Incostituzionalità della legge Fini-Giovanardi sulle droghe
I giudici romani sottolineano poi la assurdità della equiparazione di droghe “pesanti” e “leggere”, di cui “va rilevata la modestia degli effetti negativi sull’organismo, non differenti da quelli che provocano alcool o nicotina” e la “assenza di effetti di dipendenza nei consumatori di cannabis”. Perciò, dicono i giudici, comminare per la “cannabis” le stesse pene previste per gli oppiacei è irrazionale e contrasta con l’articolo 3 della Costituzione, che non consente di trattare allo stesso modo fatti fra loro così diversi.
Auguriamoci che la decisione arrivi in tempi brevi, a meno che non sia il prossimo Parlamento a liberarci ancor prima di una delle peggiori mostruosità dell’era fini-berlusconiana.
Nel frattempo nessun giudice rispettoso della Costituzione può continuare ad infliggere condanne in base ad una legge che una Corte di appello della Repubblica ha dichiarato illegittima.
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Incostituzionalità della legge Fini-Giovanardi sulle droghe, alla vigilia del processo contro Filippo Giunta, creatore del festival Rototom Sunsplash e accusato di agevolazione all’uso di sostanze stupefacenti.
Sono sette anni che questa legge provoca effetti disastrosi sul funzionamento della giustizia e sulla condizione delle carceri, determinando il sovraffollamento che è alla base delle condanne della Corte di Strasburgo per trattamenti disumani e degradanti.
La proposta di Gianfranco Fini fu presentata nel 2003, ma vide la luce solo nel 2006 grazie a un colpo di mano del sottosegretario Carlo Giovanardi: il disegno fu trasformato in maxi emendamento, inserito nel decreto legge dedicato alle Olimpiadi invernali di Torino.
L’opposizione fu tenace e incalzante, in Parlamento e nel Paese. Fu sconfitta solo per uno stupro istituzionale e per la latitanza del Quirinale.
Sul mensile Fuoriluogo vennero poste le questioni di legittimità costituzionale: per la prima volta il legislatore cancellava la volontà espressa dai cittadini nel referendum del 1993 a favore della depenalizzazione del possesso di sostanze stupefacenti per uso personale. Furono anche segnalate due altre gravi lacerazioni costituzionali rispetto ai principi del giusto processo e delle competenze regionali.
Alcune Regioni sollevarono la questione di legittimità costituzionale per le norme che ledevano la loro autonomia legislativa e organizzativa. La Regione Emilia-Romagna denunciò l’inserimento strumentale delle misure antidroga nel decreto Olimpiadi, che configurava, già di per sé, “un autonomo vizio di costituzionalità”.
Tale rilievo non si traduceva tuttavia nella specifica denuncia della violazione dell’art. 77 della Costituzione, poiché all’epoca la giurisprudenza della Corte Costituzionale non si era ancora consolidata nel senso della possibilità di verificare i requisiti di “necessità e urgenza” dei decreti legge anche dopo la loro conversione.
Dopo le pronunce della Corte del 2010 e del 2012, le condizioni sono mutate: le sentenze hanno dettato criteri vincolanti per l’approvazione dei decreti legge, stabilendo in particolare il divieto per il Parlamento di inserire disposizioni estranee all’oggetto e alle finalità del testo originario del decreto di urgenza.
Un gruppo di lavoro, coordinato da Luigi Saraceni, ha messo a punto un documento di analisi legislativa e di ricostruzione storica della vicenda, predisponendo una sorta di modello per sollevare davanti all’Autorità giudiziaria la questione di legittimità costituzionale.
Anche da questo versante “giudiziario”, ci sono dunque tutte le ragioni per riprendere la battaglia per un cambio della politica delle droghe in Italia, mettendo in luce il vizio d’origine di una svolta repressiva che ha prodotto gravi guasti umani.
La predisposizione di questo “schema” intende fornire agli avvocati impegnati ogni giorno nella difesa di giovani consumatori o tossicodipendenti, uno strumento per fermare la macelleria giudiziaria. E’ auspicabile che la parola passi presto alla Corte Costituzionale. La cancellazione del decreto non produrrebbe un vuoto normativo (tornerebbe infatti in vigore la legge precedente), ma creerebbe le migliori condizioni per una riforma sostanziale della legge.
Fuoriluogo
Società della Ragione Dossier
Estratto dal 3° Libro Bianco sulla Fini/Giovanardi
L’impatto della legge antidroga sul carcere.
