18/09/15

Calci e sputi e colpi di testa. Paolo Sollier ( Incipit bruciante )

Non occorre essere esperti per sapere che Paolo Sollier era un pò.. brocco come calciatore. La sua azione era goffa, il tocco di palla approssimativo; lo salvava il gran correre,da buon gregario. La sua vicenda umana e politica è certamente più estrosa e avvincente. Lo dimostra con questo libro, in cui i protagonisti sono l'infido mondo del calcio, la militanza politica, la vita di tutti i giorni. Un libro impietoso eppure umano, e estremamente politico. Un libro ormai introvabile, anche se ho sentito che è stato rieditato proprio ultimamente, e contro il parere dello stesso autore, che considera la sua vicenda qualcosa da relegare alla storia. Invece è avvincente e dove troverete la descrizione di una generazione .. al suo meglio.
 
<<Mi guardo e mi faccio ridere. Mi vedo impalato in una striscia alla Snoopy, fagotto in spalla, fumettando “ecco il famoso calciatore che lascia Torino...”.
Famoso una sega. Chissa cosa combino. Tre anni fa avevo rifiutato di fare questa vita. Dovevo andare dalla Cossatese al Lecco; c’era un allenatore, Longoni, che si era innamorato di me. Ma dovevo anche andare via di casa, cominciare quella sfigatissima comune. Era più importante restare a Torino, dare un taglio preciso al cordone ombelicale sentimentale economico coi miei; farmi finalmente spintonare dall’autonomia, coi miei pavimenti da pulire, le mic bollette da pagare, il mio cesso da aggiustare; avere una casa, una cuccia, una tana dove stare, incazzarrni, scopare. Adesso invece niente mi teneva. Non una ragazza: tutte cadute dalla mia scala Mercalli sentimentale; terremotate, rase al suolo. Non un impegno politico a mordermi la coda di cagnaccio sciolto. Non la comune, o vogliamo chiamarla casa di matti, o quattro scemi che ultimamente stavano insieme. L’ultima tappa di questa corsa nei sacchi comunitaria era cominciata un anno prima: Gigi ed io sopravvissuti alle tempeste precedenti, Andrea e Tito arrivati per caso. Andrea da una manifestazione per il Cile. Armi al Mir. `<<Hai una casa‘?>>. Dicì assassina. <<Si, abbastanza vuota». Frei boia. <<Ci verrei per qualche
mese». Compagno Allende sarai vendicato <<Vienici». Mai più senza fucile.
Ed era venuto a fare il numero tre, il terzino sinistro, il Facchetti della situazione. Sarebbe stato un po’ in difesa per poi infilarsi nel primo corridoio libero. Naturalmente intorno al corridoio avrebbero dovuto esserci stanze, una cucina, un gabinetto; una casa
insomma. Ma il lancio giusto non era arrivato e cosi si era sistemato con noi. Dopo un mese, Tito; se lo era tirato dietro da Torre Pellice; era arrivato una sera e aveva cominciato a parlare sulla porta, ancora con la borsa in mano <<Ho una situazione... ho una moglie e una fidanzata che ha anche un figlio. Con mia moglie non ci sto da un anno; e da un anno non lavoro. Sono sbandato. Ma ho deciso di ricostruire la mia vita...>>.
Aveva posato la borsa insieme a quel sorriso da lupi e aveva cominciato a lavare i piatti.
Stare insieme, diventare amici è come comprimere una miscela esplosiva. Più stai bene e più comprimi. Più comprimi più è esplosiva. Alla prima scintilla esplode. Ognuno viene lanciato via, distante, come una scheggia o un pezzo di stella. La compressione, l’amicizia,
ricominciano con altra gente. Poi nuove esplosioni, altri proiettili umani, nuove bombe da innescare. Cosi noi, e adesso siamo esplosi via. Il frammento Gigi a prendere per le trecce il suo sogno danese; Tito a caccia di lavoro e a cercare vipere; Andrea nella lotta
continua del suo libro scritto a colpi di registratore. Intervista tutti, operai,disoccupati, leader, rotti in culo, fumati, bucomani. Naturalmente non finirà mai.
Infine io, scheggiato a fare il calciatore. Finalmente saprò; tra le tante paure sono contento: basta col fare il calciatore di comprornesso, né calciatore né studente, né militante né cane sciolto, basta con la serie C, tra le zanzare mentali di Vercelli e il treno di Torino. Saprò fino a che punto valgo qualcosa nel calcio e saprò anche, prima paura, se venderò il culo ai condizionamenti. A parte il calcio giocato,  viaggi, allenamenti,
