05/06/11

Tracce di Futuro



Apre oggi alla Sapienza il convegno "Marshall McLuhan: Tracce del Futuro", dedicato al centenario della nascita del fondatore degli studi sulla comunicazione e i mass media. L'incontro, che si svolge presso il Centro congressi del Dipartimento di Comunicazione e ricerca sociale di Via Salaria, verrà trasmesso in streaming sul sito della rivista Mediaduemila, diretta da Maria Pia Rossignaud, fra i promotori dell’evento.

Al convegno parteciperanno fra gli altri Derrick de Kerckhove; James Fox, ambasciatore del Canada a Roma; Mario Morcellini, direttore del Dipartimento di comunicazione e ricerca sociale; Francesco Passerini Glazel, presidente dell’Osservatorio TuttiMedia; Norman Doidge, ricercatore in psichiatria e psicanalisi alla Columbia University; Philippe Cahen, autore del libro “Segnali deboli”; Giulio Anselmi, presidente Ansa; Paolo Liguori, direttore TgCom.

Abbiamo colto l’occasione per fare un paio di domande a Derrick de Kerckhove, collaboratore per oltre dieci anni di McLuhan e da sempre considerato uno degli eredi più fedeli alla linea teorica del sociologo canadese.

Professor De Kerckhove, se dovesse elencare tre princìpi o idee di McLuhan sui media ancora oggi attuali, quali sceglierebbe?
In realtà ne devo scegliere dieci. Inizio con una citazione da Understanding media [Gli strumenti del comunicare, n.d.r.], del 1962, dove McLuhan scriveva: “il prossimo medium, quale che sia, potrebbe essere l’estensione della coscienza”. Questa è già una prima predizione di Internet. Il nuovo medium, afferma McLuhan, non sarà la televisione, ma conterrà la televisione, che diventerà una forma d’arte. Questa forma d’arte è incarnata oggi da YouTube che mette a disposizione di tutti gli strumenti di produzione. E siamo a tre. La quarta è quasi banale: il nuovo medium diventerà uno strumento di ricerca e di comunicazione. Scontato per noi, ma non per chi viveva in un tempo in cui i calcolatori occupavano un intero edificio. Quinto: aiuterà il recupero di tutta la memoria del mondo - e questo lo vediamo chiaramente nel Web. Sesto: i sistemi di classificazione delle biblioteche diventeranno obsoleti. E’ ciò che stiamo iniziando a sperimentare oggi quando nei social media usiamo i tag personali per archiviare foto, documenti, video. Ma la più bella predizione è la settima, quando dice che recupereremo il potenziale enciclopedico di ciascuno di noi – e qui basta pensare a Wikipedia. Infine, le ultime predizioni riguardano le trasformazioni dell’economia. E Internet è oggi una nuova economia: in Francia l’economia della rete rappresenta quasi il 6% del PIL.

Lei ha sempre avuto una posizione molto ottimista nei riguardi dei fenomeni della rete, ma ultimamente si sono levate voci critiche, anche fra molti esperti, soprattutto per i pericoli di controllo e di limitazione delle libertà in rete.
Esiste una possibilità di sorveglianza generale e c’è un pericolo di “tecnofascismo” che non va sottovalutato, ma io credo che gli utenti della rete siano in grado di produrre gli anticorpi necessari e auto-organizzarsi per difendersi da questi pericoli. E’ vero però che il nostro essere privato e la nostra identità privata perdono di valore a confronto con la nostra presenza sulla rete. Oggi il capitale sociale più prezioso è la nostra “reputazione” che però si può fare e disfare in un secondo. Tutti questi fenomeni tuttavia non possono essere compresi se non capiamo che siamo entrati in una terza fase del linguaggio, dopo quella orale e quella alfabetica siamo oggi pienamente nella fase elettrica. E anche questo McLuhan lo aveva perfettamente intuito.

Proprio a margine del convegno su McLuhan del 31 maggio, lei ha dichiarato che sarebbe necessaria “una sorta di carta di navigazione e di accesso alla rete” promossa a livello internazionale. Ma è possibile e auspicabile una forma di governo internazionale e democratico della rete?
Un governo internazionale della rete non sarebbe possibile perché non avrebbe un potere esecutivo. Il problema è che ciascuno di noi oggi vive in una doppia dimensione: una presenza locale con il corpo fisico e una globale ed elettrica – per esempio con il nostro cellulare. Ma poiché lo spazio elettrico non è meno reale di quello fisico, dobbiamo esigere uguali diritti per entrambe le dimensioni. Dunque il problema è il rapporto fra l’individuo e la sua dimensione in rete: per questo le nozioni di spazio politico, spazio sociale, ecc. non sono più essere le stesse. Lo osserviamo nel passaggio a dimensioni continentali della regolazione dello spazio reale, come sono organismi come l’Unione Europea o il Mercosur, tutti tentativi che vanno nella direzione di una dimensione globale che però è ancora in costruzione. In tale contesto non temo troppo l’avvento di un “elettrofascismo”, perché non credo attecchirebbe.

Siamo in un tempo di crisi globale delle tradizionali strutture di trasmissione della conoscenza, a cominciare da scuola e università. Esiste un rapporto fra questa crisi e la rivoluzione digitale in atto?
Il problema dell’università è che stata considerata a lungo come una “banca”, ovvero un luogo di raccolta e irreggimentazione dell’intelligenza. Ma oggi l’intelligenza, la cultura, l’innovazione sono anche fuori e la conoscenza è decentralizzata. Pretendere di tenere sedute delle persone dentro un’aula per un anno intero mi pare una sorta di abuso che le università non sono preparate a riconoscere. Sarebbe molto più intelligente creare delle forme di impegno universitario di 3-4 settimane per 3-4 volte all’anno e per il resto lavorare e collaborare in rete. L’università deve ripensare il suo ruolo, non più come una prigione, ma come un acceleratore culturale e sociale. Inoltre, l’università è ancora fortemente ancorata a un metodo di valutazione che si concentra sull’individuo, mentre dovrebbe dare l’opportunità alle persone di collaborare fra loro. Sono convinto che la moltiplicazione della mente per la mente è molto più importante che l’esplorazione della mente isolata.

Fonte: l'Unità

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