20/10/15

Un assalto sensoriale, implacabile: Requiem for a dream

Non sò se avete letto qualcosa di Hubert "Cubby" Selby jr, scrittore e sceneggiatore statunitense, qualcosa tipo "Ultima fermata Brooklyn", o The Demon, romanzi degli anni '70: schietto e diretto, ha scritto di portuali, senzatetto, delinquenti, sfruttatori, travestiti, prostitute, omosessuali, tossicodipendenti e in generale della povera comunità al margine della città, con cui aveva avuto a che fare mentre lavorava nella marina mercantile americana (come suo padre). Ammalatosi di tubercolosi, trovò rifugio nella letteratura, e nell'eroina come analgesico, per alleviare i postumi di varie operazioni ai polmoni.
I romanzi di Selby sono stati perseguiti per oscenità, vendita di materiale pornografico, istigazione alla violenza e all'omosessualità: tra gli scrittori che testimoniarono a sua difesa ci furono Anthony Burgess, William S. Burroughs, Allen Ginsberg .. Condannato varie volte, le sentenze furono sempre annullate in appello. Anche in Italia, la pubblicazione di "Ultima fermata Brooklyn” fu impedita. L'intimità con la sofferenza, l'onestà e l'urgenza morale, per comprendere Selby bisogna comprendere le nostre angosce.
Requiem for a Dream, è il secondo lungometraggio del regista Darren Aronofsky, e offre una rara sintesi di sperimentazione cinematografica e narrazione emotivamente coinvolgente. Dal potente racconto di Selby, Requiem for a Dream offre un viaggio sincero nelle profondità dell'esperienza umana. Una trasposizione totalmente fedele al testo scritto, quasi un omaggio d'insieme allo scrittore, a cominciare dal titolo designato per questo film. Immagini di amore, sogni e dipendenza, e immagini di un cancro, quello di cui è affetto la società del ventunesimo secolo, lo stesso che si manifesta sul braccio infetto di Harry/Leto.

E’ un assalto sensoriale, implacabile, che minaccia di travolgerci mentre assistiamo a queste immagini viscerali, il montaggio frenetico cattura i picchi 'alti' di euforia e i rituali ripetitivi di vite distrutte dalla droga, mentre disegna chiari i paralleli tra le diverse forme di dipendenza dei personaggi. Aronofsky intreccia le storie di quattro residenti a Coney Island, e al tentativo disperato di sfuggire a una vita noiosa. Droga, prostituzione, televisione, progresso nichilista. Sono le immagini che appartengono alla vita di Harry e alla sua cerchia, sua madre Sara, la sua ragazza Marion, il suo amico Tyrone. Non esiste il Bene in "Requiem for a Dream". Solo il timido, flebile desiderio di fuggire dalla realtà. Harry che sogna di vendere un kg di eroina e di aprire un negozio di abbigliamento con i disegni della sua Marion, mentre con l’amico fidato Tyrone riesce a malapena a tirare avanti sostenendo le proprie abitudini; la madre di Harry, vedova che invece cerca di scrollarsi di dosso la letargia sognando di diventare la star di un quiz in televisione, mentre scivola anche lei in una dipendenza devastante nel tentativo di dimagrire. Promesse e illusioni di un mondo ormai divenuto incomprensibile, assurdo, destinato al tracollo. "Requiem for a Dream" è un ritratto e una critica inquietante del sogno e della cultura pop americana, della nozione di successo facile e della gratificazione veloce, oltre che un attacco feroce alle dipendenze e lle varie forme di ossessione che queste creano a persone innocenti e ordinarie, attraverso il lavaggio del cervello dei mass media.
Ormai una grossa fetta di tossicodipendenti non vivono più per strada, rubando e commettendo reati. La maggior parte di loro sono persone della classe media, che prendono farmaci e droghe attraverso i loro medici e farmacisti di fiducia. "Persone normali” con le famiglie, i sogni e le speranze, le stesse di chiunque altro, che fanno del loro meglio per vivere alla giornata, cercando di trovare un po 'di felicità senza ferire nessuno. Questo film ci porta in un limbo di autoriflessione, ansia, panico, paura nei confronti del progresso e della caduta dei valori della nuova generazione americana (e non). Lo squallore del film degenera in concomitanza con la rovina fisica dei protagonisti, fino all'esagerato, raccapricciante finale dal sapore granguignolesco. Ellen Burstyn (sesta nomination all’oscar per questo film) colpisce come un pugno sullo stomaco con la sua straziante interpretazione di Sara, e con il suo percorso autodistruttivo intrapreso che la porta lentamente alla disconnessione dalla realtà. Jennifer Connelly, Marlon Wayans e Jared Leto meritano tutti i complimenti per aver dato vita a personaggi difficili, ma in definitiva onesti. La trainante colonna sonora è dell’ex Pop Will Eat Itself , Clint Mansell, che fa da contrappunto e rafforza le immagini sempre più da incubo.





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