30/06/14

Piccolo dizionario musicale Beat

ASPETTO affascinante di questo mucchio selvaggio di scrittori e poeti chiamati Beat è la loro capacita di <<parlare di tutto con nervosa intelligenza e con chiarezza>>. Per questo è cosi facile amarli, malgrado tutti i loro difetti e il fastidio che si prova per chi oscilla fra mito e luogo comune. Clash, David Bowie, Bob Dylan, Willie Loco Alexander, R.E.M, Doors, Grateful Dead, Tom Waits, Bob Wilson, 10.000 Maniacs, King Crimson, Soft Machine, John Cage, Patti Smith, Laurie Anderson, Gus Van Sant, Susan Sontag, Norman Mailer, Francis Ford Coppola li hanno amati, li stanno amando. Perché Kerouac, Ginsberg, Burroughs, Corso, Ferlinghetti e gli altri sono ribelli senza una causa, ma con una idea molto precisa in mente: guardare il mondo e le cose con il proprio sguardo. E senza fidarsi delle chiacchiere di quelli che vestono di flanella grigia comprata da Brooks Brothers. Quelli tramano per farti del bene senza che tu l’abbia chiesto. Stare ai margini, stare fuori, lontano dai vostri sporchi affari e dalle vostre sporche guerre. Fuori dai vostri trucchetti, ma pronti a tirarvi un uovo marcio sulla camicia candida. I beat hanno poche certezze perché sono poche le battaglie che meritano di esser combattute. Una esperienza da fare in gruppo: insieme per il piacere di stare insieme. <<Il marxismo – ha detto Tuli Kupferberg, poeta, editore e musicista dei Fugs - era troppo meccanico. Venne ipnotizzato dalla macchina. Nacque nell’era dell’acciaio e del carbone, Era pre-psicologico, pre-antropologico, pre-elettrico e pre-psichedelico.>>

<<La Beat generation non ha interesse nella politica, solo nel misticismo, questa la sua religione. L’apatia politica è di per sé un movimento politico..>> J. Kerouac

Quella che segue è una microguida per sapere cosa succedeva nel mondo dei suoni della beat generation.


28/06/14

Ciro, morto per mano fascista

<< "QUEL CHIATTONE DI MERDA MI HA SPARATO"..>>
Ciro Esposito

Gianluca Arcopinto è uno dei più noti produttori cinematografici italiani. Nato e cresciuto a Roma, è figlio di un napoletano, perciò intrattiene un rapporto privilegiato con la città di suo padre. Arcopinto è stato per alcuni mesi l’organizzatore generale della fiction “Gomorra”, ma il contatto con le associazioni di quartiere che contestavano la realizzazione della serie lo ha portato a condividerne il punto di vista, entrando così in rotta di collisione con il regista Stefano Sollima. Fino al suo allontanamento dalla produzione. Resta però a Napoli, dove dirige il laboratorio cinematografico “Mina”, dedicato alla memoria di Gelsomina Verde, una delle vittime innocenti della faida di Scampia. Ma non solo, dalla sua esperienza nasce il libro: “Un fiume in piena. Storie di un’altra Scampia”.

