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23/10/17
14/10/17
D.B. Cooper, la misteriosa storia di un «nondescript man»
Siamo inciampati in questa storia, pubblicata dal Il Post e la riproponiamo. D.B. Cooper entra di diritto e per direttissima nelle Spiritual Guidance di INTERZONE. Senza ombra di dubbio. Buona lettura...
Dan Cooper è un poco conosciuto personaggio di fumetti creato in Belgio negli anni Cinquanta: è un aviatore canadese, famoso tra le altre cose per la sua abilità nell’usare il paracadute.
Dan Cooper è anche il nome con cui un uomo si presentò all’aeroporto di Portland, in Oregon, la mattina del 24 novembre 1971. L’uomo andò al banco della Northwest Orient Airlines, e comprò un biglietto sola andata per Seattle, nello stato di Washington: un volo corto, di circa mezz’ora, con un Boeing 727-100. Una volta a bordo Cooper fumò qualche sigaretta Raleighs, ordinò un bourbon e soda e poi chiamò accanto a sé l’assistente di volo Florence Schaffner. Le diede un bigliettino su cui c’era scritto che aveva una bomba e le mostrò una valigetta al cui interno c’erano cavi e cose che sembravano confermarlo: per non farla esplodere chiese 200mila dollari (pari a più di un milione di dollari di oggi) e quattro paracadute, da farsi consegnare all’aeroporto di Seattle-Tacoma. L’aereo atterrò, Cooper ottenne quanto aveva chiesto, lasciò andare quasi tutte le persone che erano a bordo e, tenendo qualche membro dell’equipaggio sull’aereo, ordinò di prendere il volo. A un certo punto, poco dopo, prese un paracadute e si lanciò dall’aereo con i 200mila dollari. Non fu più visto da nessuno.
Sono passati quasi 45 anni e Cooper non è mai stato trovato. Ci sono state indagini, ipotesi e teorie, ma niente di sicuro: non sui soldi, non sulla sua vera identità, non sul fatto che sia o meno riuscito a sopravvivere al lancio. Il 12 luglio di quest’anno l’FBI, l’ente investigativo della polizia federale degli Stati Uniti, ha detto di aver deciso di «destinare altrove le risorse investite richieste dell’indagine su Cooper». Il comunicato dell’FBI sembra quindi essere l’ultima evoluzione di una stramba e spettacolare storia da film. È divisa in due tempi: del primo, quello fino al lancio con il paracadute, si sa quasi tutto; nel secondo ci sono invece molte pochissime cose certe.
Il cognome del protagonista è Cooper, ma già sul suo nome iniziano i problemi: all’aeroporto disse di chiamarsi Dan, quasi certamente con un implicito riferimento al personaggio dei fumetti. Per via di un errore di qualche giornalista nei primi giorni in cui si parlò del caso il suo nome è diventato per tutti D.B.. Persino l’FBI ha sempre parlato di “caso D.B. Cooper”, pur ammettendo che al banco dell’aeroporto lui disse solo di chiamarsi Dan Cooper.
Dan Cooper è un poco conosciuto personaggio di fumetti creato in Belgio negli anni Cinquanta: è un aviatore canadese, famoso tra le altre cose per la sua abilità nell’usare il paracadute.
Dan Cooper è anche il nome con cui un uomo si presentò all’aeroporto di Portland, in Oregon, la mattina del 24 novembre 1971. L’uomo andò al banco della Northwest Orient Airlines, e comprò un biglietto sola andata per Seattle, nello stato di Washington: un volo corto, di circa mezz’ora, con un Boeing 727-100. Una volta a bordo Cooper fumò qualche sigaretta Raleighs, ordinò un bourbon e soda e poi chiamò accanto a sé l’assistente di volo Florence Schaffner. Le diede un bigliettino su cui c’era scritto che aveva una bomba e le mostrò una valigetta al cui interno c’erano cavi e cose che sembravano confermarlo: per non farla esplodere chiese 200mila dollari (pari a più di un milione di dollari di oggi) e quattro paracadute, da farsi consegnare all’aeroporto di Seattle-Tacoma. L’aereo atterrò, Cooper ottenne quanto aveva chiesto, lasciò andare quasi tutte le persone che erano a bordo e, tenendo qualche membro dell’equipaggio sull’aereo, ordinò di prendere il volo. A un certo punto, poco dopo, prese un paracadute e si lanciò dall’aereo con i 200mila dollari. Non fu più visto da nessuno.
Sono passati quasi 45 anni e Cooper non è mai stato trovato. Ci sono state indagini, ipotesi e teorie, ma niente di sicuro: non sui soldi, non sulla sua vera identità, non sul fatto che sia o meno riuscito a sopravvivere al lancio. Il 12 luglio di quest’anno l’FBI, l’ente investigativo della polizia federale degli Stati Uniti, ha detto di aver deciso di «destinare altrove le risorse investite richieste dell’indagine su Cooper». Il comunicato dell’FBI sembra quindi essere l’ultima evoluzione di una stramba e spettacolare storia da film. È divisa in due tempi: del primo, quello fino al lancio con il paracadute, si sa quasi tutto; nel secondo ci sono invece molte pochissime cose certe.
Il cognome del protagonista è Cooper, ma già sul suo nome iniziano i problemi: all’aeroporto disse di chiamarsi Dan, quasi certamente con un implicito riferimento al personaggio dei fumetti. Per via di un errore di qualche giornalista nei primi giorni in cui si parlò del caso il suo nome è diventato per tutti D.B.. Persino l’FBI ha sempre parlato di “caso D.B. Cooper”, pur ammettendo che al banco dell’aeroporto lui disse solo di chiamarsi Dan Cooper.
In
base a quanto raccontato dalle persone che lo videro all’aeroporto di
Portland e poi sul volo verso l’aeroporto di Seattle-Tacoma, Cooper era
alto circa un metro e 80 centimetri, aveva tra i 40 e i 50 anni e
indossava mocassini, un completo scuro con camicia bianca e un
impermeabile. Cooper aveva anche una cravatta nera J.C. Penney con un
fermacravatta di madreperla (cravatta e fermacravatta furono trovati
sull’aereo). L’FBI ha sempre parlato di lui come di un «nondescript man»,
una persona ordinaria, senza nessun segno particolare. Cooper pagò in
contanti il suo biglietto sul volo 305 e salì a bordo con la sua
valigetta. Iniziò così quella che l’FBI ammette essere «uno dei più grandi misteri irrisolti della sua storia».
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