Il 3 Luglio 1971 J. Morrison si levò di buon' ora per un bagno. Pamela lo trovòlì,nella vasca.."un mezzo sorriso dipinto in faccia..", morto per infarto,dicono. La notizia non venne resa pubblica per parecchi giorni, sin dopo la sepoltura, avvenuta senza clamore nell'angolo dei poeti del cimitero di Pere Lachaise, a Parigi. "Non ci furono onoranze funrbri, solo qualche fiore, un pò di polvere, il nostro saluto.."
Parla J. Desmore
U n tizio con un paio di classici pantaloni universitari di velluto a coste marrone, una maglietta marrone e i piedi scalzi se n’era restato per tutto il tempo in disparte in un angolo del garage. Ray lo introdusse come «Jim, il cantante». Si erano incontrati alla scuola di cinema dell’Ucla. Ray lavorava e allo stesso tempo stava cercando di ottenere una specializzazione in cinema, dopo una laurea in economia, e Jim stava completando una laurea di quattro anni in cinema. Lo stava facendo attraverso un corso accelerato di due anni e mezzo. Un tipo sveglio.In una occasione in cui Ray si era trovato a dover far fronte agli obblighi contrattuali del sindacato dei musicisti che prevedevano una band di sei elementi, avevano suonato insieme e lui aveva convinto Jim a resta-re ai margini del palco con una chitarra spenta. Avevano fatto da gruppo spalla a Sonny & Cher. Era stato il primo ingaggio a pagamento di Jim e dire che non aveva suonato o cantato una sola nota. Il ventunenne Morrison era timido. Mi disse ciao e tornò nell’angolo. Immaginai che si sentisse a disagio circondato da musicisti, visto che non suonava nessuno strumento. Mentre Morrison si aggirava per il garage alla ricerca di una birra, Ray sorrise come un fratello maggiore orgoglioso mentre mi consegnava un pezzo di carta stropicciata.
«Da’ un’occhiata a queste liriche di Jim», mi disse Ray. «You know the day destroys the night/Night divides the day/ Tried to run, tried to hide/Break on through to the other side/Made the scene, week to week,day to day, hour to hour/Gate is straight, deep and wide/Break on through to the other side»
(Sai che il giorno distrugge la notte/La notte separa i giorni/Ho cercato di fuggire, ho cercato di nascondermi/Di aprirmi un varco dall’altra parte/Ho fatto la mia comparsa, settimana dopo settimana, giorno dopo giorno, ora dopo ora/L’ingresso è davanti a me, profondo e ampio/Aprirmi un varco dall’altra parte).
«Hanno un suono molto percussivo». «Ho trovato una linea di basso. Ti va di provare qualcosa?», disse Ray. «Sì, d’accordo». Ray attaccò e io utilizzai un suono secco di rullante, tenendo le bacchette di traverso. Jim si unì a noi con la sua armonica stravagante. Finalmente, dopo una lunga attesa, Morrison si mise a cantare il primo verso. Era titubante, non guardava nessuno negli occhi, ma aveva un timbro imbronciato, come se stesse cercando di sembrare surreale. Non riuscivo a smettere di guardarlo. La sua timidezza mi affascinava. La chitarra ritmica di Rick era molto morbida, ma le tastiere di Ray creavano una grande energia. A quel punto, suonammo un paio di canzoni di Jimmy Reed e fu allora che l’energia di Morrison ebbe un’accelerazione. Accettai di andare da loro per fare altre prove, dato che adoravo suonare. Sapevo che mi volevano e pensai che per un po’ sarei rimasto a guardare come andavano le cose. Le prove successive andarono più o meno allo stesso modo, ma i brani originali mi intrigavano sempre più. Creammo gli arrangiamenti insieme e mi sentii in grande sintonia con loro, soprattutto con Ray. Ecco il ricordo di Ray: «Ascoltavamo Jim intonare-cantare le parole più e più volte e, a poco a poco, il suono giusto per quelle parole iniziò a emergere. Eravamo anime gemelle, gente impasticcata che era alla ricerca di un altro tipo di sballo. Sapevamo che, se avessimo continuato con le droghe, ci saremmo bruciati, per cui lo cercammo nella musica!». Inoltre, Morrison era un tipo misterioso. E la cosa mi intrigava. (...)
