La vera storia del padre di tutti gli Antivirus. Sempre borderline,sempre insodisfatto, e in lotta con tutto e tutti, e sempre in fuga, anche da se stesso..
JOHN MCAFEE APRE IL CARICATORE della Smith & Wesson e lascia cadere i proiettili sul tavolo davanti a me. Qualcuno rotola per terra. John ha 67 anni, è asciutto e in forma, le braccia gonfie di vene, i capelli decolorati biondi, le spalle ricoperte di tatuaggi. Nel 1987 ha creato McAfee Associates, azienda produttrice di antivirus di grande successo che nel 2010 e stata comprata dalla Intel per 268 miliardi di dollari. Ora è nascosto in un bungalow su un’isola dei Caraibi, a 24 chilometri dalla costa del Belize. Raccoglie un proiettile, mi guarda con gli occhi spalancati: <<Questo è un proiettile, giusto?>>, dice con l’accento strascicato del Sud. <<Metti via la pistola», gli dico. Sono venuto qui per capire come mai il governo del Belize lo accusa di aver radunato una specie di esercito privato e di essere uno spacciatore internazionale di droga. Sembrava una storia impossibile: un imprenditore di successo sparisce nella giungla centroamericana e diventa un narcotrafficante. Ora sembra quasi credibile. Le accuse sono tutte false, ribatte lui: <<Non è detto che tutto quello che mi attribuiscono sia vero. Posso darti una dimostrazione?». Carica la pistola. <<Sei spaventato?>>. Se la punta alla tempia. ll cuore comincia a battermi più forte. <<Si, ho paura», dico. <<Non è necessario>>. <<Lo so», dice lui. Poi preme il grilletto. Niente. Spara altre tre volte, in rapida successione. Il caricatore contiene cinque colpi. <<Metti via la pistola>>, insisto. Mi fissa e preme il grilletto per la quinta volta. Niente. Tiene la pistola puntata contro la testa e spara a raffica.
<<Posso andare avanti cosi per ore. Posso farlo diecimila volte e non succederà mal niente. Sai perché? Perché ti sei perso un particolare. Stai ragionando in base a un presupposto sbagliato>>. Lo stesso vale per le accuse contro di lui, spiega. Ma c’è una cosa su cui sono tutti d’accordo: nell’alba nebbiosa di quel 30 aprile 2012 sono cominciati i guai grossi.
SONO LE 4.50 DEL MATTINO. La televisione e ancora accesa nella guardiola della nuova proprietà di McAfee, un ettaro di terra immerso nella giungla del Belize. Un vigilante ubriaco sta guardando un concerto di Madonna. Sente arrivare un camion, poi i passi che si avvicinano, il cancello che viene fatto saltare. Decine di uomini in mimetica fanno irruzione. Sono agenti della Gang Suppression Unit, un corpo speciale della polizia del Belize addestrato dall’Fbi e armato con fucili mitragliatori Taurus MT—9. La loro missione è smantellare le organizzazioni criminali. ll vigilante osserva la scena e si rimette a sedere: il video di Madonna non è ancora finito. <<Fermi tutti, polizia. Uscite con le mani in alto!>>, grida una voce dal megafono. McAfee schizza fuori dal bungalow. E’ nudo e stringe la pistola in mano. La sua vita, rispetto a quando era un magnate dell’informatica, è cambiata. Nel 2009 ha venduto tutto (proprietà immobiliari nelle Hawaii, in Colorado, New Mexico e Texas e anche un aereo privato da dieci posti) e si è ritirato nella giungla. Adesso la sua fortezza è sotto attacco e gli agenti convergono su di lui. Torna nel bungalow. Seduta sul letto c’è una ragazza di 17 anni, nuda, con i capelli sciolti sulle spalle che incorniiciano le stelle tatuate sul petto. E’ terrorizzata. McAfee si infila un paio di pantaloncini, getta a terra la pistola ed esce con le mani alzate ben in vista. Gli agenti lo sbattono faccia al muro e gli stringono le manette ai polsi: <<Lei é in arresto con l’accusa di sospetta produzione di anfetamine». Si gira per guardare in faccia il suo accusatore: <<Questa è un ipotesi che trovo, a dir poco, sorprendente», risponde. <<E’ dal 1983 che non vendo droga>>.
