06/01/12

Copyright e altro. Cory Doctorow Interview

 Cory Doctorow è figlio di profughi  trotskisti  russi,  nato quarant’anni fa a Toronto e oggi residente a Londra,scrittore di fantascienza, blogger, giornalista, copyfighter e chi  più ne ha più ne metta. Lascia scaricare i suoi ebook gratis, ma apre ogni capitolo con dediche a librerie indipendenti (sul best-sellerLittle Brother,per esempio) e pubblica per un colosso come Harper Collins. Scrive decine di post al mese sul blog Boing Boing ma è anche editorialista di punta del quotidiano britannico “The Guardian”. Adora le playlist sull’iPod, così come i consigli di un amico negoziante di dischi. Tiene ritmi degni del workaholic più compulsivo, ma quando lo incontri, al Conference View a Torino, è disponibile e sorridente.

Napster apparve nel 1999. Dodici anni dopo, l’impressione è di trovarsi ancora intrappolati in quelle che tu definisci “guerre del copyright”. Siamo destinati a vivere in una condizione di perenne
conflitto? O esiste una soluzione?
È vero che Napster ha segnato l’inizio dell’ultima grande battaglia, ma la guerra del copyright è storia vecchia. Nella musica si combatte almeno dal 1908, da quando si diffusero le prime registrazioni sonore.Oggi il panorama è confuso, anche per una strana combinazione tra generazioni diverse: vecchi produttori che vedono scomparire ciò che ritenevano normale, utenti che hanno a disposizione strumenti potentissimi e vengono denunciati perché li usano, musicisti stufi di sentir parlare di soldi che non hanno mai visto. C’è un’altra novità, però: in ballo non c’è più solo la musica. Stiamo parlando del futuro di un network che ormai usiamo per tutto: per rimanere in contatto con la famiglia,per controllare che i nostri politici si comportino onestamente,per alimentare le rivoluzioni nel MedioOriente, magari anche per innamorarci. Oggi la trincea è immensa e le guerre di copyright,specie sul fronte musicale, mettono in pericolo l’intera Internet.
Sei più ottimista o pessimista?
Incredibilmente pessimista, se penso a come potrebbero andare male le cose se non facciamo qualcosa. Altrettanto ottimista,quando mi rendo conto che se combattiamo finiremo per vincere.
Prima hai detto che la guerra del copyright non riguarda solo la musica. Da diretto interessato, pensi che stia pian piano coinvolgendo anche l’industria libraria?
Il cambiamento riguarda tutti, ma con modalità differenti. Il libro è una forma più consolidata della canzone registrata, è vecchio quantol’Egitto. E mentre sono chiarigli aspetti che rendono un MP3 preferibile rispetto a un brano su disco, non esistono ancora ragioni evidenti che ci portino a preferire gli ebook ai libri di carta. Inoltre, nel mondo dei libri girano meno soldi che nella musica. Le case editrici non hanno lo stesso potere delle etichette, non possono permettersi certe cause legali, non hanno influenza sui legislatori. Alla maggioranza della gente,per di più, non frega nulla dei libri. Le guerre di copyright coinvolgono anche il design del punto croce, ma chi si preoccupa del punto croce? Sono diversi i livelli di scontro e le reazioni.
Pensiamo ai videogiochi, in quel settore l’industria è terrorizzata dalla pirateria fin dalla nascita, ma ha dovuto vedersela con un dato di fatto: la classe dirigente non li vede di buon grado.Quando un produttore di videogiochi si rivolge a un politico e gli dice “ aiuto, la pirateria ci uccide ”, il politico risponde “ fantastico, morite! ”. Per questo, negli ultimi vent’anni l’industria ha dovuto inventarsi nuove formule, immuni alla pirateria. Come World Of Warcraft: tu non puoi piratarlo, devi pagare quindici euro al mese per giocarci. E infatti è diventato il videogioco più redditizio della storia.
Il termine “copyright” rimanda al diritto di copiare un contenuto.È possibile regolamentare tale azione su una fotocopiatrice extra-large come Internet?
Il copyright in realtà ha una storia complessa. Nasce come “controllo della copia” perché quello sembrava un ottimo modo per regolare - anche dal punto di vista economico - la catena di distribuzione dell’industria dell’intrattenimento. Ma dovremmo concentrarci su un altro aspetto: il rapporto tra creatori e produttori. Quando ho iniziato a scrivere libri, i colleghi più anziani mi hanno subito avvertito che il momento in cui cedevo il copyright all’editore era quello in cui gli davo la possibilità di fregarmi.
Bisognerebbe recuperare alcuni aspetti del diritto d’autore origi-nario. In America, il copyright copriva inizialmente un periodo di quattordici anni, che solo l’autore poteva rinnovare di altrettanti.
Se tu, giovane scrittore, andavi da un editore e glidicevi“ ho scritto un capolavoro, pubblicamelo! ”,lui ti rispondeva “certo, te lo pubblico, come compenso eccoti un acino d’uva”. Ma se dopo quattordici anni il tuo libro continuava a vendere, era lui che veniva a implorare:“ dai, rinnoviamo il copyright?” .E tu potevi rispondergli: “come no, però in cambio mi dai un rene ”.È nell’equilibrio tra autore ed editore che bisogna intervenire, senza preoccuparsi troppo di quello che il pubblico fa con le opere.


