24/05/13

Bob Dylan e Joe "Crazy" Gallo

Nel 1976 Bob Dylan pubblica Desire. All'interno una canzone dedicata a Joe "Crazy" Gallo, boss italo-americano, santo e demonio, e un nuovo Billy the Kid.

Senza quella parete sforacchiata dai proiettili, “Umberto il vongolaro” sarebbe rimasto un ristorante come tanti, senza infamia e senza lode, della Little Italy di Brooklyn, la storia del rock avrebbe una canzone in meno e il mondo continuerebbe a scorrere grosso modo nella stessa direzione. Forse solo nelle vicende della malavita italiana d’oltreoceano le cose non sarebbero state più le stesse, ma l’argomento avrebbe rivestito una relativa importanza solo per gli appassionati del genere. Se non fosse che il protagonista di questa storia era un uomo intelligente e dal portamento sempre elegante che amava Camus e Nietzsche, e un discreto pittore. Ma anche un uomo spietato, impegnato in una guerra senza quartiere con gente che tradiva dal cognome la stessa provenienza d’origine e che insanguinò a più riprese le strade di New York. Un boss che faceva tremare le vene ai polsi al solo pronunciare il suo nome e che per la sua spietatezza si meritò l’appellativo di <<crazy>>, <pazzo>>, e contemporaneamente una specie di mafioso <<buono>>, un uomo innamorato della letteratura, dell'arte e della filosofia, il primo ad aprire ai neri le porte del suo clan, in un organizzazione da sempre rigorosamente strutturata su base etnica, tanto da finire nel mirino dei suoi connazionali proprio per questo motivo. E il Joey immortalato da Bob Dylan nell’omonima canzone del 1976.

Ma chi era questa specie di Dottor Jekyll e Mister Hyde dell’migrazione italiana nel nuovo mondo? Si chiamava Joe, Giuseppe, aveva due fratelli, Larry e Alberto, ed era nato nel Bronx, quello vero di New York e non un qualche surrogato napoletano o palermitano, nel 1929. Americano a tutti gli effetti, dunque, ma non per le regole della <<famiglia>>. Bastava il cognome, Gallo, e il padre napoletano e, nonostante la madre irlandese, tanto bastava per essere affiliato alla malavita organizzata per diritto di sangue, lui e i suoi fratelli. Non sarebbe stato nessuno, <<Joey il biondo>>, come era chiamato in gioventù per via della folta chioma bionda corredata di occhi azzurri che cosi poco rientrava nello stereotipo italiano, se mentre lui veniva al mondo non si fosse combattuta una guerra crudele e sanguinosa per stabilire chi dovesse gestire le attività illecite negli States. Una piccola guerra civile, tra italiani, che sarà ricordata come la <<guerra dei castellammaresi>>. Ne uscirà vincitrice infatti la <<vecchia mafia>> degli emigrati di Castellammare del Golfo, quella degli uomini d’onore con i baffoni, che al di qua dell’Oceano vantavano boss come don Vito Cascio Ferro e al di la un certo Joseph Profaci e poi Joe Magliocco e ]oe Colombo. A perdere invece saranno i <<nuovi>>, siciliani, calabresi e soprattutto napoletani. Ne discenderà un ferreo controllo delle città americane, con un boss unico per città e l’unica eccezione della “Grande mela” newyorchese, che sarà spartita in cinque settori. A dividersi la torta la gang di Salvatore Lucania, meglio conosciuto come Lucky Luciano, e le famiglie Profaci, Gagliano, Bonanno e Mangano. Joe Gallo crebbe sotto l'ala protettiva del boss Profaci, un uomo che si era arricchito talmente con l’importazione di olio d'oliva e arance ripiene d’eroina dalla Sicilia da riuscire a costruirsi un vero e proprio aeroporto personale nel giardino di casa.

