05/02/13

Majakovskij e il suo sosia

Giro di conferenze a New York:
"È vero che avete scritto per il governo dei versi sui montoni?"

"È meglio scrivere su dei montoni per un governo intelligente che per dei montoni su di un governo idiota"


Questo post è dedicato ai diciannove operai Fiat di Pomigliano, che pur essendo stati reintegrati da un giudice di questa Repubblica secondo le leggi vigenti, sono stati allontanati dal posto di lavoro perchè "impossibile ricollocarli". In pratica 'indesiderati'. Discriminati, isolati e pagati per non lavorare. Dopo i vaneggiamenti di Marchionne su Fabbrica Italia, ancora uno schiaffo a diritti e dignità. Inoltre, a quella famiglia (una coppia con figlio, accompagnati  da un volontario dell'associazione ATD, Agir tous pour la dignité. ) , che qualche giorno fa è stata 'caccciata' dal Musée D'Orsay  di Parigi, uno dei più  importanti musei d'arte moderna, perchè, secondo le  lamentele di alcuni visitatori, "puzzerebbe".
Attenzione: il futuro..non è scritto.
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<A tutti. Del fatto che muoio non incolpate nessuno. E, per favore, non fate pettegolezzi. Il defunto li detestava. Mamma, sorelle, compagni, perdonatemii. Questo non è un modo e non lo consiglio a nessuno: ma io non ho scelta. Lilja, amami. Compagno governo, la mia famiglia sono Lilja Brik, la mamma, le mie sorelle, e Veronika Vitoldovna Polonskaja. Se creerai per loro un esistenza possibile, grazie. Le poesie incompiute, datele ai Brik che sapranno metterci le mani. Come suol dirsi, l’incidente è chiuso. La barca dell’amore si è spezzata contro la vita quotidiana. Tra la vita e me, i conti tornano, ed è vano elencare i guai, i dolori e le offese reciproche. Buonee cose, Vladimir Majakovskij. I2 aprile 1930. Compagni della RAPP, non mi considerate un pusillanime. Sul serio non c’è niente da fare. Saluti. Dite a Ermilov che è stato un errore togliere lo slogan, ma si sarebbe dovuto bisticciare a fondo.V.M. Nel mio cassetto ci sono 2.000 rubli. Pagate le impotre. Il resto lo riceverete dal GIZ.
V.M.>

Volodia fu vegliato Fino a mezzanotte da Osip, da Kolia, Aseev, da Pasternak e da altri amici intimi. E a proposito di Pasternak vale la pena riferire quello che scrisse nel Salvacondotto circa quella veglia: << Non c’era rumore. Quasi non si piangeva più. D’improvviso fuori, sotto la finestra, immaginai di vedere la sua vita, che apparteneva ormai tutta al passato. Si avviò di lato dalla finestra come una strada silenziosa, orlata di alberi... E ii primo a schierarsi in essa, accanto al muro, fu ii nostro Stato, il nostro incredibile Stato che non ha precedenti, e che irrompe nei secoli ed è per sempre da essi accolto. Stava li, in basso: lo si poteva chiamare e prendere per mano. La somiglianza fra i due era cosi sorprendente che sembravano gemelli. E mi venne da pensare per inciso che quell’uomo era il cittadino più raro di quello Stato. La novità del tempo gii scorreva climaticamente nel sangue. Tutto in lui era singolare delle singolarità dell’epoca, per metà non ancora realizzate. Cominciai a rievocare alcuni tratti del suo carattere, la sua indipendenza, che per molti aspetti era assolutamente originale. Tutto questo si spiegava con ia sua familiarità con certi stati d’animo che, pur impliciti nel nostro tempo, non sono ancora forza quotidiana. Sin dall’infanzia egli fu guastato dal futuro che dominò abbastanza presto e, in apparenza, senza grande difficoltà >>.

Pasternak aveva intuito molte cose di Majakovskij. Aveva intuito, per esempio, quel che aveva dovuto patire prima del suicidio: << Chi giunge alla determinazione dei suicidio mette sopra se stesso una croce, volge le spalle li passato, dichiara fallimento, annulla i ricordi. I ricordi non possono più raggiungerlo, salvario, soccorrerlo. La continuità dell’esistenza interiore è spezzata, la personalità è finita. Forse, tutto sommato, ci si uccide non per tener fede alla decisione presa, ma perché è insopportabile questa angoscia che non si sa a chi appartenga, questa sofferenza che non ha chi la soffra, questa attesa vuota, non riempita dalla vita che continua >>. Cosi rifletteva e vegliava.

Lili ogni tanto correva a baciarlo, ad aggiustargli la camicia azzurra sul petto, a carezzargli la fronte. Poi si rifugiava di nuovo in camera, come un animale ferito.

La bara rimase esposta al pubblico per i giorni 15, 16, 17, con la scorta d’onore composta dai soldati dell’Armata Rossa e vegliata a turno da scrittori, attori, studenti, giornalisti, amici, gente del popolo che arrivava piangendo e non se ne andava che dopo un’intera nottata. Secondo le statistiche, in quei giorni sfilarono davanti alla salma del poeta oltre centocinquantamila persone.