Il 1983 è stato un anno fondamentale per Johh McAfee. Aveva 38 anni, allora, ed era direttore tecnico della Omex, una società di Santa Clara che produceva sistemi di immagazzinamento dati. Vendeva anche cocaina ai colleghi, oltre a sniffarne quantità enormi. Quando era troppo fuori prendeva un sedativo. Andava avanti cosi tutto il giorno e la sera passava a bere whisky per calmare il terremoto che aveva in testa. Non è mai stato uno a posto, McAfee. lnglese, ma cresciuto a Roanoke in Virginia, è figlio di un impiegata di banca e di un addetto alla sicurezza stradale. Suo padre era un alcolizzato che picchiava lui e la madre. Si è sparato un colpo in testa quando John aveva 15 anni. McAfee comincia a bere fin dai primi anni del college. Per mantenersi agli studi vende abbonamenti porta a porta. Bussa a casa della gente annunciando che hanno vinto un abbonamento gratis a qualche rivista e che devono soltanto versate una piccola somma per le spese di spedizione e consegna: <<In pratica gli dicevo che non era per niente gratis. Ma il trucco funzionava. Ho fatto una montagna di soldi>>. Spende quasi tutto in alcol, ma nel 1969 riesce a laurearsi in matematica e comincia a insegnare al Northeast Lousiana State College. Lo cacciano perché si è portato a letto una delle sue studentesse, che poi sposerà, e finisce nel Tennessee. Anche li, però, non dura molto. Lo arrestano per possesso di marijuana, il suo avvocato riesce a tenerlo fuori dalla galera ma con il lavoro ha chiuso. Trova un altro posto alla Pacific Railroad di St.Louis. La società vuole usare i computer Ibm per gestire il traffico dei treni, e in soli sei mesi i sistemi di McAfee cominciano a sfornare dati sempre più precisi sul traffico ferroviario. Peccato che, più o meno nello stesso momento, lui scopra l’Lsd. Un giorno decide di provare un allucinogeno diverso chiamato Dmt. Si fa una riga, non sente niente e allora sniffa tutta la busta. <<Nel giro di un’ora sono andato completamente fuori di testa». Finisce nascosto dietro un cassonetto della spazzatura, tormentato dalle voci, sperando che nessuno lo veda. Da allora si è sempre sentito sull’orlo di un esaurimento nervoso. E il crollo alla fine arriva, siamo appunto nel 1983, mentre lavora alla Omex. John si fa una riga di coca dietro l’altra in ufficio e si scola una bottiglia di whisky al giorno. Sua moglie lo ha lasciato, lui si sbarazza dei suoi cani e alla fine si licenzia. Si chiude in casa da solo a strafarsi per giorni, pensa che forse dovrebbe uccidersi, come suo padre. <<Era l’inferno>>, racconta. Poi trova la forza per andare da uno psichiatra, che gli consiglia di rivolgersi ad Alcolisti Anonimi. Al primo incontro scoppia a piangere. Gli altri lo abbracciano, gli dicono che non è solo. <<In quel momento è cominciata la mia nuova vita>>. E’ rimasto sobrio da allora.
IL CONCERTO DI MADONNA è finito, il vigilante esce dalla guardiola per vedere cosa sta succedendo. La polizia circonda anche lui. Si chiama Austin “Tino” Allen, ha alle spalle 28 condanne per rapina e aggressione e ha passato metà della sua vita in carcere. Gli agenti della Gang Suppression Unit radunano tutti contro un muro. Durante la perquisizione la polizia trova fucili, pistole, una cassa di munizioni e centinaia di bottiglie di un prodotto chimico che non riesce a identificare. McAfee e Allen vengono caricati su un furgone che parte a tutta velocità verse Belize City. <<Capo, è un onere essere qui con lei>>, gli dice Allen. <<Deve essere veramente un pezzo grosso per far muovere tutta questa gente>>.