26/06/14

Calcio: La più patetica delle partite nello stadio dell'infamia

In Cile sono passati appena due mesi dal tragico golpe di Augusto Pinochet e dalla morte di Salvador Allende. L’Estadio Nacional per un giorno cessa di essere un lager, si sospendono gli "interrogatori" e le torture sui "nemici" del regime e si pensa al calcio. La Roja entra in Campo, dagli spalti - invero pieni solo a metà - giunge qualche applauso e viene suonato l’inno nazionale. Tutto è pronto per il calcio di inizio, che tocca ai ragazzotti in maglia rossa e pantaloncini blu. Una serie di rapidi passaggi e la palla finisce in porta. Che però è incustodita. Si, perché gli avversari dei cileni non si sono presentati, ma il regime ha voluto lo, stesso che si tenesse questa farsa. <<Il match più patetico di sempre>>, ebbe a definirlo Eduardo Galeano. Come dargli torto. Per l’ennesima volta, il football si era scontrato con la politica, uscendone con le ossa rotte. Quella partita da teatro dell’assurdo valeva addirittura la qualificazione ai Mondiali di Germania (allora solo Ovest) del 1974. Per uno strano scherzo del destino lo spareggio tra un’esponente europea e una sudamericana mise di fronte l’Urss e il Cile, dall’11 settembre del 1973 in mano a Pinochet e ai suoi sgherri. La gara d'andata, in programma a Mosca il 26 settembre, si disputò nonostante i dubbi della giunta cilena. Nessuno doveva lasciare il Paese, ma per la nazionale si fece un’eccezione. Certo, ai giocatori, in particolare a Carlos Caszely e Leonardo Veliz, di dichiarate simpatie socialiste, fu intimato di tenere la bocca chiusa. Altrimenti i loro familiari ne avrebbero pagato le conseguenze in patria. In una freddissima serata di settembre, allo stadio Lenin la Roja riuscì a strappare un pareggio a reti inviolate grazie alla fantastica prestazione dei due centrali difensivi Alberto Quintano e Elias Figueroa. Tutto era così rimandato alla partita di ritorno, la cui sede designata era il Nacional. Un’arena realizzata nel 1938 sul modello dello stadio Olimpico di Berlino di hitleriana memoria e che nel 1962 aveva addirittura ospitato la finale del mondiale vinto dal Brasile di Garrincha. Quali fossero le attività extra-calcistiche che si svolgevano nell’impianto era cosa ormai risaputa, tanto che la stampa internazionale iniziava a diffondere resoconti al proposito. Non a caso la federazione cilena provò timidamente a proporre di spostare l'incontro a Vina del Mar. Ma Pinochet fu irremovibile. La reazione dei sovietici non si fece attendere. <<Chiediamo alla Fifa di organizzare il match in un Paese terzo, dal momento che non intendiamo giocare in uno stadio macchiato dal sangue del popolo cileno>>. Il massimo organismo calcistico internazionale tenne un sopralluogo e finì per rigettare la richiesta dei russi, poiché aveva riscontrato che la situazione a Santiago <<era del tutto calma>>. Se si siano fatti influenzare dalle operazioni di "cosmesi" momentanea apportate dalla giunta militare, oppure se le motivazioni furono ancor più profonde (e forse inconfessabili), non è dato sapere. Fatto sta che su decisione dello stesso Leonid Bréznev l’Urss si rifiutò di volare in Cile, lasciando strada agli avversari per l’approdo alla fase finale della Coppa del Mondo. In realtà quel giorno di novembre, esauritasi la commedia iniziale, la Roja una partita di calcio la disputò. Fu però umiliata dal grande Santos per ben 5-0. Quanto al Mondiale, terminò con una ingloriosa eliminazione al primo turno per mano delle due Germanie.
I. M. 





Best Musical Film

I film musicali di Interzone, non necessariamente musical, e non  necessariamente biografici...

American Graffiti di George Lucas (1973)
Anche se il film di George Lucas racconta un'ultima notte d'estate, di innocenza adolescenziale, questo è per me il film musicale natalizio per eccellenza. Perché lo vidi per la prima volta proprio durante il periodo natalizio di tanti.. anni fa. American Graffiti non è poi in effetti un musical, le canzoni servono come accompagnamento e contrappunto, e promettono una libertà e una facilità nella vita che i suoi protagonisti (e noi che vediamo il film) ansiosi sanno già che non potranno mai raggiungere. Malinconico e autobiografico è una lezione sui dubbi e le paure per ciò che ci attende da grandi e dei rischi che bisogna correre per trovare la propria strada e inseguire i propri sogni. Colonna sonora indimenticabile e formativa: Sixteen Candles (The Crests), That'll Be the Day (Buddy Holly), She's So Fine (Flash Cadillac & The Continental Kids), Surfin' Safari (The Beach Boys), Almost Grown (Chuck Berry), Ain't That a Shame (Fats Domino), Johnny B. Goode (Chuck Berry), Since I Don't Have You (The Skyliners).. Basta, no?

Almost Famous, di Cameron Crowe (2000)
Storia autobiografica di Cameron Crowe, che prima di diventare regista affermato fu negli anni ’70 giornalista rock adolescente per riviste come Rolling Stone e Creem. Nel 2000, Crowe trasforma quel periodo in un ambiente caldo, coinvolgente, pieno di personaggi memorabili e relazioni complicate, e Almost Famous brucia ancora più luminoso quando il grande e compianto Philip Seymour Hoffman appare sullo schermo, riportando il leggendario critico musicale Lester Bangs in vita, e così facendo parlare l'assioma del vero appassionato di musica: “Stai andando forte, lo sai? L'unica moneta valida in questo mondo in bancarotta è ciò che scambi con un altro quando sei uno sfigato. Senti, il mio consiglio... lo so che li consideri tuoi amici, ma se tu vuoi essere un vero amico sii onesto. E sii spietato. ".


20/06/14

Rock Flop: dischi per fiaschi

Molte grandi star hanno rischiato la reputazione e il loro futuro per album sbagliati o che non sono stati capiti e accettati. A tradire, la voglia di strafare, stanchezza, la sensazione ingannevole di dover stare a passo con i tempi. In alcuni casi, l'arroganza di chi pensa che essere invincibile. Molti musicisti capito lo sbaglio si sono risollevati e il ritorno è stato più spettacolare della rovinosa caduta, altri hanno pagato a caro prezzo gli errori.. Questi alcuni esempi. Da parte nostra c'è da dire che spesso non siamo d'accordo con i gusti del pubblico e della critica: Trans di N. Young è stato rivalutato dopo anni, ma per noi resta una schifezza di disco. In Their Satanic Majesties Request degli Stones qualcosa di buono ce lo troviamo mentre Dirty Works lo nominiamo senza dubbio il disco più brutto della band inglese, davvero orribile e flop poderoso negli anni '80. E anche Human Touch del boss in fondo non ci dispiace..


