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04/12/14

Work in Regress


CONSEGUENZE DELL'ABROGAZIONE DELL'ART. 18

II lavoro "usa e getta” serve ad abbassare i salari (il massimo sarà 900 euro al mese) e comprimendo i diritti dei singoli azzererà quelli collettivi, aumentando lo sfruttamento.
PIERGIOVANNI ALLEVA


LA QUESTIONE DELL’ABROGAZIONE DELL’ART.18, dello Statuto dei Lavoratori è più che mai al centro della scena politica e ed è quindi davvero opportune dedicarle tre sintetiche riflessioni su punti di fondo. La prima riflessione riguarda le contraddittorie argomentazioni che si sentono da parte datoriale e governativa: da una parte si minimizza il problema asserendo che riguarda una piccola minoranza di lavoratori (3.000 l’anno), dall’altra si afferma che è invece questione centrale e vitale.

Il vero è - rispondiamo - che l’efficacia e la funzione vera dell’art. 18 è quella di prevenire i licenziamenti arbitrari: proprio perché essi possono essere annullati, i datori di lavoro devono essere prudenti e giusti nei loro comportamenti. Quelle 3.000 sentenze evitano - per dirla in sintesi - altri 30.000 licenziamenti arbitrari o più. L’ art.18 é, e resta, una fondamentale norma anti ricatto, che ha dato dignità al lavoratore proprio perché lo libera dal ricatto del licenziamento di rappresaglia più o meno mascherato. Quanto poi all’affermazione che l’art. 18 costituirebbe un’ingiustizia verso quella metà circa dei lavoratori che non ne usufruiscono, perché lavorano in imprese con meno di 16 dipendenti e, più ancora che contraddittoria, paradossale: se solo la metà di una popolazione ha il pane, il problema è di darlo a tutti, non di toglierlo a chi ce l’ha. La seconda riflessione riguarda l’andamento del mercato del lavoro e dell’occupazione: dice la Confindustria nonché Renzi ed i suoi accoliti che una volta che avessero le mani libere di licenziare a loro arbitrio, i datori, potendo <<spadroneggiare>>, assumerebbero volentieri, e che i lavoratori subirebbero magari una temporanea ingiustizia, ma sarebbero poi compensati da un sistema di flexsecurity che troverebbe loro altro idoneo lavoro, garantendo, nel frattempo, il loro reddito.

Si tratta di due clamorose bugie: le imprese assumono se lo richiede la domanda di beni e servizi e non per altri motivi, storicamente dimostrato, mentre la flexsecurity é un alibi, una falsa promessa in tutta Europa, ed in particolare in Italia, perché quando la disoccupazione strutturale supera il 10% reperire altro lavoro é difficilissimo, e le finanze pubbliche non possono corrispondere indennizzi se non miseri, e per poco tempo: dal 2016, ad esempio, sarà abrogata la indennità di mobilità triennale e resterà solo la cosiddetta Aspi, di breve durata e con importi decrescenti.

La terza riflessione e la più importante: questa smania di abrogare l’art.18 è solo un’antica sfida di potere da parte datoriale o rientra in un ben più complesso programma di <<riassetto>> socio-economico? Tutto dimostra ormai che è quest’ultima la risposta esatta perché la precarizzazione totale dei rapporti di lavoro, che si raggiunge con i contratti a termine <<acausali>> ma per il resto, (e cioè, per quella percentuale superiore al 20% consentita ai contratti a termine), anche proprio con contratti a tempo indeterminato non soggetti a reintegro in caso di licenziamento arbitrario, è la condizione prima di un esasperato sfruttamento del lavoro che sta raggiungendo rapidamente dimensioni mai sospettate. Con il lavoro <<usa e getta>>, espletato comunque sotto ricatto e senza nessuna certezza del futuro, ben si potrà giungere, invero, anche a una drastica diminuzione dei salari sino alla soglia della sopravvivenza. ll futuro che si prospetta è purtroppo quello di un lavoro non soltanto privo di dignità ma anche sottopagato perché i lavoratori precari e ricattati che diventeranno la normalità non potranno più presentare rivendicazioni collettive e quindi, una volta caduti di fatto i contratti nazionali, lo standard retributivo sarà quello del salario minimo garantito, che non per nulla il governo Renzi si propone di introdurre: già si conosce il livello di quel salario, si tratterà di non più di 6 euro l’ora al netto del prelievo fiscale e contributivo, il che significa non più di 800-900 euro al mese. ll nostro è già un paese in cui il 10% della popolazione possiede addirittura il 50% della ricchezza, e per converso il 50% della popolazione deve accontentarsi di dividere un misero 10% della ricchezza stessa, ma questo non basta ancora ai fautori del neoliberismo e di tutte le altre cosiddette <<libertà economiche>>, tra cui quella di licenziare arbitrariamente. Non è soltanto un’antica aspirazione di potere delle classi dominanti, ma e anche la condizione di un ancor più accentuato sfruttamento e impoverimento delle grandi masse. Possiamo solo prepararci ancora una volta a una grande battaglia a difesa della dignità del lavoro.