E’ IL 1986. IN PAKISTAN due fratelli creano il primo virus informatico della storia. Lo chiamano Brain, come il loro negozio di computer a Lahore. Un anno dopo Brain ha infettato migliaia di computer nel mondo. McAfee è sobrio da quattro anni e lavora alla Lockheed a Sunnyvale, California. Un giorno legge sul San Josè Mercury News la storia del virus pachistano che sta invadendo gli Stati Uniti. Nessuno e in grado di capire come e quando Brain potrà colpire. Gli viene in mente suo padre, che lo picchiava senza una ragione. Allora non era in grado di difendersi, adesso decide di fare qualcosa. Si chiude nel suo appartamento di 65 metri quadrati a Santa Clara e fonda McAfee Associates. L’idea è di creare un programma antivirus e di metterlo a disposizione di tutti. Non pensa ai soldi, vuole solo che la gente capisca che non può fare a meno del suo software. Le cose vanno proprio cosi: nel giro di un anno metà delle cento aziende top di Fortune installano l’antivirus e nel 1990 John McAfee guadagna 5 milioni di dollari all’anno. La capacità di contagiare gli altri con le sue paranoie fa di lui un uomo ricco. Nel 1992 la sua azienda viene quotata in Borsa e di colpo vale 80 milioni di dollari.
A BELIZE CITY I PRIGIONIERI stanno in una cella di tre metri per tre. Pavimento di cemento, puzza soffocante, una bottiglia di plastica per pisciarci dentro. La polizia ha sequestrato armi prive di licenza e sostanze chimiche che non riesce a identificare: servono per una ricerca che dovrebbe sviluppare una nuova classe di antibiotici, spiega McAfee, ma la polizia non se la beve. Nei suoi confronti, tuttavia, non c’è ancora nessuna imputazione. McAfee tira fuori una banconota da una scarpa e la allunga a una guardia: <<Hai una sigaretta?». La guardia torna con un pacchetto di Benson. E l’americano, che non fumava da dieci anni, assapora il primo tiro. Si tiene i pantaloni con una mano perché gli hanno preso la cintura. <<Prova a legarli con questo>>, gli dice Allen, passandogli un sacchetto di plastica. McAfee esegue, i pantaloni stanno su. <<Benvenuto nel Pisciatoio, capo>>, ghigna lo scagnozzo.
PER VENT’ANNI, SINO AL 2008, John McAfee mette radici nella Silicon Valley e conduce una vita normale con Judy, la seconda moglie. E’ un uomo d’affari con molta esperienza e le startup gli chiedono consigli. Riceve anche un dottorato honoris causa dalla sua scuola, il Roanoke College. E’ un cittadino modello, regala computer alle scuole e fa inserzioni sui giornali per invitare i giovani a fuggire le droghe. Resta un cittadino modello anche quando il matrimonio va all’aria nel 2003: si consola aprendo un centro di yoga, avvicinandosi alla spiritualità e scrivendo quattro libri sull’argomento.
Nel 2008 però la situazione cambia. Non vuole più essere un borghese, cerca uno stile di vita più selvaggio. <<John era sempre in cerca di qualcosa>>, dice la sua fidanzata di allora, Jennifer Irwin. La crisi colpisce anche lui. Nel 2009 mette in vendita le sue proprietà, tra cui 400 ettari di terra alle Hawaii e un aeroporto privato nel New Mexico. Pensa cosi di scoraggiare azioni legali contro di lui: un dipendente che si è infortunato e gli ha fatto causa, un processo per la morte di un allievo della sua scuola di volo. Se espatria, pensa, non gli porteranno via tutto. Vuole un paese in cui si parli inglese, vicino agli Stati Uniti e con bellissime spiagge. Su Google Earth localizza una villa ad Ambergris Caye, in Belize, uno staterello di 350mila abitanti, e la compra. Quando arriva li, nell’aprile 2008, lo portano nella giungla a visitare un tempio Maya in rovina, seminascosto dalla vegetazione. Un tempo quelle pietre sconnesse erano intrise del sangue dei sacrifici umani, gli raccontano. E’ affascinato: <<Un posto semplice e grezzo, che rivela un aspetto della natura umana impossibile da trovare nelle società sviluppate>>, commenta McAfee. La giungla gli sembra un’opportunità per trovare se stesso irresistibile. Cosi, nel febbraio 2010, compra anche un ettaro di palude lungo il New River, a 16 chilometri dal tempio Maya. Spende un milione di dollari per bonificare il terreno, costruisce una schiera di bungalow e trasforma la nuova proprietà in una specie di residenza di Kublai Khan: mobili tibetani, un pianoforte a coda sul quale improvvisa a lungo, anche se non ha mai imparato a suonare. Si trasferisce li, mentre Jennifer resta nella villa di Ambergris Gaye. Invecchiare gli pesa. Rimedia con iniezioni di testosterone nei glutei, convinto che gli diano una sferzata di giovinezza. Non ha voglia di fare il pensionato di lusso, cosi apre una fabbrica di sigari, una società di distribuzione di caffè e una compagnia di taxi acquatici. In quel 2010 incontra Allison Adonizio, una biologa di 31 anni in vacanza da quelle parti. Ad Harvard, Allison sta facendo una ricerca su alcuni composti delle piante che impediscono ai batteri di provocare infezioni. La ricerca potrebbe portare a un nuovo antibiotico. McAfee è entusiasta, ha combattuto il contagio digitale e ora combatterà quello organico: le propone di mettersi in affari con lui e nel giro di pochi minuti sta già spiegando come rivoluzionare l’industria farmaceutica e salvare milioni di vite: <<Mi ha offerto il lavoro dei sogni: un laboratorio tutto mio, attrezzature, assistenti. Era incredibile>>.