ROLLING STONES: Their Satanic Majesties Request

Dopo l’uscita di Sgt. Peppers Lonely Hearts Club Band il rock non era più quello di prima. L’ opera dei Beatles, uscita nel giugno del 1967, aveva alzato l'asticella. I dischi rock erano diventati album, la creatività non aveva piu confini, le vecchie canzoni tre minuti sembrava ormai destinate a diventare modernariato. Fu un terremoto culturale sotto le cui macerie rischiarono di finire nientemeno che i Rolling Stones. Jagger, Richards e soci provarono maldestramente a rispondere al colpo dei Fab Four lavorando su un album che oggi é ricordato come il loro più clamoroso passo falso. Their Satanic Majesties Request usci nel dicembre del 1967 e cercava di cavalcare l'onda della psichedelia e delle sperimentazioni sonore. Le canzoni dell'album erano nate da un lavoro in studio frammentario e disorganizzato, i Glimmer Twins stavano affrontando una serie di vicissitudini legali dovute a un loro arresto per detenzione di droga. Non fu incaricato nessun produttore, le session di incisione furono anarchiche e spesso popolate di ospiti variopinti. <<Ogni giorno nello studio era una lotteria capire chi sarebbe venuto e a fare cosa>>, disse Bill Wyman. Il disco fu un modesto successo commerciale e un completo fallimento artistico. Rischiò di mandare in bancarotta la credibilità artistica della band che venne additata come un gruppo di imitatori. <<C’è un sacco di spazzatura su Satanic Majesties. Troppe droghe, nessun produttore a dirci "Adesso basta">> ha confessato Jagger. <<Un ammasso di schifezze>> ha chiosato Richards. Il disco non ha neppure subito la classica rivalutazione che il tempo regala a molti sbagli artistici. Dodici mesi dopo gli Stones pubblicarono il classico Beggars Banquet. Si dimenticarono le mode, i Beatles e dimostrarono di non dover vivere nell’ombra di nessuno: Sympathy for the Devil, Street Fighting Man, Stray Cat Blues. C’é altro da aggiungere?

19/06/14

Animalism: Mondo Cane



Ripensando a The Grey e ai lupi..Tra tutti i vertebrati, i nostri amici a quattro zampe sono la specie più diversificata del pianeta. Almeno 160 razze, oltre alle innumerevoli varietà di bastardini, ma per i genetisti sono tutti Canis lupus familiaris, discendenti dei lupi grigi. Il segreto di tutte le loro differenze e in una manciata di geni - WIRED

@ DA 30.000 A 15.000 ANNI FA

I primi esemplari di lupi grigi abbandonano il proprio branco per seguire I ‘uomo (e i suoi appetitosi avanzi di cena). Seguendo I ‘uomo nei suoi spostamenti, questi animali si accoppiano sempre meno con gli esemplari selvatici. Risultato: lupi che assomigliano sempre meno a dei lupi, come mostrano i fossili.

@ DA 15.000 A 200 ANNI FA

Con lo sviluppo dell’agricoltura i “proto-cani" prendono forma. La mutazione genetica che induce le ossa corte dà origine a bassotti, corgi e altre razze piccole. Cani della taglia dei terrier appaiono 10-12mila anni fa tutti portatori di manifestazioni diverse della stessa variazione sul `15mo cromosoma.

@ DA 200 A 20 ANNI FA

Iniziano gli incroci mirati a ottenere le razze e compaiono caratteri tipici come il muso schiacciato del bulldog e il pelo soffice dello Spitz di Pomerania. Il barboncino si ritrova così tre geni, rispettivamente per il pelo lungo, i ricci e i baffi, mentre il beagle conserva il pelo corto e dritto come l’antenato lupo.

@ DA 20 ANNI FA A OGGI

Si diffondono le “razze design", incroci pensati a tavolino per ottenere la personalità e il mantello desiderato. Alcuni come il Iabradoodle (labrador e barboncino) o il puggle (carlino e beagle) non danno figli che conservano gli stessi tratti e non hanno la storia tanto apprezzata dai puristi nelle competizioni.





