01/04/13

Metadone: paradigmi della riduzione del danno


 ROMA
Si era pensato addirittura ad un ministero per le droghe. Poi.. ci siamo beccati quello della gioventù, con la 'giovvvane' Meloni a dirigerlo. (Sic!)
A Roma la giunta Alemanno, al capolinea dopo la disastrosa gestione della città, ha continuato imperterrita l'attacco contro i servizi sociali, alle condizioni di vita dei più deboli e vulnerabili, negando loro i diritti fondamentali, compreso il diritto alla cura. L’Agenzia Capitolina sulle Tossicodipendenze ha demolito sistematicamente la rete dei servizi sociali territoriali di contrasto alle dipendenze, ha smantellato i servizi di accoglienza della città, ha azzerato completamente i progetti per l’orientamento e l’inserimento lavorativo, ha ridotti da 9 a 2 i centri di accoglienza diurni/notturni, ha chiuso lo storico Telefono Pronto Aiuto. Ma, come sostiene il Social Pride della capitale, "Non è solo questione di risorse E’ questione di visione del mondo e della vita. E’ un totale disinteresse e disattenzione per la sorte di migliaia di cittadini.."


Lo scontro resta comunque tra due paradigmi, quello morale e quello medico:
"Quello che non si è mai avuto il coraggio di dire è che le tossicomanie sono il sintomo di una malattia e quindi la droga dovrebbe essere riconosciuta come una malattia e quindi che la droga dovrebbe essere riconosciuta come una malattia. Dovrebbe esserci per il tossicodipendente l’obbligo di curarsi.."

“La medicalizzazione ha già creato degli zombie schiavi del metadone. La tossicodipendenza non è una malattia”

Ciò che è interessante è che ambedue le posizioni portano acqua alla legge Fini: morale o medico che sia il paradigma, comunque l’esito è il codice penale e il trattamento sanitario obbligatorio. Che a questo porti l’approccio morale o dell’uso delle droghe come comportamento deviante e “malattia dell’anima”, non stupisce nessuno. Anche perchè l’approccio medico è, nella riduzione del danno , uno sguardo presente e importante, non foss’altro perché essa si occupa anche e molto di chi dal consumo problematico ha riportato danni, e dunque di uno sguardo anche medico e di una cura ha spesso bisogno. Cosa ci indispone e cosa ci interroga nel dialogo tra le due posizioni? L’alleanza, soprattutto, o meglio il rinnovo dell’alleanza tra i due paradigmi nel disegnare un orizzonte neoautoritario e di nuovo ammutolimento dei consumatori, di nuovo e sempre detti dalle parole dei paradigmi forti, in fette da assegnare a questo o a quel potere. La domanda è: quanto la riduzione del danno è debitrice al modello medico e quanto, invece, il modello ha preso linfa dalla riduzione del danno? Insomma, la riduzione del danno ha saputo proporre un paradigma in grado di “relativizzare” le pretese onnivore dell’approccio medico, dopo aver combattuto a scena aperta quello morale? Ha saputo tenerlo fuori dal consumo ludico, non problematico? Domande urgenti: da un lato la psichiatrizzazione dei consumi problematici ,che avviene, tra l’altro, in un contesto preoccupante di ritorno a un neo-riduzionismo biologico; dall’altro, la patologizzazione dei consumi ludici, come testimonia la rinata tesi della pericolosità della cannabis, che trova oggi tra gli addetti ai lavori uno spazio che pareva impensabile solo qualche tempo fa. Un circolo vizioso dentro cui la scienza finisce per funzionare da puntello per una costruzione sociale del fenomeno che va verso nuovi lidi autoritari..

Spesso abbiamo fatto come si fa qualche volta a sinistra: non si critica in modo troppo radicale per non dar spazio e occasioni alla destra: per difendere il metadone come farmaco utile ed efficace, su cui è insensato fare ideologia e a cui le persone dipendenti da eroina hanno diritto, non serve fare del medico che lo prescrive l’unico depositario della verità. C’è un bel libro, scritto da Anne Coppel, che è tra quanti hanno costruito in Francia la riduzione del danno, che significativamente si intitola Peut-on-civiliser les drogues?. Dove civilizzare vuol dire uscire dalla guerra alle droghe, dalla repressione dei consumatori, sia, però e non ultimo, anche uscire da ogni pretesa monolitica e unilaterale di rappresentazione del consumo. Questa pretesa, ammesso che non serva a reprimere i consumatori, li rende muti. Il che poi non è molto diverso.

* S. Ronconi

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ll ricorso alle terapie sostitutive cosi diffuso all’interno dei servizi per le tossico-dipendenze risponde, da parte degli operatori, a logiche diverse che spesso si sovrappongono, contribuendo a rendere confuso il quadro delle motivazioni che portano alla scelta di un trattamento sostitutivo sia per coloro che lo ricevono sia per coloro che lo prescrivono.