Allison si trasferisce in Belize. I tempi lunghi della ricerca però non vanno d’accordo con l’impazienza di McAfee, che presto si stufa dei batteri. Ora passa il suo tempo a Orange Walk, una cittadina di 13 mila abitanti: <<Il buco del culo del mondo», scrive agli amici. <<Sporca, calda, in rovina>>. Frequenta un locale chiamato Lover’s Bar: <<Un karaoke messicano, una disarmonia di dimensioni diaboliche». Al piano di sopra c’è un bordello frequentato da raccoglitori di canna da zucchero, contadini, pescatori, tutti quelli che possono permettersi di spendere 15 dollari>>. E’ il mondo vero che ha sempre cercato, in tutto il suo orrore. Nel bar le ragazze sono pagate per far bere i clienti: bevono anche loro, poi vanno sul retro e vomitano la birra, in modo che venga riutilizzata. <<La maggior parte delle persone sarebbe scappata il più lontano possibile per non ammalarsi o impazzire. Io no>>. Dopo sei mesi al Lover’s Bar, e dopo avere imparato a pisciare in mezzo alla strada, scrive a un amico: <<Il mio fragile legame con la società civile è seriamente compromesso. Per non parlare della mia igiene personale>>.
EVARISTO “PAZ" NOVELO, il grasso proprietario del Lover’s Bar, ha una lunga esperienza di bordelli e si fa un vanto di accontentare tutti i clienti. Un giorno chiede a McAfee se vuole una donna. Lui risponde di no. Gli chiede se vuole un uomo e John rifiuta ancora. Evaristo allora si presenta a casa sua con una ragazza di 16 anni. Si chiama Amy Emshwiller e ha un’aria dura e sfacciata che confonde. Gli racconta che da bambina è stata violentata e che la madre la costringeva a prostituirsi: <<Io non mi innamoro mai. Non fa per me>>. McAfee e scosso da una tempesta di emozioni contrastanti: desiderio, compassione, pena. <<Lei e la mia versione femminile. La sua storia è anche la mia>>. Amy però non prova niente per lui: <<Gli ho raccontato la mia storia solo perché volevo fargli pena e fregarlo>>. Nel giro di un mese finiscono a letto. Jennifer, la fidanzata di John, e sbalordita. Gli chiede di cacciare Amy, lui rifiuta e lei torna in America. <<Ho mandato all’aria dodici anni di relazione stabile per una ragazzina fuori di testa. Ma mi sono davvero innamorato>>.
Una notte Amy decide di passare all’azione. Sguscia fuori dal letto e prende la Smith&Wesson. Il suo piano è uccidere McAfee e prendere tutti i soldi che trova. Punta la pistola e preme il grilletto, ma all’ultimo momento chiude gli occhi e il proiettile si conficca nel cuscino. McAfee le strappa di mano la pistola. Non sente dall’orecchio sinistro e fa fatica a stare in piedi. La punisce come si fa con una bambina. Amy è furibonda: <Ma se non ti ho neanche ucciso!> grida.
