VISIONI..
Dispersi, cioè persi e sparsi nelle secche di un mercato sempre più pavido e asfittico, o galleggianti nella bonaccia infinita di un immaginario che ha rinunciato perfino a sognare di avere il vento in poppa. Così Gianni Canova definisce cos’è un Disperso, nella prefazione di Dispersi – Guida ai film che non vi fanno vedere edito da Falsopiano e realizzato dalla redazione di Hideout.it.
Dispersi, cioè persi e sparsi nelle secche di un mercato sempre più pavido e asfittico, o galleggianti nella bonaccia infinita di un immaginario che ha rinunciato perfino a sognare di avere il vento in poppa. Così Gianni Canova definisce cos’è un Disperso, nella prefazione di Dispersi – Guida ai film che non vi fanno vedere edito da Falsopiano e realizzato dalla redazione di Hideout.it.
Ma quali sono le motivazioni per cui un film viene distribuito e un altro no? Se nel mondo vengono prodotti oltre 25 mila titoli e da noi ne arrivano a malapena 500, risulta evidente che la probabilità di perdersi tanto buon cinema sia altissima. Con Dispersival, Hideout.it e l’associazione culturale La Scheggia hanno ripescato dal mare magnum dei film dispersi, titoli e autori ignorati dalla nostra distribuzione, ma che meritano di essere visti. Commedie grottesche, drammi sociali, stranieri, italiani, ma anche documentari e cartoni animati. E in più dibattiti, incontri, una tavola rotonda, sondaggi e aperitivi per condividere un’esperienza comune, godersi buoni film e interrogarsi sulle nuove forme della distribuzione cinematografica.
Che Liam Neeson fosse un attore fuori dal comune già lo sospettavamo. Il suo particolarissimo stile attoriale era già emerso in Schinder’s List, con quella nomination ad un Oscar che alla fine dei giochi andò al Tom Hanks di Philadelphia. Uno stile basato sulla straordinaria capacità di intensificare la recitazione, di condurla al massimo dell’esasperazione emotiva eppure, nello stesso tempo, mantenendo una sorta di realismo, di efficace equilibrio fra la tensione del “divenire” con quella dell’“essere”. Ed è proprio in questo The Grey che Neeson raggiunge il massimo del suo linguaggio espressivo. Intorno a lui lo spazio asettico del nulla innevato gli concede la possibilità di ri-generarsi interamente, di disseppellire la sua identità per vestire quella di John Ottawy, vedovo giunto alla fine delle proprie ragioni di vita, costretto a guidare verso la salvezza un gruppo di operai coinvolti con lui in un incidente aereo. Una rigenerazione che in realtà è molto meno posticcia di quello che ci appare. Perché Liam Neeson ha realmente perso sua moglie, Natasha Richardson, morta tre anni fa in Quebec per un incidente (ironia della sorte) sulla neve. Quello della scomparsa della propria compagna di vita è dunque un fantasma che insegue il Neeson attore in un set che incrocia i drammi della sua vita reale. Dove finisce la realtà e dove inizia la finzione? Questo non possiamo saperlo, ma nei lunghi silenzi dell’attore, nei suoi primi piani spezzati, nello sguardo rivolto al passato perduto di Ottawy/Neeson, è impossibile non percepire la materializzazione di quella solitudine e di quella disperazione che fa da traino per tutta la storia. La capacità di Liam Neeson, tutta europea, di “piantare le radici” ai propri personaggi qui diventa davvero impressionante, spiazzante. E senza più limiti.
