Addio vampiri. Dracula & co sono un’espressione dell’era moderna. Lo zombie, al contrario, incarna il postmoderno. E’ una contraddizione, un ossimoro ambulante: morto vivente. E un remake dell’individuo, e, come tutti i remake, è inferiore all’originale. Marcio. Una serie tv, The Walking Dead, ne celebra il grande ritorno.
Se il vampiro seduce, lo zombie terrorizza. Non a caso, in informatica, è usato come metafora dell’infezione virale: un pc compromesso da un cracker o infettato da un virus in maniera tale da permettere a utenti non autorizzati di assumere in parte o per intero il controllo viene definito, appunto, “zombie”. Di norma, il vampiro coesiste con gli esseri umani. Lo zombie ne segna l’estinzione. Come tale, rappresenta l’apocalisse. Negli ultimi cent’anni, il vampiro non è mai veramente cambiato. Lo zombie, invece, ha subito upgrade significativi: se quello romeriano d’annata 1968 procedeva lentamente, quello contemporaneo rilanciato dal Danny Boyle di 28 giorni dopo e dallo Zack Snyder di Dawn of the Dead - è uno sprinter, alla faccia del rigor mortis. Non c’é scampo. E nel contesto videoludico, il vampiro è sporadico, mentre lo zombie e pervasivo. Alcune delle saghe pin celebri - da Resident Evil a Left for Dead - ci costringono a fronteggiare orde di morti viventi in scenari allucinanti. Esiste tuttavia un medium che, fino a oggi, è rimasto relativamente al sicuro: la televisione. Forse perché il piccolo schermo, come ci ricorda Clay Shirky, é già morto, dominato com’e da logiche commerciali del Ventesimo secolo, infestato da figure grottesche e personaggi lobotomizzati. Le cose, tuttavia, stanno per cambiare. L’invasione televisiva é ufficialmente cominciata: The Walking Dead ha debuttato su AMC (il network che ha prodotto il meglio delle serie statunitensi, da Mad Men a Rubicon; in Italia la trasmette Fox Channel) ed è arrivato alla terza serie. Tratto dall’eccellente fumetto di Robeit Kirkman per Image Comics e prodotto da Frank Darabont (II miglio verde, TheMist), The Walking Dead è la realizzazione di un sogno, o meglio di un incubo collettivo. Ci troviamo di fronte alla prima vera meta-narrazione dello zombie, un racconto che diventa un’epica e che trascende i limiti strutturali del formato cinematografico. Per esempio, una durata non superiore alle due ore, una struttura episodica limitata, una caratterizzazione dei personaggi appena abbozzata. The Walking Dead realizza una convergenza mediale (fumetto-televisione) ma anche generica (è horror, western e drammatico). Eleva lo zombie a personaggio: il morto vivente non si perde nell’orda, ma acquista personalità propria, grazie all’incredibile make-up di Greg Nicotero. E come ogni opera postmoderna, The Walking Dead si produce in un’orgia di riferimenti all’immaginario filmico degli ultimi trent’anni.
Wired *************************************
Sì. Lo zombie rinasce di nuovo nelle nostre città, nelle nostre piazze, figlio del disagio, incarna l’ansia e il male di vivere della popolazione, rappresenta la crisi dell’individuo vessato dal malgoverno e dalle inesistenti politiche sociali. Il suo incedere lento e orrorifico è reale e, lungi dallo spaventare le persone, è accolto con gioia, dalle persone presenti e dalla polizia che controlla la manifestazione. Il perché di tutto questo risiede nel fatto che la marcia claudicante dello zombie è foriera di Valore, è redenzione, rivalsa e ostinazione di un popolo vessato ma che è duro a morire, combatte ogni giorno trascinando la propria esistenza al limite delle possibilità di vita. È l’individuo che dopo essere stato ucciso dalla tirannia delle banche e dagli interessi del potere, dopo essere morto e sepolto nell’indifferenza delle grandi manovre economiche, scarnificato, vessato, ritorna a vivere, con grande dignità.