Se vivessi a Venice, potrei frequentare Jim. È affascinante: mette tutto in discussione. Dannazione, la casa di Ray costa solo settantacinque dollari al mese, per un bilocale in stile vittoriano con vista sull’oceano. Venice, Cristo... non è territorio da surfisti. Lì ci sono vibrazioni da beatnik,con tanto di artisti e musicisti. Figo.«Sta’ a sentire», disse Jim, facendomi entrare. Aveva i capelli ancora bagnati per la doccia che si era appena fatto e vi fece scorrere le mani platealmente mentre mi accoglieva nell’appartamento. La criniera andò perfettamente a posto. «Come fai a sistemarti i capelli in quel modo?», gli chiesi, mentre si affrettava verso lo stereo. «Li lavi e non li pettini», rispose, mettendo sul piatto l’album di John Lee Hooker di Ray. Era già in procinto di assumere un’aria da rockstar. Non lo vedevo da qualche settimana, eppure c’era stato un cambiamento in lui. Si stava atteggiando? Il blues riempì la stanza. (...) Crawling King Snake», chiesi. «Adoro il groove di Crawling King Snake. Credo che, giunti al nostro secondo o al terzo album, dovremmo inciderla. Dopo aver realizzato un bel po’ di brani originali. Naturalmente, prima dobbiamo ottenere un contratto discografico». Non stavo più nella pelle per come pregustavo il futuro. Quei tizi - Ray, la sua ragazza, Dorothy, Jim e i loro amici della scuola di cinema- erano studenti indipendenti, creativi, e io volevo stargli intorno. Un paio di settimane prima, eravamo andati tutti a vedere L’India fantasma di Louis Malle all’Ucla e Ray e Jim avevano parlato della «nuova ondata» francese nel cinema. «Dovresti vedere i 400 colpi, John», aveva insistito Ray. Sapevo che era un film di un regista francese (Truffaut) e il titolo mi aveva eccitato. Pensavo che si riferisse a quattrocento pompini. Guardandomi intorno nell’appartamento di Ray, percepii un’euforia universitaria e un’atmosfera orientale. Libri, riviste di cinema, tappeti orientali, coperte indiane, fotografie erotiche. In quella stanza mi si stavano dischiudendo interi universi nuovi. Avevo vent’anni e tutto era possibile. «Accadrà», ribatté Jim con fredda sicurezza. «Ascolta le corde vocali di quest’uomo, Cristo».