Tutto ciò vale l’intero film. E sul resto possiamo anche chiudere un occhio: dal non riuscito eco bergmaniano del “silenzio di Dio”, alla stilizzazione eccessiva di lupi famelici che poco hanno in comune con dei veri animali (e questo ha fatto arrabbiare non poco molti animalisti che hanno lanciato un appello per boicottar e il fim). Eppure, se ignoriamo i rimandi al machismo che ogni tanto sembra incarnare il protagonista di The Grey, il richiamo alla “legge del più forte” avanzata dal regista Joe Carnahan, assume un altro senso, più profondo ed attuale. Perché per la prima volta in mezzo alla foresta – quella infestata dai predatori-che-danno-la caccia-agli-uomini – non finiscono i pavidi collegiali di Frozen o il ricco esperto di caccia di L’urlo dell’odio. Ma un gruppo di semplici e genuini proletari, padri di famiglia e lavoratori instancabili. Ecco insomma che l’impianto thrilleristico di The Grey si tinge di sociale, non facendosi mancare sullo sfondo sia la guerra in Iraq (e conseguente ”invasione” di un territorio ostile), sia la Crisi economica. Proprio lei, la stessa che fa precipitare (come l’aereo in avaria) la civiltà in un luogo selvaggio dove il Capitale in declino, sotto forma di lupo affamato, divora le classi meno abbienti e più vulnerabili. «Homo homini lupus» disse Hobbes. «We’re the animals!» dirà Ottawy/Neeson. E tanto basta.
Curiosità: Il film va guardato tutto, incluso i titoli di coda. Quello che infatti sembra un finale “aperto” si risolve appena dopo i credits, in un clip “chiarificatore”. Di più non si può dire.
Hideout
Tutto ciò vale l’intero film. E sul resto possiamo anche chiudere un occhio: dal non riuscito eco bergmaniano del “silenzio di Dio”, alla stilizzazione eccessiva di lupi famelici che poco hanno in comune con dei veri animali (e questo ha fatto arrabbiare non poco molti animalisti che hanno lanciato un appello per boicottar e il fim). Eppure, se ignoriamo i rimandi al machismo che ogni tanto sembra incarnare il protagonista di The Grey, il richiamo alla “legge del più forte” avanzata dal regista Joe Carnahan, assume un altro senso, più profondo ed attuale. Perché per la prima volta in mezzo alla foresta – quella infestata dai predatori-che-danno-la caccia-agli-uomini – non finiscono i pavidi collegiali di Frozen o il ricco esperto di caccia di L’urlo dell’odio. Ma un gruppo di semplici e genuini proletari, padri di famiglia e lavoratori instancabili. Ecco insomma che l’impianto thrilleristico di The Grey si tinge di sociale, non facendosi mancare sullo sfondo sia la guerra in Iraq (e conseguente ”invasione” di un territorio ostile), sia la Crisi economica. Proprio lei, la stessa che fa precipitare (come l’aereo in avaria) la civiltà in un luogo selvaggio dove il Capitale in declino, sotto forma di lupo affamato, divora le classi meno abbienti e più vulnerabili. «Homo homini lupus» disse Hobbes. «We’re the animals!» dirà Ottawy/Neeson. E tanto basta.
Curiosità: Il film va guardato tutto, incluso i titoli di coda. Quello che infatti sembra un finale “aperto” si risolve appena dopo i credits, in un clip “chiarificatore”. Di più non si può dire.
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Alcuni film che non vi hanno fatto vedere
Ogni anno, nel mondo, vengono prodotti circa 25mila film. Di questi, meno di 500 vengono distribuiti in Italia. Che fine fanno gli altri 24.500?
Chapter 27 di Jarrett Schaefer, con Jared Leto (2007)
La storia dell’omicidio di John Lennon raccontata in un’opera prima che stupisce evitando gli stereotipi, consigliata agli appassionati di musica, siano essi beatlesiani della prima ora o appassionati del rock degli ultimi anni.
Il film ripercorre gli ultimi giorni di vita del popolare musicista John Lennon, ripresi dal punto di vista del suo assassino, Mark David Chapman, che ucciderà Lennon davanti all’entrata della sua residenza, il Dakota Building, la sera dell’8 dicembre 1980 a New York City. Il titolo del film si riferisce all’inesistente capitolo numero 27 del libro da cui era ossessionato Chapman, Il giovane Holden di J. D. Salinger, romanzo che stava leggendo anche la sera stessa in cui uccise Lennon e che in realtà ha 26 capitoli. Chapman era ossessionato a tal punto dal libro, da credersi una reincarnazione di Holden Caulfield, il protagonista del romanzo…
Gerry di Gus Van Sant, con Matt Damon (2002)
L’inedito di uno dei registi più premiati degli ultimi 15 anni, consigliato a chi ama lasciarsi affascinare dalla potenza delle immagini e dalla rarefazione dell’atmosfera.
