di U.NET
www.thelongroadproject.com
Down with the kings! Down with the kings! Così rappa Chuck D, leader storico dei Public Enemy. Cammina lentamente rimando liriche di fuoco che sembrano perforare l’obiettivo delle telecamere. Rima dopo rima, l’MC rivendica con orgoglio la storia e le esperienze di vita di Tony King, icona afro-americana. Nel suo incedere sicuro, percorre tutta la lunghezza di un graffito superando alcuni writer, impegnati nel terminarlo. Il suoi passi si fermano solo quando si incontra il capo della sicurezza della sua crew. Alle loro spalle, il logo dei Public Enemy in tutta la sua potenza simbolica e, evocativo, in primo piano, il pugno chiuso di Chuck D e l’imponenza fisica di Malik Farrakhan sfumano nel finale della canzone e del video. La location, un muro di sostegno di un cavalcavia, bombardato con pezzi coloratissimi, e il gruppo rimandano subito all’immaginario statunitense, ma i giovani tutt’attorno e l’idioma parlato dipingono un’altra realtà… non siamo a NYC bensì a Bologna e i writer in questione sono Rusty, Ciufs e DeeMo, nomi storici della scena locale; dietro alle macchine da ripresa ci sono i ragazzi di Undervilla, giovane casa di produzione. A seguire il tutto Reda Zine, artista multidisciplinare di origini marocchine e regista del documentario The Long Road to The Hall of Fame sulla vita di Tony King aka Malik Farrakhan.
Le vicende Tony King, divenuto Malik Farrakhan dopo esser entrato nella Nation Of Islam (NOI), ripercorrono fasi fondamentali dell’esperienza dei neri in America: egli fu uno dei primi atleti neri della NFL negli anni Sessanta, modello e attore di successo negli anni Settanta, militante della NOI e, infine, capo della sicurezza dei Public Enemy. “La sua vita attraversa cinquant’anni di storia afro-americana. Capii subito d’avere una storia incredibile da raccontare, l’uomo che avevo di fronte sembrava aver vissuto diverse vite parallele”, racconta Reda Zine. E, tornando alla nascita del progetto ricorda “Nel 2008 lavoravo per una radio locale bolognese e scrivevo per un rivista marocchina. Con tali credenziali chiesi un’intervista con Chuck D. Malik mi venne indicato come riferimento, gli scrissi e ci accordammo. Per una serie di ritardi l’intervista pomeridiana fu spostata alla sera, dopo il concerto, e così mi ritrovai nel backstage a parlare a lungo con lui. Quella conversazione iniziale mi affascinò poiché compresi immediatamente l’importanza storica del personaggio che avevo di fronte e, dopo ricerche e conversazioni ulteriori, ne compresi anche l’eccezionalità. Nelle settimane successive, le informazione che raccoglievo altro non fecero che confermare l’impressione iniziale, così decisi di buttarmi in questa avventura”.
La storia di Malik Farrakhan inizia nell’America degli anni Quaranta, dove la segregazione razziale trova giustificazioni istituzionali grazie alla legislazione Jim Crow. Negli anni Cinquanta Malik fu tra i primi giovani afro-americani a vivere sulla propria pelle il razzismo all’interno dei primi istituti desegregati, “Nella mia scuola, c’erano solo cinque maschi e una femmina afro-americani. Tutti i giorni c’erano da sopportare insulti e cattiverie d’ogni genere. Anche in ambito sportivo, dove mi distinguevo per le doti fisiche scatenando rabbia e invidie ulteriori”. Nel 1966 Tony e il fratello entrano entrambi nei Buffalo Bills, tra i primi afro-americani a giocare in una squadra professionista dell’NFL. Gli anni del football sono tinti dello stesso razzismo che domina la società statunitense. Malik ricorda “Il capitano della mia squadra mi disse, posso anche accettare di giocare con un negro ma non accetterò mai di sedermi a tavola con un negro”. Quest’affermazione, così come molte altre, saranno occasione di scontro tra Malik e il mondo del football americano. La fine della sua carriera di atleta arriva il giorno in cui un compagno di squadra (afro-americano) lo denuncerà al management della squadra come soggetto pericoloso perché viene visto leggere la biografia di Malcolm X. “Il giorno successivo mi telefonarono di prima mattina dicendomi semplicemente che ero libero. Rinunciavano al mio contratto. Quella notizia mi sconvolse”. Dopo peregrinazioni varie in altre squadre e nuovi problemi, decide