Terra e libertà, furono questi, fino all’ultimo, i due obiettivi di Emiliano Zapata, artefice della rivoluzione messicana e ideale archetipo di tutti i grandi ribelli del Continente latinoamericano; partendo dalla difesa dei braccianti contro la schiavitù del latifondo e dal sostegno dei diritti degli indios, Zapata diede vita a un piano di riforma agraria che costituì l’unico vero programma contro la corruzione e la vuota magniloquenza del regime di Porfirio Diaz. Un esistenza e una morte intense, piene di significato in ogni attimo, delineando “l'immagine di un uomo straordinario, prototipo di un popolo straordinario, preso nel vortice di tempi straordinari"` ll carisma di Zapata e il coraggio della sua gente, ma soprattutto il loro sogno di un futuro di giustizia, possono spiegare come un esercito di diseredati, costretto a rubare le armi ai nemici, vedesse aumentare le sue schiere a ogni tentativo di repressione. Attraverso gli anni e i decenni, la figura di Zapata ha continuato a ispirare la rivolta (non e un caso se l’attuale movimento di liberazione del Chiapas si richiama al suo nome) ed è assurto alle dimensioni di un simbolo, ben oltre i confini del Messico. Dietro a un mito. c’è sempre una realtà..
Quattrocento volte la terra ruota nella sua magica corsa attorno al sole. Quattrocento volte la cappa di ermellino cala sui fianchi del vecchio Popo e si avvolge di nuovo attorno al suo collo, e rivoli di cristallo scintillante infuriano lungo i fianchi della paurosa Sierra Ajusco, a riempire i torrenti del Morelos, per scorrere poi tranquilli e poveri d’acqua. Quattrocento volte nei solchi delle piccole milpa degli indios, nelle vaste hacìendas, il sacro grano compie il suo rito di resurrezione, dal seme sepolto al lungo stelo e alla pannocchia fasciata di foglie, mormorante drappeggio color oliva, per trasformarsi poi dolcemente in reste brune e polvere; mentre la leggera fontana verde-grigia della canna da Zucchero zampilla e scherza con grazia carezzevole, balza in alto e ricade, per deporre il suo oro frantumato su soffici grasse palme in casco e palacîo. Quattrocento volte le colline splendono verdi di giada e lentamente bruciano in un color di rame. Quattrocento volte gli indios pazienti marciano in cerchio, uno dietro l’altro, aspettando il miracolo, pregando Maria: uomini schiavi in una notte cieca.
«Finché io non sarò morto non renderanno giustizia al popolo, questi politicos. Mi odiano tanto che non possono sentire quello che dico. Io non vedrò mai il frutto dell’albero che abbiamo piantato, lo so. Ma voi lo vedrete, amigos.» La fiera profezia di Zapata, pronunciata alla fine di un breve discorso a un’assemblea dei suoi comandanti, il giorno in cui ordinò la sua ultima marcia verso il nord, risultò stranamente vera. Nel giro di un anno - quasi nel momento stesso in cui il suo assassino Guajardo, mentre stava dissipando i suoi centomila pesos di ricompensa, cadeva colpito a morte dal fratello dell’ultima senorita sedotta - Carranza, fuggendo a Veracruz, cacciato dal furore di un popolo ingannato e disgustato, veniva a sua volta assassinato dagli uomini del suo stesso seguito. E il generale Alvaro Obregon, salito al potere con il mandato della stragrande maggioranza del popolo e fatta prontamente la pace con le forze zapatiste, cominciò a organizzare in ogni Stato dell’unione commissioni per la riforma agraria e a fare il primo passo decisivo verso la realizzazione delle promesse della Rivoluzione, cosi a lungo rimandata.
Quello che Obregon aveva cominciato fu portato avanti, anche se in modo saltuario, con riluttanza, da Plutarco Calles e dai successivi presidenti, dominati dalla sua personalità forte ma conservatrice. Ma solo quando un giovane entusiasta indio di Tarascan, Lazaro Cardenas, salito al potere per un felice errore, abbatte’ il giogo di Calles, queste promesse furono realizzate con l’attuazione di quelle misure serie, decisive, che erano state rivendicate.
Nei sei anni che seguirono e in mezzo a molti errori quali sono portate a commettere le nature generose e impulsive, Cardenas trasformò la faccia del Messico. Dove un tempo incombevano tetre le grandi haciendas, ora dieci milioni di uomini affondavano le vanghe in una terra che finalmente potevano dire loro. Un gran numero di dighe e di progetti di irrigazione portarono una vita nuova a regioni affamate e ventimila nuove scuole per i giovani e per gli adulti aprirono una campagna contro l’analfabetismo.
E, cosa curiosa, in tutto questo periodo, man mano che le figure un tempo spettacolari della Rivoluzione: Madero, Carranza, Obregon, persino la picaresca figura dello stesso Pancho Villa, cominciavano a impallidire, la figura di Zapata iniziò a emergere con sempre maggior chiarezza come l ispirazione di questo nuovo Messico. In quasi ogni ufficio governativo sedevano vecchi zapatisti che lavoravano con ardore a realizzare il sogno di el Caudìllo, una repubblica india di uomini padroni della loro terra. Ma solo in questi ultimi anni la vera grandezza di Zapata ha cominciato a essere riconosciuta.
"Mi sia concesso di parlare un momento in prima persona: la prima cosa che ho visto a Citta del Messico quando recentemente vi sono ritornato, è stata una parata militare lungo il Paseo de la Reforma in onore dei morti zapatisti. Durante il mio soggiorno sorse un movimento popolare per chiedere che un monumento equestre a Zapata sostituisse l’insignificante statua di Carlo IV che domina il centro degli affari della città. E l’ultima cosa che ho sentito e stata la tempestosa eloquenza del Presidente Lazaro Cardenas, lindio, sulla tomba di Zapata." (E. Pinchon)
Nella piccola piazza di Cuautla, ingenuamente scolpito e colorato da un artista indigeno, Zapata siede sul suo famoso Relampago, al di sopra del torso sfracellato, decapitato, che era tutto quello che i suoi nemici gli avevano lasciato; la destra posata sulla spalla di un peon che alza il capo a guardarlo in viso. Ma non è qui che egli vive. Lui vive nel cuore e nella fantasia di tutto il Messico degli indios, di tutto il Messico degli uomini di cultura degni di questo nome. E non potrete andare in nessun luogo di quello che fu un tempo “il paese di Zapata” a chiedere ai più vecchi: «Eravate zapatista?» senza sentirvi rispondere: «Si, senior. Si, uno zapatista, no es Verdad? .. In quei giorni, senor, anche le pietre erano zapatiste».
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