Poi venne il momento dei funerali, con via Vorovskij completamente bloccata, e la guardia a cavallo che a stento cercava di trattenere l’irruenza della folla. Secondo una cronaca dettagliata della << Literaturnaja Gazeta >> c’era gente persino sui cornicioni e sui tetti degli edifici, e decine di macchine da presa pendevano su quella marea umana. Parlarono in parecchi: prima Lunaciarskij, poi Fedin a nome della Federazione Scrittori, quindi Kirsanov, seguito da un attore che lesse il poema A Tutta Voce. Infine la bara, drappeggiata di rosso e di nero, fu portata fuori dal cortile.

<< Dondolando lentamente, naviga sul mare dei capi scoperti, verso il portone. Oltre il portone della palazzina di Sollogub la bara si ferma sulla piattaforma di un camion. Accanto alla bara, sulla piattaforma color acciaio, una corona di martelli, viti e volani con scritto: “Al poeta di ferro - una corona di ferro". Il camion parte, e dietro ad esso si mette in cammino e si spande verso l’Arbat una massa sterminata di molte migliaia di persone. A perdita d’occhio la via è sommersa da una fitta colonna umana, che dilaga anche per le vie e i vicoli laterali... Verso le sette di sera tra le pareti del forno crematorio risuona l’Internazionale. Con la stessa semplicità con cui la folla dei lavoratori aveva seguito la bara attraverso la città, con la stessa sobrietà bolscevica, al suono dell’inno di lotta, i resti di Majakovskij vengono calati per la cremazione. Nel registro del forno crematorio rimane un appunto: “942° giorno di lavoro del forno crematorio.
17 aprile 1930. Cognome, nome e patronimico: Majakovskij Vladimir Vladimirovic.
Eta: 37 anni. Ora: 19,35" >>.

Nikolaj Aseev fu talmente colpito che rimase parecchio tempo nell’incapacità di scrivere, e solo nel 1940 riuscìi a dedicare all’amico un vasto poema che fosse degno della sua vita e della sua morte. Questi sono i versi che ricordano l’uscita di Majakovskij dal carcere di Butyrki nel gennaio del 1910:
Ed acco, agli esce: grande, piedi grossi, e il floscio cappello e il misero cappotto tutto  liso staffilati da una pioggia di gelo. Intorno nessuno. Dietro le spalle, la prigione. I lampioni nemici. Nella tasche, non un copeco. E Mosca odora di pane, mentre un cavallo stramazza e sussulta il suo  fianco all’ultimo respiro.

Anche Lucaciarskij in privato pianse, ma in pubblico fece un’orazione grandiosa, addossando tutta la colpa del suicidio di Majakovskij al suo sosia, scaricando così i burocrati, il partito, e lo stato da ogni problema di coscienza.

<<..Majakovskij si rese conto molto presto di essete rivoluzionario. La rivoluzione, sia pure in forma indeterminata, gli appariva come il trionfo della giustizia e se discriminare le forze che essa nascondeva gli riusciva impossibile, gia ne coglieva il pathos teso ad accellerate il processe di distruzione dell’odiato presente e la nascita di un radioso futuro.

<<Basta alla vecchia poesia, modellata con fiocchi di bambagia. Egli invoca un martello pesante che, schiacciato il vetro, forgia l’arma. Coraggio, destrezza, sonorità, rappresentano infatti nelle sue opere il simbolico richiamo verso una produzione d’arte "metallica"...>>

<< Ma dentro di sé Majakovskij aveva un sosia, e questa era la sua disgrazia. Anche nelle sue poesie cosi “metalliche", nei suei poemi pubblici, noi percepiamo infatti l’assenza di un quid sostanzialmente reale e concreto, quasi lo accerchiasse di continuo, anche nell’esaltazione dei grandi simboli del collettivismo, l’insidia dell’individuale. >>

<< Quali elementi costituivano questo sosia? Le sopravvivenze del Majakovskij piccolo-borghese..la sete d’amore, di tenerezza, di intimi dialoghi, la pietà dell’uomo e d’ogni creatura.. Sotto la corazza metallica, pronta a ricevere i riflessi dei grandi eventi eroici mondiali, palpitava un cuore caldo. tenero, fragile, sensibile alle ferite; ed è certamente questo segreto pudore dei sentimenti a detetminare il lato umano, accorato delle opere, anche le più monumentali di Majakovskij.Ma se troppo imperioso si fa il sopravvento dell’irrazionaale, ecco allora il predominio del sosia. È come se lo stagno, in una fusione di metalli, superasse per quantità tutti gli altri materiali. Majacovskij camminava di continuo sul filo di questa paura.>>

