05/11/12

Nuovi social: di quartiere



Boom delle piattaforme che collegano i vicini di casa. Per scambiarsi lo zucchero o per coordinare campagne di lotta civica: si risparmiano soldi e si ricicla quello che non serve più

 

Ti serve il trapano, ti è finito lo zucchero o non sai come rimontare la serranda del salotto? Loggati e vedi chi può darti una mano. Magari anche per le ripetizioni di tuo figlio. Non solo, ovviamente. L’idea di base dei vari social neighborhood network, le piattaforme di quartiere che stanno registrando un’autentica esplosione in tutto il mondo, è quella di scambiarsi informazioni sulla vita dell’isolato, condividere risorse sia concrete (per esempio cofinanziare un lavoro stradale da troppi anni sospeso) che battaglie civiche, come esercitare maggiore pressione sull’amministrazione comunale per strappare una decisione importante per la vita dei cittadini.

Insomma: la rivoluzione del vicinato casalingo passa ormai, come dozzine di altri ambiti della nostra vita, per le nuove possibilità offerte dal web. Per abbattere i consumi, limitare gli sprechi di risorse, riciclare con intelligenza quello che non ci serve più o cercare consigli, conoscenze, abilità. In un mix fra crowdfunding, knowledge sharing, banca del tempo e baratto 2.0. Non è un caso, d’altronde, che un recente sondaggio del Pew Research Institute sostenga che nel 2008 il 31% degli americani dichiarasse di non conoscere il nome dei propri vicini: due anni dopo la percentuale era scesa al 18%. Ecco, sull’onda di questa rinascita della porta a fianco, i cinque social network di quartiere più utilizzati.

Nextdoor
Lo spunto di partenza del gigante del settore (che ha raccolto appena l’estate scorsa altri 18 milioni di dollari da investitori come Benchmark Capital e Shasta Ventures) non è certo fare amicizia, come su Facebook. Su Nextdoor, in particolare, si punta a mettere in piedi un database di informazioni attendibili sulla propria zona, proprio perché user-generated. I margini di manovra sono piuttosto larghi: vuoi sapere chi frequenta certe strutture come scuole e palestre, ritrovare la tua bici rubata, cercare una brava colf o l’elettricista che non tiri fregature? Allora è il posto che fa per te. Ciascun utente deve verificare la propria appartenenza al quartiere ­– anche perché un altro dei must è quello di incrementare la rete di sicurezza locale – e il gioco è fatto: recensisci e segnali servizi, persone o tematiche che stanno a cuore (o semplicemente servono molto) alla comunità. Negli Stati Uniti lo stanno già utilizzando decine di cittadine più o meno grandi per un totale di 5.000 comunità.

Streetbank
Streetbank ha invece un taglio più da baratto, o banca del tempo, che ne è la versione pratica e teorica. L’obiettivo è infatti scambiarsi oggetti o servizi con i vicini. Libri, dvd, abiti particolari ma anche articoli di solito legati alle attività di casa: la scala, le forbici da giardino, la falciatrice e, ovviamente, tutta la gamma di abilità e conoscenze utili ad aggiustare, sistemare, porre rimedio ai tipici problemi domestici. Anche in questo caso si usa il codice d’avviamento postale per registrarsi, garantendo la propria residenza in zona, si stabilisce qual è la propria specialità (o cosa si ha da cedere) e automaticamente si è autorizzati a dare un’occhiata a tutto ciò che mettono a disposizione gli altri cittadini nel raggio di un paio di chilometri.

Freecycle
Approccio ancora diverso per Freecycle: la piattaforma nasce come puro stimolo al riciclo di cose e oggetti. Conta quasi 10 milioni di membri divisi in oltre 5.000 gruppi in 51 Paesi del mondo. Un autentico network del baratto glocale dietro al quale si nasconde un movimento no profit. Riuso e smaltimento intelligente di quello che non ci serve più: questi gli snodi al centro dell’azione delle migliaia di cittadini che lo popolano. Ogni gruppo locale è moderato da un volontario del posto e ovviamente l’adesione è libera. Mentre i due social precedenti sono al momento attivi solo negli Usa – ma si stanno preparando a sbarcare in Europa – Freecycle conta tantissimi aderenti anche in Italia, da Milano a Torino passando per Roma e Napoli, Vicenza ma anche Zagarolo o Pomarance, solo per citare alcune città grandi e piccole per le quali è presente un gruppo dedicato ( qui la lista completa dei gruppi tricolori).

Neighborgoods
Più che scambiarsi oggetti, Neighborgoods serve ad affittarseli. Anzi, più correttamente, a prestarseli a vicenda. Una community dove risparmiare soldi e tempo condividendo qualsiasi cosa con gli amici. Ti serve una scala? Chiedila a quelli del palazzo di fronte. Hai una bici che prende polvere in cantina? Prestala e guadagnati un nuovo amico. D’altronde, il principio di base è sottolineare quanti soldi dilapidiamo per comprare oggetti che magari finiamo con l’usare giusto un paio di volte. Neighborgood punta dunque a diventare un inventario digitale di quanto c’è a disposizione, in sharing, nella nostra area e che ci aiuti a capire il valore di ciò che già possediamo. Senza contare il ritrovato rapporto con chi ci abita a fianco. La differenza è che l’affitto si può anche far pagare, diversificando il proprio annuncio: per esempio, tenendo fuori dalla tariffa alcuni utenti. Il social ci mette del suo fornendo il calendario delle prenotazioni, reminder automatici, avvisi per oggetti che cerchiamo e messaggistica privata.

OhSoWe
Messo in piedi dal fondatore di OpenTable, Chck Templeton, è una sorta di versione sviluppata di Neighborgoods (quanto al concept, visto che graficamente pare il più spartano dei cinque). Nel senso che oltre allo scambio di oggetti punta ad alimentare dibattito e coinvolgimento dei cittadini su base locale. Insomma, si lega al tema della democrazia digitale.  Forse è il più scivoloso, però, in termini di privacy: comprende infatti elenchi di persone che vivono intorno a noi, con indirizzo verificato, una bacheca pubblica a disposizione dei vari gruppi e uno spazio dedicato allo scambio strettamente inteso.  Il payoff, molto chiaro, è: “ Condividi, paga meno, aiuta i vicini”. “ Solo affittando o prendendo in prestito un paio di oggetti ogni mese, anziché acquistarli, si possono risparmiare migliaia di dollari ogni mese” dicono dal quartier generale. Perché comprarle, allora?

Wired.it


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