De Gregori rilascia un intervista al Corriere della Sera e la rete si scatena. Le dichiarazioni del cantautore romano, politico per eccellenza, infiammono gli animi. Ma cosa ha detto per così tanta animazione? De Gregori spara sulla sinistra italiana: <<Secondo lei cos'è oggi la sinistra italiana?>> <<È un arco cangiante che va dall'idolatria per le piste ciclabili a un
sindacalismo vecchio stampo, novecentesco, a tratti incompatibile con la
modernità. Che agita in continuazione i feticci del "politicamente
corretto", una moda americana di trent'anni fa, e della "Costituzione
più bella del mondo". Che si commuove per lo slow food e poi magari, "en
passant", strizza l'occhio ai No Tav per provare a fare scouting con i
grillini. Tutto questo non è facile da capire, almeno per me>>.
Dire che è come sparare sulla Croce Rossa è un..eufemismo. Dichiara che vanno tutelate le fasce più deboli della popolazioni, a favore della scuola pubblica e della meritocrazia e che la ricchezza in quanto tale non "vada punita". E, giustamente, per favorire queste prospettive ha votato Monti e Bersani. Si dice sconvolto da quelli che gridano all'inciucio quando i due grandi partiti cercano un accordo per fare qualche riforma!! Potete poi leggervela tutta l'intervista sul Corriere: ce ne per tutti, da Veltroni a Moretti, da Castro fino ai 5 Stelle. Ma la ciliegina sulla torta è la sua "nuova passione": non si salva proprio nessuno?
<< Papa Francesco, la più bella notizia degli ultimi anni. Ma mi piaceva
anche Ratzinger. Intellettuale di altissimo livello, all'apparenza
nemico del mondo moderno e in realtà avanzatissimo, grande teologo e per
questo forse distante dalla gente. Magari i fedeli in piazza San Pietro
non lo capivano. Ma il suo discorso di Ratisbona fu un discorso
importante>>.
Sembra proprio una moda: non bastava il poco lindo Giovanni Ferretti, passato in poco tempo dal bolscevismo al berlusconismo, poi al razzismo della Lega e infine approdare alla celeste via di Ratzinger. Di sicuro, il cantante di Buonanotte fiorellino incendiario non lo è stato mai. Davvero uno strano paese, questo, con strani personaggi. Per non tirarla per le lunghe, tra i tanti commenti e risposte all'intervista, quella più appropriata ci sembra proprio quella dei giovani Pd: caro Francesco, stai invecchiando male! E del De Gregori che non voterà più a sinistra, ce ne faremo una ragione.
Intanto, nell'articolo che segue, ricordiamo un altro De Gregori e altri tempi: la contestazione e "il processo" che il cantautore subì nell' aprile 1976 durante il famoso concerto al Palalido di Milano, da parte di una frangia del "movimento". La ricostruzione è di Alberto Piccinini ed è comparsa sul numero 27 di Alias del luglio 2011.
LASCIA QUI' L'INCASSO !
Passò alla storia come il <<processo a De
Gregori>>. Processo politico, s'intende. Venerdi 2 aprile 1976, al
Palalido di Milano, un centinaio di persone fermò a metà il concerto sold out
del cantautore romano di fronte a seimila spettatori. Rimmel, uscito l’anno
prima, era stato in classifica 40 settimane, vendendo la cifra record di
500.000 copie. Proiettato in una nuova dimensione di popolarità, De Gregori
aveva un album in uscita: Buffalo Bill. La tourneè la organizzava il Piccolo
Teatro di Milano. Sullo sfondo c'e la Rca, la casa discografica del cantautore.
ll biglietto costa 1500 lire. Prima del concerto della sera, accanto al
botteghino, vengono distribuiti volantini <<contro i padroni della
musica>> firmati da Stampa Alternativa: <<Decine di migliaia di
incazzati hanno capito che i Palalido sono i loro Vietnam, i loro campi di
battaglia>>. Soltanto due mesi prima, nello stesso Palalido, uno spettrale Lou Reed (2000 lire) é stato costretto
a interrompere il concerto tra lanci di sassi e bottigliette. Per evitare altri
attriti si aprono precauzionalmente le porte a tutti. E il concerto si svolge
con le luci accese. <<Vedevo la gente che applaudiva appena salivo sul
palco, cosa mai successa prima. - é il ricordo De Gregori raccolto dal giornalista
Claudio Bernieri - Poi c’erano quelle
luci accese>>. Dopo una prima interruzione
(<<gli strapparono la chitarra di mano», ricorda il batterista Carlo
Marcovecchio), e la lettura dal palco di un comunicato contro l’arresto di un
compagno a Padova, il concerto riprende. De Gregori e la sua band finiscono
come possono, poi tomano nei camerini.
