25/10/15

Palestina: “Esistere è resistere”

il valoroso esercito israeliano
di Grazia Careccia
Nell’ultimo mese la tensione in Palestina e in Israele è cresciuta fino ad esplodere in scontri, omicidi, esecuzioni sommarie da parte dell’esercito e fitte sassaiole. Le immagini sono arrivate nelle nostre case dai telegiornali, con giornalisti che, con funambolica abilità, con la solita litania ci dicono che gli israeliani si difendono dai terroristi. Ormai si aggiornano solo i numeri.
E’ diventato questo il conflitto israelo-palestinese per i media? Ebbene sì un susseguirsi di numeri aggiornati in tempo reale. Le scene da film di Tarantino in cui feriti palestinesi, bambini o adulti che siano, vengono ammazzati, o come dice la sicurezza israeliana “neutralizzati”, non vengono trasmesse dai media internazionali.
Così come non lo sono le immagini del bambino ferito da un colono che senza pietà gli grida “figlio di puttana” e chiede ai poliziotti, che calciano il ferito, di finirlo. Le televisioni internazionali non hanno passato il video in cui con disprezzo un colono israeliano ha sbattuto sul viso di un ragazzino palestinese ferito che veniva trasportato su una barella delle fette di carne di maiale, gridando “sappiamo quanto a voi musulmani piace il maiale.” Le immagini di questi attacchi brutali si trovano su Facebook e Twitter, ad uso di coloro che la causa palestinese la seguono da anni e sanno già molto bene quale sia la situazione.
Il linguaggio usato dai media, che non pronunciano mai la parola occupazione e riportano cifre e fatti senza contesto, contribuisce nuovamente ad isolare i palestinesi, a beneficio di Israele. Un’altra porta in faccia a persone che da generazioni hanno fatto della resistenza, del restare attaccati alla propria terra ad ogni costo una ragione di vita.
“Esistere è resistere”, si legge sul Muro che Israele ha costruito oltre la Linea Verde per prendersi terre e risorse idriche palestinesi. Ma oggi i giovani palestinesi pensano che forse anche esistere non sia più sufficiente perché la loro è diventata una realtà che è al di sotto della sopravvivenza. Soffocati dall’oppressione del regime militare di occupazione che controlla le loro vite fin dalla nascita, dal numero sempre crescente di coloni, oggi oltre 600,000 di cui circa 300,000 solo a Gerusalemme Est, i giovani palestinesi hanno rotto le fila dell’immobilismo imposto dalla politica di contenimento dell’asservita autorità palestinese.
Con i leader politici di un certo calibro dietro le sbarre delle carceri israeliane e i burocrati neoliberisti dell’Autorità Palestinese al potere impegnati a far quadrare i conti per ingraziarsi i generosi donatori stranieri, occidentali o arabi che siano, i giovani palestinesi non hanno trovato che se’ stessi come ultima ed unica “arma” per contrastare l’occupazione. E non si può dire che non abbiano provato a farlo con mezzi pacifici.
Forse in pochi ricordano quando nel 2011 tentarono azioni di disobbedienza civile salendo sugli autobus riservati agli israeliani che attraversano la Cisgiordania con destinazione Gerusalemme e furono brutalmente picchiati e arrestati. Non fa notizia il fotografo palestinese che, nonostante abbia avuto entrambe le gambe amputate a seguito di operazioni militari, continua a chiedere giustizia pubblicando le foto di Gaza in macerie. Non hanno fatto notizia i ragazzi e le ragazze vestiti come i personaggi di avatar per protestare contro il muro che a Bil’in gli porta via le terre che le loro famiglie hanno coltivato da generazioni, che gli porta via il futuro.


Stanchi anche dell’indifferenza della politica internazionale, che ha ridicolizzato i timidi tentativi dei burocrati palestinesi di far uso dei meccanismi di giustizia internazionale, i giovani palestinesi non possono fare altro che prendere in mano il proprio futuro; è la loro unica possibilità di sopravvivenza. Non gli resta altro che danzare la debke mentre lanciano un sasso contro una jeep dell’esercito israeliano o andare verso morte certa colpendo con un coltello chi è partecipe, più o meno consapevole, di un sistema coloniale che da decenni li umilia e li opprime.
Sarebbe miope pensare che quello a cui stiamo assistendo in questi giorni sia la reazione alle restrizioni che Israele ha imposto un mese fa all’accesso alla moschea di Al Aqsa o che da parte israeliana la furia sia stata scatenata dall’attacco in cui hanno perso la vita due coloni israeliani nei pressi di Nablus.
Le violenze e le manifestazioni di questi giorni sono la cartina tornasole del fallimento degli accordi di Oslo, della pace economica di Saeb Erekat, della soluzione a due stati. Da parte palestinese è tragicamente sfociato in impotenza l’ottimismo di coloro che, non avendo capito che i lunghi documenti degli Accordi di Oslo altro non erano che una trappola per sottrarre ai palestinesi il controllo delle proprie terre, risorse e del proprio destino, vent’anni dopo, si sono solo trovati inermi e indebitati con le banche.
In questo clima di frustrazione, di slogan politici e nazionalisti che non erano altro che parole portate via dal vento, sono cresciuti i ragazzi e le ragazze che, con l’incoscienza e spudoratezza della loro età, oggi affrontano a volto coperto e con le mani piene di pietre un nemico crudele e inesorabile. Anche i bambini, cresciuti nei campi profughi o in una Gerusalemme est intrisa di tensione e paura, che hanno visto i propri parenti e i compagni di scuola picchiati e arrestati dalle forze di sicurezza israeliane, si sentono grandi e prendono parte ad un gioco al massacro più grande di loro.
Chi dovrebbe proteggerli ancora sembra non aver capito che le regole del gioco sono cambiate e che uccidere a sangue freddo un bambino palestinese per Israele è ordinaria amministrazione. A Gaza durante l’attacco dell’estate 2014, Israele ha ucciso oltre 550 bambini e non ha mostrato rimorsi, tanto meno la comunità internazionale ha alzato la voce per far capire che certe morti innocenti non possono essere tollerate, al contrario i dati di quest’anno indicano trend positivi nel settore industriale bellico israeliano.
Gli israeliani, scampato ogni pericolo che il sogno palestinese di oslo potesse diventare realtà, stanno dando libero sfogo alla fobia dell’arabo e alla voglia di vendetta generati dalla propaganda del terrore e dalla disumanizzazione ideologica dei palestinesi che pervade il sistema dell’istruzione, l’esercito e i media israeliani e internazionali.
La disumanizzazione dei palestinesi agli occhi degli israeliani è ulteriormente rafforzata dalla separazione fisica che i due gruppi hanno subito a causa delle politiche adottate da Israele e culminate con la costruzione del Muro e la chiusura di Gaza. In una società profondamente militarizzata è facile instillare disprezzo e senso di superiorità verso coloro tenuti sotto il giogo militare e coloniale. I continui attacchi dei coloni contro i palestinesi, le migliaia di ulivi sradicati, le case palestinesi bruciate e la morte di famiglie innocenti sono testimonianza di questi sentimenti.
Negli ultimi giorni questa violenza è sfociata in follia e caccia all’arabo, per cui il minimo sospetto legittima agli occhi dell’israeliano e dell’occidentale medio esecuzioni sommarie come quella avvenuta nella stazione degli autobus di Afula. La gravità della situazione è confermata dall’impunità con cui tutto questo avviene, ad ulteriore conferma del fatto che le autorità israeliane sono non solo complici ma istigatrici di questa violenza.
Gestire il livello di violenza a seconda delle necessità politiche è una delle tattiche con cui Israele si destreggia abilmente per assicurarsi la coesione interna e l’appoggio incondizionato delle potenze occidentali unite nella lotta al terrorismo. Fino a che il conflitto israelo-palestinese sarà confinato nella retorica del terrorismo il ciclo di violenza non si arresterà.
Fino a che non si condannerà l’occupazione israeliana in maniera categorica chiedendone la fine incondizionata, i ragazzi palestinesi continueranno a morire ammazzati senza che nessun rappresentanza politica rivendichi queste giovani vite. I ragazzi e le ragazze palestinesi che in questi giorni hanno accettato di sfidare la morte anche semplicemente uscendo da casa o da scuola, l’hanno fatto con la triste consapevolezza di non avere nessun esercito che si mobiliterà in loro difesa e che nessuna sentenza punirà mai i colpevoli della loro morte.
E’ difficile prevedere quali potranno essere gli sviluppi di una situazione in cui i responsabili politici, da un parte gli israeliani per un piano preordinato e dall’altra la leadership palestinese per debolezza politica e interesse, hanno rispettivamente voluto e lasciato che il conflitto sfociasse nella violenza privata. Il sindaco di Gerusalemme che esorta i propri cittadini ad armarsi e le misure punitive adottate dal Governo israeliano di chiudere alcuni quartieri di Gerusalemme Est e di non restituire i corpi dei palestinesi coinvolti in attacchi contro israeliani sono benzina sul fuoco, ed indicano che Israele intende far affogare la causa palestinese nel sangue.
Il rappresentante diplomatico palestinese alle Nazioni Unite ieri ha affermato che i Palestinesi necessitano della protezione delle forze delle Nazioni Unite, forse dimenticandosi che tale forza può essere autorizzata solo dal Consiglio di Sicurezza, l’organo delle Nazioni Unite che da sempre è stato ostile verso l’adozione di misure efficaci contro le violazioni israeliane a causa del diritto di veto dell’alleato chiave di Israele: gli Stati Uniti.