Alcuni operatori, anche se non lo ammettono sempre apertamente, prescrivono il farmaco sostitutivo semplicemente come modo di by-passare la proibizione dell’eroina o dei prodotti da cui essa deriva, poiché giudicata ingiusta e pericolosa. Sono gli stessi che sostengono, accompagnata da misure di protezione adeguate, la possibilità di ricorrere all’eroina all’interno dei servizi.
Tale posizione si sovrappone in parte ad un’altra, molto più diffusa tra gli operatori, quella della cosiddetta politica della riduzione dei danni. Quelli dai quali si vuole proteggere il tossicodipendente sono indotti, si sa, non solamente dalla sostanza e dai modi in cui essa viene assunta, ma anche dai problemi legali a cui va inevitabilmente incontro il tossicodipendente, per il fatto stesso che la sostanza è proibita. Infatti i problemi legali non sono indotti da proprietà ”delinquentogene" della sostanza come alcuni vogliono fare credere, ma dal fatto che essa è proibita come era stato annunciato già nel 1955 da un comitato di esperti ufficialmente interrogato sull’argomento dal governo americano. Nelle loro conclusioni furono concordi all’unanimità che la proibizione avrebbe indotto un processo circolare, per cui le conseguenze del provvedimento (nel nostro caso la spinta alla delinquenza) sarebbero state presentate successivamente come effetti autonomi e quindi come giustificazione del provvedimento stesso.

Presentato in sciroppo che non può essere iniettato, ed avendo un effetto molto più prolungato nel tempo rispetto all’eroina, il metadone può garantire una migliore copertura ricettoriale ed evitare, con una sola somministrazione quotidiana, la comparsa di stati assistenziali che possono svegliare dei desideri (craving) ai quali il tossicodipendente ha difficolta a resistere. La scoperta del ruolo dell'eroina sull’attività dopaminergica nei processi che sono alla base del desiderio, così come quella della maggiore concentrazione di alcuni ricettori della morfina in varie strutture cerebrali, hanno indotto alcuni autori a dare una lettura biologica, secondo noi riduttiva, della dipendenza da eroina. Secondo tale lettura l’aumento dei ricettori comporterebbe una maggiore sensibilità agli effetti dell'eroina e quindi una vulnerabilità al desiderio o craving che tali effetti possono indurre. La risposta più logica a tale interpretazione é la necessità di proteggere l'individuo dal rischio di ricadute o dal desiderio per la sostanza, coprendo tali ricettori come il metadone o la buprenorfina.

Recentemente la genetica ci ha confermato le dinamiche intuite da Donald Hebb in un libro del 1949, l'Organizzazione del comportamento, secondo cui, quando il neurone è stimolato aumenta le sue connessioni o le sinapsi con le cellule vicine affinché la stessa azione possa essere ripetuta più facilmente. Ora sappiamo che quando un neurone è sottoposto ad una stimolazione di una certa intensità, le sue sinapsi inviano dei messaggeri nel nucleo centrale per sollecitare dei geni chiamati "interruttori" ad attivare quelli principali, affinché producano le proteine destinate alla formazione di nuove associazioni con le cellule all'origine della stimolazione. Possiamo misurare l'importanza di queste dinamiche epigenetiche (cioè dinamiche di interazione tra il patrimonio genetico e l'ambiente, ndr) pensando che la nostra corteccia è costituita da circa dieci miliardi di cellule neuronali e da un milione di miliardi di sinapsi, e che questa cartografia sinaptica “più grande del cielo” evolve continuamente in funzione delle attività delle cellule e quindi del comportamento dell'individuo! Nel sue ultimo libro di cui abbiamo appena ricordato il titolo, Gerald Edelman, premio Nobel 1972, ha applicato queste dinamiche alla sua teoria della selezione dei gruppi di neuroni ed ha chiamato repertorio secondario, la dimensione sinaptica del nostro sistema nervoso individuale (ed alla base della nostra personalità), per differenziarlo dal repertorio primario che rappresenta l'organizzazione stabile e codificata del cervello secondo regole proprie dell’individuo e della specie.

Possiamo ora spiegare il motivo delle nostre riserve precedenti. La genetica e le dinamiche epigenetiche insegnano che il nostro sistema nervoso non deve essere considerato una organizzazione a sé stante, la quale una volta raggiunto un certo livello di maturazione ci permette di confrontarci con l’esterno, ma una organizzazione la cui costituzione è guidata dalla storia e dalle esperienze che potranno, a seconda dei casi, orientarle sia in senso positivo che negativo. Più che una condizione squisitamente innata ed inamovibile, il maggiore numero dei ricettori alla morfina evidenziato in soggetti tossicodipendenti da eroina è più probabilmente il risultato di dinamiche epigenetiche, condizionate dalle abitudini (contatto ripetuto di alcuni ricettori con la sostanza), ma anche dalla storia precedente del soggetto, anche se alcune caratteristiche del repertorio primario possono avere reso particolarmente sensibile l'organismo agli effetti dell'eroina e favorito il ripetersi della condotta tossicomanica. Poiché le dinamiche epigenetiche non si applicano solamente agli effetti delle sostanze e alle condotte tossicomaniche, i servizi per le tossicodipendenze devono essere attenti a garantire ogni forma di trattamento o di sostegno suscettibile di aiutare i dipendenti da eroina a cambiare contesto ed a vivere esperienze alternative a quelle patologiche. Infine, se è vero che spesso il metadone o la buprenorfina sono indispensabili per garantire l'equilibrio necessario ad ogni programma riabilitativo, occorre fare attenzione che l’enfatizzazione del trattamento sostitutivo non releghi in secondo piano, come troppo avviene, l'importanza di tutte le
altre forme di aiuto.

