«Se fossimo messi bene, si riconoscerebbe che questo è un gran libro, e che Gianni Biondillo è un grande scrittore». “Questo” è I materiali del killer, e racconta un’Italia in cui lo «squallore morale» trionfa da Nord a Sud. Ma visto che vanno di moda «i gialli nordici e adesso tornano anche i Templari, non vende milioni di copie». Parola di Valerio Evangelisti. È mercoledì, siamo da Melbookstore e accanto a lui siede Biondillo.
Il libro sarebbe un giallo, per la trama, tra una rapina con un epilogo tragico e l’evasione di un nero apparentemente di piccolo calibro, Towongo Haile Moundouma, aiutato però da un commando malavitoso. Le indagini sono dell’ispettore Ferraro, personaggio di successo di Biondillo. Ma «l’altro giorno la giornalista di una rivista femminile mi ha chiesto perché ho messo tante cose così “forti” come la condizione carceraria o il tema del razzismo. Non sapevo cosa rispondere. Di cosa deve parlare un giallo? Io, se metto in scena l’ispettore Ferraro, il mondo irrompe nel mio libro. Forse il titolo giusto sarebbe “viaggio in Italia”, ma al contrario del Grand Tour, di Goethe: è un paese “sotto un cielo blu diluvio”, devastato, che ragiona con logiche da clan».
L’immagine “sotto un cielo blu diluvio” è una citazione-omaggio a Grazia Verasani (è il titolo del suo ultimo cd), tra il pubblico come un altro scrittore, Wu Ming1. Apprezzano Biondillo, che dei propri “gialli” dice: «sono in un terreno limaccioso», snobbati dalla «critica laureata» perché “gialli”, con «troppa roba» per essere ritenuti “gialli” tout court. Lo dice col sorriso, scherzando, senza snobismo, tanto che elogia la parola “intrattenimento”. A modo suo: «ho il dovere di dare al lettore storie belle, deve voler sapere come vanno a finire. Ma intanto gli voglio raccontare altre cose. Scrivendole bene. Ho in testa questa storia da 4 anni. La trama era pronta, ma dovevo andare a vedere l’Africa, che è uno dei protagonisti di questo libro, e cercare la lingua. Un libro non è solo trama. È l’ossatura, poi serve tutto il resto».
Difficile raccontare l’Italia d’oggi? «A Milano abbiamo avuto un vicesindaco che si vantava di aver ordinato 400 sgomberi di campi rom. Io ci andavo, per parlare con loro, capire i loro problemi. Con i continui sgomberi, non sapevano neanche dove mandare a scuola i loro bambini. A me interessa sapere e raccontare cosa sta al di sotto della cronaca, che non mi interessa: è fiction. Non sono un giallista che insegue gli omicidi!»
Qui apre una parentesi: il rapporto tra scrittori e media. Dice: «a volte mi chiamavano grossi giornali per un pezzo “da giallista” su qualche omicidio. Io rimanevo stupefatto: abbiate rispetto!, sono morti veri! Ma c’è sempre qualcuno che a questo gioco ci sta». «Basta ricordare la lettera di Moccia su “Libero” per Yara Gambirasio. Pornografia necrofila – interviene Wu Ming1 – Questo è un estremo, ma ogni testata ha un suo scrittore tuttologo. È la fiera del dilettante, del pressapochismo ben scritto».
Dal pubblico un lettore dice che le donne nel libro risultano migliori degli uomini. «I personaggi femminili in Italia sono stereotipati, ma le donne sono diverse da come le raffigurano e le vorrebbero i maschi». Chi sono questi maschi? «Noi a Milano abbiamo vissuto prima di voi il berlusconismo. Dicevano: siete giovani, divertitevi, godete, ed ecco quarantenni infantilizzati che rimpiangono Sabrina Salerno».
Un altro lettore chiede, in tutto questo, che ruolo abbia il pubblico. «Tutti parlano male di Vespa, ma lo si guarda. Il gossip, la pornografia, piace. Ma è ora di svegliarci. La letteratura in Italia è marginale rispetto alla tv, ma i margini rodono gli imperi, e dai margini arrivano le rivolte».
L’immagine “sotto un cielo blu diluvio” è una citazione-omaggio a Grazia Verasani (è il titolo del suo ultimo cd), tra il pubblico come un altro scrittore, Wu Ming1. Apprezzano Biondillo, che dei propri “gialli” dice: «sono in un terreno limaccioso», snobbati dalla «critica laureata» perché “gialli”, con «troppa roba» per essere ritenuti “gialli” tout court. Lo dice col sorriso, scherzando, senza snobismo, tanto che elogia la parola “intrattenimento”. A modo suo: «ho il dovere di dare al lettore storie belle, deve voler sapere come vanno a finire. Ma intanto gli voglio raccontare altre cose. Scrivendole bene. Ho in testa questa storia da 4 anni. La trama era pronta, ma dovevo andare a vedere l’Africa, che è uno dei protagonisti di questo libro, e cercare la lingua. Un libro non è solo trama. È l’ossatura, poi serve tutto il resto».
Difficile raccontare l’Italia d’oggi? «A Milano abbiamo avuto un vicesindaco che si vantava di aver ordinato 400 sgomberi di campi rom. Io ci andavo, per parlare con loro, capire i loro problemi. Con i continui sgomberi, non sapevano neanche dove mandare a scuola i loro bambini. A me interessa sapere e raccontare cosa sta al di sotto della cronaca, che non mi interessa: è fiction. Non sono un giallista che insegue gli omicidi!»
Qui apre una parentesi: il rapporto tra scrittori e media. Dice: «a volte mi chiamavano grossi giornali per un pezzo “da giallista” su qualche omicidio. Io rimanevo stupefatto: abbiate rispetto!, sono morti veri! Ma c’è sempre qualcuno che a questo gioco ci sta». «Basta ricordare la lettera di Moccia su “Libero” per Yara Gambirasio. Pornografia necrofila – interviene Wu Ming1 – Questo è un estremo, ma ogni testata ha un suo scrittore tuttologo. È la fiera del dilettante, del pressapochismo ben scritto».
Dal pubblico un lettore dice che le donne nel libro risultano migliori degli uomini. «I personaggi femminili in Italia sono stereotipati, ma le donne sono diverse da come le raffigurano e le vorrebbero i maschi». Chi sono questi maschi? «Noi a Milano abbiamo vissuto prima di voi il berlusconismo. Dicevano: siete giovani, divertitevi, godete, ed ecco quarantenni infantilizzati che rimpiangono Sabrina Salerno».
Un altro lettore chiede, in tutto questo, che ruolo abbia il pubblico. «Tutti parlano male di Vespa, ma lo si guarda. Il gossip, la pornografia, piace. Ma è ora di svegliarci. La letteratura in Italia è marginale rispetto alla tv, ma i margini rodono gli imperi, e dai margini arrivano le rivolte».
Repubblica Bologna
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