Aveva un tono di voce quasi riverenziale. Considerato il background sudista di Jim, la cosa aveva senso. Era ossessionato dal suono dei cantanti blues di colore. La sensazione cruda di sofferenza espressa dalle loro voci pareva riverberarsi in lui. Restò in attento ascolto, perso nel suo mondo. Dopo parecchi altri brani, Jim propose di andare a pranzo all’Olivia’s. Mi alzai in piedi di scatto. Mi venne l’acquolina in bocca alla prospettiva della cucina genuina del sud. Purè e salsa gravy. «Ci sto, però non dobbiamo tornarci a cena!», dissi in tono scherzoso, massaggiandomi lo stomaco. «Lo so, lo so. Qualche pasto di fila in quel posto e devi correre in bagno. Però, mi fa venire in mente la cucina di casa della Florida!». «E costa poco!», esclamai. Jim tirò fuori quel sorrisino che ti saresti tenuto stretto in eterno. (...) Jim, sono davvero fiero di ciò che abbiamo fatto, sussurrai di fronte alla sepoltura del mio vecchio amico, ma sono stanco di essere conosciuto solo in quanto tuo batterista. Non so chi sono. Ho trentun anni, questo lo so. Ti sono sopravvissuto di quattro anni, figlio di troia. Ora capisco che al tempo non ero molto consapevole della mia strada nel mondo. Per lo meno, tu hai realizzato la tua profezia, anche se sei dovuto morire per diffondere il prezioso mito dei Doors. Il nostro patto segreto di morte.Un patto non verbale, ovviamente.Oppure sono in preda alle allucinazioni? Ti eri messo in viaggio verso il baratro e Ray, Robby e io, i tuoi amici, ti abbiamo sostenuto. Fino a un certo punto. Non avevamo idea che tu intendessi farlo sul serio. Ora mi chiedo se avrei potuto fare qualcosa per fermarti, persino mentre guardo vecchi filmati e vecchie interviste in cui diciamo, be’, qualcuno di noi deve pur sporgersi sul precipizio per gli altri.Mi sono compromesso? Lo devo scoprire. Una gelida folata di vento mi destò dalle mie fantasticherie. Girai rapidamente sui tacchi e mi affrettai a raggiungere gli altri. Una volta di fronte al cancello, cinsi una spalla di Danny con un braccio, mentre ci dirigevamo sull’acciottolato verso l’automobile di Hervé. (...) Più tardi, seduto allo scrittoio stile regency nella mia camera d’albergo di Parigi, guardai i tetti fuori dalla finestra.Il sole stava cercando (vanamente) di farsi strada in quella mattinata grigia di foschia. Mangiai il cioccolatino alla menta lasciato sul cuscino la sera prima dalla cameriera e risi sommessamente della forma a L della mia camera. L’ennesima eccentrica camera d’albergo europea. I miei occhi si spostarono dalla finestra,con la sua veduta sui tetti grigio-azzurri di Parigi, al materiale di cancelleria dell’albergo che mi fissava dallo scrittoio. Presi la penna dell’albergo e iniziai a scrivere una lettera...
Se vivessi a Venice, potrei frequentare Jim. È affascinante: mette tutto in discussione. Dannazione, la casa di Ray costa solo settantacinque dollari al mese, per un bilocale in stile vittoriano con vista sull’oceano. Venice, Cristo... non è territorio da surfisti. Lì ci sono vibrazioni da beatnik,con tanto di artisti e musicisti. Figo.«Sta’ a sentire», disse Jim, facendomi entrare. Aveva i capelli ancora bagnati per la doccia che si era appena fatto e vi fece scorrere le mani platealmente mentre mi accoglieva nell’appartamento. La criniera andò perfettamente a posto. «Come fai a sistemarti i capelli in quel modo?», gli chiesi, mentre si affrettava verso lo stereo. «Li lavi e non li pettini», rispose, mettendo sul piatto l’album di John Lee Hooker di Ray. Era già in procinto di assumere un’aria da rockstar. Non lo vedevo da qualche settimana, eppure c’era stato un cambiamento in lui. Si stava atteggiando? Il blues riempì la stanza. (...) Crawling King Snake», chiesi. «Adoro il groove di Crawling King Snake. Credo che, giunti al nostro secondo o al terzo album, dovremmo inciderla. Dopo aver realizzato un bel po’ di brani originali. Naturalmente, prima dobbiamo ottenere un contratto discografico». Non stavo più nella pelle per come pregustavo il futuro. Quei tizi - Ray, la sua ragazza, Dorothy, Jim e i loro amici della scuola di cinema- erano studenti indipendenti, creativi, e io volevo stargli intorno. Un paio di settimane prima, eravamo andati tutti a vedere L’India fantasma di Louis Malle all’Ucla e Ray e Jim avevano parlato della «nuova ondata» francese nel cinema. «Dovresti vedere i 400 colpi, John», aveva insistito Ray. Sapevo che era un film di un regista francese (Truffaut) e il titolo mi aveva eccitato. Pensavo che si riferisse a quattrocento pompini. Guardandomi intorno nell’appartamento di Ray, percepii un’euforia universitaria e un’atmosfera orientale. Libri, riviste di cinema, tappeti orientali, coperte indiane, fotografie erotiche. In quella stanza mi si stavano dischiudendo interi universi nuovi. Avevo vent’anni e tutto era possibile. «Accadrà», ribatté Jim con fredda sicurezza. «Ascolta le corde vocali di quest’uomo, Cristo».