E’ qui che-va in scena il processo vero e proprio. I
<<verbali>> li scoviamo nella cronaca che il giorno dopo usci sul
Corriere della Sera:
“Quanta hai preso stasera?” urla un giovane.
“Credo un milione e due... “ sussurra con un filo di voce De
Gregori – ma poi c'é la SIAE. “Se sei un
compagno, non a parole ma a fatti, lascia qui l'incasso”, ribattono.
Fu il critico Mario Luzzatto Fegiz a firmare il pezzo. Calcò
la mano:
<<Al microfono si alternano volti lombrosiani e
giovani che sembrano colti da raptus isterico...>>. Secondo i testimoni un vero e proprio processo
neppure ci fu: il Palalido si stava svuotando, il diverbio tra i contestatori e
De Gregori si sarebbe svolto tra il sottopalco e i camerini. D’altra parte la
cronaca, pure romanzata, coglie bene la centralità drammatica che quell’evento
avrà nella storia successiva della
canzone italiana. Continuiamo a leggere: Prende la parola un uomo con la barba
bianca, d’età indefinibile: <<La rivoluzione non si fa con la musica.
Prima si fa la rivoluzione, poi si potrà pensare alle arti o alla musica. Lo
diceva anche Majakowski che era un vero rivoluzionario e si é suicidato.
Suicidati anche tu!>>. De Gregori ascolta pallido e silenzioso. Con
scarsa convinzione mormora al microfono: <<Forse sono una vittima dell'industria...>>.
Di chi erano quelle voci? In un’intervista televisiva
recente De Gregori chiedeva che almeno si facessero vedere. A quasi 40 anni di
distanza. E’ rimasto qualche nome. Gianni Muciaccia, punk della prima ora, chitarrista
dei Kaos Rock, poi perso nei gorghi del socialismo milanese. C’era sicuramente
Marcello Baraghini, che dell’arcipelago di Stampa Alternativa era il volto più
noto. Accetta di rovistare nei ricordi di un evento del quale sono rimasti,
dice, solo pochi flash: <<No, non ero io quello dj Majakowskij. - sorride
- Non avevo la barba bianca. Penso fosse Gianluca, che adesso non c’è più.
Gianluca faceva teatro, guidava un furgone col quale abbiamo girato il mondo e
la cosa più incredibile è che non aveva mai documenti con se. Scendeva, parlava con le guardie,
ripartiva>>.
“Non ricordo molta violenza quella sera. - riprende
Baraghini - Esasperazione, si. C’erano nel nostro gruppo delle frange accese,
autonomi, che però in genere riuscivamo a calmare. Naturalmente una parte del
pubblico si incazzò. Ricordo bene De Gregori, stizzito. Avrebbe potuto
spiegarsi, ma non lo fece>>. <<Mancava solo l'olio di
ricino>>, fu invece il commento del cantautore riportato ancora dal Corriere.
<<La contestazione é quando tu prendi una persona e gli contesti delle
cose (...) Un’aggressione è quando io ti prendo a cazzotti e ti dico che sei stronzo. .. Quella fu un aggressione, cioè non
ci fu nessun dialogo>>.
Quest’ultimo commento lo ha raccolto un cronista/musicista
che allora collaborava con L’Unità, Claudio Bernieri. Ne fece un libro, Non sparate
sul cantautore - preziosa raccolta di interviste a cantautori della meta degli
anni '70, da tempo introvabile, che il prossimo settembre viene ripubblicato
dalle edizioni Vololibero con allegati i nastri originali delle conversazioni.