<< Egli sentiva che era venuto il tempo grandioso del ferro e che il suo corpo, dominato dall’esuberanza, poteva divenire tutt’uno col tempo in cui viveva. Nel sangue gli martellavano le parole con le quali sollevare la marea delle folle. Alla realizzazione di questo intento Majakovskij cercava di sacrificare l'alter ego appassionato, dolce e vibrante, ma non sempre usciva vincitore da cosi singolare duello. ll suo sosia cantava a turno con lui, a volte faceva prevalere la propria voce come nel poema Di Questo, ed era quanto il Majakovskij frontale, cioè pubblico, non voleva accadesse. Lo perseguitavano l’insoddisfazione, il desiderio acuto di carezze, e isieme il dubbio di non essere capito dai compagni più prossimi, cosi ambigui a volte, i quali sul medesimo fronte si eragoo nutriti con lui nella comune marmitta della battaglia...>>

<<Con l’irruzione nel canto il sosia ha creato la seconda melodia di Majakovskij. E non era sufficiente che il poeta a tratti lo afferrasse con violenza e, dopo averlo domato, gli gridasse con la sua magica voce di rame: "No, tu non hai il diritto di parlare al mio posto!". Appena riacquistata la propria libertà, esso ricominciava a cantare com tenerissimi accenti, e allora non era più possibile distinguere un Majakovskij dall’altro... Ma è riuscito infine a superarsi? Si, nell’arte ha sovente messo i piedi sul collo del suo sosia: quando egli dice di aver dominato i propri canti che stavano per sgorgare dall’anima del suo sosia. L'urgenza di simile controllo gli è apparsa intera nell’attimo in cui era entrato a far parte della RAPP. E nonostante egli amasse questa sua seconda personalità, nonostante pensasse qualche volta: “Ma non sono io stesso il mio sosia?", egli ha voluto metterle la lama alla gola. Per questo il sosia lo ha ucciso. Costretto nella poesia, nella vita si è rivelato il più forte...>>

Navi, montagne, aerei, teatri, città oggi portano il nome di Majakovskij, che portava ormai dentro di sé un qualcosa di inconciliabiie con Ia vita e, come dice Pastemak, volgeva Ie spalle al passato. Le parole si spezzano, e sgusciano dal cuore in briciole, in frammenti:


Il mare retrocede.
Il mare va a dormire.
Come suol dirsi, l'incidente è chiuso.
La barca dell'amore s’è infranta contro la vita quotidiana.
Tu ed io siamo pari. E non serve a nulla
l'elenco dei dolori, dei guai, dei torti reciproci.
Guarda. La notte ha imposto al cielo
un tributo di stelle.
In ore come queste ti alzi
e parli ai secoli, alla storia, aIluniverso....


Vedo
Vedo tutto chiaramente. Anche i dettagli.
Aria su aria,
quasi pietra su pietra,
inaccessibile alla polvere e alla putredudine,
rifulgente si leva sui secoli
il laboratorio delle resurrezioni umane.
Eccolo, il placido chimico
dalla fronte spaziosa
che si acciglia davanti all'esperimento.
Nel libro Tutta la terra
ricerca un cognome.
Ventesimo secolo.
Chi resuscitare?
<<Majakovskji..
meglio un tipo più brillante.
Non era poi gran che quel poeta!>>
Io allora griderò
da questa pagina d'oggi:
<<Non sfogliare più oltre!
Resuscitami!>>


Inno alla bustarella
Eccoci quì, umilmente, a cantare le tue lodi,
bustarella amatissima,
tutti, dal sotto portinaio
fino a chi porta galloni dorati.
Tutti quelli che la nostra mano destra
ardiranno fissare con riprovazione
non se lo sognano neppure, i mascalzoni,
come li puniremo per la loro invidia.
E perchè più non osi alzarsi il biasimo,
indosseremo uniformi con medaglie,
e, mostrando un persuasivo pugno
chiederemo: "E questo lo vedete?"
A guardare dall'alto c'è da restare a bocca aperta,
con ogni muscolo che freme dalla gioia.
La Russia, dall'alto, è proprio come un orto,
s'inturgida, fiorisce, lussureggia.
E dove mai s'è visto che, se c'è una capra,
alla capra faccia fatica di cacciarsi nell'orto?..
Certo, avessi tempo, vi dimostrerei
chi sono le capre e chi gli ortaggi.
E poi non c'è gran che da dimostrare: basta entrare
e prendere. La pianterà alla fine il giornalume.
Tosarli e rasarli bisogna, come montoni.
Ma che, ci si deve vergognare pure a casa propria?


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Nell'autunno, nell'inverno,
nella primavera, nell'estate,
nel giorno, nel sogno,
io rifiuto tutto ciò, tutto,
tutto ciò che in noi
è stato avvilito dalla schiavitù passata,
tutto ciò che simile a uno sciame
di meschinità
s'è deposto,
si depone sulla vita
anche tra noi,
nel nostro ordine drappeggiato di rosso.



Amo
Niente cancellerà via l'amore,
nè i litigi
nè i chilometri.
È meditato,
provato,
controllato.
Alzando solennemente i versi, dita di righe,
lo giuro:
amo
di un amore immutabile e fedele.

Testi: V. Majakovsvij: Poesie, Poemi, Teatro - M. De Micheli
         Majakovsvij, la storia, il romanzo - Curzia Ferrari 
                   
Immagini: rinascita.eu
         cupetinte.blogspot.com



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