Due giovani che si chiamano entrambi Gerry cominciano a passeggiare in
una pineta per ritrovarsi progressivamente in marcia nel deserto. Sono
amici, parlano, litigano, arrivano a detestarsi mentre si spingono
sempre più lontano in un viaggio che sembra avere come destinazione
finale il fondo più autentico dell'animo umano...
Hunger di Steve McQueen, con Michael Fassbender (2008)
L’opera prima di uno dei più apprezzati videoartisti inglesi, un film durissimo sugli anni dell’Ira, consigliato a chi vuole provare a vedere un film veramente diverso.
La dura escalation delle proteste all’interno della Maze Prison in
Irlanda del Nord, intorno all’inizio degli anni ’80, quando i detenuti
politici repubblicani, tra i quali Bobby Sand, facevano di tutto per
cercare di guadagnare uno status differente da quello dei delinquenti
comuni a cui venivano assimilati…
Little Children di Todd Field, con Kate Winslet (2006)
Il regista di In the Bedroom e un cast stellare (Winslet, Connelly, Wilson), per un film consigliato a chi si sveglia un mattino e non capisce più perché sta vivendo la vita che vive, a chi vorrebbe evadere ma non ha il coraggio di farlo.
Sarah, madre e moglie insoddisfatta, intreccia una relazione extraconiugale con Todd, padre casalingo dalle aspirazioni lavorative frustrate. Sullo sfondo, una provincia americana dilaniata da una sottile, quanto insidiosa, forma di disperazione esistenziale…
Primer di Shane Carruth, con David Sullivan (2004)
Un film di fantascienza girato con 7.000 dollari, una produzione rarefatta e affascinante, consigliata a chi è appassionato di viaggi nel tempo, ai nerd, ai trekker, ma soprattutto a chi vuole fare cinema.
Due giovani ingegneri, Aaron e Abe, dipendenti di una ditta privata di informatica, realizzano con elementi presi a prestito dal laboratorio, con del palladio ricavato dalle marmitte catalitiche delle loro auto e con tubi di rame ricavati dal frigorifero di casa, un dispositivo che si rivelerà essere una macchina del tempo…
Sita Sings the Blues di Nina Paley (2008)
Un cartoon distribuito gratuitamente grazie al Creative Commons, consigliato a chi ama i musical e lo stile bollywoodiano.
Un piccolo grande gioiello Sita Sings The Blues, presentato in anteprima italiana al Future Film Festival di Bologna 2009, dopo aver ottenuto importanti riconoscimenti in diverse rassegne internazionali e vincendo il premio come migliore pellicola al Festival di animazione di Annecy. Il film è un’opera divertente e certamente innovativa, in virtù della giustapposizione attuata dalla regista di più stili estetici e diversi livelli narrativi. La storia principale ripercorre le gesta della leggenda indiana e in particolare di Sita, devota moglie di Rama, principe di Ayodhya, condannato a un esilio di 17 anni dopo essere stato usurpato del diritto di successione al trono paterno. Sita segue il suo uomo, ma viene rapita dal potente Ravana, che prova a sedurla. Lavoro frizzante e leggero, ma non di certo banale, Sita Sings The Blues merita di essere recuperato non solo per il suggestivo soundtrack e per i colorati disegni, ma anche per l’intelligente riflessione che innesca sul genere femminile, sul rapporto di coppia e sul sempre attuale trauma da abbandono.
The Girlfriend Experience di Steven Soderbergh, con Sasha Grey (2009)
Consigliata a chi non si perderebbe nemmeno un film di Sasha Grey (cioè buona parte degli uomini) e a chi pensa di poter imparare qualcosa da Sasha Grey (cioè buona parte delle donne).
Uno sguardo sul mondo della prostituzione raccontato dal punto di vista di una call girl da diecimila dollari a notte durante il periodo delle elezioni presidenziali del 2008…
The King of Kong: A Fistful of Quarters di Seth Gordon (2007)
I videogiochi degli anni Ottanta riscoperti 25 anni dopo, consigliato a chi ha trascorso lunghi pomeriggi della sua adolescenza con le tasche piene di monetine al bar dell’oratorio. The King of Kong non racconta solo una sfida epica, queste due ore scarse che scorrono sul video della vostra tv o del vostro computer in realtà sono un viaggio senza ritorno nella provincia americana più profonda, dentro a quell’America fatta da nerd e geek inimmaginabili che, proprio grazie al loro status, sono riusciti a diventare delle celebrità. Persone che vivono in una dimensione parallela alla nostra, una dimensione in cui contano solo i punti che siete in grado di fare in una partita a Donkey Kong, Pac Man, Lady Bug o Centipede. Persone come l’odioso e spocchioso Billy Mitchell, che il 17 settembre 1999 è stato proclamato “Video Game Player of the Century”.