Forse avrebbe dovuto prendere nota del comunicato con cui l’amministrazione americana condannava gli attacchi contro gli israeliani senza far alcun riferimento ai morti palestinesi, che in meno di due settimane sono arrivati ad oltre 30. Il resto della comunità internazionale, impegnata in manovre bellico-diplomatiche sull’ingestibile fronte siriano, si è limitata a poche frasi di routine senza mordente.
Il presidente palestinese Abu Mazen ha dimostrato di aver perso completamente il polso della situazione e ha ribadito il proprio impegno per la pace e chiesto la fine dell’occupazione. Impegnarsi per la fine dell’occupazione con ogni mezzo e senza concessioni, per avere libertà, giustizia e rispetto per i propri diritti per arrivare a parlare di pace, è invece quello che oggi chiedono i giovani palestinesi, in Palestina e in Israele.
Ora più che mai sentono che il tempo è loro nemico e che l’occupazione li sta strangolando. E si sa, chi si sente afferrato alla gola non può che reagire scalciando violentemente per liberarsi dalla presa e non soccombere per la mancanza di ossigeno.
Se questa sia una terza intifada o meno poco importa, non è importante darle un nome, è importante capirne il messaggio: la politica a tutti i livelli e per ragioni diverse ha fallito, ha lasciato le persone indifese e gli individui devono far cambiare la politica.
Questo messaggio sembra essere arrivato anche ai palestinesi cittadini d’Israele e agli arabi israeliani che hanno indetto uno sciopero generale e in circa 200,000 hanno dimostrato a Sakhnin, nel nord di Israele, in solidarietà con i palestinesi sotto occupazione. A questa specifica manifestazione avrebbero dovuto aggiungersi gli ebrei israeliani, in quanto vittime della manipolazione e delle politiche coloniali israeliane.
Dovremmo tutti riempire le strade delle capitali europee, di New York, di Pechino, fare come a Santiago del Cile, avere il coraggio di esigere dai nostri politici di smetterla con l’ipocrisia di considerare le parti del conflitto israelo-palestinese come duellanti ad armi pari e di riconoscere che Israele detiene le chiavi per la soluzione di questo conflitto, che non è né religioso né lotta al terrorismo, ma un regime coloniale e razzista camuffato da occupazione militare. Riprendiamoci anche noi, come stanno facendo i giovani palestinesi il potere nelle nostre mani e facciamo sentire la nostra voce di dissenso nei confronti dei nostri stati per la loro connivenza con i crimini commessi da Israele.
Dobbiamo far in modo che la comunità internazionale sia costretta a mandare un segnale forte, assordante, che faccia sentire Israele a disagio con il resto degli alleati di sempre. Non è questo che si fa anche con un amico quando, dopo ripetute rimostranze, continua dritto per la sua strada? Ad un certo punto lo si allontana per incoraggiarlo a riflettere e cambiare atteggiamento.
E allora abbiamo il dovere di chiedere che i nostri stati cessino di fornire armi ad Israele, di puntare il dito ogni volta che la nostra politica estera filo-israeliana contribuisce a rafforzare l’occupazione, di rifiutarci di vedere nei nostri supermercati prodotti delle colonie israeliane in Palestina. Se alzassimo la testa e facessimo sentire la nostra voce e il nostro appoggio aiuteremmo questi giovani palestinesi a non dubitare che “Esistere è Resistere”, insieme.
La terza intifada, per quelli che vogliono chiamarla in questo modo, è una lotta a mani nude per la libertà e contro l’oppressione, che dovrebbe andare oltre i confini della Palestina, per dare a tutti noi di nuovo il coraggio di prendere in mano una pietra per scagliarla contro il muro d’indifferenza dei nostri politici, per far valere i nostri diritti.

BDS ITALIA 








 

20/10/15

Un assalto sensoriale, implacabile: Requiem for a dream

Non sò se avete letto qualcosa di Hubert "Cubby" Selby jr, scrittore e sceneggiatore statunitense, qualcosa tipo "Ultima fermata Brooklyn", o The Demon, romanzi degli anni '70: schietto e diretto, ha scritto di portuali, senzatetto, delinquenti, sfruttatori, travestiti, prostitute, omosessuali, tossicodipendenti e in generale della povera comunità al margine della città, con cui aveva avuto a che fare mentre lavorava nella marina mercantile americana (come suo padre). Ammalatosi di tubercolosi, trovò rifugio nella letteratura, e nell'eroina come analgesico, per alleviare i postumi di varie operazioni ai polmoni.
I romanzi di Selby sono stati perseguiti per oscenità, vendita di materiale pornografico, istigazione alla violenza e all'omosessualità: tra gli scrittori che testimoniarono a sua difesa ci furono Anthony Burgess, William S. Burroughs, Allen Ginsberg .. Condannato varie volte, le sentenze furono sempre annullate in appello. Anche in Italia, la pubblicazione di "Ultima fermata Brooklyn” fu impedita. L'intimità con la sofferenza, l'onestà e l'urgenza morale, per comprendere Selby bisogna comprendere le nostre angosce.
Requiem for a Dream, è il secondo lungometraggio del regista Darren Aronofsky, e offre una rara sintesi di sperimentazione cinematografica e narrazione emotivamente coinvolgente. Dal potente racconto di Selby, Requiem for a Dream offre un viaggio sincero nelle profondità dell'esperienza umana. Una trasposizione totalmente fedele al testo scritto, quasi un omaggio d'insieme allo scrittore, a cominciare dal titolo designato per questo film. Immagini di amore, sogni e dipendenza, e immagini di un cancro, quello di cui è affetto la società del ventunesimo secolo, lo stesso che si manifesta sul braccio infetto di Harry/Leto.

E’ un assalto sensoriale, implacabile, che minaccia di travolgerci mentre assistiamo a queste immagini viscerali, il montaggio frenetico cattura i picchi 'alti' di euforia e i rituali ripetitivi di vite distrutte dalla droga, mentre disegna chiari i paralleli tra le diverse forme di dipendenza dei personaggi. Aronofsky intreccia le storie di quattro residenti a Coney Island, e al tentativo disperato di sfuggire a una vita noiosa. Droga, prostituzione, televisione, progresso nichilista. Sono le immagini che appartengono alla vita di Harry e alla sua cerchia, sua madre Sara, la sua ragazza Marion, il suo amico Tyrone. Non esiste il Bene in "Requiem for a Dream". Solo il timido, flebile desiderio di fuggire dalla realtà. Harry che sogna di vendere un kg di eroina e di aprire un negozio di abbigliamento con i disegni della sua Marion, mentre con l’amico fidato Tyrone riesce a malapena a tirare avanti sostenendo le proprie abitudini; la madre di Harry, vedova che invece cerca di scrollarsi di dosso la letargia sognando di diventare la star di un quiz in televisione, mentre scivola anche lei in una dipendenza devastante nel tentativo di dimagrire. Promesse e illusioni di un mondo ormai divenuto incomprensibile, assurdo, destinato al tracollo. "Requiem for a Dream" è un ritratto e una critica inquietante del sogno e della cultura pop americana, della nozione di successo facile e della gratificazione veloce, oltre che un attacco feroce alle dipendenze e lle varie forme di ossessione che queste creano a persone innocenti e ordinarie, attraverso il lavaggio del cervello dei mass media.
Ormai una grossa fetta di tossicodipendenti non vivono più per strada, rubando e commettendo reati. La maggior parte di loro sono persone della classe media, che prendono farmaci e droghe attraverso i loro medici e farmacisti di fiducia. "Persone normali” con le famiglie, i sogni e le speranze, le stesse di chiunque altro, che fanno del loro meglio per vivere alla giornata, cercando di trovare un po 'di felicità senza ferire nessuno. Questo film ci porta in un limbo di autoriflessione, ansia, panico, paura nei confronti del progresso e della caduta dei valori della nuova generazione americana (e non). Lo squallore del film degenera in concomitanza con la rovina fisica dei protagonisti, fino all'esagerato, raccapricciante finale dal sapore granguignolesco. Ellen Burstyn (sesta nomination all’oscar per questo film) colpisce come un pugno sullo stomaco con la sua straziante interpretazione di Sara, e con il suo percorso autodistruttivo intrapreso che la porta lentamente alla disconnessione dalla realtà. Jennifer Connelly, Marlon Wayans e Jared Leto meritano tutti i complimenti per aver dato vita a personaggi difficili, ma in definitiva onesti. La trainante colonna sonora è dell’ex Pop Will Eat Itself , Clint Mansell, che fa da contrappunto e rafforza le immagini sempre più da incubo.





16/10/15

Oscuro, fumoso, cupo, pieno di alcol e solitudine: Mark Lanegan Post

Otto anni, otto lunghissimi anni dall'ultimo, meraviglioso Bubble Gum: Mark Lanegan torna ed è.. Funeral Blues. Un disco dal passato che non passa, ma con notevoli cambiamenti rispetto ai dischi precedenti, con le drum machine che spesso sostituiscono la batteria (nonostante in cabina di regia ci sia anche Jack Irons, ex batterista di mille e più band, tra le quali Red Hot Chili Peppers e Pearl Jam, in compagnia del fido Josh Homme e di Greg Dulli), in un disco elettrico dove synth e tastiere dominano, piuttosto che le magiche chitarre che hanno sempre caratterizzato il sound del buon Mark. Un lavoro che è un antidoto al nuovo conformismo dell'indie rock, al rock alla moda che non graffia e non scuote. Perchè il blues non è solo un genere musicale, ma uno stato d'animo, uno stato d'animo che M.Lanegan ha sempre avuto e che a noi piace, lo sentiamo nostro: oscuro, maledetto, fumoso, irrequieto, paludoso, cupo, pieno di alcol e solitudine ma sempre con una dose di ironia e speranza, di fondo. Mark ci fa sapere di non amare la stampa, il gossip, i riflettori. Gli piace stare per conto suo, con i suoi animali (cani..) e che la privacy è un bene ultra prezioso, di questi tempi. Come non amare lui e la sua musica?











