da Hollywood:
«The Ghostmaker»,
film indipendente
del regista,
sceneggiatore
e illustratore
di origine italiana
Mauro Borelli. Noi l'abbiamo visto e molto apprezzato in.. "anteprima".
Sotto, una bella recensione di FILIPPO BRUNAMONTI per Alias
Come fare quattro passi nell’aldilà
The Ghostmaker
Sotto, una bella recensione di FILIPPO BRUNAMONTI per Alias
Come fare quattro passi nell’aldilà
Con primordiali giochi
d'ombra e l'esecuzione balcanica
del tempo, Mauro Borrelli,
regista / sceneggiatore/illustratore,
rischiara la paura (e, di rimando, il
senso) della morte. Prorompe
nella realtà con il sovrannaturale,
schierando aghi e punture dello
sguardo là dove il deserto
dell'industria americana un tempo
(anni Settanta/Ottanta) sognò
alieni, stelle e almanacchi.
L'autore, di origine italiana, ha
sparpagliato talento e ingegno a
Hollywood, dapprima come
illustratore concettuale per Tim
Burton (Sleepy Hollow), Jan De
Bont (The Haunting), Bernardo
Bertolucci (Il piccolo Buddha) e
Terry Gilliam (Le avventure del
barone di Münchausen), poi come
autore di successo, apprezzato
anche da Ang Lee e Gore
Verbinski; il debutto al
lungometraggio, Goodbye
Casanova, ha inaugurato la
seconda edizione del Los Angeles
Italian film Awards presso
l'Egyptian Theatre.
La nuova pellicola indipendente
The Ghostmaker (titolo originale:
Box of Shadows) è già stata
venduta in Germania; in Italia
uscirà grazie ad una distribuzione
indipendente, e così
probabilmente in Francia.
Somiglia un po' all'Aràk, bevanda
alcolica asiatica di riso e frutta,
rinvigorente, lisergica, ma con
qualche controindicazione per lo
spirito.
La storia - un ragazzo che
recupera una bara del XV secolo
congegnata dall'Artigiano del
Diavolo in persona - ha il dono di
alterare le proporzioni universali
della percezione. Perché il feretro,
a metà tra oggetto d'antiquariato
Hammer e cubofuturismo, cela al
suo interno un'anima, perfetto
meccanismo ad orologeria in
grado di far provare all'ospite,
vivo, l'esperienza del trapasso.
Febbrile inquietudine seguita da
curiosità: il distacco dell'anima dal
corpo, la sensazione del «farsi
fantasma» e scivolare nel nulla -
tormentando, spiando, amando il
prossimo tuo come te stesso.
È questa la saliva del film. Chi
abusa del macchinario infernale,
perde letteralmente l'anima.
Proprio come accadeva al
conducente di Christine nel
romanzo di King (trasposto al
cinema da John Carpenter).
L'amore - per un'automobile, una
ragazza, una vita da invisibili e da
invulnerabili - restituisce solo
parte del tremendo giudizio che la
vita ha già in serbo per noi.
E se in Nightmare 3: I guerrieri
del sogno, uno dei protagonisti, da
addormentato, era capace di
alzarsi dalla carrozzina e diventare
un grande mago girovago, qui, un
personaggio ritrova lo stato di
moto grazie all'allaccio tra cielo e
terra. Un momento delicato,
destinato a deteriorare per sempre
gambe e testa, a lievitare
l'aggressività e l'insoddisfazione
per l'eterno. Ma solo in un
secondo tempo, quello in cui
Ghostmaker, superindipendente (è
costato appena 100.000 euro),
riversa tutta la sua elegante furia
su neri, blu cobalto, azzurri in
isolamento e pomi d'ottone.
Il gioco ai rimandi è in burrasca:
prevalgono Mario Bava e il
comodo bollore dei serial tv, ma
fioccano anche notevoli strizzate
d'occhio a capolavori del calibro di
Abbott and Costello meet
Frankenstein (1948) - senza Gianni
e Pinotto, va da sé - e rincorse agli
incastri metacinematografici, da
The Devil's Backbone (Guillermo
Del Toro, 2001) a The Uninvited
(Lewis Allen, 1944), passando per
The Legend of Hell House (John
Hough, 1973), Kwaidan (Masaki
Kobayashi, 1964) ed ultraclassici
(su tutti: Henry Robin and a
Specter, Thiébault, 1863).
D'altronde, come esclama Marion
Kerby (Constance Bennett) in
Topper: «Sai una cosa George?
Credo che siamo morti».
A proposito, il cinema italiano è
sul serio morto? Secondo Fabio
Segatori, co-produttore di
Ghostmaker e regista di Terra
bruciata e Hollywood Flies (ora al
lavoro su un action comedy,
Ragazze a mano armata, girato in
stile asiatico a Messina) «stiamo
assistendo ad un depauperamento
delle nostri arti. Impera la
dittatura della commedia, si
girano solo fiction dal Dna
cinepanettonico».
Segatori si divide tra Stati Uniti e
Italia con progetti coraggiosi e
roboanti, e l'industria
hollywoodiana non lo ha ancora
messo al tappeto.
«Certo -
racconta - non è facile fare film a
Hollywood, esistono regole precise
che devono essere rispettate. Ad
ogni modo, all'estero sanno
riconoscere e apprezzare il valore
aggiunto di un europeo. Siamo
capaci di trasmettere qualcosa di
derivazione neorealistica che gli
altri non hanno. In Italia, invece,
non c'è sperimentazione
espressiva». Sa quel che dice,
Segatori.
La sua inchiesta sugli italiani a
Hollywood (dal titolo Hollywood
Dreams, 2006) attraversa diversi
mestieri della celluloide,
sgrassando in maniera maoista
tecnica e inventiva dietro la
macchina da presa. Sul mestiere
del cinema, Segatori ha anche
realizzato ritratti di Werner
Herzog, Tsui Hark, Enzo G.
Castellari. Il suo road movie
(Hollywood Flies) co-prodotto da
Rai Cinema, Gft e Peace Arch, è
stato girato nella Death Valley, a
Los Angeles, Las Vegas e in
Canada, e venduto in 37 paesi.
«Quello che può risultare
incredibile - conclude Segatori - è
che a Hollywood ormai gli
americani non esistono più. Ci
sono, semmai, ottimi autori
scandinavi, cinesi, danesi.
L'industria si è portata in casa
l'arte di tutto il mondo, compresa
la nostra, vedi il caso di Gabriele
Muccino e Mauro Borrelli. Non è
un teatrino ottocentesco
composto di bandierine che si
fanno guerra tra loro. A fare la
differenza è il know-how delle
personalità. L'esempio di
Ghostmaker è calzante: siamo
riusciti a girare un film con
150.000 dollari di budget e,
soprattutto se visto in sala, sembra
sia costato almeno 1 milione e
mezzo.
Lo scenario italiano è così
asfittico perché ci sono pochi
scambi culturali, persiste la paura
dello straniero, di ciò che è
diverso, ognuno cura soltanto il
proprio orticello. Lo stesso vale
per alcuni festival, che somigliano
ad una compagnia di giro; gli
autori, infatti, fanno film per
quella kermesse e basta, non
fanno tanta strada... Solo che oggi
sembrano essersi stancati di
questo trend anche gli addetti ai
lavori».
The Ghostmaker
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