Big Nothing di Jean-Baptiste Andrea, con Simon Pegg (2006)
David Schwimmer (Friends) e Simon Pegg (Hot Fuzz) in un film tra suspense e verve comica, consigliato a chi adora l’irresistibile Pegg e a chi è alla ricerca di un film che sappia mescolare diversi tipi di comicità.
Charlie è un professore disoccupato e frustrato che decide di prendere la sua rivancita. Partecipa ad uno schema di ricatto a prova di cretino, unendo le sue forze a quelle di Gus, un’imprevedibile imbroglione, e alla sua ex ambiziosa fidanzata Josie. Nulla va per il verso giusto, e le cose sembrano andare di male in peggio...
American Splendor di S. Berman e R. Pulcini, con Paul Giamatti (2003)
Dal fumetto autobiografico di Harvey Peckar, consigliato a chi è appassionato di comics underground e a chi crede di avere un sacco di storie da raccontare nonostante svolga un lavoro estremamente monotono.
Il discreto fascino della quotidianità. Questo è ciò che Harvey Peckar, fumettista americano negli anni Settanta, ma prima ancora impiegato insoddisfatto in un ospedale di Cleveland, racconta nelle sue strisce. E questo è anche ciò che i due registi di American Splendor, Shari Sprinter Berman e Robert Pulcini, scelgono di ritrarre nella biografia di questo antieroe…Una vita dedicata ad un fumetto dedicato a sé, un film dedicato al fumetto e quindi al personaggio, il film raccontato a striscie come un fumetto nel quale a rappresentare l'autore c'è un attore (bravissimo Paul Giamatti) e l'autore stesso che si racconta intervistato o come voce fuori campo o con immagini reali come quelle divertentissime del Littermann Show. Una matrioska a più livelli. E' una storia estremamente discreta che è anche un ritratto della vita di "provincia" americana di quegli anni, tra i 60 ed i 90. Mai retorica, nemmeno quando racconta del cancro che colpì Peakar o dell'adozione, momenti molto commoventi ma raccontati col disincanto e la discrezione che accompagnano la vita del protagonista ed anche della sua compagna di vita, Joyce Brabner, che grande importanza ha avuto. Tanta splendida musica attinta dalla collezione di Peakar accompagna perfettamente il tutto. Film adorabile per tanti aspetti.
Rubber di Quentin Dupieux (2010)
Uno pneumatico psicotico se ne va in giro a uccidere la gente. Non gente a caso però, bensì gli stessi coinvolti nella realizzazione del film. Anche indirettamente.
Nel film E.T. perché l’extraterreste è marrone? Per nessun motivo. In Non aprite quella porta perché non vediamo mai i personaggi andare in bagno? Per nessun motivo. Perché in Rubber, film di Quentin Dupieux, un poliziotto esce dal bagagliaio di una macchina, in pieno deserto, prende un bicchiere di acqua e incomincia a fare una serie di riferimenti a film, affermando che ognuno di essi non ha alcun nesso logico con lo sviluppo della trama? E dopo questo lungo discorso, anziché bere, versa l’acqua per terra? Per nessuna ragione valida. Dopo essere stati ad ascoltarlo come minimo ci si chiede, qual è il motivo di questo film? Ci deve essere per forza, anche a costo di vedere per i successivi 75 minuti un copertone di auto prendere vita e con poteri psicocinetici che fa esplodere oggetti, animali e persone.
Quentin Dupieux, regista francese, anche conosciuto nel mondo della musica con il nome di Mr. Oizo (sua e di Gaspard Auge la colonna sonora) è al suo terzo film, e ci porta in questo deserto surreale che ci potrebbe far cambiare per sempre il modo di vedere il cinema o, almeno, gli pneumatici.
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