17/06/14

John Peel

John Robert Peel Ravenscroft (Heswall, 30 agosto 1939 – Cuzco, 25 ottobre 2004),  giornalista e conduttore radiofonico britannico.
È stato una delle voci storiche della radio inglese: ha lavorato per la BBC dal 1967 fino alla sua morte, avvenuta per infarto del miocardio mentre si trovava in vacanza lavorativa in Perù. La sua influenza nella musica contemporanea (specie alternative rock, punk e reggae) è testimoniata dagli onori dedicatigli dopo la sua morte da artisti di livello mondiale (Blur, Oasis, The Cure, New Order) e dalla fama raggiunta dal suo programma principale, le "John Peel Sessions", in cui ospitava una band per un'esibizione esclusiva di quattro canzoni del loro repertorio. Molti di questi mini-concerti vennero poi pubblicati su disco.
(Wiki)

Conversazione con S. Reynolds

Capita che la gente parli dei gruppi di John Peel come scorciatoia per indicare un certo tipo di bizzarra formazione post-punk do-it-yourself volutamente eccentrica. Tu sei stato il grande campione della musica su etichetta indipendente o autopubblicata di qualunque sorta. Ma ben prima del punk gestivi la tua etichetta indie, Dandelion, facendo uscire gruppi come Tracton, Siackawaddy e Medicine Head.
Eravamo meno indipendenti di alcune delle etichette indipendenti. Inizialmente eravamo stati finanziati dalla CBS. Poi dalla Warner Bros, e in seguito dalla Polydor. E non facemmo guadagnare praticamente nulla a nessuna! Un gesto rivoluzionario involontario. Iniziammo nel 1969 con una donna di nome Bridget St John. Avevamo una grande passione per la sua musica e nessuno era interessato a registrarla. Le etichette major spesso vengono bastonate ma a quell’epoca facevano della sperimentazione. Avevano queste sigle a fondo perduto per i prodotti di nicchia su cui di tanto in tanto appariva qualche disco interessante.

Quindi fosti molto eccitato quando dopo il punk ci fu un eruzione di piccole etichette indie e gruppi che facevano uscire in proprio i dischi?
Immagino di si. E credo che mi capiti ancora. Sono un ammiratore spassionato dell’amatorialità allegra. Inoltre più che LP erano singoli. Negli anni settanta i gruppi avevano smesso di pubblicare singoli - gente come i Led Zeppelin pensava che fosse indegno. Quindi fu davvero meraviglioso. Ti ritrovavi dei tizi riottosi, che venivano da posti nel Lincolnshire che dovevi andare a cercare sulla cartina, che ti mandavano dischi. Sembra peggiorativo essere descritti come <<provinciali>>, ma io sono provinciale e decisamente fiero di esserlo. Mi piaceva l’idea per cui se convincevi il bassista a vendere la motocicletta e scassinavi un paio di cabine del telefono potevi mettere insieme abbastanza soldi da fare un disco. La gente lo faceva, e un numero incredibile di loro erano davvero bravi. Un’altra cosa che apprezzavo è che la maggior pane delle persone erano quasi completamente prive di ambizione. 'Una Volta che avevano fatto un disco, erano arrivati dove volevano andare. Una Volta chiamammo un gruppo che aveva fatto una Peel session e gli dicemmo <<Che ne dite di farne un’altra?>>. Ci risposero che tutto quel che avevano desiderato era una esibizione da noi - bastava una.

Era come se un’ondata di creatività si fosse liberata, e oltre a essa, un ondata ancora più grande di semplice attività - non necessariamente cosi creativa o originale musicalmente, ma che faceva sentire capaci le persone coinvolte.
Allora, come oggi, riuscivi a suonare solo una percentuale di quello che avresti voluto far sentire, mentre nei primi anni settanta come dj suonavi praticamente tutto quello che avevi. Il punk fece aprire le chiuse; già il puro volume di materiale aumentò in maniera drammatica, e da allora non ha ancora smesso.

Nel periodo 1979-82 ci sono molte formazioni e molti dischi del tuo programma che risaltano particolarmente nella memoria. Come i Cravats.
I Cravats semplicernente mi piacevano perché - e questo genere di cose in realtà non dovrebbe influenzarti, ma lo fa - mi piaceva questo tipo, chiamato The Shend, che era nel gruppo. Oggi fa l’attore, ed era un tipo cosi carino. Anzi, il suo biglietto da visita diceva <<The Shend - un tipo a posto>>. Dopo i Cravats entrò in questo gruppo, i Very Things, che facevano quel vecchio classico del varietà When Father Papered the Parlour e una canzone intitolata The Bushes Scream When My Daddy Prunes.

Un altro singolo che passava davvero spesso nel tuo programme era There Goes Concord Again dei Native Hipsters.
Era uno di quei dischi che mettevi su e pensavi <<Tra una settimana questo darà un fastidio tremendo. .. ma fino a quel momento, suoniamolo fino alla morte>>. E’ un disco molto richiesto nei programmi che faccio in Germania.

