di LUCA TELESE
E venne il giorno della riforma clandestina, la riforma di contrabbando, la libera licenziabilitá sognata ed invocata dai tanti Stranamore del liberismo italiano come la panacea di tutti i mali, finalmente imposta con un piccolo e miserabile golpe di ferragosto.
C’è qualcosa di grottesco e beffardo nel fatto che il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi abbia partorito questo prodigio di controriforma quasi in segreto, di soppiatto, con un apparato di codicilli infilati ad arte nella finanziaria “lacrime e sangue”, nascosti e quasi occultati, come certe procure estorte ai parenti con firma tremante sul letto di morte. Di tutta la sterminata collezione di prodigiosi rancori prodotta dal berlusconismo, quello degli ex socialisti alla Sacconi è il distillato più pericoloso, perché in buona fede. E il contrabbando, dunque, è l’unico strumento possibile per attuare la vendetta, la guerra contro i mulini a vento che gli ex sessantottini spretati del garofano pensano di essere chiamati a celebrare. Per gente come loro – Sacconi, Brunetta, la Boniver – una riforma così si sarebbe dovuta offrire al paese con una messa giuslavorista, un coro egemonico, una kultur kampf da celebrare nel punto massimo del consenso. Invece, a loro eterna vergogna, quando erano al massimo del consenso non hanno avuto il coraggio di sporcarsi le mani e di mettere in gioco i loro frivoli indici di popolarità. Così, dove la vanità ha fallito, ecco il colpo di coda del rancore.
I ragazzi che si vantarono di essere discepoli dei grandi giuslavoristi socialisti progressisti, dei Giugni e dei Brodolini, fanno a pezzi lo statuto dei lavoratori nel crepuscolo della ritirata e della sconfitta, come i gauleiter nazisti che provavano a smontare le fabbriche del nord. C’é un aneddoto che mi raccontó lo stesso Sacconi – persona peraltro squisita, sul piano personale – quello per cui, nella stagione dei golpe degli anni settanta lui e Brunetta una notte di paura si erano precipitosamente ritirati in una baita, temendo di essere arrestati nel corso di un colpo di stato. Ecco, quella allucinazione iperdemocratica di allora, si riverbera nell’allucinazione iperpadronale di oggi, nel regalino osceno alla Fiat, la legge ad aziendam gentilmente concessa, per evitare una condanna certa. Come allora Brunetta e Sacconi pensano di essere gli esecutori di una vendetta contro l’egemonia culturale degli odiati comunisti, contro i lavoratori e i precari che li hanno (giustamente) spernacchiati ovunque, e che loro hanno (giustamente) combattuto senza tregua, considerandoli al pari di nemici di classe.
Il sacconismo, che è per definizione in buona fede perché è l’ideologia del neocatecumeno, e del convertito zelante che deve farsi perdonare il suo passato, é molto peggio del berlusconismo cialtrone dei ladri, degli avvocaticchi, e dei pataccari di corte del cavaliere. È il frutto più ideologico della destra italiana. Ma proprio per questo è quello che negli ultimi giorni del Reich innescherà la rivolta sociale dei nuovi indignados italiani, che non ne vogliono sapere di farsi mettere sul lastrico nel tempo feroce della crisi.
C’è qualcosa di grottesco e beffardo nel fatto che il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi abbia partorito questo prodigio di controriforma quasi in segreto, di soppiatto, con un apparato di codicilli infilati ad arte nella finanziaria “lacrime e sangue”, nascosti e quasi occultati, come certe procure estorte ai parenti con firma tremante sul letto di morte. Di tutta la sterminata collezione di prodigiosi rancori prodotta dal berlusconismo, quello degli ex socialisti alla Sacconi è il distillato più pericoloso, perché in buona fede. E il contrabbando, dunque, è l’unico strumento possibile per attuare la vendetta, la guerra contro i mulini a vento che gli ex sessantottini spretati del garofano pensano di essere chiamati a celebrare. Per gente come loro – Sacconi, Brunetta, la Boniver – una riforma così si sarebbe dovuta offrire al paese con una messa giuslavorista, un coro egemonico, una kultur kampf da celebrare nel punto massimo del consenso. Invece, a loro eterna vergogna, quando erano al massimo del consenso non hanno avuto il coraggio di sporcarsi le mani e di mettere in gioco i loro frivoli indici di popolarità. Così, dove la vanità ha fallito, ecco il colpo di coda del rancore.
I ragazzi che si vantarono di essere discepoli dei grandi giuslavoristi socialisti progressisti, dei Giugni e dei Brodolini, fanno a pezzi lo statuto dei lavoratori nel crepuscolo della ritirata e della sconfitta, come i gauleiter nazisti che provavano a smontare le fabbriche del nord. C’é un aneddoto che mi raccontó lo stesso Sacconi – persona peraltro squisita, sul piano personale – quello per cui, nella stagione dei golpe degli anni settanta lui e Brunetta una notte di paura si erano precipitosamente ritirati in una baita, temendo di essere arrestati nel corso di un colpo di stato. Ecco, quella allucinazione iperdemocratica di allora, si riverbera nell’allucinazione iperpadronale di oggi, nel regalino osceno alla Fiat, la legge ad aziendam gentilmente concessa, per evitare una condanna certa. Come allora Brunetta e Sacconi pensano di essere gli esecutori di una vendetta contro l’egemonia culturale degli odiati comunisti, contro i lavoratori e i precari che li hanno (giustamente) spernacchiati ovunque, e che loro hanno (giustamente) combattuto senza tregua, considerandoli al pari di nemici di classe.
Il sacconismo, che è per definizione in buona fede perché è l’ideologia del neocatecumeno, e del convertito zelante che deve farsi perdonare il suo passato, é molto peggio del berlusconismo cialtrone dei ladri, degli avvocaticchi, e dei pataccari di corte del cavaliere. È il frutto più ideologico della destra italiana. Ma proprio per questo è quello che negli ultimi giorni del Reich innescherà la rivolta sociale dei nuovi indignados italiani, che non ne vogliono sapere di farsi mettere sul lastrico nel tempo feroce della crisi.
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