"Più blindiamo il copyright, più lo rafforziamo, più diventa difficile che opere come Paul’s Boutiquedei Beastie Boys vengano alla luce"


Più che tornare ai quattordici anni, sembra che ci stiamo muovendo nella direzione opposta. Di recente, il copyright musicale in Europa è stato portato da 50 a 75 anni.
È il balletto intercontinentale: l’Europa dice che deve raggiungere gli Stati Uniti,gli Stati Uniti diranno che dovranno raggiungere qualcun altro e così via. Bisogna coinvolgere gli artisti. Bisogna che sappiano tutto ciò che c’è in ballo. Prendi due album come Paul’s Boutique dei Beastie Boys e It Takes A Nation Of Millions To Hold Us Back dei Public Enemy. Sono stati registrati durante l’età d’oro dell’hip hop (rispettivamente nel 1989 e nel 1988 ,NdI),quando non c’erano regole e gli artisti inserivanonegli album tutti i sample che desideravano. Oggi non è più così, bisogna chiedere e pagare autorizzazioni su tutto,a fare il prezzo sono le etichette e per registrare quei dischi servirebbero rispettivamente 16 e19 milioni di dollari. Nessun artista o
produttore potrebbe mai permetterseli. Quella musica non esisterebbe. C’è una quantità potenziale di arte che nessun musicista può comporre e che noi non potremo mai ascoltare. Più blindiamo il copyright, più lo rafforziamo, più diventa difficile che opere del genere vengano alla luce. Gli artisti dovrebbero rendersi conto che anche dal punto di vista creativo è nel loro interesse un cambiamento. In Inghilterra,dove il tema è molto dibattuto, Billy Bragg e altri musicisti hanno formato la “Feature Artist Coalition”  proprio con questo obiettivo. Sono d’accordo nel diminuire il copyright, ma vogliono più potere nelle mani degli artisti.
Pensi che gli artisti a volte siano un po’ troppo naif?
Lo è Lily Allen quando si scaglia contro la pirateria e il giorno doposi scopre che sta ancora distribuendo online dei mixtape di canzoni altrui, non autorizzate, che aveva realizzato qualche anno prima.
Molti le hanno dato dell’ipocrita, sbagliando. Le si doveva spiegare che quello che aveva fatto era naturale: chiunque ami lamusica, condivide i suoi brani preferiti. Se non fosse stato per un mixtape, io a ventun anni sarei stato ancora vergine. È parte del nostro modo di comunicare.
A proposito di mixtape, nell’iPod ho una playlist chiamata “Cory Doctorow’s recalling friends”, basata sulla tua prefazione al libro Sound Unbound di DJ Spooky. Seguendo il tuo esempio, quella playlist sfrutta l’ intelligenza artificiale di iTunes per raccogliere brani a cui ho attribuito un voto alto e che non ascolto da almeno tre mesi. Mi permette di non perdere contatto con i miei “amici musicali”, insomma. Molto bello, sentimentale, ma non è un po’ troppo meccanico? Non è che le tecnologie, più che aiutarci a scegliere cosa ascoltare, stanno decidendo cosa farci ascoltare?
Clay Shirky dice che non esiste information overload: oggi abbiamo solo un problema di filtri . Noi abbiamo sempre usato dei filtri: una radio, un negozio di dischi, un dj, il direttore artistico di un’etichetta. Ancor prima, era la geografia: tua scoltavisolo i musicisti che passavano dalle tue parti. Oggi ci serviamo di una nuova generazione di filtri. Alcuni umani, come possiamo essere io e i miei colleghi su Boing Boing . Altri automatizzati, come le smart playlist degli iPod. Non possiamo vivere senza, sono necessari. Onestamente, io preferisco che siano legati al gusto e al desiderio, che non dipendenti da limitazioni fisiche, coincidenze o ancor peggio da un monopolio. Per questo vivo molto meglio oggi. In Inghilterra si dice che“ le leggi sono come salsicce: è meglio che tu non sappia come vengono fatte ” (Wikipedia attribuisce la citazione, con il beneficio del dubbio, a Otto Von Bismarck, NdI). Significa che le leggi sono belle quando le trovi su un libro di diritto, un po’ meno quando scopri come sono nate. Per i filtri è lo stesso. Quelli del passato forse ci sembrano naturali, semplici, puliti, mentre dietro c’era parecchia sporcizia. Io preferisco la trasparenza, preferisco avere tuttosotto controllo, preferisco una Wikipedia dove di ogni articolo ti viene mostrato anche il retrobottega, con le discussioni , i tagli, i cambiamenti, che un quo ti diano dove si leggono solo gli articoli definitivi. Scrivo per dei quotidiani, so benissimo che molto spesso vengono pubblicati testi che gli stessi redattori considerano pieni di sciocchezze. Ti è mai capitato di trovare, vicino a un articolo sul “New York Times”, un box in cui un redattore esprime le sue perplessità sul contenuto? Per qualcuno,l’assenza di retroscena è un indicatore di qualità. Per me è opacità. Preferisco sapere cosa c’è nelle salsicce, piuttosto che far finta che siano sempre pure.