Mark Lanegan - Funeral Blues 


Un album di cover, l'ennesimo. Estetico e melodioso, ripercorre i ricordi d'infanzia di Mark Lanegan e ne illustra  l'ampiezza, insieme alla portata delle sue radici. Con momenti di rara  profondità, questo disco che conferma Lanegan comunque  come una delle voci più potenti della sua generazione, non mi convince. Anzi, con l'esclusione di un paio di pezzi, "She's Gone" ( Vern Gosdin) e  "I'm Not the Loving Kind" del solito  John Cale, non mi è proprio piaciuto. Lo trovo pomposo, monotono, "lento". Forse solo perchè non mi piacciono gli "originali", ma il confronto con l'altro disco di cover di Mark,  I'll Take Care of You, del '99,  è impietoso.  Strano,  avevo letto un pò di recensioni in giro e i pareri sono discordanti: Imitation è considerato un ottimo album, quello della.."maturità" (!) e Blues Funeral come un passo falso. In totale disaccordo, considero il primo  disco, un ottimo disco di cover, non un omaggio alle canzoni di infanzia ma alle sue fonti d'ispirazione, primo tra tutti il J. Lee Pierce dei Gun Club  e  il secondo sperimentale, intrigante, con l'inserimento si synth e drum-machine, che ben si combinano con la sua malinconia. Perchè.. "tutte le canzoni che trasmettono positività e allegria, a me fanno venire una tristezza infinita. Perché dentro di te sai che le cose, nella realtà, saranno sempre diverse".
E' questa l'originalità del buon Mark, quella che tanto ce lo fa amare..


Imitation  (2013, Vagrant Records)
"Flatlands" - Chelsea Wolfe -- Chelsea Wolfe
"She's Gone" - Jan Paxton/Clarence White -- Vern Gosdin
"Deepest Shade" - Greg Dulli -- The Twilight Singers
"You Only Live Twice" - Leslie Bricusse -- Nancy Sinatra
"Pretty Colors" - Al Gorgoni/Chip Taylor -- Frank Sinatra
"Brompton Oratory" - Nick Cave -- Nick Cave and the Bad Seeds
"Solitaire" - Neil Sedaka/Phil Cody -- Andy Williams
"Mack the Knife" - Kurt Weill/Bertolt Brecht -- Bobby Darin
"I'm Not the Loving Kind" - John Cale -- John Cale
"Lonely Street" - Carl Belew/Kenny Sowder/W.S. Stevenson -- Andy Williams
"Élégie funèbre" - Gérard Manset -- Gérard Manset
"Autumn Leaves" - Joseph Kosma/Johnny Mercer/Jacques Prévert -- Andy Williams 


I'll Take Care Of You  (1999, Sub Pop)
Carry Home - 3:00 - (Jeffrey Lee Pierce)
I'll Take Care of You - 2:50 - (Brook Benton)
Shiloh Town - 3:22 - (Tim Hardin)
Creeping Coastline of Lights - 3:20 - (Leaving Trains)
Badi-Da - 3:21 - (Fred Neil)
Consider Me - 3:49 - (Eddie Floyd, Booker T. Jones)
On Jesus' Program - 2:45 - (Overton Vertis Wright)
Little Sadie - 3:23 - (traditional)
Together Again - 2:34 - (Buck Owens)
Shanty Man's Life - 3:12 - (Steven Harrison Paulus)
Boogie Boogie - 2:04 - (Tim Rose)


Mark_Lanegan_Imitation.rar
Mark Lanegan I'll Take Care of You 




11/10/15

Il ricciolo del diavolo: Misfits

Personaggi:
Bobby Steele, Jerry Caiafa, Glenn Danzig - Misfits

I Damned, è la prima band che alla fine del 1977 anticipa il goth. Dave Vanian, ( singer dallo stile vocale da crooner e unica presenza costante nella lunga e tormentata carriera della band) sarà anche il primo ad adottare il look da vampiro e impiega fin dall’inizio il face painting sul palco. La carriera dei Damned si incrocerà più volte - alla fine del decennio magico che furono i Settanta - con quella di un altro gruppo che porterà ancora più in alto l’asticella dell’horror punk: i Misfits, che ne diventeranno presto il contraltare a stelle e strisce e che andranno spesso in tour con la band inglese.

Band horror punk, hardcore, heavy thrash , speed metal, I Misfits si formano nel 1977, nel New jersey, guidati da Glenn Danzig, (Glenn Anzalone), destinato a diventare un’icona dell’hard rock e dell’horror rock grazie alla sua voce calda e particolare e l’attrazione per il cinema di fantascienza, horror e per i B-movie in generale. A Gerald Caiafa, bassista poi noto col nome di Gerry Only, si dovrà gran parte del look dei Misfits, a partire dalla sua particolare acconciatura, il “ricciolo del Diavolo”, più o meno, un ciuffo al centro del viso lungo fino al mento. Gli anni Settanta, nonostante le uscite e gli apprezzamenti in sede live, sono anni tormentati per i Misfits: caos durante i live, risse a colpi di bottiglie e coltelli, arresti, prigione. . Incidono una canzone dedicata all’attrice horror di serie Z Vampira, collaborano col regista del genere George A. Romero, proiettano spezzoni di film del terrore durante i live e nell’ottobre del 1982, il 17 del mese (il giorno giusto) saranno arrestati, insieme ad alcuni fan al seguito, per furto aggravato dentro un cimitero di New Orleans, il Saint Louis Cemetery , dopo un concerto coi Necros: si erano addentrati nel camposanto cattolico alla ricerca della tomba della leggendaria regina del voodoo bianco creola, ex parrucchiera e tenutaria di bordello nella città della Louisiana, Marie Laveau, morta il 16 giugno 1881. WALK AMONG US del 1982 è considerato uno dei migliori album punk di sempre e autentico manifesto della band del New Jersey. Glenn Danzig abbandona per sempre i compagni in una data a Detroit il 29 ottobre del 1983, e quello che verrà sarà un intrico di liti legali tra Danzig (che formerà la band che prende il suo nome realizzando una “striscia” di quattro dischi clamorosi, gli album solisti di Glenn sono numerati) e il resto della formazione per i diritti sul nome durate tredici anni, ( fino al 1995, anno in cui, finalmente, troveranno un accordo ) con interruzioni, resurrezioni e manipolazioni del combo che torna nel 1997 con American Psycho e Gerry Caiafa come leader e Michael Graves alla voce per continuare a sopravvivere..

i Misfits influenzeranno decine di band, con esplicito riconoscimento o meno, dagli Slayer a Marilyn Manson, agli alternative AFI, che adotteranno in toto il devil rock di Jerry Only.





09/10/15

Omaggio, tributo o talento: le cover di successo

Che siano un omaggio a un mito o un "collega" del passato (o del presente), un tributo alla bellezza e alla potenza della canzone che sembra perfetta, o solamente una ciliegina alla torta del successo raggiunto, le cover dal vivo o in studio sono la dimostrazione di un talento in grado di spaziare in altri campi e generi. Esistono tuttavia differenti casi - e qui se ne leggono alcune pensando agli esempi più famosi ed eclatanti - di rock band o solisti che hanno raggiunto le vetti delle classifiche (e talvolta artistiche) proprio grazie a una cover, che assurge a marchio di fabbrica, quasi a oscurare quanto di valido si faccia prima, durante o dopo. Ad esempio..


The Kingsmen, Louie Louie (1963)
Suonavano nel garage di casa, i Kingsmen,  quintetto di Pordand (Oregon), quando decisero di registrare la cover, incisa nel 1957 da Richard Berry, un calypso venato di r’n’b, sulla scia di Havana Moon di Chuck Berry (nessuna parentela fra i due).  Il pezzo ha una struttura semplice, quasi proto-punk, e piace subito ai ragazzi, centra in pieno l'obiettivo: i testi sono quasi incomprensibili e vennero giudicati osceni dalla borghesia dell'epoca, che ne proibì la diffusione presso alcune emittenti locali, il canto è rauco, il ritmo battente, con un solo e breve assolo, incontrò subito il favore dei dj radiofonici e di tantissimi adolescenti, facendo dei Kingsmen uno dei più duraturi complessini degli anni Sessanta.

The Animals, The House Of The Rising Sun (1964)
Il brano risulta, da tempo, inestricabilmente legato alla popolarissima cover dei cinque Animals, mentre le versioni precedenti, benché valide o imponanti, vengono quasi di colpo rimosse o trascurate.In origine il pezzo é un motivo popolare, scoperto dal musicologo Alan Lomax, che lo tirò fuori da alcune registrazioni degli anni Trenta.
The House ofthe Rising Sun viene in seguito ripresa e moditicata da un vasto numero di artisti, dal blues di Josh White e Leadbelly al folk di Pete Seeger e Joan Baez, da Bob Dylan al beat africano di Miriam Makeba. Ma è la versione del folksinger Johnny Handle ad attrarre la curiosità degli inglesi Animals, che la fanno propria con arpeggi di chitarra elettrica, con il ritmo scandito dall’organo e con il vocalismo strozzato dal whisky di Eric Burdon in chiave rock blues: gli Animals faranno della canzone un inno dei giovani, del beat e della British Invasion.

The Byrds, Turn, Turn, Turn (1966)
Pionieri del folk rock, David Crosby e Roger McGuinn cominciano a studiare le possibilità di incrociare i due mondi (il folk e il rock, appunto) partendo dalle chitarre. Da un lato McGuinn sceglie un'inglese Rickenbacker 12 corde perché il beatle George Harrison ne suona una; dall’altro Crosby sceglie numerosi pezzi del Bob Dylan acustico per il nascente quintetto. L’album di debutto Mr. Tambourine Man (1965) non a caso ha ben quattro cover dylaniane (title track compresa) con la band che va ancor più in profondità nel costruire un nuovo folk: in questa cover da Pete Seeger - che la scrive negli anni Cinquanta ma l'incide solo nel 1962 - David e Roger aggiungono inedite armonie corali, un suono chitarristico tintinnante, che va al la dell’aspetto meditativo originale. La cover dei Byrds vola al numero 1, mentre, negli anni successivi, molti original, firmati anche dagli altri membri' Gene Clark e Chris Hilhman, vantano successi inferiori, giacché i cinque "Uccelli" non raggiungeranno mai la top ten con una loro canzone.

