Chi spia il Web a caccia di contenuti illegali?
Si diffondono, tra le critiche, le società specializzate nel contrastare la pirateria. Con l'approvazione di Acta potrebbero dilagare in tutta Europa. Che continua a protestare: il prossimo appuntamento il 25 febbraio.
Le chiamano “ Copyright Enforcement Companies” e sono i bounty killer dell’industria del copyright. Sono società private specializzate nella repressione della pirateria informatica. Diffondono file danneggiati o corrotti ( file decoy) e tentano di compromettere i network di condivisione. Setacciano i siti e le reti P2P registrando gli indirizzi Ip degli utenti che condividono materiale protetto da copyright, per poi rivenderli ai propri clienti. Per individuare fisicamente questi utenti però, serve la collaborazione dei provider dello Stato dove risiede il presunto pirata. Le industrie del copyright hanno spesso invocato l’imposizione di un obbligo di collaborazione a carico di questi gestori di rete. Con il nuovo trattato internazionale Acta potrebbero vedere esauriti i loro desideri anche là dove finora sono rimasti delusi.
Fino a oggi, in Italia la giurisprudenza ha dato ragione a provider e utenti. Per esempio nel 2010 la Federazione anti pirateria audiovisiva ( Fapav) aveva chiesto che Telecom si impegnasse a controllare l’attività dei propri clienti e, su richiesta, a dare i nominativi collegati agli Ip individuati a scaricare materiale protetto. I giudici hanno dato ragione a Telecom e alle associazioni di consumatori costituitesi in giudizio. Se la Fapav intende lamentare una violazione del copyright deve fare istanza al tribunale, come tutti, e sarà il giudice eventualmente a richiedere a Telecom i nominativi. Durante il processo erano emerse notizie inquietanti sull’impiego di compagnie di copyright enforcement da parte di Fapav. In particolare la Coo-peer-right Agency era sospettata, oltre di aver violato le norme sulla privacy, di aver usato anche dei malware-spia per conoscere i siti visitati dagli utenti.
Ma in altri Paesi la situazione è più favorevole ai detentori di copyright. In Germania, per esempio, i gestori di servizi passano ogni mese alle industrie dei contenuti dati riguardo a circa 300mila utenti. Le compagnie di copyright enforcement, attivate dai legali delle industrie, individuano chi mette in condivisione determinati file protetti dal diritto d’autore. A questo punto i proprietari dei diritti incrociano le informazioni e chiedono i danni ai singoli utenti. La cifra richiesta per evitare un processo va dai 300 ai 1200 euro di solito, e spesso viene pagata.
Fino a oggi, in Italia la giurisprudenza ha dato ragione a provider e utenti. Per esempio nel 2010 la Federazione anti pirateria audiovisiva ( Fapav) aveva chiesto che Telecom si impegnasse a controllare l’attività dei propri clienti e, su richiesta, a dare i nominativi collegati agli Ip individuati a scaricare materiale protetto. I giudici hanno dato ragione a Telecom e alle associazioni di consumatori costituitesi in giudizio. Se la Fapav intende lamentare una violazione del copyright deve fare istanza al tribunale, come tutti, e sarà il giudice eventualmente a richiedere a Telecom i nominativi. Durante il processo erano emerse notizie inquietanti sull’impiego di compagnie di copyright enforcement da parte di Fapav. In particolare la Coo-peer-right Agency era sospettata, oltre di aver violato le norme sulla privacy, di aver usato anche dei malware-spia per conoscere i siti visitati dagli utenti.
Ma in altri Paesi la situazione è più favorevole ai detentori di copyright. In Germania, per esempio, i gestori di servizi passano ogni mese alle industrie dei contenuti dati riguardo a circa 300mila utenti. Le compagnie di copyright enforcement, attivate dai legali delle industrie, individuano chi mette in condivisione determinati file protetti dal diritto d’autore. A questo punto i proprietari dei diritti incrociano le informazioni e chiedono i danni ai singoli utenti. La cifra richiesta per evitare un processo va dai 300 ai 1200 euro di solito, e spesso viene pagata.
Per uniformare le diverse normative e, sospettano alcuni, per imporre una legislazione restrittiva sul copyright in tutti gli Stati, è stato scritto il trattato internazionale Acta. La sua esistenza è stata svelata, prima di qualsiasi dichiarazione ufficiale, dai cablo di Wikileaks nel 2008. L’Unione europea l’ha siglato il 26 gennaio 2012 e da allora sono cominciate imponenti manifestazioni e proteste in tutta Europa. Sul Web i cyberattivisti di Anonymous hanno lanciato la loro campagna contro Acta. Singoli membri del Parlamento europeo, facendo proprie alcune delle preoccupazioni emerse nelle opinioni pubbliche nazionali, hanno espresso perplessità e critiche. Il relatore parlamentare di Acta, il francese Kader Arif, ha rinunciato al suo incarico per dare un forte segnale di protesta. In ogni caso dal 29 febbraio comincerà l’esame del trattato nelle commissioni competenti e, per tenere alta l’attenzione pubblica sul tema, si continuano a organizzare manifestazioni coordinate in tutto il mondo. La prossima è prevista il 25 febbraio e in Italia si svolgerà a Roma (in precedenza si parlava di Verona).
Perché il trattato entri in vigore, è necessario che il Parlamento europeo lo approvi e gli Stati membri lo ratifichino. Dopo le pressioni venute dalle piazza alcuni governi, come quello polacco, hanno messo in discussione la propria firma. E intanto la Commissione ha chiesto oggi alla Corte di giustizia europea un parere sull'accordo Per salvare il trattato dal rischio di naufragio, la Commissione europea ha diffuso un documento teso a rassicurare i cittadini sul fatto che con Acta non cambierà nulla o quasi nella loro vita quotidiana. Ma la comunità telematica non è convinta. Troppo generiche le promesse della Commissione e il testo del trattato è talmente vago, sottolineano alcuni blogger, da non offrire garanzie sui risultati a cui potrebbe portare.
Il rischio è che presto in tutta Europa, e non solo, si diffondano pratiche repressive scarsamente controllate, spesso intimidatorie e non sempre precise. Può capitare che le compagnie di copyright enforcement sbaglino il loro bersaglio e si creino situazioni paradossali. Questo è il caso, ad esempio, capitato a una signora tedesca raggiunta dall’accusa di aver scaricato illegalmente un film particolarmente violento sugli hooligans. Le hanno chiesto 650 euro per evitare di andare in tribunale. Peccato che, come ha fatto notare il suo avvocato Christian Solmecke, la signora non avesse nemmeno un computer. Per la serie, nessuno è al sicuro.
Wired