15/01/12

Indignati,Occupy e inni ancora in voga


«Noi siamo il 99 percento della popolazione che subisce il sistema, voi l’1 percento che ne gode gli sproporzionati vantaggi». Lo slogan degli indignati si presenta quanto mai efficace e carico di un populismo che rompe con alcune parole d’ordine classiche della sinistra. Prendiamo la pietra angolare marxista della lotta di classe: divideva la società in proporzioni diverse e nessuno pensava che la vituperata borghesia fosse tanto esigua. Invece gli «indignados» americani pretendono di parlare a nome di tutto il paese,eccezion fatta per il manipolo di potenti che lo rovina. Una maggioranza tanto schiacciante (sulla carta) da far apparire una banda di delinquenti la minoranza che detiene le leve economiche. Ma qual è la provenienza di questa parola d’ordine messianica che divide il bene dal male in maniera tanto schiacciante? In un recente filmato comparso su youtube Angela Davis conciona il pubblico al grido di «Occupy Philly», occupiamo Philadelphia. Angela, militante di lungo corso della sinistra, utilizza la retorica americana «da predicatore» che ha influenzato l’oratoria dei politici di colore di estrazione religiosa (ma non solo), da Martin Luther King a Jesse Jackson, dai rivoluzionari come Malcolm X fino al sogno infranto di Obama. Angela Davis affronta il pubblico con la pratica del salmo responsoriale: all’affermazione dell’officiante fa da immediato contraltare la risposta in coro dei fedeli: è la tecnica del «call and response», tipica del gospel, del blues, del jazz. Il drappello dei credenti si scalda al rauco arringare del predicatore mentre tuona di inferno e dannazione o zufola di paradiso e salvezza: un’esperienza distante da quella della sinistra tradizionale legata al comizio politico o sindacale di piazza. Ecco perché una parola d’ordine così può derivare da un gospel: 99 and a Half Won’t Do(99 e mezzo non bastano, dobbiamo essere 100). Come per il 99 percento degli indignati contro l’1 percento: la lotta del bene (grande) contro il male (piccolo, infimo) è simile in questo celebre inno, ancora oggi cantato nelle congregazioni nere. Il testo si rifà alla parabola del buon pastore citata dai vangeli di Matteo e Luca. Gesù narra che il pastore, accortosi che le sue pecorelle sono novantanove e non cento, si mette in cerca di quell’unica smarrita. Egli tornerà felice dal resto del gregge solo quando l’avrà trovata. Il regno dei cieli appartiene a tutti e il pastore deve cercare di salvare l’anima del singolo peccatore più che gioire delle coscienze già redente. Una canzone dalla lunga storia. L’ultima versione l’hanno cantata il diacono Joseph Carter Jr. e il ministro Leslie Sims Jr. nel disco Sing Me Back Home (2006) inciso dai New Orleans Social Club per raccogliere fondi dopo l’uragano Katrina, ma il brano aveva assunto già negli anni Cinquanta un valore secolare a fianco di quello religioso: non tutti i cittadini godevano della piena libertà e i neri volevano conquistarsi un posto nella società americana, non solo ambire al regno dei cieli. Per gli afroamericani la speranza messianica consisteva nell’arrivare a un’America che non fosse più un inferno ma il paradiso in cui entrare come comunità. Le classiche versioni rese dal gruppo gospel Harmonettes o dalla cantante Rosetta Tharpe giocano sul doppio registro: significato religioso visibile e accezione politica in filigrana. La carica potenzialmente eversiva rimase al brano anche quando negli anni Sessanta Wilson Pickett ne fece una versione r’n’b tostissima, reclamando furioso di voler possedere tutto il cuore della sua bella e di non accontentarsi del novantanove e mezzo. Dalla chiesa alle classifiche, dall’amore sacro a quello profano; ma il messaggio resta: vogliamo tutta la libertà, non quasi tutta. Il fatto che dietro il ruggente Pickett graffiasse anche un riff del giovane Hendrix ne amplifica l’ascendente sul rock. Cover successive di questo brano arrivano dai Credence Crearwater Revival (versione bianca e dura), da Buddy Guy (blues rock), Mavis Staples (soul). Fa anche capolino durante un tour mondiale di Springsteen. Insomma novantanove continuano a non bastare, bisogna fare cento e cancellare (o convertire) quell’uno. Impresa faticosa. Non era l’inventore Edison ad affermare -riecheggiando anch’egli la parabola del buon pastore - che: il genio richiede un 1 percento di inspiration e un 99 di perspiration (sudore)? Un pizzico di genio e tanta buona volontà: vale per il gospel, per il rock e forse anche per gli indignados.

di F.BERGOGLIO (Alias)














Nessun commento:

Posta un commento