Aretha Franklin, Respect (1967)
Nella versione originaria di Otis Redding del 1965, il brano è una hit di proporzioni modeste che non va oltre il numero 35 della Billboard Hot 100, ma un giovane quartetto, i Vagrants - ne fanno un exploit locale, nel 1967, con una versione garage rock -  il testo del soulman su onore e fedeltà aumenta il tasso di misoginia. Ci vuole un’altra grande Voce r'n’b, Aretha Franklin, per trasformare Respect da standard pop a personalissimo biglietto da visita musicale. Lavorando sul pezzo di Redding per l’album I Never Loved a Man the Way I Loved You, Aretha opta per un mutamento cruciale della prospettiva letteraria, assicurandogli un ruolo simbolico determinante come inno non ufficiale , dell'emergente movimento femminista. Sostenuta dalle sorelle Enna e Carolyn, - la Franklin esige rispetto anche nella giusta ripartizione della cover medesima, confermando che, sebbene Otis Redding scriva Respect, la canzone appartiene pure ad Aretha Franklin

Joe Cocker, With a Little Help from My Friends (1968)
Il brano viene scrirto dai Beatles ( Lennon/McCartney) con l'idea di dare qualcosa da cantare anche a Ringo Star per l’album Sgt.Pepper's Lonely Hearts Club Band (1967) affibiandogli, come sempre, i motivetti più facili e più stupidi. Ma, nelle mani di un ancora sconosciuto bluesman di Sheffield, il pezzo viene musicalmente stravolto da cima a fondo, diventando un lento rabbioso che monta in testa alle classifiche nel Regno Unito, facendo girare il nome di Joe Cocker all'estero, fino alla consacrazione iconica nella lunga performance a Woodstock. La versione di Cocker impressiona favorevolmente i Beatles che gli concedono la licenza a eseguire altri due loro pezzi per il secondo album, la stella di Joe continua a brillare <<con un piccolo aiuto>> di questi e altri amici (il  jamaicano Jimmy Cliff per esempio) grazie ai quali offrirà splendide versioni delle loro canzoni.L'immagine e la carriera del vocalist fricchettone però, rimarranno  per sempre legate alla sua.. Friends.

Ike and Tina Turner, Proud Mary (1970)
All'epoca in cui registra il celebre pezzo dei Creedence Clearwater Revival, il duo soul afro - americano ha già alle spalle oltre un decennio di carriera e circa venti album a proprio nome. Ma, nonostante diversi tentativi in direzione pop, il successo si rivela quasi sempre effmero per i coniugi Turner, quando passano dal r’n’b al mainstream. Fresca dell’esperienza come supporter per i concerti dei Rolling Stones, l‘anno prima, la grintosa coppia non è estranea alle cover di notissime melodie rock: ecco quindi per Ike & Tina il biglietto da visita con l'eccitata ed eccitante interpretazione (soprattutto nella provocatoria sensualità della vocalist) della hit che i Creedence incidono un anno prima. Proud Mary in chiave black raggiunge il quarto posto nella hit parade, vendendo, come singolo, più di un milione di copie, guadagnando l'apparizione all'Ed Sullivan Show, cosi come la vittoria di un Grammy per la migliore performance di r’n’b vocale nel 1972.

Elvis Costello, (What’s So Funny about) Peace, Love and Understanding (1970)
In veste di cantautore rock, Elvis Costello è l’artefice di alcune tra le più belle composizioni dell'era post post punk, da Alison a Pump it Up, da Almost Blue a Everyday I Write the Book. Ma la canzone che meglio lo rappresenta (e per la quale è conosciuto in tutto il mondo) viene scritta nel 1970 dall'amico e produttore Nick Lowe, il quale é anche il primo a registrarla con la propria pub band nel 1974. (What's So Funny 'bout) Peace, Love and Understanding nell’immenso songbook costelliano vanta dunque la vita piu lunga, il che è tutto dire considerando la feroce concorrenza di ben altri pezzi dello stesso geniaccio londinese.

Joan Jett, I Love Rock’n’Roll (1979)
Stando agli unanimi consensi attorno alla band, il nuovo singolo degli Arrows dovrebbe essere il colpo grosso per tutto il 1975: presentato in un noto show televisivo inglese (come pure negli States), non basta per risalire nelle classifiche britanniche. Invece, Joan Jett, che vede il gruppo negli Stati Uniti da spalla al tour delle Runaways, é folgorata da I Love Rock'n’Roll che subito incide assieme a musicisti come SteveJones e Paul Cook dei Sex Pistols. Il brano originariamente appare quale lato b di You Dont Own Me, ma Jett non è soddisfatta e quindi lo registra di nuovo nel 1981 assieme al proprio quartetto The Blakhearts: la grinta hard rock della cover vale la cima di Billboard e la carriera solista della bruna cantante di Filadelfia.

Kim Carnes, Bette Davis Eyes (1981)
Scritto nel 1974 da Donna Weiss e Jackie DeShannon, quest'ultimo musicista di talento che nel 1964 apre la tournée americana dei Beatles e poi compone brani assieme a Jimmy Page e Randy Newman - il brano trae ispirazione dal film drammatico e proto-femminista Perdutamente tua (1942), grazie alla scena in cui Paul Henreid accende una sigaretta a Bette Davis. Diversi anni dopo, Weiss porta la canzone a un’amica, la cantante e autrice Kim Carnes: e dopo che il tastierista Bill Cuomo ripulisce la melodia con alcuni synth, Bette Davis Eyes è pronta a decollare, restando al n° 1 per nove settimane nelle classifiche e vincendo sia il Grammy Award sia il Record of the Year del 1982.

Soft Cell, Tainted Love (1981)
Nel 1976, la cantante soul americana Gloria jones - già corista nei T. Rex, nonché fidanzata del loro epico frontman Marc Bolan - riregistra questa canzone già incisa nel 1964: e proprio durante i Sixties il meditabondo e cadenzato inno strappalacrime resta un punto fermo dei dj inglesi di gusto northern soul. Ma Tainted Love diventerà famosa nel mondo nel 1981, quando il duo inglese con Marc Almond e David Ball ne offre una versione tecnopop arrivando in testa alle patrie classifiche e all'ottavo posto negli Stati Uniti. A proprio vantaggio, i Soft Cell non giocano sulla fedeltà o sulla nostalgia: la cover è di proposito lenta, misteriosa e sensuale, un inno dancefloor duraturo che contesta l'idea che i sintetizzaton tipici della new wave debbano per forza apparire freddi o spersonalizzanti.

Sinead O’Connor, Nothing Compares 2 U (1989)
La versione originale resta sostanzialmente dimenticata, benché venga eseguita da The
Family, un progetto utilizzato da Prince (e con ex membri di The Time) come valvola di sfogo per il copioso songwriting di Minneapolis. Rimasto nel dimenticatoio per due-tre anni, dunque vicino al fallimento commerciale, il brano viene però riconsiderato dal manager di Sinead O'Connor che lo suggerisce, quale single, alla giovane cantautrice irlandese, che, a sua volta, lo muta nel maggior successo di una lunga e impegnativa carriera. Grazie a lei Nothing Compares 2 U ispira una vagonata di nuove cover, con Prince che inizia a suonarlo dal vivo, fino a farne una propria versione nell'album Hits. Resta tra l’altro la canzone che spinge la calva dublinese verso i riflettori del mainstream, un genere in cui si trova spesso a disagio sul piano esistenziale.

The Lemonheads, Mrs.Robinson» (1992)
Sulla scia di Nevermind dei Nirvana che fa impazzire l'industna musicale dei primi anni Novanta, le grandi major americane propongono contratti favolosi a qualsiasi giovane band il cui credito indie rock sembri vagamente commerciale. Solo dopo la firma sugli anticipi, lo show business si accorge che in fondo i vari gruppi alternativi, salvo rarissime eccezioni, non vanno al di la di audience specialistiche. Infatti l'eccellente album It's a Shame about Ray del trio di Boston originariamente non include la cover dell’ormai classicissima ballata di Simon & Garfunkel, ma quando le <<teste di limone>> registrano un video per il 25° anniversario del film Il laureato (dove Mrs. Robinson è di fatto il leit-motiv), la nuova versione (molto più rock) decolla. E l'Atlantic ristampa quasi subito It’s a Shame about Ray con l'aggiunta della cover. Il tutto funziona, anche perché Mtv offre alla fresca Mrs. Robinson molto più spazio di quanto faccia con gli altri pezzi dell‘album. Ma né prima né dopo i Lemonheads riescono a conseguire tanta attenzione mediatica.

Jeff Buckley, Hallelujah (1994)
Per molti, l’Hallelujah dello sfortunato Jeff Buckley (morto giovane come il padre Tim, anch’egli cantautore) è la versione deiinitiva del brano stesso, ignorando che non si tratta di un original, bensi della cover di una cover. Buckley s’ispira difatti alla versione del 1991 dell’ex Velvet Underground John Cale, il quale, a sua volta, pesca da quella autentica composta dal canadese Leonard Cohen nel 1984, comunque già famosa nei toni poeticamente oppressivi e deprimenti. In circa trent’anni le cover di Hallelujah sono quasi seicento in almeno venti lingue e’ nel 2008 vantano oltre cinque milioni di copie vendute nelle interpretazioni di Buckley, Cohen, Cale, come pure di Rufus Wainwright o anche di me dell‘uragano Sandy.

Run-D.M.C., Walk This Way (1986)
Non c'é dubbio che i Run-D.M.C. abbiano un posto assicurato nella storia della musica anche senza la cover del pezzo hard rock degli Aerosmith uscito nel 1975, ma il successo commerciale del trio hip hop inizia (e per certi versi si conclude) con il rifacimento black di Walk This Way undici anni dopo. Il brano - prodotto da Rick Rubin con la partecipazione di Steven Tyler e Joe Perry, i due leader del quintetto di Sunapee - risulta il primo rap in assoluto nella top five di Billboard, confermandosi, alla distanza, fondamentale nella messa a punto del 'cosiddetto rap rock (e la clip ne rappresenta simbolicamente l'incontro/scontro).