Franco La Polla e Giuliano Santoro, L’alba degli Zombie, che chiarisce esattamente le dinamiche in campo:
«Il potere ha inventato il terrore e il sovrannaturale è la conseguenza di una radicata tradizione di paura che il potere ha coltivato e instillato nel corso dei secoli. Certo, oggi nel 2011, ci sentiamo di aggiungere che il sovrannaturale è anche qualcos’altro che investe soprattutto una dispercezione del Reale provocata ad arte attraverso un diabolico matrimonio tra tecnologia e tecniche invasive di persuasione..».
La notte dei morti viventi ha anche il merito di sottrarre il cinema horror per usare le parole di Carpenter “all’abbraccio mortale del gotico e di trasportare l’orrore che, sino allora, era quasi sempre stato ritratto e identificato in un luogo “altro”, direttamente negli Stati Uniti d’America".
Se gli zombie degli anni '80 erano una chiara metafora dell'istupidimento della società, quelli contemporanei propongono due contrapposte visioni del mondo: da una parte la volontà di sopravvivere a tutti i costi in un mondo di zombie, con sparute comunità umane che devono rinunciare a ogni forma di tecnologia sociale, e difendere i pochi oggetti simbolici che li identificano come vivi. Dall'altra opposta la consapevolezza che, se davvero il mondo sta morendo, i ragazzi sono già pronti ad andare oltre: si dicono già-morti. E guardano cosa succede. A differenza dei vampiri, dove il male è estetizzato(fino a diventare.. irresistibile) la cultura zombie mortifica il corpo. L'orrore viene esposto ed esaltato, una sorta di ribellione come lo fu il punk, a questo mondo dove sembra invece indispensabile avere una totale cura di se e del proprio aspetto. La nuova morale zombie non è abbracciare la morte o la non-vita: si sentono dei sopravvissuti, rivendicano la possibilità di essere brutti.
C’è qualcosa di terribilmente malinconico nella strana esistenza di questi esseri: vestono ancora i camici da dottore, i pigiami in cui dormivano, la cravatta dell'ufficio.. Quando si accalcano contro una porta e iniziano a sbatterci contro, quasi con delicatezza, senza lamentarsi, non sono tanto diversi da quelli che fanno le file di fronte agli Apple Store per comprarsi l'ultimo modello IPhone. Lo zombie in fondo è il simbolo del consumismo americano e non ha nessun potere soprannaturale, nessun fascino, nessuna possibilità di redenzione: è l'ultimo degli schiavi. Ci assomigliamo e chiunque intorno a noi può trasformarsi in un Walking Dead. Barcollanti, con vestiti logori sembrano animali feriti pronti a sbranarsi tra loro, proprio come gli zombie vagano nei centri commerciali affamati di una fame che non si estingue mai. In ambedue i casi, vagano forse alla ricerca della loro vita passata.. Gli zombie emergono dalle tombe, a volte è un virus sintetizzato in un oscuro laboratorio che ci trasforma. E' semplicemente un’onda che va arginata e fatta esplodere senza rimorsi. Solo in ventotto Giorni dopo di Danny Boyle sono apparsi ..gli zombie 2.0: non ondeggiano come sonnambuli, ma sono veloci e agili, come babbuini con la rabbia. Si aggirano tra case abbandonate trasformate in rifugi in cui farsi e vivere, senza servizi igienici, tra sporcizia e distese di tappeti di siringhe. Nell'ortodossia, uno zombie lo evitiamo senza problemi, due anche, tre sono guai, ma quelli aumentano e alla fine inesorabilmente ti divorano. La massa, ignorante, ha sempre la meglio sull'intellettuale isolato. Non c’è altra morale..
S. King dice che tramite gli zombie, e l'horror in generale, l'essere umano instaura un rapporto dialettico con la propria ventura e inevitabile estinzione, e ha un valore consolatorio. Magari, nell'horror si trova, soprattutto per chi non possiede una fede religiosa, nessuna illusione nell'alida', la speranza che si possa rivivere tornando dalla morte, che è un tema primario nel genere...
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