MCAFEE DECIDE CHE FORSE E MEGLIO allontanare la ragazza. Nel 2011 fa costruire una casa a Carmelita, un chilometro più a nord, 1600 abitanti, un villaggio di baracche, molta della quali senza elettricità. Amy, che é cresciuta nella zona, gli racconta cha Carmelita é in realtà una tappa nel traffico di droga verso il Messico, 55 chilometri più a nord. Una notizia perfetta per scatenare le sue paranoie: <<Amavo il fiume, finché non ho scoperto l’orrore di Carmelita>>. I frequentatori del Lover’s Bar, forse imbeccati da Amy, gli raccontano storie di omicidi, torture, guerre tra gang. Carmelita diventa un luogo mitologico: <<Era il selvaggio west. Mi sono reso conto che a quattro chilometri da casa mia c’era il posto più corrotto del mondo». Decide di passare all’azione, salverà il villaggio. A Carmelita non c’è una stazione di polizia. Lui compra una casetta in cemento e fa mettere le sbarre d’acciaio alle finestre. Quando gli agenti fanno notare che non hanno l’equipaggiamento adeguato li rifornisce di M16, lacrimogeni, divise da combattimento, manganelli. Paga di tasca sua gli agenti per fare ronde fuori servizio, trasforma la polizia nel suo esercito privato e comincia a dare ordini. Vuole i nomi dei trafficanti. Interviene anche di persona, un Rambo minaccioso e un po’ ridicolo: fa irruzione nella casa di un presunto trafficante e si fa consegnare il suo fucile dai parenti terrorizzati, blocca le auto e le perquisisce, regala un televisore a un ragazzo purché smetta di spacciare marijuana. <<E stato come se John Wayne fosse arrivato in citta», dice il sindaco Elvis Reynolds. E spiega che Carmelita era una cittadina povera, ma non un covo di narcotrafficanti. Le sbruffonate da vigilante e il fatto che abbia un laboratorio chimico in casa alimentano i sospetti sul conto di McAfee. Allison Adonizio continua la sua ricerca sui batteri. John tiene tutto nascosto, perché ha paura delle spie: <<Gente mandata dalla Glaxo, dalla Bayer e dalle altre multinazionali>>. Amy continua a ripetergli di stare attento, gli parla di gang di Carmelita pronte a rapirlo e ucciderlo. McAfee é convinto che lei sia l’unica in grado di difenderlo. Anche Allison Adonizio è preoccupata. Il suo laboratorio è pieno di gente armata, ma il vero problema è McAfee: <<Ha cominciato a farmi paura>>. Cosi anche lei lascia il Belize. George Lovell, ministro della Sicurezza nazionale, vede come il fumo negli occhi le armi e gli uomini di McAfee: <<Quando qualcuno si comporta cosi, la domanda è cosa stai proteggendo?>>. L’irruzione in casa di McAfee e solo questione di tempo, anche se, quando gli agenti della Gsu entrano nella sua villa, non trovano tracce di metamfetamina né di altre droghe. Pero confiscano dieci armi e 320 casse di munizioni, oltre a rilevare la presenza di tre guardie senza una regolare licenza. McAfee passa una notte in galera e poi viene rilasciato. La sua guerra alla droga, dice, gli ha procurato dei nemici.
LO INCONTRO AD AGOSTO nella sua villa di Ambergris Gaye. McAfee è armato, un plotone di guardie pattuglia la spiaggia. Mi racconta che ora vive con cinque donne tra i 17 e i 20 anni. C’è anche Amy, ma non è piu l’ape regina. Gli chiedo perché non ha ancora lasciato il Belize. <<Non voglio che pensino che sto scappando. Carmelita tornerebbe a essere una terra di nessuno>>. La sua vita e una contraddizione continua. Dice di voler rispettare la legge, ma ha lasciato gli Stati Uniti per evitare un processo. Vuole lottare contro lo spaccio di droga, ma è accusato dalla polizia di essere un trafficante. Credo che abbia perso il contatto con la realtà. E’ convinto di poter rimettere a posto se stesso ripulendo Carmelita. Gli racconto che sono stato a Carmelita: gli abitanti mi hanno raccontato che gli unici problemi sono i furti di biciclette e le risse tra ubriachi. Non mi e sembrato un posto particolarmente pericoloso. <<Il novantanove per cento dei crimini non viene denunciato>>, mi risponde. <<Se le gang uccidono tua sorella e tu le denunci, loro tornano e ti uccidono. E nessuno dice niente>>. Ci sono stati solo due omicidi negli ultimi tre anni, dico, lui replica che non ho fatto le domande giuste.