Los Lobos, La Bamba (1987)
Los Lobos, insieme dal 1973, con oltre venti album alle spalle, è il sestetto tex-mex (o rock Chicano) più noto in assoluto e osannato nel mondo per le singolari versioni del repertorio folk messicano. I <<Lupi>> vengono chiamati per la musica di Richie Valens nel biopic La Bamba di Luis Valdez, nella cui soundtrack si ascoltano sei canzoni dello sfortunato cantautore, morto a diciassette anni nell’incidente aereo in cui perdono la vita anche Buddy Holly e Big Bopper. E La Bamba originale, che rilanciata postuma nel 1959 si piazza al numero uno in otto paesi (compresi Stati Uniti e Gran Bretagna), e assunta e pensata da Los Lobos quale omaggio al genio precoce del losangelino, che dal quartiere multiemico di Pacoima, rima in chiave pop rock, una song latina di solito cantata in occasione di matrimoni e battesimi nello stato di Veracruz. L' originale, un po' piu lento rispetto alle due cover, è documentata fin dal 1830.


07/10/15

Rock-star accademici: improbabili e qualche eccezione


Abbiamo già parlato di come un paleontologo di fama, con un dottorato alla Cornell University di L.A. (Ucla) possa contemporaneamente essere il leader di uno dei gruppi più influenti dell'intera scena punk della West Coast americana. E infatti il rocker oggi più affermato che riesce a coniugare la vita da musicista e contemporaneamente l’attività accademica è senza dubbio Greg Graffin, cantante e leader dell'ormai storico gruppo punk californiano Bad Religion. La sua carriera musicale inizio nel 1981 quando era ancora al liceo, con il suo gruppo pubblica l’album How Could Hell Be Any Worse?, disco capostipite per il punk della West Coast. La band non ottenne però al momento grande successo commerciale e questo permise a Graffin di proseguire gli studi prima alla University of California e poi alla Cornell University dove consegui un Phd in geologia. A partire dal 1986 però i Bad Religion diventarono una delle principali band punk-rock americane, e il loro successo diventò rapidamente internazionale. Graffin riuscì comunque a proseguire l’attività accademica scegliendo come campo privilegiato di studi la biologia evolutiva e ottenendo un insegnamento presso la Ucla. Tra le canzoni della band appaiono titoli come <<Processo di Markov>>, <<Entropia>>, <<Big Bang», <<L'aspetto positivo del pensiero negagativo>> e <<Ad hominem>>.

<<E sempre stata l’unione di accademia e musica che mi ha arricchito di più>>. Per la storia di Gregg, rimandiamo al post già pubblicato.

Continuiamo invece con un famoso verso di No Surrender, tratta dall'album Born in the Usa di Bruce Springsteen: <<Abbiamo imparato di più da un disco di tre minuti che da tutto quello che ci hanno insegnato a scuola>>. Chi di noi non l'ha mai pensato almeno una volta? Tuttavia, un numero folto di musicisti e rockstar ha avuto un passato (o un presente) da professore e docente, talvolta (come sopra) addirittura con esiti di un certo prestigio.

Tutti credo sanno di Sting, leader dei Police e poi idolo di tutti gli yuppies di questo mondo: prima di diventare la star alla guida dei Police si laureò all’Università di Warwick, insegnando poi alla scuola elementare cattolica St. Catherines Convent School di Newcastle. Letteratura e musica le sue materie, oltre che allenatore di calcio, con risultati che egli stesso ha definito scarsissimi. <<Per me è stato un inferno - ha detto il cantante in un’intervista rilasciata nel 2006 - Tentavo di ispirare i ragazzini solo insegnando loro quello che piaceva a me. Questo alla fine si riduceva alla poesia e al calcio, il resto non ero proprio capace di insegnarlo>>.

Gordon Summer, professore di giorno e musicista jazz di notte, per la sua abitudine a esibirsi vestendo un curioso maglione giallo e nero, che lo faceva apparire simile a un’ape si meritò il soprannome di Sting, il pungiglione. Il trasferimento a Londra nel 1977, in piena rivoluzione punk, e tutti sappiamo come sono andate le cose: nacquero i Police che due anni dopo raggiunsero i vertici delle classifiche inglesi e americane. Ritornando alla sua breve esperienza come maestro, in Don’t Stand so Close to Me (1980) Sting descrive i turbamenti di un professore alle prime armi per una sua alunna: <<Il giovane maestro, l’oggetto/della fantasia di una ragazzina/ lei lo desidera cosi tanto /la ragazza ha la metà dei suoi anni/ Non starmi cosi vicina». Lui nega che il brano sia autobiografico, ma nessuno ci crede.

E' quella di Kris Kristofferson la storia che più mi ha incuriosito e appassionato. In breve, conosciamo Kris come una star della musica country e del cinema, ma da ragazzo Kristoiferson vinse quattro premi dell’autorevole Atlantic Monthly per scritti di fiction e dopo la laurea con lode in lettere al Pomona College gli era stata assegnata nel 1958 l’ambitissima Rhodes scholarship grazie a cui andò a studiare a Oxford. Alla fine deli studi decise pero di andare volontario nell’esercito dove divenne capitano e pilota di elicotteri, che lo portò poi ad insegnare nella più titolata accademia militare americana, West Point. Quì rifiutò una cattedra di lingua inglese, perchè la passione per la musica era troppo forte. Smessa la divisa, andò a Nashville dove il suo primo impiego fu per la Columbia records che però lo assunse per pulire i pavimenti di uno studio di registrazione. Fu in quell’occasione che conobbe Johnny Cash il quale incise - portandolo al successo - il suo brano Sunday Mornin' Comin Down. Che storia!

Anche Art Garfunkel nel 1962 si laureò in storia dell’arte alla Columbia University di New York. Per tutti gli anni Sessanta alternò la carriera musicale a quella di docente alla Litchfield Preparatory School in Conneticut, un incarico che tenne anche quando la sua carriera in coppia con Paul Simon lo aveva reso una star. Garfunkel lasciò definitivamente l'insegnamento nel 1970, mentre il suo partner Paul Simon, proprio lo stesso anno, fu chiamato dalla New York Univeristy per un corso dedicato al songwriting. Il seguito di Simon era tale che si decise di selezionare le iscrizioni attraverso alcune audizioni. ll corso, che non venne ripetuto, riuscì a produrre una sola autrice che ebbe poi successo, Melissa Manchester che ha avuto una lunga carriera e ha prodotto due singoli celebri Midnight Blue e You Should Hear how She Talks about You, vincendo anche un Grammy Award.

Anche la storia di Robert Leonard è avventurosa. Geniale ed eclettico personaggio, riuscì a passare da Woodstock all’Fbi fino ad approdare a una Cattedra universitaria. Negli anni Sessanta Leonard fondò gli Sha Na Na, protagonista del primo vero revival della storia del rock, riproponendo in maniera coreografica alla generazione degli hippie i classici dei primi anni Cinquanta <<A quei tempi di sperimentazioni - ha ricordato Leonard in un'intervista - sembravamo la vera avanguardia, tanto che Frank Zappa (!!!) ci definì il gruppo più strano che avesse mai visto. A uno dei nostri primi concerti vidi che nelle prime file, in piedi su una sedia, c’era Jimi Hendrix che saltava e ballava. Venne da noi e ci disse che eravamo bravi. Passammo con lui tutta la serata».

L’amicizia con Hendrix li portò dritti al festival di Woodstock dove tennero una scatenata e divertente esibizione decisamente in controtendenza con lo spirito della manifestazione. La band ebbe un momento di grande fama, ma i progetti di Robert Leonard erano un po’ diversi. Decise di lasciare i compagni e di proseguire gli studi ottenendo un Phd alla Columbia University in linguistica. <<A 21 anni avevo già suonato a Woodstock, e al Fillmore West di San Francisco dove ho bevuto vino con Janis Joplin, ho inciso dei dischi, mi sono esibito al Johnny Carson Show. Ma c’erano altre cose nella vita che volevo fare». Leonard è stato un pioniere degli studi in linguistica forense diventando consulente della polizia federale in diverse delicate investigazioni per omicidio. La sua passione per le lingue lo ha portato anche in Africa dove ha studiato diversi dialetti ed è diventato un esperto di Swahili di cui è ancora docente presso la Hofstra University di New York, dove dirige il dipartimento di linguistica. La sua figura di esperto linguista ha anche ispirato un personaggio di un romanzo dell’antropologa forense e scrittrice di gialli Kathy Reichs. Wow!

Che dire di Gene Simmons? Bassista dei Kiss, il vampiro sputa-sangue, l'uomo dalla lingua più lunga del mondo, l’autocelebrato sesso-dipendente, è stato professore in una scuola media non certo raccomandabile a New York, nel quartiere di Spanish Harlem. <<L'ho fatto solo per sei mesi' e volevo uccidere ogni singolo ragazzin>> Ci crediamo. Nel 2004 Gene é tornato dietro la cattedra nell reality show inglese Rock School che l’ha visto impegnato con alcuni ragazzini di un liceo britannico e l’obiettivo di creare una rock band.

Ci sono poi JT Taylor, leader del gruppo dance-pop Kool and the Gang, che dopo una borsa di studio alla Norfolk State University, divenne insegnante alla scuola per infermieri mentre si cimentava come cantante nei club all’alba della stagione d’oro della disco-music. Fu solo grazie a un audizione che iniziò la carriera professionale nella musica.

E Shery Crow, che ha insegnato per un periodo nella scuola elementare Kellison a Fenton in Missouxi. Diplomata all’Università del Missouri e all’inizio di una stentata carriera musicale alla guida di un gruppo chiamato Kashmir, sbarcava il lunario insegnando musica. Lasciò per approdare in California, dove riuscì a diventare la corista di Michael Jackson. Dieci anni dopo l’uscita dal College pubblicò l’album Tuesday/NightMusic Club destinato a vendere quasi 5 milioni di copie.