di trasferirsi a NYC per iniziare una nuova stagione della sua vita. Grazie al fisico atletico e prestante trova subito lavoro come modello recitando in spot di grande successo per brand quali Pepsi, Coca Cola e Budweiser, e collaborando con fotografi di fama internazionale come, per esempio, Richard Avedon. In ambito cinematografico interpreta diversi ruoli sia in film blaxploitation, Shaft e Gordon’s War, sia in produzioni hollywoodiane, come Il Padrino. Nel 1972 sul set di Gordon’s War entra in contatto con i giovani del Fruits of Islam, impegnati come servizio di sicurezza. I Fruit of Islam esercitarono una forte fascinazione in Malik poiché erano, giovani, addestrati e cattivi: sapevano sempre come gestire le situazioni, anche in momenti e luoghi ‘delicati’. Nel corso dei mesi la frequentazione con i militanti della Nation of Islam si fa sempre più intensa e, da lì a poco, conoscerà il Ministro Louis Farrakhan entrando ufficialmente nella NOI. Qualche anno dopo arriva l’incontro con i PE, “Nel 1987 fu Farrakhan in persona a chiedermi di proteggere il gruppo e in particolare il loro leader, Chuck D”. È indubbio che la filosofia della NOI abbia da sempre ispirato e plasmato le liriche di Chuck D, “Farrakhan is a prophet and I think you oght to listen to”, rappa in Bring The Noise, citandolo ed elogiandolo in numerose altre canzoni; e Farrakhan considera i PE modelli di coscienza e impegno sociale e politico.
Il contesto storico e culturale all’interno del quale si muove Tony/Malik è descritto in maniera attenta nel documentario, che dedica altrettanta importanza all’ambito musicale. Ripercorrendo, infatti, le varie fasi della vita del protagonista, si toccheranno diversi generi a seconda del periodo storico considerato. Lo stesso Fabrizio Puglisi, pianista e compositore, autore della colonna sonora, parla del processo creativo “The Long Road è il tema conduttore della soundtrack, sia nella sua versione strumentale, sia in quella cantata da Ozara Ode, e spazia tra soul, musica da ballo e intrattenimento”; soul e RnB per accompagnare le proteste associate al Movimento per i Diritti Civili mentre “Bumpy Road è il pezzo funky che si sente nella parte dedicata alla Blaxploitation, al cinema. Il free jazz è il suono di NYC e della protesta di quegli anni, dei neri e non solo. Di grande ispirazione sono state anche le sonorità del Miles Davis elettrico degli anni tra il 1969 e il 1974”. Con gli anni Ottanta incontriamo la militanza dei Public Enemy, evidenziata in I Shall Not Be Moved. Tutto il documentario è inoltre arricchito da Pocket Piano Pieces, ovvero brevi brani per pianoforte (sullo stile di John Cage), utilizzati come effetti sonori in corrispondenza di frasi o scene particolari. Come sottolinea il regista Reda Zine “Il motivo di The Long Road riecheggia in tutti i brani anche se sempre mascherat, sviluppato in modi diversi”.
E questi due livelli, quello storico e quello musicale, sembrano convergere in modo esemplare in Kings, il pezzo degli Impossebulls con il featuring di Chuck D. Chi meglio del leggendario MC dei Public Enemy, le cui liriche sono intrise di quelle esperienze di vita e di lotta, avrebbe potuto ottenere tale effetto? Come afferma egli stesso “Grazie al Ministro Farrakhan, Malik ci segue da oltre vent’anni provvedendo alla nostra sicurezza. È un amico ma, soprattutto, uno dei miei mentori. È un uomo di grande esperienza e sarebbe un crimine non nutrirsi di tali conoscenze. La sua storia deve essere conosciuta e ho cercato di contribuire al documentario nel modo che so fare meglio”.
The Long Road to The Hall of Fame (www.thelongroadproject.com) racconta una incredibile American Untold Story: una storia che attraversa le vicende più importanti dello sport, del cinema e della politica nera dell’America contemporanea. Soltanto a distanza di quarant’anni dal loro esordio nel mondo del football americano, infatti, Charlie e Toni King scoprono di esser stati i primi fratelli neri a giocare come professionisti nella stessa squadra dell’NFL, entrando di fatto nella storia. Non ancora in modo ufficiale, però. Per Malik Farrakhan, la battaglia per il riconoscimento nella Hall of Fame è davvero una Long Road!
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