Poi c’era l’m in Love With Margaret Thatcher dei Notsensibles.
Quello che sfugge a un sacco di gente che scrive del punk e del post-punk e che buona parte del materiale era davvero divertente. Uso sempre quella canzone dei Notsensibles come esempio del perché non potevi prendere tutto drammaticamente sul serio. La storia viene riscritta praticamente quando è appena accaduta, e il punk è diventato un affare davvero serio e con la faccia scura. Noi andavamo ai concerti e ridevamo come matti dall’inizio alla fine. Potevi farti una serata genuinamente divertente andando al Roxy e al Vortex. E non solo con i tipi che cercavano deliberatamente di essere divertenti, ma anche se andavi a qualcosa come un concerto delle Slits. Mi verrebbe da dire che le due session che le Slits fecero per noi furono tra le migliori delle migliaia che sono state registrate. Un concerto delle Slits era un evento gioioso. Era palese che non sapessero suonare, ma si lasciavano trascinare dall’entusiasmo del pubblico e dalla loro fredda determinazione ad arrivare alla fine dell’esibizione, costi quel che costi. Era quel genere di amatorialità ispirata che trovavo attraente.

Attenzione, c’era in giro del materiale davvero dannatamente tetro in quel periodo e nel tuo programma: per esernpio Final Day degli Young Marble Giants.
Si, non tutto era da una risata al minuto. ln effetti era gradevolmente bilanciato.

Pssyche dei Killing Joke la passasti molto. Come canzone è davvero apocalittica: Jaz Coleman, che ha quasi letteralmente la bava alla bocca, canta del sinistro Controllore e di suore che vengono scopate. Poi sono diventati una sorta di gruppo gothic metal, non trovi?
Le persone hanno il diritto di cambiare, e se il mio gusto non li segue. . be’, sarebbe vergognoso se suggerissi che le persone restino povere e in miseria solo per soddisfare un qualche mio desiderio artistico. Ma le prime cose dei Killing Joke mi piacevano davvero.




15/06/14

The Grey e i film che forse non vedremo mai

 VISIONI..
 Dispersi, cioè persi e sparsi nelle secche di un mercato sempre più pavido e asfittico, o galleggianti nella bonaccia infinita di un immaginario che ha rinunciato perfino a sognare di avere il vento in poppa. Così Gianni Canova definisce cos’è un Disperso, nella prefazione di Dispersi – Guida ai film che non vi fanno vedere edito da Falsopiano e realizzato dalla redazione di Hideout.it.
Ma quali sono le motivazioni per cui un film viene distribuito e un altro no? Se nel mondo vengono prodotti oltre 25 mila titoli e da noi ne arrivano a malapena 500, risulta evidente che la probabilità di perdersi tanto buon cinema sia altissima. Con Dispersival, Hideout.it e l’associazione culturale La Scheggia hanno ripescato dal mare magnum dei film dispersi, titoli e autori ignorati dalla nostra distribuzione, ma che meritano di essere visti. Commedie grottesche, drammi sociali, stranieri, italiani, ma anche documentari e cartoni animati. E in più dibattiti, incontri, una tavola rotonda, sondaggi e aperitivi per condividere un’esperienza comune, godersi buoni film e interrogarsi sulle nuove forme della distribuzione cinematografica.
Hideout


THE GREY
Che Liam Neeson fosse un attore fuori dal comune già lo sospettavamo. Il suo particolarissimo stile attoriale era già emerso in Schinder’s List, con quella nomination ad un Oscar che alla fine dei giochi andò al Tom Hanks di Philadelphia. Uno stile basato sulla straordinaria capacità di intensificare la recitazione, di condurla al massimo dell’esasperazione emotiva eppure, nello stesso tempo, mantenendo una sorta di realismo, di efficace equilibrio fra la tensione del “divenire” con quella dell’“essere”. Ed è proprio in questo The Grey che Neeson raggiunge il massimo del suo linguaggio espressivo. Intorno a lui lo spazio asettico del nulla innevato gli concede la possibilità di ri-generarsi interamente, di disseppellire la sua identità per vestire quella di John Ottawy, vedovo giunto alla fine delle proprie ragioni di vita, costretto a guidare verso la salvezza un gruppo di operai coinvolti con lui in un incidente aereo. Una rigenerazione che in realtà è molto meno posticcia di quello che ci appare. Perché Liam Neeson ha realmente perso sua moglie, Natasha Richardson, morta tre anni fa in Quebec per un incidente (ironia della sorte) sulla neve. Quello della scomparsa della propria compagna di vita è dunque un fantasma che insegue il Neeson attore in un set che incrocia i drammi della sua vita reale. Dove finisce la realtà e dove inizia la finzione? Questo non possiamo saperlo, ma nei lunghi silenzi dell’attore, nei suoi primi piani spezzati, nello sguardo rivolto al passato perduto di Ottawy/Neeson, è impossibile non percepire la materializzazione di quella solitudine e di quella disperazione che fa da traino per tutta la storia. La capacità di Liam Neeson, tutta europea, di “piantare le radici” ai propri personaggi qui diventa davvero impressionante, spiazzante. E senza più limiti.