Chiudiamo con Bono degli U2.
<<Non penso ci sia nulla di più improbabile della visione di una rock-star nelle vesti di un accademico, mi ricorda le persone che vestono i loro cagnolini in cappottini di tartan. Non è naturale e i cani non diventano certo più intelligenti...» Siamo al 17 maggio 2004, quando l’università di Penn State di Filadelfia, prestigioso ateneo della Ivy League, gli conferì il titolo di Doctor of Law, dottore in giurisprudenza per il suo impegno e il suo ruolo a favore dell’Africa. ln quell'occasione, arringò gli studenti in un appassionato discorso:<<Dottore in legge. Tutto quello che riesco a pensare sono le leggi che ho violato! (...) No, non sono mai andato al college. Ho dormito in posti molto strani e vi assicuro che la biblioteca non è mai stata uno di questi. Ho studiato rock'n'roll e sono cresciuto a Dublino negli anni Settanta, la musica fu per me una sveglia. Mi svegliò nei confronti del mondo». Alla fine però Bono ha saputo dare agli studenti di Penn State la sua morale:
<<ll mio punto di vista e che il mondo è più malleabile di quanto voi possiate immaginare e sta solo aspettando un martello che ‘riesca a plasmarlo. Se fossi un cantante folk mi metterei subito a cantare ‘Datemi un martello. Ma vengo dal punk-rock e quindi preferirei avere quel martello nel mio pugno. Ricordate che il vostro titolo di studio è proprio questo, un semplice strumento. Cosi dovete andare avanti e farci qualcosa. (...) Questo è il tempo per le misure audaci e voi siete la generazione». A posto, e seduti...



06/10/15

E non sapevano nulla della rivoluzione compiuta da Little Richard e Bob Dylan: Valerio Morucci - A guerra Finita


Non è che gli italiani non ne vogliano sapere di mettersi alle spalle gli anni di piombo, infatti non amano parlarne, e quando lo fanno, come nel caso Battisti, lo fanno a vanvera: ad esempio, "inaccettabili e fuori luogo" le proposte di boicottare i prodotti brasiliani, il turismo e di non mandare gli atleti a concorrere ai mondiali militari, che si sono fatte strada all'interno della politica italiana (e non solo) nei momenti più caldi della polemica. Ci sono cose che la cultura e la politica italiana non hanno saputo far capire all'interno del nostro Paese, e forse neanche siamo riusciti a far comprendere anche a Paesi amici vicini e lontani che cosa hanno significato quegli anni. Soprattutto, non sanno o non vogliono chiedersi, al riguardo, il perché un numero non trascurabile di giovani decise, all’epoca, di tentare la strada della lotta armata. La nostra opinione è legata alle strategie di tensione e di provocazione che settori dello Stato misero in campo a partire dalla strage di piazza Fontana del 12 dicembre 1969. Strage che le ricostruzioni storiche più attendibili attribuiscono a settori dei servizi segreti, con complicità o addirittura direttive internazionali e manovalanza fascista. Su queste trame non è stata mai fatta la necessaria giustizia, punendo esecutori, mandanti e strateghi ad alto livello. Ci furono poi le stragi successive, come quella di Brescia, di Bologna, l’attentato alla questura di Milano, e tanti altri episodi ancora. Condanniamo senza indugi la scelta della reazione armata, ma bisogna prendere atto del fatto che tutti coloro che furono responsabili di questa scelta hanno da molto tempo riconosciuto che si tratta ormai di un’esperienza finita, rispetto alla quale molti di essi si rapportano in modo autocritico. Quasi tutti hanno pagato il loro debito con la giustizia e quindi, ci sono tutte le premesse, per chiudere definitivamente una pagina triste della storia nazionale...


... e poi.. Master of War, It's a hard rain's gonna fall..
Si conoscevano da sempre, da quando tutto ebbe inizio: l'assalto al cielo del febbraio '68, poi a marzo, lo shock e insieme all’acre sapore del primo scontro: Valle Giulia..
Stesse esperienze, stessa formazione. Carlo era finito poi in Prima Linea, mentre Enrico, forse perché' aveva anticipato un po' le proprie scelte, era entrato nelle Br (...)


"Enrico carissimo, anch’io in questi anni mi sono posta molti interrogativi su di te, e sulla storia di molti altri e non sempre ho trovato le risposte. Conosco parte del tuo ragionare da quello che ho letto in questi anni, ma mi manca il lato più personale delle tue scelte. Spesso abbiamo discusso con rabbia. Da una parte emergeva l’estraneità verso gesti folli, dall'altra le distinzioni, l'affetto, l'amicizia, i ricordi personali e umani per ogni singolo volto da tempo scomparso.."

Dopo anni, e con qualche reticenza, si levavano da più parti altre voci critiche sulla lotta armata. Molti che ne erano stati protagonisti cercavano ormai spiegazioni, analisi convincenti. "Cara Francesca, le cose sono in continua evoluzione ed io credo che lo sforzo maggiore vada compiuto per rispondere anche alle domande, intime e imbarazzanti, che tu poni. Le domande di chi ha condiviso con noi le nostre stesse speranze ma non le stesse scelte. E oggi chiedi 'perché'?. Non il perché' ufficiale, da consegnare ai documenti, all'arida carta, ma il perché' umano, personale. Oggi ne parlavo con Carlo durante l'ora d'aria e, come al solito da un po' di tempo a questa parte, siamo finiti ai ricordi non certo 'politici'.."

"Una volta si diceva che si lottava per la Dittatura del Proletariato", lo interruppe Enrico, "per la rivoluzione, per lo stato borghese; oggi anche i più incalliti militaristi dicono che in realtà lottavano per la 'trasformazione' della società...

"...Quello che può dar fastidio, Francesca, è che in politica ogni ciclo ha la sua parola chiave. Si è scoperto nel fallimento della lotta armata che la 'rivoluzione' era una parola troppo netta, aggressiva (oltreché' inadatta a esprimere progetti di modificazione di una società complessa) e si è passati alla meno contundente 'trasformazione, fingendo che sempre di questo si fosse parlato.."

"Rimane una superficie liscia" disse Enrico "non si riesce a rendere ragione di ciò che veramente ci sentivamo dentro quando compivamo certe scelte, del perché' vero, non quello cosciente, razionalizzato, autogiustificatorio. Certo, la politica può spiegare convincentemente la parte emersa del continente lotta armata: la parte tutta ideologica che poco c'entrava con la società reale. Una lotta armata e un terrorismo piovuti dal passato; una roba da marziani, egregiamente rappresentata dalle Br. Quelle mettevano giù piatte il manuale marxista-leninista dell'avanguardia di massa che preparava pezzo su pezzo l'insurrezione operaia. Conoscevano a menadito qualche capitolo di Stato e Rivoluzione e del Che fare?.."

"..e non sapevano nulla" aggiunse Carlo ironico "della rivoluzione, fondamentale per la nostra generazione, compiuta da Little Richard e Bob Dylan".
"Già'. E non sapevano neanche nulla della violenza di cui tanto parlavano" riprese Enrico "Delle sue leggi, le sue regole. Dilettanti in confronto ai veri professionisti. Quelli sapevano, con Machiavelli, che la violenza va usata tutta e repentinamente. Poi la pace del nuovo ordine. Santo Domingo, Persia, Indonesia, Italia, Grecia, Cile, Argentina.. Ne avevano di esperienza! Un solo piano tirato al ciclostile e poi adattato dagli agenti in loco. I palazzi da occupare, chi ammazzare, chi far sparire, chi internare. Noi invece a centellinarla pezzo a pezzo. Altro che terroristi, pedagoghi. Se avessimo seguito la strada di Guy Fawkes anziché' quella di Osvaldo Peci.."

"... I confini, Francesca, non erano più netti come una volta, gli operai apparivano sempre più simili ai giovani che nel '77 avevano invaso le piazze, portandovi il disagio, la rabbia e la voglia, matura e azzardata a un tempo, di vivere una vita più ricca, anche fuori dalla sfera della produzione, del lavoro. Quelli invece stavano ancora fermi alla 'fabbrica come luogo di disciplina rivoluzionaria', alla lotta armata come scelta obbligata imposta dai 'padroni'. Roba da museo, anticaglie sopravvissute solo per l'arretratezza generale del sapere politico in questo paese.."
"Sarebbe ora" insistette Enrico "che ci guardassimo in faccia e ci dicessimo le cose come stanno, senza fare i furbi. Sarà impolitico..ma chi se ne frega. Dobbiamo darci una ragione credibile per quello che abbiamo fatto e per quello che stiamo pagando. Io non ci sto a farmi trent'anni di galera nella camicia stretta del 'rivoluzionario' e neanche, come oggi è più di moda dire, perché' volevo 'trasformare la società. Chiacchiere che se provi a dirtele davanti ad uno specchio ti viene da ridere, prima, e da piangere poi. La mia ragione di fondo, anzi, la mia passione, è stata da sempre trasgredire, rompere l'ordine, le maglie che mi tenevano stretto.."

"..Le magli che tenevano stretto non so neanche io cosa, Francesca. Dentro c'era insofferenza, rabbia, certo; lo sai. Poi tutto questo è entrato nell'impegno politico, nelle lotte del movimento; e lì tutto è diventato più indecifrabile.

"...E' grossa, forse, ma potrei dirti allora che la lotta armata può essere stata il surrogato di una mancata esperienza culturale. Se così è stato, essa ha espresso allora la parte più radicale delle tensioni, dell'insofferenza, della rabbia che era andata crescendo in tutti i nostri anni '60: i Kennedy, Luther King, Lumumba, Steinbeck e Whitman, Osborne e gli Hungry Young Men, e poi.. Master of War, It's a hard rain's gonna fall, la strage del Vajont, il sangue di Ignacio, il Canto general e l'anima lacerata di Majakovskij, La solitudine del maratoneta, King and Country (che dolore il volto martoriato di Courtney, così ingenuamente tenace e per questo così irrimediabilmente sconfitto..).
E l'intrattenibile gioia della trasgressione. Forse già venata da un inconsapevole annuncio di sconfitta. La spinta folle (ma era poi folle?) di Rhet Butler: abbracciare una causa solo proprio perché' è persa..."