di Angelo Mastrandrea
Probabilmente ebbe un ruolo nell'omicidio del capo di una banda di spietati killer al servizio della <<commissione>> che comandava New York, ironicamente definita <<Murder-incorporated>>, e che in dieci anni di attività commise tra 400 e 700 uccisioni. Albert Anastasia, che in realtà si chiamava Umberto Anastasio ed era emigrato da Tropea, in Calabria, aveva fatto carriera con i Brownsville Boys, una banda di killer prezzolati che prendeva il nome dal quartiere di Brooklyn in cui operavano, ed era riuscito pian piano ad assurgere al grado di boss nella famiglia Costello e a inserirsi nel business della gestione dei casinò nella Cuba di Fulgencio Batista. Ma aveva commesso un grave errore agli occhi della cupola, quello di far uccidere un ragazzo che in tv aveva detto di essere testimone di una rapina. La sua efferatezza non piacque agli altri padrini, in particolare a Vito Genovese, che ne decretò la condanna a morte. Accadde la mattina del 25 ottobre 1957, quasi quarant'anni dopo essere andato via dal suo paese natale in Calabria. E le modalità dell’uccisione furono cosi spettacolari da ispirare la scena del Padrino in cui due killer entrano in un negozio di barbiere e freddano il boss mentre e intento a farsi radere la barba. I Gallo dopo di allora riuscirono a ritagliarsi una fetta di rispetto negli ambienti della malavita italiana. Finché non entrarono in conflitto con il vecchio boss Profaci. La faida all’interno di una delle cinque famiglie che anni prima si erano spartite New York scoppiò dopo l’assassinio di un fedelissimo dei Gallo, nonché cassiere del clan, Frank Abbatemarco, che non aveva consegnato al boss Profaci 50 mila dollari frutto delle estorsioni. Quando la <<famiglia>> decise di abbattere anche il figlio Anthony, i Gallo, che pure erano stati complici nell'uccisione di Frank, si rifiutarono. La guerra fu ineluttabile, sanguinosa e senza esclusione di colpi, e non si risolse nemmeno con la morte per cause naturali del patriarca Joe Profaci, nel 1962. Un anno prima gli uomini del vecchio boss avevano cercato di uccidere Joe Gallo senza riuscirci, poi ci avevano riprovato con il fratello Larry, anche questa volta senza esito. Ma erano riusciti a infiltrare un uomo tra gli scissionisti e a rapire uno degli uomini più fidati dei Gallo, Joseph Gioelli, che fu ritrovato fatto a pezzi in una barca mentre i suoi abiti furono recapitati a un negozio di automobili frequentato dai Gallo insieme ad alcuni pesci morti. Un chiaro avvertimento mafioso. A loro Volta i Gallo sequestrarono alcuni uomini dei Profaci, compreso il suo vice Joe Magliocco, rilasciandoli solo in cambio di concessioni economiche sui proventi delle attività malavitose. Ma nello stesso anno, il 1961, Joe Gallo fu arrestato con l’accusa di estorsione. Rimarrà in carcere per dieci anni.