OTTO SETTIMANE DOPO il mio telefono squilla alle 4.30 del mattino. «Mi spiace svegliarti, ma sono circondato dalla Gsu. Sono entrati e sono rimasti in silenzio tutta la notte. Non fanno niente, ti stanno addosso e basta>>. Gli suggerisco di riposare un pò. <<Stanno tornando. Questo è troppo, me ne vado». La linea cade. Una settimana dopo mi richiama dal confine con il Messico. Mi dice che ne ha abbastanza del Belize. Stava passeggiando sulla spiaggia di Ambergris Caye e due sommozzatori della Gsu sono spuntati dall’acqua. Un’altra squadra è entrata nella sua camera, senza però fare o dire niente. Passa un’altra settimana e mi richiama: «Grazie a Dio me ne sono andato dal Messico». È stato picchiato e rapinato a Cancun, ora è di nuovo ad Ambergris Caye: <<È chiaro che qui non mi faranno del male, vogliono solo spaventarmi».
Venerdì 9 novembre mi scrive in una mail: «Uomini vestiti di nero sono sbarcati sul molo. Mezz’ora dopo i miei undici cani sono stati avvelenati. Yellow, Lucky, Dipsy e Guerrero sono morti». Il giorno dopo mi scrive ancora: i cani hanno fatto una fine orrenda, si contorcevano e vomitavano sangue. Ha notato delle impronte di stivali militari vicino al suo cancello, è convinto che la polizia c’entri qualcosa. Gli faccio notare che alcuni dei suoi vicini di casa si sono lamentati dei cani in passato. Uno di loro, Greg Faull, un omone che gestisce un bar a Orlando, in Florida, e vive due case più in là, si è fatto sentire. Il Belize per lui è un paradiso tropicale, se non fosse per il rumore dei cani. Hanno litigato parecchie volte, Faull ha minacciato di ammazzare i cani, ma McAfee è convinto che non lo avrebbe mai fatto. Non è stato nessuno dei suoi vicini: «Amano tutti i cani, non sarebbero capaci di fare una cosa del genere. Nemmeno Faull». Domenica mattina, Greg Faull viene ritrovato morto in una pozza di sangue. Gli hanno sparato un colpo dietro la nuca, come in un esecuzione. Poco lontano dal cadavere c’è la fondina di una Luger 9mm. Nessun segno di scasso. Dalla casa mancano un laptop e un iPhone. Nel pomeriggio la polizia arriva per interrogare McAfee. Confiscano tutte le sue armi, poi quando se ne vanno il domestico, Cassian Chavarria, gli dà la notizia: Faull è morto. La sua reazione è: «Sono stati quelli della Gsu. Lo hanno scambiato per me, hanno sbagliato casa e 10 hanno ucciso». Decide
di scappare, mi chiama a tutte le ore. Gli chiedo se è stato lui a uccidere a Faull: «No, no. Non dirlo nemmeno per scherzo. Se mi prendono è la fine».
Nelle 48 ore successive, McAfee gira per tutto il Belize. Con lui c’è una delle sue ragazze, Samantha Vanegas. Vanno avanti a pacchi di biscotti Oreo e sigarette. Martedì mattina la polizia è entrata in una casa a fianco alla loro, ma sono riusciti a scappare. Ora sono in un posto senza acqua calda, con il bagno rotto. Ma c’è un televisore: «Abbiamo guardato un film, Robinson nell’isola dei corsari. Parla di una famiglia di naufraghi svizzeri. Ci siamo detti: ce la possiamo fare anche noi. Possiamo costruirci un rifugio, o qualcosa del genere». È un film che finisce bene A McAfee è piaciuto. Mentre Joshua Davis terminava questo reportage, che è diventato anche un ebook di cui la Warner ha acquistato idiritti cinematografici, John McAfee il 5 dicembre varcava la frontiera del Guatemala e veniva arrestato. Una settimana dopo la magistratura guatemalteca dichiarava illegale la sua carcerazione, rifiutava di estradarlo in Belize e disponeva che venisse rimpatriata negli Stati Uniti. Ora McAfee ha piantato le tende aPortland, nell’0regon, dove collabora alla realizzazione di una graphic novel sulla sua vita movimentata. The end?
JoshuaDavis.net
(Wired)
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