Il flusso di parole in sintonia correva rapido tra i due. In galera succede così. Si può andare avanti e indietro per ore, coprire cento e più 'vasche', smozzicando avari pezzi di conversazione oppure, al contrario, arrancare nel tener dietro al fluire concitato delle parole. Foss'anche il rimandarsi, in una gara senza fine, di tutte le battute e le facce dei cento film americani ripassati dalle tv locali (...)
O come la storia del cucciolo di labrador entrato di contrabbando in un carcere speciale dei più duri. Cresciuto poi clandestinamente fino a che, ormai troppo grosso e cattivo, nessuno, tranne il padrone e i suoi amici, aveva più il coraggio di avvicinarlo. Cane che aveva condiviso la più rigida clausura e aveva respirato aria e tensione, sviluppando un odio feroce per ogni divisa e che, quando qualche incauta guardia cercava di sorprenderlo nel sonno (figurarsi! lui che, come il padrone, aveva imparato a dormire con un occhio solo e le scarpe da tennis ai piedi) la preferiva alla sua dieta abituale, risputandone fuori, con soddisfazione, solo le suole e le mostrine..

Valerio Morucci - A guerra Finita


 

05/10/15

Limitless, una pillola pop difficile da abbandonare

No Spoiler! Non siamo proprio sul pezzo, e infatti questo è un film del 2011. In Limitless, Eddie Morra è un aspirante scrittore. Ha ricevuto un anticipo per il suo primo libro ma soffre di un blocco cronico dello scrittore e non ha scritto ancora neanche una parola del romanzo che deve consegnare. Vive ai margini in un appartamento a Chinatown, ha i capelli ispidi e si veste come uno che vive per strada. Fuma troppo, beve troppo e scrive troppo poco. Quando anche la sua ragazza, stufa dei suoi fallimenti lo molla, sulla strada di Eddie compare il fratello della sua ex moglie, che si offre di aiutarlo con un nuovo miracoloso farmaco: l'NZT, una pillola di vetro translucida, una caramella pop che, dice, permette di sfruttare il restante del solo 20% di potenziale che il nostro cervello usa. La sua vita cambia immediatamente. Dopo averla presa, i suoi poteri di osservazione vengono intensificati all'impazzata, come il miglior detective della polizia. Improvvisamente conosce i nomi di tutto, inizia a recuperare frammenti di cose che ha visto solo in un lontano passato e in una frazione di secondo, riesce a finire il suo libro in meno di una settimana. Con la pillola miracolosa tutte le paure, tutta la timidezza scompaiono in un lontano ricordo. Eddie sintetizza il tutto in una frase: 
<<Non ho manie di grandezza, ho una ricetta per grandezza.>> 
Solo che le scorte del NZT non sono infinite, e gli effetti collaterali dell'astinenza dal farmaco sono brutali. Non di meno, i suoi successi catturano l'occhio del mega-magnate Carl Van Loon (De Niro), e lo espongono all'attenzione di persone disposte a tutto pur di mettere le mani sulla sua scorta di piillole miracolose.

Eddie schiva stalker misteriosi, gangster viziosi e psicopatici, un intensa indagine della polizia, tutto nel tentativo di salvare la sua fornitura di droga e abbastanza a lungo per sconfiggere i suoi nemici. La storia è raccontata in un lungo flashback, piena di metafore sul potere e sul controllo, che sono ormai all'ordine del giorno nelle nostre vite. Il film trova un gran ritmo nella fase iniziale che cresce più implacabile e forsennato una volta che Eddie ha le chiavi della sua mente: questa vivida satira sulla vita onirica indotta da una pasticca ha episodi che hanno la ferocia di un film indipendente girato in una piccola repubblica post-sovietica. La storia è tratta dal romanzo di Alan Glynn "Dark Fields", ha una grafica vertiginosa e abbagliante, che tende a distrarci da una storia deliziosamente complicata. Il regista utilizza effetti fisheye, inquadrature ravvicinate e una colonna sonora super-amplificata per mostrare come cambia la percezione di Eddie: vede altre versioni di se stesso, mentre scrive libro, e pulisce il suo appartamento sporco.

E' un concetto interessante quello che una droga possa permettere di utilizzare il 100% delle potenzialità della nostra mente: che cosa si potrebbe fare con una capacità intellettuale così apparentemente illimitata? Sono andato un pò in giro e ci sono opinioni discordanti: per alcuni è una totale assurdità, dato che gli esseri umani nel corso di una giornata apparentemente utilizzano praticamente tutto il potere del cervello, anche se non tutto in una volta, ovviamente. Ma comunque l'idea resta interessante, perchè considerata la materia e senza esplorare completamente le idee e le domande che pone in primo piano, è ironico e non si prende troppo sul serio. Risulta comunque, all'altezza delle premesse.
La morale della storia ci spinge allo "stare attenti a ciò che si desidera", e a un ammonimento sulla tossicodipendenza, ma il finale è strano e impropriamente ammiccante: una volta iniziato.. è quasi impossibile smettere.
La recitazione del cast principale è stellare. Bradley Cooper risulta convincente, sia come perdente senza futuro e sia come uomo d'affari soave e sofisticato, mentre è molto pesante il supporto che fornisce Robert De Niro. Un successo inaspettato nel sottobosco underground del 2011, un thriller divertente passato totalmente inosservato in Italia.






03/10/15

Tina S, 14 anni di elettricità

Uno si arrovella, si accapiglia furiosamente sul proprio strumento, lo carezza, lo maltratta, ci parla.. Poi, vedi queste immagini e.. meraviglia delle meraviglie. Caspita, ha 14 anni, ha solo 14 anni! Ed è francese. Non che si sappia molto altro di questo autentico fenomeno della chitarra elettrica, che ha fatto innamorare i Van Halen dopo averla ascoltata in un rifacimento di un loro brano, "Eruption". "Tina S", questo il nome della ragazza è ormai una star,  sul suo canale YouTube non si contano le visite e i commenti.Tutti la cercano, musicisti, conduttori di talk show, ma per il momento Tina sembra volersi tenere alla larga dalle grinfie della celebrità. E' tornata con una esibizione che coverizza un tributo di Patrick Rondat alle 4 Stagioni di Vivaldi, un estratto dall'Estate del grande violinista in stile speed metal, in cui viene fuori tutta la sua mostruosa (è proprio il caso di dirlo) tecnica, abilità, la destrezza incredibile, che testimoniano una devozione assoluta alla sua passione. Un vero prodigio e un genio della chitarra, che saluto con rispetto (anche dovuto alla sua giovane età..) e con un pò di..invidia. Ammirate, amanti della musica..





Flop 2: Fallimenti frustranti, ma nobili


Ancora flop, tra i tanti gruppi e artisti che producono e commercializzano album che alla fine hanno delle grandi difficoltà a trovare il loro posto nel complicato mondo dello showbiz. Non sono solo emergenti e artisti ‘minori’, ma anche quelli che sono stati grandi o almeno ritenuti tali.


Kaiser Chiefs - ‘The Future Is Medieval’
Dopo quattro album il gruppo, uno dei pochi uscito vittorioso da My Space, aveva deciso di fare qualcosa di diverso e rendere l'album disponibile per l'acquisto su Internet, offrendo la possibilità di scegliere i brani per la tracklist finale. Purtroppo, (per loro) alla fine il disco è scivolato nell'oblio.
 "La pubblicità intorno allo 'scegliere la propria versione' ha oscurato completamente il CD così tanto che nessuno sapeva che era uscito.", si strinse nelle spalle il bassista Simon Rix.



Smashing Pumpkins ‘Adore’
Dopo il successo planetario di 'Mellon Collie And The Infinite Sadness'. 'Adore' era uno degli album più attesi del '98. I conflitti all'interno della band e la partenza di Jimmy Chamberlain reso loro la vita difficile, e Billy Corgan definì il disco come quello di "una band che cade a pezzi". L'album andò fuori dalle classifiche non solo americane nel giro di poche settimane. Eppure l'album non è male, e neanche Ava Adore, il singolo lanciato con un magnifico video (premiato come "video più elegante" alle VH1 Fashion Award del 1998) riuscì a trascinare il disco fuori dalla palude.




Guns ‘N’ Roses ‘The Spaghetti Incident’
Pubblicato nel '1993, completamente fatto di cover, segnò la scomparsa della line-up originale del gruppo e fu l'ultimo LP prima della lunga attesa per 'Chinese Democracy'. Dopo il successo mondiale di 'Use Your Illusion I & II',  non fu capito dal pubblico e fu un flop clamoroso che contribuì allo sgretolamento di una band che fino ad allora aveva monopolizzato classifiche e gossip . Alcune cover restano comunque memorabili..




Suede ‘Head Music’
'Coming Up' era stata un grande successo per i Suede, durante il culmine della Britpop. Tre anni dopo il follow-up di Head Music, andato dritto al numero uno nella classifica degli album del Regno Unito e portando la band ad essere headliner al festival 1999 V. In poche settimanel'album scomparve dalle classifiche. Un peccato, perchè secondo noi è un ottimo album, certo più eclettico e sicuramente meno commerciale del precedente, ma si sà, a volte il gusto del mainstream proprio non combacia con il valore artistico. Peggio ancora andò 'A New Morning', del 2002, che fu anche in questo caso quello che pose il primo tassello per la scomparsa della band. Confesso quì tutto il mio amore e rispetto per i Suede..




Manic Street Preachers‘Lifeblood’
Il trio gallese odiava questo disco, loro settimo album in studio, tanto che ancora adesso rifiutano di suonare i brani dal vivo. Considerato come il punto basso per i Manics, rapidamente scivolò fuori dalle classifiche nel giro di due settimane. Niente da dire, un flop pienamente giustificato dalla pochezza del disco, veramente.. sicuramente il peggiore in tutta la storia di questa travagliata band.




Moby‘Last Night’
Tranne pochissimi brani, Moby non ci è mai veramente piaciuto e non riusciamo a capire perchè ancora oggi è considerato una una superstar mondiale della dance elettronica.  'Play' e '18' furono album di grande successo di vendite, e anche questo 'Hotel' mantennne un grande risultato a livello commerciale,  ma questa ottava fatica in studio è veramente poca cosa al confronto dei precedenti.