* Direttore del Dipartimento dipendenze, Asl 6 Livorno

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Metadone, il danno e la beffa

L’articolo di Maria Stagnitta, vice Presidente di Forum Droghe, per la rubrica di Fuoriluogo.

Marco P. lavora da diversi anni in una cooperativa sociale, in cui è cresciuto professionalmente fino ad assumere progressivamente ruoli di responsabilità. Era entrato a far parte della cooperativa come “socio svantaggiato”, poiché tossicodipendente, in trattamento metadonico presso un Servizio per le Tossicodipendenze (Ser.T.). Dopo anni di difficoltà, aveva finalmente raggiunto una stabilità, grazie al trattamento farmacologico che gli aveva permesso di avere un nuovo lavoro. Ma questa stabilizzazione acquisita con tanti sforzi rischia di saltare per le conseguenze impreviste di un incidente. Una sera d’autunno, guidando l’auto sull’asfalto scivoloso per la pioggia, Marco perde il controllo della macchina, invade l’altra corsia e si scontra con un veicolo che stava sopraggiungendo in direzione opposta. Entrambi gli autisti rimangono feriti. Una volta in ospedale, Marco è sottoposto ad esame tossicologico e risulta positivo al metadone. Il verbale della Polizia Municipale recita che le cause dell’incidente sono da ricercarsi nel farmaco assunto dal conducente: nessun cenno al fondo stradale né al fatto che quella sera stessa, a poche centinaia di metri dall’incidente, ne era avvenuto un altro attribuito alle condizioni della strada.
A seguito di questo verbale, Marco viene informato dalla propria assicurazione che si rivarrà su di lui per le spese di risarcimento danni del sinistro. Infatti, una norma della sua polizza assicurativa prevede che “l’assicurazione non sarà operante nel caso in cui di veicolo guidato da persone in stato d’ebbrezza o sotto l’influenza di sostanze stupefacenti”. Dunque Marco dovrà pagare di tasca propria nonostante al momento dell’incidente non si trovasse affatto “sotto l’influenza di sostanze stupefacenti”, bensì in trattamento con un farmaco regolarmente prescritto; e nonostante abbia sempre pagato le rate assicurative.
Il metadone è considerato il farmaco d’elezione per la dipendenza da oppiacei, particolarmente utile per l’inserimento lavorativo delle persone dipendenti. I dati del Rapporto annuale sulle Tossicodipendenze riportano che, nel 2009, su 160.802 persone in trattamento presso Servizi per le tossicodipendenze 89.968 (pari al 55,9%) erano in trattamento metadonico (10.091 a breve termine, 18.576 a medio termine e 61.301 a lungo termine) e 16.708 (pari al 9,4%) in trattamento con buprenorfina o altri farmaci non sostitutivi (1.689 a breve termine, 3.069 a medio termine, 11.950 a lungo termine). Dunque, ben 106.676 delle persone tossicodipendenti in cura presso i servizi assumono farmaci (sostitutivi e non) e 73.251 di queste a lungo termine. Sempre nella stessa Relazione grande importanza viene data ai programmi di reinserimento sociale che spesso si affiancono a quelli di trattamento farmacologico a lungo termine. Questi programmi prevedono attività di orientamento, formazione, accesso al lavoro e il mantenimento dello stesso è considerato un indicatore di successo del trattamento. La patente di guida è spesso necessaria sul lavoro, molte aziende la richiedono ai propri dipendenti come requisito indispensabile. In altri casi possedere un’automobile è la condizione indispensabile per raggiungere il luogo di lavoro e quindi mantenere l’occupazione. Dunque, considerare il metadone alla pari di una droga che compromette le capacità di guida da un lato è contraddittorio rispetto alle indicazioni stesse del farmaco (prescritto per stabilizzare la persona e metterla in grado di svolgere mansioni che richiedono attenzione); dall’altro, è una indebita speculazione dell’assicurazione, resa possibile dalla debolezza sociale e dallo stigma di cui soffrono le persone dipendenti. Analoga confusione si registra al momento del rilascio delle patenti, poiché le Commissioni Provinciali Patenti (gli uffici deputati a rilasciare l’idoneità alla guida delle persone anziane e portatrici di patologie) applicano criteri difformi tra loro. Alcune (come a Firenze) non rilasciano tale certificazione se la persona assume metadone, mentre altre (come a Perugia) la rilasciano dietro attestazione del Ser.T.
Non sarebbe il caso di dire una parola chiara su una questione così vitale, nel pieno rispetto dei diritti dei cittadini, anche quelli (ex) tossicodipendenti?


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