questo calcio professionistico mi ingoierà anche la testa? O riuscirò a fare la mia vita senza rotaie obbligate, come la voglio?
Questi i pensieri mentre la cinquecento fila (per modo di dire) verso Perugia, dieci ore di autostrada, di ricordi, di domande. Tutte le radici di Torino tagliate, chissà per quanto, quelle di Perugia che mi aspettano, chissà come. Chi troverò? I compagni di squadra
saranno pallosi o simpatici, e l’allenatore Castagner farà abbastanza rima con Sollier‘?
L’Umbria verde, l’Umbria rossa, l’Umbria jazz e tutto quel che so. Aggiungiamo un po’ di San Francesco, Jacopone da Todi e i lupi di Gubbio. Mi sembra di andare ad abitare nella mia ignoranza. Ci arrivo, Perugia incollinata sull’orizzonte, la mia casa cercata e trovata in un giorno. Sono proprio un emigrante di lusso. Penso a quelli veri, scippati dalla loro terra, scaraventati in città piovra, guardati con sospetto, tagliati fuori, a dormire nelle cantine, nei sottoscala, alla stazione. Li ho visti coi miei occhi e mi sembrano ridicole queste scaglie di paura. E’ la vecchia abitudine di sentire piu un’unghiata nella mia schiena che una picconata in quella di un altro. Ritiro precampionato: l’incubo dei calciatori: venti
giorni per rificcare nei muscoli la forza l'elasticita la voglia di correre. Quella prima settimana dove ogni ora di sonno perso, ogni mangiata fuori regola, ogni scopata di troppo sono restituite a sudore e bestemmie. D’altra parte è l’unico ritiro che tutti accettano quasi volentieri; si fatica ma si riposa, ci si rompe le scatole ma il fisico si rimette insieme. E’ una regolata a tutte le viti spanate da un mese di vacanza. E poi serve tutto l’anno. E’ una medicina utile, buttata giù con le smorfie ma che funziona. Le smorfie poi dipendono da dove sei, che rapporto riesci ad avere con la gente del posto, se riesci ad uscire dal cerchio della squadra; altrimenti a forza di vedere sempre le stesse facce cominciano i tilt e volano i coltelli.
Per noi c’e Norcia posto democristiano di San Benedetto, ma anche di Brancaleone. E l’armata Brancaleone sembra questo Perugia, quasi tutti nuovi, molti della serie C, l’altr’anno' non retrocessi per un pelo. Ci guardiamo in faccia e sembriamo dirci: <<Ma
dove vogliamo andare?». Io vorrei andare da quella biondina, ma in definitiva sono sempre un po’ imbranato. Poi non é che mi caghi molto; devo aprire un fronte di lotta. Uno dei modi di conoscersi dei calciatori e la doccia. Vedersi i chitarrini. Chi ce l’ha grosso, chi piccolo, chi storto, chi circonciso. Poi l’assoluta mancanza di parentela tra l’aspetto fisico e l’uccello. Il tipo grassoccio che ce l’ha lungo e stretto, quell’altro'affilato che ce l’ha piccolo e corto; il piccoletto col campanaccio e il superman col pisellino.
La figa è uno dei discorsi preferiti, insieme alla figa e alla figa. Tutte le battute sono per Zumbo, che ce l’ha abominevolrnente grosso, allora chissà quali paradisi distribuisce in giro; oppure Sergio con la cappella a ombrellone che fa ombra su tutte. Naturalmente le tesi sessuali secondo cui le dimensioni del pene hanno un’importanza secondaria vengono rovesciate. L’amore è venduto a etti, le scopate si misurano a metri. Fa parte del ruolo dell’uomo famoso contro cui le donne vanno a spiaccicarsi come falene in una lampadina; e se le falene ci sono, ansiose di farsi toccare e infilare dai vitelli d’oro, logico che il discorso tenga. E’ idiota ma tiene. Tiene anche se a farlo e gente sposata, con figli.
Mi chiedo ma in queste famiglie, con queste mogli, che rapporto c’e‘? Queste cazzate sulla donna come buco, le dicono anche a casa? Oppure doppia faccia, mariti perfetti in famiglia, scopatori da brivido fuori? Oltretutto, le mogli dei calciatori sono sempre un
oggetto (soggetto, pardon) misterioso: vivono di luce riflessa, lo seguono quando viene mercanteggiato, gli guardano i figli, lo aspettano quando torna dalle battaglie. E’ uno schema un po’ vecchiotto, che sta franando dappertutto. Quanto ci metterà da noi?>>...







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