Quali filtri usi quando devi decidere cosa leggere o ascoltare?
Per i libri, sono la persona sbagliata a cui chiederlo.Sono un recensore, adotto criteri diversi da quelli di qualsiasi lettore normale. Ricevo un centinaio di libri a settimana in una casella postale.
Quando vado a ritirarli, non posso portarmeli tutti dietro. Allora faccio una prima cernita in base alla copertina: quelli che non mi sembrano troppo stupidi, vengono con me. In ufficio scatta la seconda selezione: due pagine a testa. I libri interessanti vanno a formare una nuova pila,gli altri finiscono in beneficenza.Quindi inizio a leggere e mi fermo solo se trovo una ragione che mi impedirebbe di consigliare un libro. Ho deciso di parlare solo di ciò di cui voglio consigliare la lettura. Poi ci sono criteri extra. Per esempio, viaggio parecchio e leggo anche velocemente: fino a cinque libri per viaggio.
Ma in aereo porto solo dei paperback, per questo spesso impiego molto più tempo per i volumi a copertina rigida. Non credo che questi criteri possano essere molto utili ai tuoi lettori! E lo stesso vale per la musica, sono di nuovo la persona sbagliata. Perché ho quarant’anni e i quarantenni non vanno a caccia di dischi nuovi come i ventenni. I miei gusti ormai sono definiti. Certo, ogni tanto scopro qualche nuovo artista, qualche sonorità che mi intriga, ma la stragrandemaggioranza dei miei ascolti riguarda quelle canzoni -più di mille ore di musica - che già conosco e di cui non mi stanco mai.
Anch’io, però, ho dei consiglieri di riferimento: un amico che lavora in un negozio di dischi di Toronto e un ex-dipendente di Universale Sonycheoggista a Last.fm.
Su Internet sei conosciuto soprattutto per Boing Boing (www.boingboing.net). Il blog è collettivo, ci scrivete regolarmente in sei. Come vi organizzate?
Semplice, non ci organizziamo. E non abbiamo nemmeno aree di competenza riservate, anche se ognuno segue soprattutto i suoi interessi, quindi è facile che gli articoli su copyright o fantascienza siano miei. Viviamo in città,anzi continenti diversi: io a Londra ,Xeni Jardin a Los Angeles, Mark Frauenfelder e David Pescovitz a San Francisco, Maggie Koerth-Baker a Minneapolis, Rob Beschizza a Pittsburgh. Una volta su un milione capita ch euno di noi avverta gli altri via email che sta lavorando su una storia, “prenotandola”, ma è più facile che arriviamo in due o tre contemporaneamente sulla stessa notizia. Due giorni fa io e Xeni abbiamo pubblicato una storia identica, ma lei è arrivata dieci secondi prima, allora ho cancellato la mia versione.
Il successo planetario del blog ti ha sorpreso?
Mi ha reso felice. Soprattutto perché su Boing Boing scrivo solo di cose che mi interessano  e nel modo che preferisco. A differenza che nei giornali, dove cerchi sempre di immaginare chi possano essere i tuoi lettori e di andare incontro ai loro gusti,sul blog ti limiti a sperare che siano i lettori a scoprirti e a venire da te.
Da editorialista per il “Guardian”, come vedi il rapporto tra vecchi e nuovi modelli di informazione?
La differenza più grande mi sembra a livello di costi. Prima mi chiedevi come gestiamo la coordinazione su Boing Boing. Figurati che sono passati sei anni dal giorno in cui ha aperto il blog alla prima volta in cui ci siamo incontrati, tutti i collaboratori, nella stessa stanza. Anche adesso,ci vediamo sì e no una volta all’anno.
Lo staff è ridotto: oltre a noi che scriviamo,ci sono un redattore a tempo pieno, due tecnici part-time, tre
