14/05/13

Il Fascino dell'obbedienza e la Servitù volontaria

II recente libro di Fabio Ciaramelli e di Ugo Maria Olivieri, <<ll fascino dell’obbedienza>>, è una lettura appassionata e di spessore del saggio di Etienne La Boétie <<La Servitù volontaria>>. ll saggio, scritto nel 500, é un classico sulla natura della tirannia e del totalitarismo. La repressione feroce dei protestanti francesi da parte dei Ioro re portò il giovanissimo La Boétie, che ne fu colpito, a un intuizione geniale: la tirannia non origina dall’imposizione del potere del più forte sul più debole ma dall’asservimento volontario dei molti aIl’Uno. Ciaramelli e Olivieri evidenziano il pericolo che rappresenta per la democrazia l’appiattimento delle differenze su modelli di comportamento omologanti e colgono la stessa inerzia del vivere nella passività degli asserviti e nella depressione. Dal libro emergono due questloni forti che rappresentano una sflda per la psicoanalisi: la sottomissione aIl’Uno é il prodotto dl una <viltà morale> dei soggetti asserviti, depressi; il superamento della sottomissione richiede una decisione, un'affermazlone senza tentennamenti del desiderio di libertà. Vista da una prospettiva psicoanalitica, l'asservimento del soggetto all’Uno è prodotto da una profonda auto-depresslone, negazione del desiderio (risposta all’estrema precarietà della relazlone con l'altro) e dall'uso dell’eccitazione (sostituto del lutto) per fronteggiare la deriva melanconica a cui conduce il rigetto dell’oggetto desiderato. Si può ben attribulre una viltà morale a coloro che pervertono la loro soggettività perché lucrano sulla loro malattia trasformando la loro domanda di cura in volontà di dominio e di sfruttamento delI’altro.

Lo psicoanalista sà, nondimeno, che i soggetti volontariamente asserviti (da dominati o dominatori) al fantasma del potere (che li aliena tutti) non hanno consapevolezza della loro reale condizione, esattamente come i suol pazienti depressi. La lore posizione, a frutto di combinazioni casuali che rivelano solo successivamente il loro infausto significato, non dipende da una loro intenzione iniziale consapevole. Come Edipo sono vittime - attori di una paradossale intenzionalità del caso che non sembra offrire una via d’uscita.


Per uscirne la psicoanalisi é approdata a una verità <<tragica >>: la malattia non é la depressione in sé ma l’assenza di responsabilità noi confronti della perdita che la determina. Non ha importanza se l'errore preterintenzionale di partenza sia nostro o di altri. Se non vogliamo asservirci al commercio di morte che sottende il totalitarismo, dobbiamo assumere la responsabilità dell’errore che ci spinge nella perversione. Ci riusciamo se ci facciamo carico del nostro dolore, luogo dove il desiderio per l’aItro resiste irriducibile.

Sarantis Thanopulos

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