Tutto ciò vale l’intero film. E sul resto possiamo anche chiudere un occhio: dal non riuscito eco bergmaniano del “silenzio di Dio”, alla stilizzazione eccessiva di lupi famelici che poco hanno in comune con dei veri animali (e questo ha fatto arrabbiare non poco molti animalisti che hanno lanciato un appello per boicottar e il fim). Eppure, se ignoriamo i rimandi al machismo che ogni tanto sembra incarnare il protagonista di The Grey, il richiamo alla “legge del più forte” avanzata dal regista Joe Carnahan, assume un altro senso, più profondo ed attuale. Perché per la prima volta in mezzo alla foresta – quella infestata dai predatori-che-danno-la caccia-agli-uomini – non finiscono i pavidi collegiali di Frozen o il ricco esperto di caccia di L’urlo dell’odio. Ma un gruppo di semplici e genuini proletari, padri di famiglia e lavoratori instancabili. Ecco insomma che l’impianto thrilleristico di The Grey si tinge di sociale, non facendosi mancare sullo sfondo sia la guerra in Iraq (e conseguente ”invasione” di un territorio ostile), sia la Crisi economica. Proprio lei, la stessa che fa precipitare (come l’aereo in avaria) la civiltà in un luogo selvaggio dove il Capitale in declino, sotto forma di lupo affamato, divora le classi meno abbienti e più vulnerabili. «Homo homini lupus» disse Hobbes. «We’re the animals!» dirà Ottawy/Neeson. E tanto basta.
Curiosità: Il film va guardato tutto, incluso i titoli di coda. Quello che infatti sembra un finale “aperto” si risolve appena dopo i credits, in un clip “chiarificatore”. Di più non si può dire.
Hideout


Alcuni  film che non vi hanno fatto vedere

Ogni anno, nel mondo, vengono prodotti circa 25mila film. Di questi, meno di 500 vengono distribuiti in Italia. Che fine fanno gli altri 24.500? 


10/06/14

The Moon

Ci scrivono i The Moon, giovane quartetto di Udine, e ci propongono il nuovo singolo "Make It In The Easy Way You Know",  tratto dall'album "Waiting For Yourself". Chi segue Interzone sa che non siamo estimatori della nuova musica italica. Pensiamo che tutto sia fermo alla metà degli anni novanta, ed è inutile stare qui a ripetere cose che potete leggere in molti post precedenti. Ci sono  eccezioni, ma è davvero  snervante: bisogna essere attenti, cercare, scavare.. Waiting For Yourself ci ricorda cose di qualche tempo fa, ci fa tornare al tempo in cui  la musica  contribuiva a cambiare il mondo e le nostre vite. Il motivetto è accattivante, forse perchè.. è solo divertimento, ed è perfetto per addentrarci in questa estate già caldissima.
Il video è simpatico, mancano solo Twiggy o Jane Birkin, mentre i suoni ci sono tutti, rock & roll  grezzo, pop garage morbido e raffinato quanto basta.. 






06/06/14

Nick Ut e la foto che fece finire una guerra

La foto che fece finire la guerra. Incontro con Nick Ut 

(premio Pulitzer, autore dell’immagine della bambina ustionata dal napalm in Vietnam)
Corriere.it - @GianluigiColin
<<Ho visto gli aerei, li ho visti sganciare le bombe. Poi le fiamme, un immenso fuoco. Ero a un centinaio di metri dalle case, sulla strada, con alcuni soldati, qualche reporter. Guardavo, fotografavo. Poi, come fantasmi, dal fumo vedo arrivare della gente: cercavano di salvarsi come potevano, piangevano, correvano senza sapere dove. Un bimbo è morto sotto i miei occhi, un ragazzino piangeva disperato ferito all’occhio, una bambina con il fratellino per mano. Guardavo attraverso la macchina fotografica, scattavo. E attraverso il mirino vedo una bimba completamente nuda, mi veniva incontro, le braccia aperte, sembrava Gesù, piangeva: i vestiti le si erano incendiati addosso, urlava di dolore, urlava di paura. La schiena, le braccia, le gambe erano completamente ustionate. “Brucia, brucia, brucia”, ripeteva terrorizzata. Ho fotografato, ma non volevo fotografare. L’abbiamo soccorsa lì, come potevamo. Un soldato le ha bagnato il corpo con l’acqua. Le ho messo addosso un impermeabile, l’ho abbracciata. In quel momento ho pensato che non potevo continuare a fotografare. Che non avrei fotografato mai più. Ho pensato che se quella bimba fosse morta, mi sarei ucciso. E cominciai a piangere>>.

