19/05/14

G.G. Allin: Ritratto del nemico

La <<gente baccello>> aspira ad un destino ben curato, soffice, sereno, controllato, capace di filtrare ogni informazione che minacci la loro gestalt prefabbricata. La loro fuga dalla realtà è temperata da un numero sufficiente, ma sotto controllo, di preoccupazioni e decisioni minori, che servono a contrastare la noia e a illudersi nel miraggio del dominio di sé. Questi narcolettici trovano il sublime in un vasetto di maionese. Come conseguenza dell’atrofizzazione dell’istinto di sopravvivenza, la <<gente baccello>> può solo allevare mostri. La genia dei non privilegiati, assieme ad un’intera eterna classe di rifiuti umani, sa solo che è condannata. E’ attratta da aghi e pentagrammi, da benzina, da chitarre che stridono come fruste, da Thanatos programmato con il MIDI, con un’ampiezza sufficiente ad occupare quello spazio vuoto dove una volta risiedeva la coscienza. Questi Dionisiaci si obliterano rimuovendo filtri, in ultima analisi cercando nella sensazione la perdita del proprio senso. Questo tipo di comportamento da origine alla superstiziosa convinzione secondo cui l’acquisizione della trascendenza sta in esatto rapporto con il processo di distinzione della ragione.

G.G. Allin si incide con un coltello rozzi tatuaggi nella pelle. Si autodefinisce <<il più malato e decadente rocker della storia>>, un vanto che intende onorare suicidandosi sul palco (e portandosi all’inferno un po’ dei suoi fans tanto per gradire), non appena uscirà dalla prigione in cui e stato rinchiuso con l’accusa di aver dato fuoco e fatto a fette una groupie. Allin afferma che la sentenza a 18 mesi che gli è stata inflitta non è altro che un riflesso del disgusto che la <<gente baccello>> prova verso il suo stile di vita dionisiaco, e che la groupie tagliuzzata <<sapeva quello a cui stava andando incontro>>. Al processo la' groupie disse: <<Mr Allin tagliò la mia pelle in maniera rozza e brutale. Mentre mi tagliava il seno mi disse che era come dipingere un quadro. Ero completamente rassegnata al fatto che il mio destino poteva tranquillamente essere la morte>>.

Le primitive urla gutturali di testi viziosi neganti la vita sono la colonna ritmica del teatro impulsivo che sgorga dalle budella avvelenate di G.G. Allin. G.G. caca sul palco, lecca la sua merda, e risputa il tutto sul pubblico, restituendo ai giornalisti rock un po’ del loro veleno. G.G. si masturba sul palco intimando alle ragazze del pubblico <<venite su e succhiatemi il cazzo!>>. Ubriaco fradicio, G.G. usa il microfono sul suo volto come un’arma facendosi saltare gli incisivi. G.G. costringe una ragazza che ha il coraggio di ficcargli un dito nel culo a cacarsi addosso.
G.G. Allin non è tanto una star del rock’n’roll quanto un vanaglorioso praticante del gioco tutto americano dell’eccesso. C’è una certa lucidità nella romantica convinzione di Allin che il rock possieda una forza redentiva, soprattutto quando molti altri non vi vedono che una carriera, un modo per comprarsi un posto nella fantasia della <<gente baccello>>.

<<Il palco è un campo di battaglia>>, dice G.G., <<e se anche attraversassi le loro linee starei ancora giocando in casa. Semplicemente planerei sul fottuto pubblico. Non sono li per compiacere i succhiacazzi. Non me ne frega un cazzo. ll pubblico è il nemico. Non vogliono sapere, vogliono solo vedere>>
G.G., anche a rischio di uccidere, fa subire al pubblico l’esperienza reale di quell’oscurità che il pubblico finge di riverire. In prigione G.G. riversa un continuo flusso di poesia e prosa, tutto suona come note omicide scritte da uno studente d’inglese straniero con la scabbia. Ma è l’intensità che conta più che il senso. Molti spettacoli tentano di iniettare un’apparenza di vitalità in quello che essenzialmente non è altro che un progetto ben pianificato in precedenza. C’è solo un’imitazione dell’imprevedibilità. G.G. tenta di rendere tutto nuovo ogni volta. Questo è il suo metodo:  
<<Comincio a pensare alla mia vita, mi gira la testa e la merda semplicemente esce, non c’è nulla di progettato>>.
Effettivamente ci sono solo alcuni modi attraverso cui una feccia di rocker come G.G. può raggiungere il massimo, e, nella sua particolare scala di valori, la morte é il naturale apogeo:  
<<Non voglio essere l’ennesimo tossico che muore con l’ago nel braccio. Io voglio provare l’eccitazione del proiettile che mi fa saltare via la testa. Non mi voglio perdere l’effetto che fa. Perché non morire e sentire Cosa si prova? Perché non provare il dolore e il pericolo?>>
Nel post scriptum di una recente lettera, G.G. scrive <<Aspetto solo di essere fuori sulla parola, la mia vendetta, è un’autostrada di sangue. Non sarà bello da vedere>>.

Kevin Michael Allin (Lancaster, 29 agosto 1956 – New York, 28 giugno 1993, overdose di eroina e alcool )
Culture dell'Apocalisse


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