07/01/12

Lavoro,tutele,articolo 18 e le cazzate del fronte..progressista

Una volta tanto, La Repubblica si rende utile pubblicando un dossier sulla flessibilità del lavoro nei Paesi OCSE: si nota come la rigidità delle tutele per i dipendenti a tempo indeterminato in Italia sia sotto la media OCSE e in particolare molto più bassa che in Francia, Spagna, Germania, Cina (!!) e parecchi altri Stati. In una scala da 0 (nessuna protezione) a 6 (massima protezione) siamo a 1,89, contro il 3,05 della Francia e il 2,12 della Germania. I dati sono aggiornati al 2008; non sorprendentemente, la serie storica mostra un crollo dell’indice (da 2,51 a 2,01 in un anno) in Italia in corrispondenza dell’entrata in vigore della “legge Treu” che ha introdotto i contratti a termine nel nostro ordinamento. I lavoratori a termine non sono computati nella statistica, che riguarda soltanto quelli a tempo indeterminato, ma è evidente che l’abbassamento della tutela per alcuni determina un abbassamento per tutti.
Proprio questa è la chiave di interpretazione da utilizzare nel valutare le proposte di riforma del lavoro di cui si discute in questi giorni. Su questo sito abbiamo analizzato in tempi non sospetti la proposta di Nerozzi di introdurre un Contratto Unico di Ingresso e quella di Ichino che in maniera ancor più drastica vorrebbe sostanzialmente abolire l’Articolo 18 dello Statuto. A proposito, il 6 dicembre 2010, circa quest’ultima proposta (in fondo al commento del secondo link), scrivevo: “un governo tecnico che succedesse a Berlusconi potrebbe approvare una riforma su queste linee in tempi brevi“. Profetico, vero?
Comunque, adesso diamo un occhio alla terza proposta di legge partorita dalle fila del PD: il DDL 2630 che porta la firma, tra gli altri, di Cesare Damiano (già Ministro del Lavoro nell’ultimo Governo Prodi) e contiene ”Disposizioni per l’istituzione di un contratto unico di inserimento formativo e per il superamento del dualismo nel mercato del lavoro“.
Per superare il “dualismo nel mercato del lavoro” (ovviamente sempre il solito, tra fantomatici lavoratori iper-protetti e reali precari senza diritti) si propone l’istituzione di un Contratto Unico di Inserimento Formativo (CUIF) non dissimile dal CUI del disegno Nerozzi: in sede di prima assunzione, per un periodo compreso fra 6 mesi e 3 anni e definito, per ciascun settore, dalla contrattazione collettiva nazionale, il datore di lavoro assume il lavoratore a salario ridotto (non meno del 65%, bontà sua), con totale libertà di interrompere il rapporto quando gli pare salvo il preavviso (la “libertà” è reciproca – la sorella di Grazia e Graziella avrebbe qualcosa da dire in proposito). Dopo questo periodo “di abilitazione” può decidere se tenerlo e assumerlo a tempo indeterminato oppure sbarazzarsene definitivamente, sempre a costo zero. In pratica, è una colossale liberalizzazione del periodo di prova, quello durante il quale è possibile il licenziamento senza alcuna causa, con l’aggiunta di ridicoli obblighi formativi.

A compensare questa gigantesca fregatura, se non altro, “si prevede il superamento del contratto di lavoro a tempo determinato“. Non sarebbe male, se non fosse che non è vero. Infatti il contratto a termine rimane vivo e vegeto e vede addirittura estesa la sua previsione rispetto a oggi, dal momento che è possibile stipularlo, oltre che nei casi già consentiti, anche “quando l’assunzione ha luogo per l’esecuzione di un’opera o di un servizio aventi carattere straordinario od occasionale” (chi lo decide?) e soprattutto “nel caso di altre fattispecie non comprese nel presente articolo, attraverso la contrattazione collettiva nazionale o aziendale“. Sì, proprio la contrattazione aziendale che da qualche mese, grazie all’accordo interconfederale del 28 giugno 2011 e all’art. 8 della manovra di agosto, può derogare in peggio la contrattazione nazionale.
Non spariscono neppure i contratti a progetto, ma soltanto istituti meno applicati come lavoro intermittente, lavoro ripartito, contratto di formazione e lavoro, apprendistato professionalizzante. Che per carità, è meglio che un calcio nei denti, ma non di molto.
E questo è quanto. Non fatevi prendere in giro: l’unico modo per superare il dualismo del mercato del lavoro che non sia una fregatura per tutti i lavoratori è estendere l’unica tutela davvero efficace, l’Articolo 18 dello Statuto. Ogni diminuzione delle tutele per qualcuno comporta automaticamente l’abbassamento per tutti.


