi come ieri, non si ritroverebbe disoccupato, ma con almeno altri due lavori più che prestigiosi.
Questa sarebbe la persona alla quale il fronte progressista (?) ha affidato la riforma dei rapporti di lavoro e del relativo welfare nel nostro paese, una persona che non sa cosa sia un mandato parlamentare nonostante sia stato parlamentare e che non sa cosa sia un licenziamento nonostante sia chiamato a scrivere e immaginare la nuova disciplina dei rapporti di lavoro.
Un autorevole rappresentante del partito che all’indomani di un congresso dello stesso sulla riforma del lavoro ha il potere d’intervenire pubblicamente per sostenere e imporre tesi diverse da quelle emerse democraticamente in quella sede di dibattito, senza che nessuno o quasi nel partito abbia a eccepire.

Non stupisce che proponga ricette gradite da Confindustria e che sia stato a lungo arruolato anche dal Corriere della Sera, stupisce invece che possa essere spacciato per un esperto nel suo campo e, ancora peggio, come persona incaricata di immaginare una disciplina capace di tutelare i diritti e le vite dei lavoratori, di quelli che non lavorano per un partito e non sono retribuiti dalla collettività con uno stipendio da parlamentare.
Affermazione gravissima la sua e non solo perché dimostra che l’uomo non capisce nulla di una materia che addirittura insegna all’università da una cattedra prestigiosa, ma anche perché svela come le sue proposte di “riforma” altro non siano che copincolla di leggi prese da altri ordinamenti, capendoci meno di niente.

L’alternativa non sarebbe meno devastante, perché se Ichino fosse cosciente dell’assurdità di quello che ha scritto, bisognerebbe concludere che ha mentito sapendo di mentire e che non ha scrupoli a falsare la realtà quando gli convenga. Considerazione che minerebbe comunque qualsiasi presunta autorevolezza, accademica e no, gli sia attribuita.
Dopo un’uscita del genere dovrebbe, come minimo, abbandonare seduta stante dal ruolo di coordinatore della redazione della “Rivista italiana di diritto del lavoro” a tutela del buon nome dei suoi colleghi e della rivista e allontanarsi immediatamente da qualsiasi attività riguardi la stesura di leggi attinenti al lavoro, oltre a cercare di rimediare il grave imbarazzo che ha procurato alla Statale di Milano e a tutti i suoi studenti, quasi tutti sicuramente in grado di riconoscere il ridicolo in affermazioni del genere.
Sarebbe anche ora che il PD riflettesse sulle qualità della persona alla quale ha affidato ciecamente la sua politica del lavoro e che decidesse di allontanarlo al più presto da ogni incarico, perché dopo aver vergato nero su bianco affermazioni del genere la sua credibilità è ridotta a zero e qualsiasi proposta portasse la sua firma, esporrebbe il partito ad identico ludibrio.

 MAZZETTA