Per niente facili..uomini sempre poco allineati (I. Fossati)
Ribelle, dal latino rebellare, (ricominciare la guerra), e chi si mobilita contro l’omologazione; chi forza le strutture asfissianti della collettività per fuoruscirne o farsi debitamente proscrivere: vieppiù affermando la propria libertà “Der “Waldang”, il passaggio al bosco, il trasmigrare altrove e, per Ernst Junger (1895-1998), autore del Trattato del ribelle (1951), il destino di chi s’oppone: del Waldanger, colui che ‘passa al bosco’, il ribelle. Per costui, poeta che, come tale, parla una lingua del tutto sua, ostracismo ed emarginazione sono i compagni d’un compito alto e difficile; di una fuga in avanti, trasgressiva del fatalismo paralizzante che ha prosciugato l’ultimo humus di libertà individuale e la stessa storia del coraggio umano. Diversamente dall’ unico stirneriano e dall' Oltreuomo di Nietzsche, il ribelle non si alimenta del rovesciamento dei valori ma di una solitudine selvaggia che lo trasforma, prima, nel diseredato in guerra col mondo, poi nel dostoevskijano “uomo del sottosuolo” e, infine, in refrattario. Il nulla che assedia le masse lo ha spinto nella selva, in un paesaggio di possibilità e di libero volere nemico del Leviatano. E’ convinto, il ribelle, che l’essere sia più vitale del nulla; che acquiescenza, consenso e complicità si trasformeranno in rigetto e, subito dopo, in ribellione: in “liberta di dire di no”. Nelle “retrovie del nemico”, egli s’apre un varco per far passare la sua arte avversaria dell’inferno macchinistico e automatizzato. E un’arte apodittica che non pone domande ma da risposte, sarcastica verso le gagliarde larve al servizio dell’economia, della polis, del potere, degli amministratori del mercato e dei loro schiavi.
Ma nella foresta, ai margini della società, il ribelle perde la sua battaglia e diviene un refrattario. L’unità e la continuità del suo Io sono state interrotte ed egli non sa più designate la propria referenzialità. Non ha più un autoriferimento e le sue azioni perdono contatto con le sue percezioni. L’autocoscienza viene dapprima scorporata e poi contaminata dalla peste dell’alienazione. Poteva essere un dandy, il refrattario; un elegante guerriero: ma è stato fermato dal proprio fallimento. Si pensi al destino di Baudelaire, che, in un articolo sul giornale “La Situation” (5 settembre 1867), Jules Valles (1832-1885) descrive sul letto di morte mentre, col folle sorriso del perdente, gorgoglia: “Orco dio! Orco dio!”. .
Valles, un outsider e irregolare poco stimato dai critici e dagli storici della letteratura francese, combattente sulle barricate e membro della Comune di Parigi, configura nel dandy Baudelaire un esempio del clochard cui dedica il libro I Refrattari (1865).
E’, il refrattario, una specie di Brummel straccione, degradato e quasi demente, colto al termine della propria esistenza fallimentare. Lui che aveva giurato a se stesso di essere libero, ha vissuto “una vita a parte”, con “l’orgoglio davanti a lui come una fiaccola”. Adesso, dopo avere trascinato la sua residua esistenza tra i Caffè, muore “d’una morte lenta” preceduta da un’agonia lunga e “piena di pene meschine, di dolori comici, di supplizi senza gloria!”.
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