PERCHÉ’ SI
La prigione cambierà la sua vita. E li che Gallo entrerà in contatto con alcuni membri di una gang afroamericana di Harlem, che arruolerà nel suo clan. Alla sua uscita la guerra non era ancora terminata e il nuovo nemico si chiamava Joe Colombo, che aveva preso il posto di Profaci e di Magliocco, esautorato dopo la scoperta di un complotto per uccidere due membri della <commissione>, Carlo Gambino e Gaetano Lucchese, e in seguito morto anch'egli per cause naturali. Proprio Colombo finì crivellato di colpi il 28 giugno 1971, poco dopo l’uscita dal carcere di Gallo. Sul selciato rimase anche uno dei suoi killer, Jerome Johnson, un afroamericano che si ritenne subito affiliato ai Gallo. Ovvio che la responsabilità della morte fosse fatta ricadere sul boss appena scarcerato. Il ritratto che viene fuori mettendo in fila questi avvenimenti è quello di un uomo particolarmente spietato, un boss impegnato in una pluridecennale guerra civile per il controllo dell’economia illegale in un quartiere di New York. Ma quali sono allora le ragioni per cui ci fu chi si innamorò di lui? Lasciamo che a raccontarlo sia Bob Dylan, che pochi anni dopo gli dedicherà una canzone appassionata in cui Joey è descritto come un eroe: <<Stavo lasciando la città quando Jacques Levy mi disse che era stato invitato alla cena alla quale se ne avessi avuta voglia avrei potuto partecipare anch’io; siccome avevo fame, accettai. Andai con lui e ci recammo da Marty e Jerry Orbach; non appena varcata la soglia, sentii che Marty stava parlando di Joey erano molto uniti. Mi limitai ad ascoltare, per alcune ore, e loro continuarono a parlare di questo tipo, Joey, e io mi ricordai di lui. In quel periodo non ero coinvolto in nessuna delle cose nelle quali era stato coinvolto lui, ma aveva destato una certa impressione in me. Non l'avevo mai considerato come un gangster, ma piuttosto come un eroe, in un certo qual modo e di un certo qual tipo; un derelitto che combatteva contro forze superiori. Egli conservò in parte la propria libertà e usci di scena nel modo in cui doveva. Dal modo però in cui ella raccontava i fatti, mi sembrava di stare ad ascoltare la storia di Billy the Kid, e cosi, quella stessa sera, composi una canzone su di lui, Joey>>.

Come uscirà di scena <<Crazy>> Joe Gallo lo vedremo poi, quello che ora interessa e vedere l’altro aspetto del boss, quello che non emerge dalle cronache ufficiali. Nella costruzione di quello che Dylan rappresenta come un uomo che rifiuta di uccidere degli innocenti, mette pace fra i neri e come atto Supremo tenta di salvare la sua famiglia, c’è lo zampino di Jacques Levy. “Si tratta di un autore di testi teatrali che il menestrello di Duluth aveva conosciuto nel 1975 all' Other End, un locale del Greenwich Village di New York. E con lui che scrive i testi dell’album Desire, che contiene oltre a Joey anche Hurricane, difesa del pugile Rubin Carter incarcerato con l‘accusa di omicidio e in seguito riabilitato, e sarà un gran successo. La canzone è lunga più del doppio della media di un brano rock, ben undici minuti, e il testo racconta la figura di Gallo in maniera assolutamente diversa dalle cronache giornalistiche: “Nato a Red Hook, Brooklyn, nell’anno di chissà quando aprì gli occhi al suono di una fisarmonica. Sempre al di fuori da qualsiasi parte fosse, quando gli chiesero perché doveva essere a quel modo ’Bene’, rispondeva, ‘Perché sì’. Larry era il più grande, Joey il penultimo, chiamarono Joe il pazzo, il piccolo lo chiamarono Bomba Kid, qualcuno diceva che vivessero di gioco e di corse, sembrava che fossero sempre presi in mezzo tra delinquenti e uomini in blu. Quando quasi strangolarono Larry, Joey quasi esplose di rabbia. Quella notte usci in cerca' di vendetta pensando di essere a prova di pallottola. La guerra esplose sul far del giorno, svuotò le strade, Joey e i suoi fratelli subirono sconfitte terribili, finché si avventurarono dietro le linee nemiche e fecero cinque prigionieri. Li misero in una cantina, chiamandoli dilettanti. Gli ostaggi tremarono quando sentirono un uomo esclamare: ’Spediamo questo posto all'altro mondo e diamo la colpa alla Con Edison’. Ma Joey si alzò, sollevò una mano e disse: 'Non siamo quel tipo di uomini, abbiamo bisogno di pace e quiete per tornare al lavoro'. Il Dipartimento di polizia lo cercava, lo chiamavano Mr.Smith. Lo accusarono di cospirazione, ma non furono mai sicuri con chi. ’Che ora fai?’ chiese il giudice a Joey quando si incontrarono. 'Le dieci meno cinque', disse Joey. Il giudice disse: ’Esattamente quelli che tu avrai’. Si fece dieci anni a Attica, leggendo Nietzsche e Wilhelm Reich. Lo gettarono nel buco una volta per aver tentato di fermare uno sciopero. I suoi amici più stretti erano negri perché sembravano capire com’è vivere in società con le manette ai polsi. Quando lo rilasciarono nel '71 aveva perso qualche chilo ma vestiva alla Jimmy Cagney e vi giuro che era grande. Provò a ricominciare la vecchia vita. Disse al boss: 'Sono tornato e ora voglio quello che mi spetta’. E’ vero che nei suoi ultimi anni non voleva portare la pistola. 'Sono circondato da troppi ragazzi’, diceva ’non dovrebbero mai conoscerne una’. Tuttavia andò dritto nel club del suo più antico nemico giurato. Svuotò la cassa e disse: ‘Dite che é stato Crazy Joe’.
Le polemiche si sprecarono, per l’opinione pubblica Joe Gallo era un mafioso sanguinario, ma forse più che santificare un personaggio sicuramente affascinante ma non meno discutibile quello che Dylan e Levy volevano fare era raccontare il lato oscuro dell’ “american way of life”.