Aumentano gli ingressi in carcere per droga in rapporto al totale degli
ingressi, dal 28% del 2006 al 33,15% del 2011 (25.390 su 90.714 e
22.677 su 68.411). Aumentano le denunce, specie per l’art. 73
(detenzione illecita a fini di spaccio), da 29.724 nel 2006 a 33.686 nel
2011 (di queste 14.680 sono per cannabis, pari al 41%, di cui 8.535 per
hashish, 5.211 per marijuana, 1.416 per coltivazione di piante); gli
arrestati corrispondono a 28.552, mentre nel 2006 erano 25.730. Le
operazioni di polizia sono state 21.116 e i sequestri danno un aumento
del 54,19% per la marijuana e del 29,43% dell’hashish e un meno 45,97
per l’eroina. Nel 2011 vi è stata una esplosione di sequestri di piante
di canapa (563.198!).
Raddoppiano i detenuti presenti in carcere per art. 73:
dai 10.312 del 2006 ai 21.562 del 2011, il 32,67% del totale, se si
calcola sia l’art. 73 che il 74 le cifre sono 15.133 nel 2006 e 27.856
nel 2011, il 42,21% del totale: si puo' quindi dire che quasi la metà
dei detenuti nelle carceri italiane è in cella per 2 articoli di una
sola legge dello Stato. Dato che viene confermato anche dall'analisi
dello stato processuale dei detenuti: su 28.636 detenuti imputati
presenti in carcere al 17.11.2011 ben 11.380 sono per violazione della
legge sugli stupefacenti; su 14.686 detenuti in attesa di primo giudizio
al 17.11.2011 ben 5.593 per violazione legge stupefacenti; su 7.588
appellanti al 17.11.2011 ben 3.082 per violazione legge stupefacenti; su
4.718 ricorrenti al 17.11.2011 ben 2.076 per violazione legge
stupefacenti;
infine, sui 37.750 detenuti con condanna passata
in giudicato, presenti al 27 novembre 2011, ben 14.590 (38,90%) lo sono
per violazione della legge sugli stupefacenti.
La repressione sul consumo:
Aumentano le segnalazioni al prefetto per mero consumo personale: da
39.075 segnalati nel 2006 a 47.093 nel 2008 (ultimo dato consolidato),
nel 2009 il dato provvisorio era di 37.800.
Il 74% dei segnalati era in possesso di un solo spinello! Va ricordato, come esempio di persecuzione di massa che dal 1990 al
2010 le persone segnalate ai prefetti per le sanzioni amministrative
sono state 783.278.
Più che raddoppiate le sanzioni irrogate: da 7.229 nel 2006 a 16.154 nel 2010 mentre crollano le richieste di programmi terapeutici:
da 6.713 nel 2006 a 518 nel 2010. Non solo questa legge punisce con
sanzioni molto pesanti i semplici consumatori (ad esempio con il ritiro
della patente), ma ha avuto anche l'effetto di allontare i consumatori
problematici dall'accesso ai programmi terapeutici, come possiamo capire
anche dai dati qui di seguito.
Le misure alternative al carcere:
Diminuiscono le misure alternative: da 3.852 persone in affidamento nel 2006 a 2.816 al 30 maggio 2012. Ovvero
nonostante le promesse di Giovanardi e Serpelloni i consumatori, anche
problematici restano in carcere perchè è sempre più difficile accedere
alle misure alternative. E, per sottolineare la centralità del carcere per il consumatore di sostanze mentre prima del 2006 la maggioranza dei tossicodipendenti godeva dell’affidamento direttamente dallo stato di libertà, con la nuova legge il rapporto si è invertito.
Al 30 maggio 2012, 1.854 persone erano in affidamento dopo essere
passate dal carcere, a fronte di 962 soggetti provenienti dalla libertà.
Conclusioni
Il sistema repressivo punta al basso: i dati complessivi ci dicono che
la gran parte delle persone che entrano in carcere per la legge
antidroga sono consumatori o piccoli spacciatori, con particolare
preferenza sulla cannabis e con una recente predilezione per i
coltivatori (spesso autoproduttori).
L’impatto carcerario della legge antidroga è la principale causa del sovraffollamento negli istituti di pena italiani. All’aumento della carcerazione e delle sanzioni amministrative corrisponde un abbattimento dei programmi terapeutici.
I dati forniti annualmente dalla Relazione del Governo al Parlamento
sono in parte carenti, in parte inaffidabili e soprattutto reticenti: in particolare mancano a livello nazionale i dati sulle condanne per l’ipotesi di lieve entità dell’art. 73.
Una ricerca in profondità condotta in Toscana mostra che il 40% dei
detenuti sono in carcere per reati di droga minori: si tratta spesso di
consumatori che semplicemente detenevano quantità superiori al limite
tabellare e sono stati trattati alla stregua di spacciatori.
E’ urgente una modifica della legge, iniziando da norme di riduzione del danno già in questa legislatura,
che definiscano come reato autonomo l’ipotesi di lieve entità dell’art.
73 con una pena ridotta che escluda l’ingresso in carcere, che si
cancelli la legge Cirielli sulla recidiva, che si rendano di nuovo
praticabili le alternative terapeutiche, sia per le condanne carcerarie
che per le sanzioni amministrative.