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Cappuccino a Roma |
La musica dei
Nirvana, i loro atteggiamenti e la loro
immagine erano radicati nella scena rock underground Usa di fine anni Ottanta. Quella di guitar band rumorose ma intensamente melodiche come
Husker Du, Dinosaur jr o Pixies di cui da giovane avevo scritto sul settimanale inglese Melody Maker.
Durante gli anni Ottanta avevo avvertito che la musica - il rock del periodo - era messa al bando dal mainstream. Mtv rigurgitava di simil metalloni/capelloni colorati come
Poison o Bon Jovi. Le radio mandavano solo pop. Il rock underground del periodo - ad esempio i Replacements di Bastards of Young - veicolavano un senso di separazione e chiusura; fu davvero uno shock totale quando i Nirvana - attraverso le grandi capacità e il carisma ferito di
Kurt Cobain, oltre alla brillante produzione di Butch Vig e un gran video - s’imposero con “Smells like Teen Spirit".
Sebbene il testo (eccoci, adesso fateci divertire) e il titolo ironico, lasciavano presagire che Cobain sapesse istintivamente che la sua
ribellione sarebbe stata co-optata e commercializzata, penso che questa recensione - ai tempi del successo di Mtv - funzionasse in prospettiva rivelando la profonda ambivalenza dei Nirvana rispetto ai consensi di massa. L’unica spiegazione possibile è che molta gente non si rendesse conto di essere cosi arrabbiata e alienata. Una volta ogni morte di papa, arriva un gruppo che calza lo zeitgeist come un guanto; oggi quel gruppo sono i Nirvana. Oscillante
com'è tra rabbia e rassegnazione, piena di uno spirito rivoluzionario immediatamente tarpato da un’amara ironia, Smells Like Teen Spirit è la Anarchy in the U.K. dei nuovi ventenni,
Nevermind è uno spaccato dell'inconscio collettivo di questa vuotissima generazione: furia che implode. Idealismo che si blocca o si dissipa, perché nessuno dei due impulsi può trovare uno sbocco costruttivo. La copertina del lp dice tutto con un’immagine: un bimbo nudo che nuota in acque uterine, attirato in superfice da un dollaro infilato su un amo. I Nirvana dicono: non farlo, bambino! Se lasci il tuo beatifico liquido per questo mondo corrotto, sarà il primo e peggiore errore della tua vita.
I Nirvana sono provvidenziali anche in un altro senso. Dopo un'annata di gruppi che ci hanno inondato di una sempre e più blanda e canonica estasi simulata, è un vero piacere ascoltare qualcosa che possiede una minima pulsione viscerale, un'aggressiva bordata di riff taglienti ed emorragie vocali. La strategia messa in atto dalla Scena, evadere dalla realtà
abbandonandosi a un etero mondo dei sogni, aveva il suo perché'; ma oggi la concretezza appare più adeguata della trascendenza. L’anno prossimo si aprirà un varco tra il nuovo hard rock / neo punk e l'avanguardia sperimentale (Papa Sprain, Main etc..): la Scena scomparirà dentro questo crepaccio. Se non altro, i Manic Street Preachers si saranno rivelati i Giovanni Battista della situazione, aprendo la strada all’avvento dei Nirvana britannici. Come Funhouse degli Stooges o Damaged dei Black Flag, Nevermind trasforma l’impotenza in
potenza grezza, l’inerzia in frenesia, lo sconcerto in concentrazione monomaniacale. Senza contare le melodie, le più irresistibili e malinconiche dai tempi di Doolittle.
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Nirvana al Piper (Roma) |
Questa sera, però, i Nirvana non convincono. Forse sono stravolti dal vortice del successo. Non so dire cosa manchi con esattezza: ii sound se mai è troppo ricco, una replica troppo
rifinita della patinata ruvidità dell’album. I Nirvana dovrebbero essere uno sciamante e organico buco nero, ma solo a intermittenza trovano il loro ritmo naturale. Le interruzioni non aiutano certo. Durante i brani, i Nirvana si mostrano padroni delle dinamiche come nessuno dopo i Pixies al loro meglio; ma nel complesso, la scaletta e tutto un susseguirsi di capricciosi intoppi e buffonerie assortite. La prima volta, la trovata alla Vic Reeves di
far salire sul palco degli uomini in camici bianchi che tentano di raccogliere campioni di sangue e saliva dagli strumenti è molto divertente. La terza volta, ii pubblico sorride
a stento. Quando poi Chris Novoselic si mette a spiegare lo scherzo (lungi dall’essere sporchi fannulloni, sono tipi ossessivamente puliti, da guanti bianchi), non se né più davvero. Quando la piantano di cazzeggiare e trovano l'andatura consueta sono magnifici. ll micidiale boogie-punk di ‘Breed è un'autentica macchina coitale. E poi ci sono il rabbioso scoramento di On Plain, una serie di colpi da k.o. dell’era Bleach, una Territorial Pissings
incendiaria.
Ora dell'ultimo bis, i Nirvana hanno finalmente mollato gli ormeggi e procedono come una furia; all’apice il batterista David Grohl infila la testa nella grancassa e lascia il palco incoronato dalla batteria: una sublime pagliacciata che per una volta sembra un punto esclamativo, più che una parentesi ironica. Nell'insieme, però, ho l'impressione che i Nirvana,diffidenti dell’impressionante e improvvisa fama, si sentano perversamente tenuti a sminuire la propria importanza. Ora come ora, occupano una disagevole posizione a metà fra il passato rock trasandato con la Sub Pop e il futuro rango di divinità. Sembrano imbarazzati e perplessi, come se indossassero scarponi troppo grandi. Hanno colto l’attimo con Smells Like Teen Spirit, o è' stato l'attimo a cogliere loro? In ogni caso hanno il
potere a portata di mano. Speriamo che non se lo lascino scappare.
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