Aveva un tono di voce quasi riverenziale. Considerato il background sudista di Jim, la cosa aveva senso. Era ossessionato dal suono dei cantanti blues di colore. La sensazione cruda di sofferenza espressa dalle loro voci pareva riverberarsi in lui. Restò in attento ascolto, perso nel suo mondo. Dopo parecchi altri brani, Jim propose di andare a pranzo all’Olivia’s. Mi alzai in piedi di scatto. Mi venne l’acquolina in bocca alla prospettiva della cucina genuina del sud. Purè e salsa gravy. «Ci sto, però non dobbiamo tornarci a cena!», dissi in tono scherzoso, massaggiandomi lo stomaco. «Lo so, lo so. Qualche pasto di fila in quel posto e devi correre in bagno. Però, mi fa venire in mente la cucina di casa della Florida!». «E costa poco!», esclamai. Jim tirò fuori quel sorrisino che ti saresti tenuto stretto in eterno. (...) Jim, sono davvero fiero di ciò che abbiamo fatto, sussurrai di fronte alla sepoltura del mio vecchio amico, ma sono stanco di essere conosciuto solo in quanto tuo batterista. Non so chi sono. Ho trentun anni, questo lo so. Ti sono sopravvissuto di quattro anni, figlio di troia. Ora capisco che al tempo non ero molto consapevole della mia strada nel mondo. Per lo meno, tu hai realizzato la tua profezia, anche se sei dovuto morire per diffondere il prezioso mito dei Doors. Il nostro patto segreto di morte.Un patto non verbale, ovviamente.Oppure sono in preda alle allucinazioni? Ti eri messo in viaggio verso il baratro e Ray, Robby e io, i tuoi amici, ti abbiamo sostenuto. Fino a un certo punto. Non avevamo idea che tu intendessi farlo sul serio. Ora mi chiedo se avrei potuto fare qualcosa per fermarti, persino mentre guardo vecchi filmati e vecchie interviste in cui diciamo, be’, qualcuno di noi deve pur sporgersi sul precipizio per gli altri.Mi sono compromesso? Lo devo scoprire. Una gelida folata di vento mi destò dalle mie fantasticherie. Girai rapidamente sui tacchi e mi affrettai a raggiungere gli altri. Una volta di fronte al cancello, cinsi una spalla di Danny con un braccio, mentre ci dirigevamo sull’acciottolato verso l’automobile di Hervé. (...) Più tardi, seduto allo scrittoio stile regency nella mia camera d’albergo di Parigi, guardai i tetti fuori dalla finestra.Il sole stava cercando (vanamente) di farsi strada in quella mattinata grigia di foschia. Mangiai il cioccolatino alla menta lasciato sul cuscino la sera prima dalla cameriera e risi sommessamente della forma a L della mia camera. L’ennesima eccentrica camera d’albergo europea. I miei occhi si spostarono dalla finestra,con la sua veduta sui tetti grigio-azzurri di Parigi, al materiale di cancelleria dell’albergo che mi fissava dallo scrittoio. Presi la penna dell’albergo e iniziai a scrivere una lettera...
Batterista dei Doors dal 1965 al 1973. Negli anni seguenti si è occupato di danza, teatro e produzioni musicali d’avanguardia. Ha diretto e prodotto diversi video sui Doors ed è stato consulente di Oliver Stone per la sceneggiatura del film biografia «The Doors». Vive a Los Angeles con la sua famiglia.
I testi riprodotti sono (C) di John Densmore
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