Keith Moon ‘Two Sides Of The Moon’
La guest line-up sul disco solista dell' infernale batterista dei Who  LP è impressionante,  con David Bowie e Ringo Starr in primo piano. Scelse anche di cantare il buon Keith, piuttosto che suonare la batteria nella maggior parte dei brani, il che gli è costato caro perché l'album è imbarazzante e un meritato flop. Quando si dice..voler strafare..



Chris Cornell ‘Scream’
Terzo LP da solista del frontman dei Soundgarden, lontano mille miglia dalle sue radici anni Novanta del grunge. Quì Chris si diletta col pop elettronico con l'aiuto di Timbaland alla produzione e come previsto, l'album fa davvero schifo e contribuì definitivamente a stroncare ogni sua pretesa solista: subito dopo è tornato a quello che sa fare meglio - e a suonare di nuovo con i Soundgarden. Scream è la conferma di come si possano buttare al cesso anni e anni di onarata carriera.




Julian Casablancas - 'Phrazes For The Young'
Il frontman degli Strokes  aveva buone intenzioni e un singolo appena decente  come '11th Dimension' nulla ha potuto per il suo album di debutto del 2009. Ma come la maggior parte degli artisti che si prendono una pausa dalla loro giornata di lavoro, i dati di vendita non hanno corrisposto a quelle intenzioni.




Metallica e Lou Reed - 'Lulu'
Sonoramente stroncato da quasi tutta la stampa specializzata, sulla base del lavoro di un compositore austriaco,l'omonima opera teatrale di Alban Berg, in questo side project auto-indulgente e ultimo lavoro prima della scomparsa del grande Lou, erano state riposte molte speranze da entrambe le parti. Invece è stato un disastro completo. Per tutta l'ilarità che dovrebbe derivarne, Lulu è stato fallimento frustrante, ma nobile. Audace alle estreme conseguenze, ma stancante e noioso..




 
 

01/10/15

Heroes: musicisti che celebrano i loro idoli, che sono anche i nostri

Gli eroi dei nostri eroi..sono nostri eroi! Alcuni musicisti scelgono di celebrare i loro idoli e a nostra volta  abbiamo scelto  quelli che celebrano idoli che sono anche i nostri..Con qualche sorpresa. Buona lettura.



INTERZONE: Michael Rother
Era la metà del gruppo tedesco Neu !. Tuttavia, anche i suoi lavori da solista davvero sono indispensabili. Il suo ridurre al minimo l'uso della melodia nelle canzoni  è così.. emotivo, e allo stesso tempo anche incredibilmente orecchiabile, che posso ascoltare la sua musica in qualsiasi momento della giornata. E poi, c'è qualcosa della sua personalità che mi piace molto: lui, così tranquillo e riservato, amante dei gatti, quasi una antistar del rock. Tutto di lui è così interessante..



INTERZONE 2: Robert Fripp
I King Crimson di 'In The Court Of The King Crimson' è stato il disco che ha fatto venire la voglia a tutti di mettere su una band. È inciso nelle nostre piccole menti di bambini Dietro la musica c'era Robert Fripp, che sentiva e ci ha fatto capire che che la musica ha offerto a tutti "la capacità di rivivere la propria innocenza". Non si riesce a credere quanti gruppi, band e in generale quanta musica sia in debito con Robert Fripp e i King Crimson.


The Edge (U2): Rory Gallagher
Ho ascoltato i dischi di Rory Gallagher da quando avevo 12 o 13 anni. E 'stata la sua chitarra gloriosa che per prima mi ha ispirato veramente a prendere in mano lo strumento. Non che avessi qualche ambizione allora, se non quella di imparare a suonare. L'ho visto a Macroom nel 1976. Mi è piaciuto subito la sua musica, la sua era energia pura. Quella era l'epoca del trio: Jimi Hendrix Experience, Cream ... e Irlanda.
video: Taste Gamblin Blues

Antony Hegarty (Antony and the Johnson): Klaus Nomi 
Klaus Nomi era così ..strano che nessuno, nei negozi di dischi, sapeva in quale scaffale piazzarlo. In California, è stato visto come un "death rocker", ma a me piacerebbe andare nel mio negozio di dischi e vedere i suoi album tra quelli di Diamanda Galas, Lydia Lunch e i Christian Death. Non importava cosa stava cantando, sembrava drammatico e favoloso.




Honor Titus (Cerebral Ballzy, Attore): Stiv Bators
Stiv Bators ha avuto probabilmente la maggiore influenza sui Cerebral Ballzy. I suoi Dead Boys avevano rubato le sbruffonate sul palco a Iggy (Pop, ndr), ma chi se ne frega, cazzo? Tagliarsi farsi fare pompini sul palco era solo pura, sincera e semplice ribellione . Guardate il video di 'Is not It Fun' e vedrete cosa intendo. Un cantante con uno stile cazzuto, secondo solo a Richard Hell.

Guy Garvey (Elbow): Talk Talk
Sono stati commercializzati come band copia dei Duran Duran, e quando hanno capito cosa stava succedendo si sono ritirati in se stessi. Nei loro brani c'è sempre qualcuno disperatamente in cerca di qualcosa. Non so cosa fosse, ma devo andare da qualche parte per ascoltare quella musica. Mi hanno dato qualcosada da cercare ... qualcosa che  probabilmente non raggiungerò mai.

Lars Ulrich (Metallica): Television
 Il primo disco dei Television suona fresco ancora oggi, a tutto tondo, in modo impressionante come nel 1977. Suonarono a Copenhagen e li ho visti in quel piccolo locale. Ho avuto subito la sensazione che era una vera band e che erano realmente in comunicazione tra loro. Alcune delle canzoni del primo album, come 'Friction', erano così intriganti. 'Marquee Moon' è uno dei miei dischi segreti per il suono dei Metallica!. Sto andando provare e ...




Rhys Webb (The Horrors): Damo Suzuki
Nato in Giappone, Damo Suzuki è stato un musicista di strada in Europa, prima di entrare nei leggendari krautrockers Can nel 1970. Il suo modo di cantare unico e sgangherato, l'uso della melodia e del ritmo è senza tempo e fonte inesauribile di ispirazione. "Vitamin C' e 'Mushroom' sono ottimi esempi del suo stile funk psichedelico:, ritmiche pesanti e perfette per il dancefloor.
video: Can, Mushroom

Brian Wilson (Beach Boys): Rosemary Clooney
 Amo The Four Freshmen, ma Rosemary Clooney è l'eroina che devo menzionare qui. Lei ha scritto quella canzone, 'When You Wish Upon A Star', che ho imparato, semplicemente copiando lei. Cosa c'era in lei che mi piaceva? La sua voce! Lei era una bellissima cantante, e mi piace il suono della sua voce. Ha questo grande tono - l' ho amata per tutta la vita.
video: Manbo Italiano

Lee ‘Scratch’ Perry: Junior Murvin
Junior Murvin è un ragazzo con un enorme talento. Abbiamo fatto 'Police and Thievesi' insieme, e poi i Clash hanno fatto la cover dopo. Aveva una voce molto speciale, un falsetto come Curtis Mayfield. Una voce in falsetto internazionale, si diceva - perché lo si ascoltava in tutto il mondo. E quando ha iniziato scherzavamo nel dire che cantava come una ragazza! O, forse dovrei dire, che cantava come una signora?

Bobby Gillespie (Primal Scream): Lux Interior -The Cramps
Lux è stato uno dei grandi del rock'n'roll Showmen / sciamani. Sembrava voler scoppiare libera dal suo corpo ed esplodere outta questo mondo, prendendo il suo pubblico con lui. Lux Interior e The Cramps sono stati posseduti dal selvaggio, spirito libero di musica rock'n'roll e che è una cosa veramente bella e meravigliosa. Grazie per la musica Lux. Ci manchi.




Fab Moretti (The Strokes): Guided by Voices
La band che mi ha rassicurato: anch'io forse avrei potuto fare musica. Quando avevo 15, 16 anni, ho avuto un mio migliore amico musicista che  conosceva tutte queste nuove band. Non avrebbe mai suonato per chiunque, ma per qualche motivo lo ha fatto per me '. Ha iniziato a suonare pezzi dei Guided By Voices. Era quasi come sentirli per la prima volta.

Jack White: Son House
Quando avevo circa 18 anni qualcuno mi ha fatto ascoltare Son House. Non sapevo che si poteva fare, suonare la sua musica, ma solo cantare e battere le mani. Significava tutto il rock'n'roll, tutto ciò che riguarda l'espressione e la creatività e l'arte. Un uomo contro il mondo. 'Grinnin' In Your Face 'è la mia canzone preferita. E 'diventato la mia canzone preferita la prima volta che l'ho sentita, e lo è ancora.

Stuart Murdoch (Belle And Sebastian): Cocteaus Twins
C'era una certa tristezza  in molta della musica indipendente degli anni '80, e Dio sa che era la loro missione . Per me, il momento ideale per ascoltarli era quando restavo sveglio tutta la notte a parlare di libri e delle possibilità che esistesse la reincarnazione. Poi, barcollando tornavo a casa e ascoltavo 'Victorialand'..



Alice Cooper: Laura Nyro
Non riesco davvero a ricordare come l'ho scoperta, ma penso fu  attraverso una mia fidanzata dell'epoca. E.. WOW. Mi ha subito ricordato Broadway. Era una cantante di strada, e lei una ragazza bianca che cantava con tutte queste ragazze nere. Sono stato influenzato molto dalla sua musica, sono dipendente da tutto quello che ha cantato, da 'Eli And The Thirteenth Confession' a 'New York Tendaberry'.

Jeffrey Lewis: Tuli Kupferberg
Il mio favorito, un musicista 'cult' per me, anche se, come amava dire, non era in realtà musicalmente abbastanza esperto per essere "trasmesso alla radio". Anche attraverso incarnazioni successive ai Fugs, fino alla sua morte nel 2010, Tuli ha continuato ad arare il proprio solco, le liriche, testi meravigliosi, unici, legati alla politica, all'umanesimo, alla satira e all'indignazione, cantate con una voce che era più da "ghetto griot" (grido dal ghetto) che di un idolo pop.
video: Cia Man