Ieri, se ne è andato Eduard Limonov, scrittore russo prolifico, politico, esteta e, last but not least, guerrigliero. Ripubblichiamo quì un post a lui dedicato del 2013.
Tra altri popoli spesso vengono ad abitare i falliti. Questa grande e coraggiosa tribù è infatti dispersa in tutto il mondo. Nei paesi anglofoni sono chiamati abitualmente loosers-cioe', perdenti. Questa tribù è assai più numerosa degli ebrei, e non meno audace e intraprendente. Non le manca la pazienza: a volte per tutta la vita si nutre solo di speranze.. Bisogna sottolineare un tratto particolare: gli uomini e le donne di questa tribù, una volta raggiunto il successo, facilmente ripudiano gli altri del gruppo, fanno propri i costumi e i modi di quel popolo, in seno al quale hanno raggiunto il successo, e non resta alcuna traccia della loro trascorsa appartenenza alla gloriosa genia dei falliti..
"E poi all'improvviso ti svegli in una vita tua e non tua, indossando un abito Pierre Cardin, un mitra nella mano destra.."
CONSIGLI DEL DOTTOR LIMONOV PER GIOVANI AMBIZIOSI
Il primo obiettivo di un individuo che vuole diventare un personaggio "importante" è non obbedire alle tradizioni culturali della gente "semplice". Se guardo le foto di classe con tutti i miei compagni, quando abbiamo preso il diploma, mi viene da pensare..perché'? Perché' i miei compagni non hanno fatto qualcosa di grande? Dire che fossero stupidi o senza talento sarebbe distorcere la verità. Non sono nemmeno stati raggiunti dalla prosperità. Nessun criminale, nessun assassino, solo folla qualunque. Così, se mi venisse chiesta la formula per diventare una persona importante citerei innanzitutto l’abilità di assumersi dei rischi. L’abilità perfetta nel prendere di volta in volta un rischio..Poi aggiungerei alla formula l'assoluto disprezzo per le tradizioni culturali. E cos'altro?
Penso che la fortuna sia una questione di organizzazione della vita. Uno che sogna di diventare un uomo importante deve anche essere determinato e crudele, come un lupo. Nella sua vita deve far scoppiare tutti i casini che può. Io farei scoppiare questo cazzo di pianeta, se riuscissi ad avvicinarmi a una bomba atomica o a qualche altro congegno del genere. E allora, che senso ha andare avanti in questa esistenza molle come una merda? Qualcuno dovrebbe fermate tutto. E così quel qualcuno diventerebbe definitivamente grande. L'ultimo eroe dell’umanità..
(Eduard Limonov in Italia)
MAR MEDITERRANEO - OSTIA
Avevo una gran fame. Delle 122.000 lire che ci pagava il fondo Toistoj, la signora Francesca ce ne succhiava 60.000 per una fredda celletta in casa sua. Gli ebrei dicevano che a Ostia gli appartamenti costavano molto meno. Un giorno ci siamo decisi e siamo andati in autobus a Ostia.
Abbiamo trovato l'indirizzo. Mentre lo cercavamo, almeno tre volte sono stato sul punto di tirar cazzotti. Elena con 1e sue lunghe gambe aveva un cornpletino con la gonna corta, e gli italiani di sesso maschile ci urtavano, fischiavano, si aveva l'impressione che da un momento all’altro ci dovessero saltare addosso. Un giovanotto occhialuto con i capeili lunghi come me evidentemente non li spaventava troppo. La terra a Ostia sembrava calva. L’erba ci cresceva male, per questo il terreno aveva l'aspetto di un cranio spelacchiato. Probabilmente quando pioveva si formava un gran pantano e poi la melma si riasciugava alla rinfusa, inglobando, come se fosse cemento, mattoni, tavole, pezzi di ferro arrugginito. In realtà a Ostia non sembrava di stare all’estero, non aiutavano neppure le
insegne in italiano, più che altro assomigliava a Saltovskij, i1villaggio della mia infanzia. Forse anche perché eravamo entrati non dalla porta principale, la stazione, la piazza del municipio, ma dalla porta di servizio, più comoda e veloce, come ci avevano spiegato gli “ebrei”. Cosi chiamavamo gli emigranti, ed era vero, perché verso la fine del 1974 in Italia non c’erano altri emigranti all'infuori degli ebrei. E di noi due.