Tavoli e pallottole
Erano passati appena tre anni dal quarantatreesimo compleanno di Joey. Il boss aveva deciso di festeggiarlo con tutta la famiglia in un locale italiano al 129 di Mulbeny Street, la stessa strada di Little Italy in cui dal 1926 ogni mese di settembre si porta in processione San Gennaro. Era il 7 aprile del 1972. Il regalo di compleanno furono tre uomini armati che fecero irruzione nel locale e presero a sparare all'impazzata  Joe Gallo si allontanò subito dal suo tavolo per evitare che fosse colpita la sua famiglia. Andò a morire in strada, colpito da cinque pallottole. I killer si allontanarono a bordo di un'auto. Cosi racconterà la scena Dylan:

<<Un giorno lo beccarono in un locale di New York. Li vide arrivare attraverso la porta mentre alzava la forchetta. Buttò all'aria il tavolo per proteggere la sua famiglia, poi uscì barcollante nelle strade di Little Italy. La sorella Jacqueline e Carmela e la madre Mary scoppiarono a piangere. Ho sentito il suo migliore amico Frankie dire 'Non è morto, sta solo dormendo. Poi vidi la limousine del vecchio rivolta verso la tomba. Credo che avesse dato l‘ultimo saluto al figlio che non aveva potuto salvare. Il sole divenne gelato su President Street e la città di Brooklyn prese il lutto. Dissero una messa nella vecchia chiesa vicino alla sua casa natale. E un giorno se Dio sta a guardia del suo recinto nel cielo so che gli uomini che lo uccisero avranno quello che si meritano>>.

I killer non saranno mai individuati. Un informatore della polizia, Joe Luparelli, racconterà che il commando era composto da Carmine Di Biase, un italiano che aveva preso il nome americano di Sonny Pinto, e da due fratelli di cui non conosceva il cognome, Cisco e Benny. Nell’omicidio avrebbe avuto un ruolo secondario anche un altro gangster, Phillip Gambino. Ma nessuno di loro sarà accusato ufficialmente dell’omicidio. Nel 1999 spuntò invece la confessione a sorpresa di un irlandese, Frank Sheeran, che insieme alle sue responsabilità nella morte del sindacalista Jimmy Hoffa dichiarò a FoxTv di aver preso parte anche all’uccisione di Gallo. Se pure fossero stati loro gli autori materiali, rimarrebbero ancora valide le domande di Dylan: <<Joey Joey, ragazzino di creta, Joey Joey, perché hanno voluto spegnerti la vita?>>

Angelo Mastrandrea


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