AVVOCATOLASER








Intanto..le supercazzate di Ichino

Il sospetto lo avevo da tempo, ma grazie a Leonardo Tondelli ora è diventato una certezza: Ichino è un docente di diritto del lavoro che non sa nemmeno cosa sia un rapporto di lavoro o un licenziamento.
E a rivelarlo è stato proprio lui, rispondendo malamente a un post nel quale Leonardo aveva affermato en passant che: “lui non lo licenzia nessuno”.
Scrive Ichino sul suo blog:
“Visto che anche Leonardo – come già tanti miei contestatori di sinistra – utilizza questo argomento basato sulla mia persona e il mio lavoro, per di più sul sito de l’Unità, mi sento legittimato a ricordargli che nel corso della mia vita di lavoro sono stato licenziato anch’io un paio di volte. La prima volta accadde nel 1983, quando, terminata l’ottava legislatura, il Partito comunista non mi volle più tra i suoi deputati per la nona(nulla mi garantisce, del resto, contro la possibilità di un licenziamento analogo al passaggio tra la legislatura in corso e la prossima)”.

Incredibile, Ichino confonde un mandato parlamentare con un rapporto di lavoro subordinato, subordinato al PCI che scegliendo di non ricandidarlo lo avrebbe “licenziato” come un datore di lavoro fa con un dipendente. Assurdo anche perché quello che lui crede il “contratto di lavoro” di parlamentare si esaurisce con lo scadere della legislatura e quindi, nemmeno se si trattasse davvero di un rapporto di lavoro quello sarebbe un licenziamento.
Ancora più assurdo in quanto fu eletto come “indipendente” nelle liste del PCI, circostanza che implicherebbe da parte sua anche un falso nei confronti degli elettori che l’hanno votato e che non sapevano di votare in realtà un “dipendente” di Botteghe Oscure.
Quella di Ichino suona come una bestemmia e non solo perché prova malamente a paragonarsi a un lavoratore precario qualsiasi, ma perché nel farlo non si rende nemmeno conto degli spropositi che scrive. E sorvoliamo sul fatto che Ichino in caso di licenziamento oggi come ieri, non si ritroverebbe disoccupato, ma con almeno altri due lavori più che prestigiosi.
Questa sarebbe la persona alla quale il fronte progressista (?) ha affidato la riforma dei rapporti di lavoro e del relativo welfare nel nostro paese, una persona che non sa cosa sia un mandato parlamentare nonostante sia stato parlamentare e che non sa cosa sia un licenziamento nonostante sia chiamato a scrivere e immaginare la nuova disciplina dei rapporti di lavoro.
Un autorevole rappresentante del partito che all’indomani di un congresso dello stesso sulla riforma del lavoro ha il potere d’intervenire pubblicamente per sostenere e imporre tesi diverse da quelle emerse democraticamente in quella sede di dibattito, senza che nessuno o quasi nel partito abbia a eccepire.

Non stupisce che proponga ricette gradite da Confindustria e che sia stato a lungo arruolato anche dal Corriere della Sera, stupisce invece che possa essere spacciato per un esperto nel suo campo e, ancora peggio, come persona incaricata di immaginare una disciplina capace di tutelare i diritti e le vite dei lavoratori, di quelli che non lavorano per un partito e non sono retribuiti dalla collettività con uno stipendio da parlamentare.
Affermazione gravissima la sua e non solo perché dimostra che l’uomo non capisce nulla di una materia che addirittura insegna all’università da una cattedra prestigiosa, ma anche perché svela come le sue proposte di “riforma” altro non siano che copincolla di leggi prese da altri ordinamenti, capendoci meno di niente.

L’alternativa non sarebbe meno devastante, perché se Ichino fosse cosciente dell’assurdità di quello che ha scritto, bisognerebbe concludere che ha mentito sapendo di mentire e che non ha scrupoli a falsare la realtà quando gli convenga. Considerazione che minerebbe comunque qualsiasi presunta autorevolezza, accademica e no, gli sia attribuita.
Dopo un’uscita del genere dovrebbe, come minimo, abbandonare seduta stante dal ruolo di coordinatore della redazione della “Rivista italiana di diritto del lavoro” a tutela del buon nome dei suoi colleghi e della rivista e allontanarsi immediatamente da qualsiasi attività riguardi la stesura di leggi attinenti al lavoro, oltre a cercare di rimediare il grave imbarazzo che ha procurato alla Statale di Milano e a tutti i suoi studenti, quasi tutti sicuramente in grado di riconoscere il ridicolo in affermazioni del genere.
Sarebbe anche ora che il PD riflettesse sulle qualità della persona alla quale ha affidato ciecamente la sua politica del lavoro e che decidesse di allontanarlo al più presto da ogni incarico, perché dopo aver vergato nero su bianco affermazioni del genere la sua credibilità è ridotta a zero e qualsiasi proposta portasse la sua firma, esporrebbe il partito ad identico ludibrio.

 MAZZETTA