La questione dell'appartarnento l'abbiamo risolta in fretta. Abbiamo fatto il giro delle camere, dove gli ebrei, uomini, donne e bambini se ne stavano stesi sui letti come trichechi. Stavano stesi ad aspettare che gli rilasciassero il visto per gii Stati Uniti o per il Canada. Temendo che non glielo dessero. Gli ebrei odoravano di paura, povertà, attesa. Chi non dormiva, masticava. Ci hanno fatto vedere la camera, uguale alle altre, che avremmo potuto occupare noi. Costava la metà della nostra stanza di Roma, ma per entrarci si doveva passare per una camera dove abitava una grande famiglia. O per lo meno c’erano molti letti.
<E se devo fare pipi?> ha chiesto Elena.
<<Potete comprarvi un vaso da notte>> ci ha consigliato la ragazza grassa e bionda che ci faceva strada, la stessa che ci aveva dato l'idea di Ostia. Studiava inglese assieme a noi in una scuola proprio sulla riva del Tevere. Era chiaro che la camera non l'avremmo presa, troppo sconfortante la visione di tanti ebrei ammucchiati. E poi Ostia decisamente non ci era piaciuta. Appariva del tutto inspiegabile come una cittadina tanto lercia potesse aver svolto la funzione di porto della Grande Roma.
Ce ne siamo andati, dopo esserci messi d’accordo che saremmo tornati la settimana dopo, pregandoli di tenerci la camera: sapevamo perfettamente che non saremmo venuti, ma mentivamo per gentilezza. Isaak Krasnov e la sua famiglia, e persino i due abissini operai in una fabbrica di conserve, nostri coinquilini nell'appartamento vicino alla stazione Termini, erano persone interessanti in confronto a quella mandria oppressa di trichechi. In strada Elena si e accesa una sigaretta.
<Uno schifo di posto> ha detto nervosa. In realta era stata lei a volerci venire. Si lamentava tutto il tempo di come si viveva male nell'appartamento puzzolente della signora Francesca.
<<A mettere insieme tanta gente povera e nervosa, cosa ti aspettavi>> ho riassunto io.
<<Andiamo almeno a dare un’occhiata al tanto decantato mar Mediterraneo>>
<Il mare?> ho chiesto a un ragazzino orrendo, del tutto in tono con il paesaggio. Il ragazzino ha puntato il dito verso la rete di una recinzione e li ci siamo diretti. Finalmente siamo sbucati su una striscia di sabbia sporca. Nella sabbia avevano piantato delle porte da calcio, e cinque o sei monelli malmessi si passavano pigramente la palla.
<<Perché qua sono tutti cosi brutti e storti? — Ha chiesto Elena. — A Roma la gente é bella.>>
<Si, — ho detto io - non brillano per bellezza.>
Abbiamo attraversato il campo di sabbia e dietro abbiamo trovato una timida distesa di acqua grigia.
<<E sarebbe questo il tanto decantato Mediterraneo, quello che solcavano le triremi?>>ha chiesto Elena. <Si, — ho risposto io — non si è rivelato all’altezza.>
Una volta un’amica di Marja Nikolaevna Izergina, che aveva vissuto all’estero con il marito diplomatico, ci aveva detto che Koktebel’, e in generale tutta la Crimea, era molto più bella della tanto celebrata Italia. Molto più bella del golfo di Genova. Ci siamo seduti e, questa volta, ad accendere una sigaretta sono stato io. Il mare era a cinquanta metri da noi. L’acqua era bassa e ci sguazzavano barattoli arrugginiti, alcune bottiglie, altra robaccia.
<<E dov’è il porto?>> mi fa Elena.
<Tutto fa pensare che occorra anclare a destra. Andiamo?>
<<No, — ha risposto lei — già mi sono scorticata i piedi abbastanza. E poi non ne ho voglia.>>
<Ma quale porto ci può essere con un’acqua così bassa? C’è qualcosa che non mi convince con questa storia del porto di Roma. Può darsi che non fosse Ostia il porto di Roma?>
<<Forse il porto era Roma stessa e poi l’acqua si é ritirata?>>
ha osservato Elena.