Nick Ut parla e ha gli occhi lucidi: quante volte avrà ricordato la storia della piccola Kim Phúc, martoriata dal napalm? Eppure, se davvero il tempo lenisce le ferite, alcuni ricordi lasciano una traccia indelebile. Per tutti è Nick, ma il suo vero nome è Huynh Công Út: è nato in Vietnam nel 1951, ha 10 fratelli, fotografa da quando aveva 16 anni e, suo malgrado, è un mito. Con la sua immagine, conosciuta come Napalm Girl (ma lui la chiama Horrible War), ha vinto un premio Pulitzer ed è entrato nella storia della fotografia. Il potere di un’immagine può fare molto: quella bambina disperata di nove anni, che evoca L’urlo di Munch, ha scosso in modo così potente la coscienza degli Stati Uniti da contribuire a fermare la tragedia del Vietnam. Quell’urlo di dolore, fissato sulla pellicola l’8 giugno del 1972, nel villaggio di Trang Bang, è diventato l’urlo di rabbia del mondo. E pensare che nella sede di Saigon dell’Associated Press i redattori, vedendo i negativi, dissero: «È impubblicabile, c’è troppo nudo». Poi, per fortuna, arrivò il capo e urlò: «Voglio una didascalia, mandate immediatamente le foto a New York!». Anche chi sceglie, conta.

Ma la storia di Nick Ut non è solo racchiusa nello scatto: dopo quelle fotografie, Nick Ut carica i bambini sulla sua macchina e li porta al Cu Chi Hospital, a 40 minuti dal villaggio. Non li vogliono curare e Nick fa vedere la tessera stampa dicendo: «Se non li curate domani siete nei guai». Da quel momento il destino di quella bimba ferita e di quel fotografo che incarna i valori più nobili del reportage sono stati una cosa sola: sin da subito lui si impegna a proteggerla, la va a trovare nel suo villaggio, poi, negli anni si frequentano, tengono conferenze insieme, sono come parte della stessa famiglia: «La considero come mia figlia, la chiamo spesso per sapere come sta. Mi chiama zio Nick». Ora lei vive felicemente in Canada, lui a Los Angeles. Lei è mamma, ha due figli, lui continua a fare il fotografo per l’Ap. 



05/06/14

Roba imbarazzante

KURT COBAIN: “SMELLS LIKE TEEN SPIRIT” È UNA ROBA IMBARAZZANTE.
Cominciamo con le ovvietà. Parlando a Rolling Stone nel 1993, Kurt Cobain dichiarò :“E' veramente imbarazzante suonare “Smells Like Teen Spirit”. Stanno tutti così in fissa con quella canzone e la ragione per la quale ha così tanto seguito, è che l'hanno vista tutti un milione di volte su MTV. Gli è stata inculcata nel cervello... Io riesco a malapena, specialmente nel caso di una brutta serata, a sopravvivere a 'Teen Spirit'. Vorrei letteralmente buttare la chitarra per terra e andarmene”.



“FIGHT FOR YOUR RIGHT” È SEMPRE STATA UNO SCHERZO.
“Fight For Your Right (To Party)” è stata definita, la canzone più importante dei Beastie Boys, praticamente perché tutti gli studenti del mondo la mettono ai loro festini, cercando di assaporare la vita da DJ con un iPod e due casse di merda. I Beastie Boys lo sanno e infatti Mike D ha affermato che tutti gli stronzi che si sono fomentati con quella canzone “sono inconsapevoli del fatto che è una presa per il culo a quelli come loro”. Le note a margine della raccolta Sounds of Science affermano anche che la canzone “fa schifo”.


BOB GELDOF È VERAMENTE DISPIACIUTO DI AVER FATTO “DO THEY KNOW IT'S CHRISTMAS”
La Band Aid ha raccolto una somma importante da destinare in beneficenza, e ha creato una delle più indimenticabili canzoni di Natale. Ora, però, Bob Geldof ha deciso che la odia. Nel 2011 infatti, ha detto al Daily Mail: “Sono responsabile delle due peggior canzoni della storia, una è 'Do They Know It's Christmas?' e l'altra è 'We Are The World'. Un giorno qualsiasi, sotto natale, andrò al supermercato e mentre mi dirigerò al bancone della carne la staranno passando in radio. Ogni cazzo di Natale”. Giusta dichiarazione ma, ad essere sinceri, preferirei che fosse “I Don't Like Mondays” a venire radiata nell'iperspazio.

JOHN LENNON ODIAVA ALMENO DICIOTTO CANZONI DEI BEATLES
Ecco a voi una piccola selezione.
-"When I’m Sixty Four": è "musica da nonne".
-"Good Morning, Good Morning": "spazzatura".
-"Let It Be": "Non c'entra niente con i Beatles. Sarebbe potuta essere una canzone dei Wings. Non so a cosa stesse pensando Paul mentre scriveva 'Let It Be.'”