moderatori per i commenti, di cui solo uno full-time. Facendo le debite proporzioni, per ogni soldo che spendiamo, di sicuro ne entrano più che al “Guardian”. Credo che in generale avranno un futuro su Internet solo i business che saranno in grado di ridurre al massimo i costi di gestione.
Avete mai pensato di passare a pagamento?
Sì, ma non siamo mai riusciti a trovare una ragione per cui la gente dovrebbe pagare per le cose che scriviamo. O il vantaggio che potremmo riceverne. Alcontrario, ci conviene lasciare aperti i contenuti: più gente legge,meglio è. Sia a livello diretto, per la pubblicità, che indiretto: da chi ti scopre e compra i tuoi libri alla possibilità di mantenere i contatticon persone interessanti e una traccia pubblica di tutto ciò che scrivi. Non è ideologia, non pensiamo che tutto debba essere gratis. Semplicemente,non vediamo alcun beneficio nel trasformare Boing Boing in un club privato.
I guadagni del blog arrivano dalla pubblicità?
Sì,laquasitotalitàarrivadallapubblicità.L’aperturaagliads èdiventata necessaria intorno al 2003, quando abbiamo varcato una soglia di contatti tale che ha fatto balzare i costi della banda di connessione da cinquanta a mille dollari al mese. Non potevamo permetterceli. Ci siamo rivolti a John Battelle, che lavorava a “Wired”, e gli abbiamo chiesto aiuto per vendere spazi pubblicitari. In pochi giorni abbiamo scoperto l’incredibile: riuscivamo a vendere molta più pubblicità di quella necessaria per coprire i costi. Improvvisamente, Boing Boing è diventata una buona fonte di reddito.
Tu fervente copyfighter, iperattivo giornalista-blogger, ma anche prolifico scrittore di fantascienza. Un paio d’anni fa, in un’intervista, Bruce Sterling (amico di lunga data di Doctorow e padrino di sua figlia, NdI) mi ha confessato di non aver idea su come facessi a organizzarti tra tutte queste attività. Dove trovi il tempo e la concentrazione?
La risposta è già nella domanda. Se hai una buona concentrazione,il tempo non è un problema. Io ho la fortuna di scrivere molto rapidamente, quindi è davvero solo questione di concentrazione.Subito prima di questa intervista ho lavorato un po’ al sequel di Little Brother . Tra poco, tornerò a scrivere. Sto cercando di mantenere un ritmo regolare: 2000 parole al giorno. Oggi ne ho già scritte circa 1500,quindi mi basta tirarne giù altre 500 prima di andare a dormire ( avendo fatto l’intervista alle due di pomeriggio, non dovrebbe aver avuto troppi problemi,NdI). Per trovare la concentrazione, uso anche qualche trucco. Per esempio, quando smetto di scrivere lascio una frase a metà. Così, quando riprendo non devo essere subito pazzescamente creativo: ho un aggancio e le prime parole vengono da sole. Rispetto al passato, la novità è che adesso riesco a farlo ogni giorno. Una volta, di fronte all’idea di “scrivere un’ora al giorno”, pensavo fosse qualcosa di triste, un po’come l’obbligo di fare aerobica trenta minuti ogni mattina. In realtà, la regolarità quotidiana cambia radicalmente il tuo rapporto con la scrittura. Rende tutto molto più automatico.
Niente solitudine e fughe nella capanna sul lago, insomma?
Conosco diversi colleghi che hanno bisogno di qualcosa del genere e molti di loro producono del materiale fantastico: ma non ne conosco uno che sia contento di questa necessità. Anche perché vuol dire perdere il controllo su uno strumento essenziale, psicologicamente ed economicamente, per la tua vita: non sei più tu a decidere, ma è l’ambiente. E la distrazione diventa uno spauracchio: potrebbe essere una canzone che passa alla radio nel momento sbagliato, il desiderio di fumare una sigaretta o anche un boscaiolo fuori della tua capanna che accende una sega elettrica. Tutto diventa un alibi per non scrivere: ti alleni quasi a ridurre le tue capacità di scrittura. Mio padre è nato in un campo profughi in Azerbaijan. Quando arrivò in Canada e fu ammesso all’università, mia nonna impose un rigidissimo regime domestico: ogni volta che mio padre studiava,non doveva volare una mosca. Il risultato è che oggi mio padre non riesce più a lavorare se non c’è il silenzio assoluto. Si blocca. Per me è fondamentale riuscire a scrivere anche in mezzo al caos. 


Interview: MUCCHIO SELVAGGIO

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