<Come ha fatto in duemila anni a ritirarsi a questo modo? Ci vogliono intere ere geologiche per processi del genere. Venezia sprofonda, ma mica di metri all’anno. .. Hai mai notato che alcune rovine sembrano più giovani di quel che sono?>
<<E per via del marmo. Al marmo non può succedere nulla.>>
<<Per me contano balle sull’età delle loro città, gli italiani. La alzano apposta, cosi è più prestigioso.>>
Mi sono arrischiato a togliermi le scarpe e a bagnarmi i piedi nell'acqua grigia del mar Mediterraneo. Avrei anche potuto farmi il bagno, non era cosi freddo. Ma non mi è venuta voglia, perché il mare non mi piaceva. Ce ne siamo andati e non siamo mai più tornati a Ostia. L’anno dopo, nell’autunno del 1975, a New York ho letto sul giornale che in una radura desolata di Ostia era stato ucciso Pier Paolo Pasolini. Dalla dettagliata descrizione ho capito che erano esattamente i posti dove eravamo stati io ed Elena.
Le mie osservazioni sulla giovinezza delle antichità italiane e sull’inadeguatezza di un misero porto senza fondale come Ostia alla Grande Roma dell’ antichità mi sono tornate in mente a Mosca all'inizio degli anni Novanta, quando ho letto il lavoro dei professori Nosov e Fomenko intitolato Nuova cronologia della Russia, dell'Inghilterra e di Roma. Vi si sostiene che Roma è molto meno antica di quanto si creda e che la vera capitale dell’Impero romano è sempre stata Costantinopoli. ll destino ha deciso che già da vent'anni Elena viva nella Città eterna. Suo marito è morto, lasciandole il titolo di contessa e la figlia Anastasija.
Eduard Limonov, Libro dell'Acqua - Alet
Eduard Limonov, nato in Russia (Dzerzinsk) come Eduard Savenko. Il primo scrittore dell'epoca postsovietica incarcerato per motivi d'opinione. Ribelle, eccentrico, piantagrane, sempre controcorrente. Mai smentita la sua fede bolscevica (sottolineata nel libro La nostra era una grande epoca..), Limonov ci suggerisce che al posto dell'Unione Sovietica ci sono oggi pseudo democrazie e una serie esplicite di dittature: la Russia come palestra di nuovi esperimenti di cattura di consenso, totale asservimento dei mezzi di comunicazione di massa, e degli elettori ai mezzi di comunicazione di massa, meccanismo esportabile in tempi stretti anche alle democrazie occidentali e frutto del matrimonio tra il capillare controllo sociale (esercitato dai servizi segreti) e il Grande Fratello televisivo. In questo quadro sorprende la contaminazione degli estremismi di destra e di sinistra, che coinvolge un intera galassia rosso-bruna di cui il partito Nazionalbolscevico di Limonov è una piccola avanguardia. Un esigua truppa di esagitati, giovani e ragazzotti in maggioranza punk, anarchici, nazionalisti..
Famiglia semplice, infanzia difficile in quartieri di frontiera, tra
alcol e piccoli furti. Si trasferisce a Mosca, scrive poesie e racconti.
Nel 74 ottiene un difficilissimo permesso di espatrio: Austria, Italia,
Francia, dove seppur senza un soldo frequenta personaggi famosi, e
sempre più insiste nello scrivere e pubblicare. Si sposta poi a New York
dove sopravvive con lavori umili e saltuari (lavapiatti, maggiordomo,
muratore..)
In America la moglie Elena lo abbandona per un altro, intensifica la sua
vita bohemien,tante donne, e mille esperienze che diventeranno storie
per i suoi scritti. Finalmente nel 80 viene pubblicato in Francia Io sono Edicka. Un successo quasi immediato, tradotto in 15 lingue. Poi, Diario di un fallito, l'opera più dura verso la società occidentale, e americana in particolare.
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