04/06/14

Arrivano i Vikings

Non sono proprio un appassionato di serie televisive. Quelle che ho seguito con assiduità ed interesse sono state The Walking Dead  e I Soprano, quest’ultima soprattutto per la presenza del grande James Gandolfini, uno dei miei attori feticci. Ma ora che arriva nel nostro paese, e in chiaro, (Rai 4) mi sento di poter fare un piccolo endorsment a favore di..Vikings, di cui ho già seguito le prime due serie in lingua originale, e in streaming qui. Intendiamoci: Vikings è puro intrattenimento, senza pretese intellettualoidi. Creata e scritta da Michael Hirst, la serie è prodotta da History e racconta le gesta del leggendario Ragnarr Loðbrók, figura mitica della cultura nordica, sulla cui reale esistenza non vi sono fonti certe. In chiave romanzata, certo. Vikings ha ambientazioni veramente interessanti, la ricostruzione storica degli usi, dei costumi e delle vicende del popolo vichingo, affidata alla storia singola di Ragnar Lothbrok, personaggio a metà fra lo storico e il leggendario, e che si fa parabola del popolo tutto, sono molto bene analizzati nei dettagli: l’organizzazione dei villaggi, la descrizione dei piccoli rituali dei vichinghi, la mitologia norrena presentissima e di fondamentale importanza, sempre ben dosata per apparire il più naturale possibile. Piace quest’attenzione per la credibilità storica che altrove – avevo provato a vedere Spartacus, ma proprio non ce l’ho fatta.. – è totalmente assente. E’ il peso di History che si fa sentire, senza irritare.

Una storia ricca di avventura, eroismo e scontri (fra culture e fra personalità), le scene di battaglia sono potentissime, violenza e sangue non ci vengono risparmiate, non ci sono scene mielose per pareggiare la brutalità del popolo vichingo (la scena del Blood Eagle è veramente..impressionante) mentre si evitano nudità e sesso gratuiti senza però farsele mancare, nei momenti giusti. La storia è avvincente: intrighi, tradimenti, crisi di fedeltà, nel potere, nelle relazioni, gli amici si trasformano in nemici, si formeranno e si romperanno alleanze nel nome della supremazia e del potere.. Gli attori sono tutti in parte, e risultano convincenti. Il protagonista è carismatico quanto basta, anche se Fimmel/Ragnar viene dalla moda, e l'immedesimazione nell'uno o nell'altro personaggio è inevitabile: su tutti Lagnar, personaggio fondamentalmente eroico ( avventuriero, sognatore, assetato di conoscenza e progresso), suo fratello Rollo, e un fantastico Floki genio pratico, costruttore di navi moderne e fedele amico.. Oltre al fascino esercitato dai vichinghi in sé, credo che fondamentale sia stata anche la componente mistico religiosa, che oltremodo invita ad approfondire i numerosi riferimenti ed eventi storici. Vikings non è certo una serie mainstream o superseguita, e probabilmente non è per tutti i gusti: ma è una serie riuscita, specie se considerato la doppia prospettiva, di intrattenimento seriale, e di prodotto di diffusione culturale. In definitiva, Ragnar ed i suoi costituiscono una metafora del mondo moderno, in evoluzione ed insofferente di fronte alla staticità di chi vuole preservare gli interessi di pochi ai danni di molti. I vichinghi di History sono pronti a sbattere in faccia ai potenti in crisi la loro mole di idee e nuove visioni del mondo..Già in lavorazione la terza serie, che arriverà nel 2015..



03/06/14

Io e Bowie sull'isola deserta

Ci abbiamo sicuramente pensato, almeno una volta: gli album della nostra vita, e quelli che non potrebbero essere ascoltati decine di volte senza stancarci. Dischi da avere sempre con sè e che porteremmo sulla famigerata isola deserta. Qui la mia discografia di David Bowie, i miei dischi preferiti, che hanno avuto fondamentale importanza nella mia formazione, dal punto di vista artistico/musicale ma anche emozional. Bowie ha svolto la sua carriera sempre all'insegna del cambiamento, con l'innata capacità di anticipare tempi e mode, musica e movimenti. Un artista che, terminate le sue creazioni, pensa che queste non gli appartengono più, lasciando la possibilità agl'altri di poterne fare quello che vogliono.. C'è "quasi tutto Bowie",  dagli inizi, fino a  gli anni '80; manca quello degli ultimi decenni, in cui si è rigirato senza troppo costrutto tra pop, rock, e blandi ritorni alla sperimentazione. Per me, questi album sono tutti fondamentali in egual misura. La differenza la fanno, come sempre, i gusti personali.


Dopo l’esordio, l’ego prende il sopravvento. lnsieme a una forma dura ed esasperata di rock. L`uomo che ha venduto il mondo é una creatura alienata e folle. Ha trasferito a una macchina il suo potere (Saviour Machine). Vaga assente e imperturbabile in un paesaggio eterno. Senza lacrime. Personaggio dell’universo, sempre più lontano dalla dimensione terrestre. (The Superman). Attraverso le prestazioni di un mimo ha imparato l’arte di venerare se stesso. Di muoversi con la violenza di Iggy, con la sciarpa di lsadora intorno al collo. The Man Who Sold the WorId é forse uno dei pochi casi nella storia della nostra musica, in cui la poesia entra in un album di hard rock. La band del futuro è quasi pronta: Trevor Bolder (basso), Woody Woodmansey (batteria) e Mick Ronson (chitarra).