<<C’era quest’area libertaria, moralista se vuoi – ricorda oggi Bernieri –
Riteneva che si dovesse suonare a un prezzo politico, saltare l’intermediazione di quelli che
chiamavano i padroni della musica. Erano cani sciolti. Andavano a vedere con
quale macchina arrivavano a suonare i musicisti, facevano i conti in
tasca>>. Moralismo a parte, l‘idea
della “musica gratis” non godrà mai di grande considerazione, né allora e né
mai. Sull‘utopia, pericolosa o naif che fosse, vinse fin da subito una specie
di necessario realismo mercantile. Per due anni in Italia non si fecero grandi concerti.
Poi, negli anni '80, si ricomincio daccapo. Su quelle contestazioni Bernieri ha
un`altra idea: <<Per capirci, é come se oggi si riuscisse a impedire il download
gratuito dalla Rete. Che succederebbe?>>.
Ancora. Chi ce l‘aveva con De Gregori, e perché? Re Nudo e
Andrea Valcarenghi avevano chiesto al cantautore di organizzare il concerto di
Milano, ricevendo in cambio un garbato rifiuto (da qui la scelta di coinvolgere
il Piccolo Teatro). Con Lotta Continua, poi, c'era stato uno scontro a
proposito del rimborso chiesto in occasione di un Concerto militante. Il giornale
sfotteva cosi: <<E’ venuto
compiendo un pericoloso viaggio da Roma centro alla periferia di Roma tale De
Gregori, pare celebre, il quale ha chiesto 400.000 lire per esibirsi, e ha preso
400000 pernacchie>>. De Gregori, da parte sua, si difese con un lettera
al giornale facendo notare ai compagni che <<la musica é ancora in mano
ai Tony Santagata, e non ai proletari>>.
E c’era Muzak, il mensile di musica e politica diretto da
Giaime Pintor. La stroncatura di Rimmel (e dell’ermetico “canto degregoriano”) comparsa
su quelle colonne a firma dello stesso Giaime é rimasta celebre: <<Non é
un caso da sottovalutare che la fortuna dell'ermetismo dati anni '30-'40, e
cioé si collochi programmaticamente come isolamento dal fascismo, isolamento
nell‘attività pubblica e nella poesia come risposta "privatistica"
alla retorica mussoliniana. (...) Una poetica ermetica, dell’intuizione lirica,
é una poetica tendenzialmente idealista, dunque di destra, arretrata negli anni
'70, dunque incapace di rispecchiare tensioni, di farsi portatrici di valori
positivi e rivoluzionari>>.
Più prosaica e velenosa risultò tuttavia una cronaca-coeva
di Enzo Caffarelli per Ciao 2001, Raccontava il De Gregori privato cosi:
<<Lo sguardo sbigottito mentre gioca a poker e beve champagne all’Hotel
Belle Vue di Rimini, categoria di lusso, una stanza tutto escluso 38.000 lire a
notte, mentre cala il sipario. Ma tutto questo Alice non lo sa>>. Fu quella
che colpi nel segno, eccitando il moralismo dell'epoca? Per uno scherzo del
destino la maniera dylaniana di De Gregori, nei testi e nello stile, si allargò
in quegli anni fino a investire il volto pubblico del cantautore, il difficile rapporto
con il tumultuoso “vogliamo tutto” di quegli anni. Sembrava la storia di quell'”immondiziologo”
che nel 1965 si era messo a frugare nella spazzatura di Dylan per scoprire le
prove del tradimento. Dylan era scappato a gambe levate verso il rock elettrico,
nascosto giorno e notte dietro i Ray Ban scuri . <<Dylan - attaccò una
volta Giaime Pintor – è solo il ripiegarsi su se stesso dell'intellettuale
giovane americano>>.
Il paradosso lo spiegò una volta lo stesso De Gregori <<“Dylan
non è mai stato inquadrabile politicamente al contrario di me che invece quando
mi chiedono per che partito voto non ho nessun problema a dirlo>>. Dopo
quella brutta serata, il cantautore minacciò di smettere del tutto, di non
cantare più. Per più di un anno non suonò in pubblico. Lo avvistarono a fare il
commesso in una libreria di Trastevere..