La fortuna critica ed editoriale di Jim Thompson in Italia ha avuto un andamento molto simile a quello di altri, grandi autori di genere emersi nei tranquillized fifties americani grazie al nuovo mercato dei tascabili da edicola: accolti in collane storiche come «Urania» (per la fantascienza) e il «Giallo Mondadori», sono scomparsi per molti amii dal mercato per poi essere riscoperti grazie al lavoro di case editrici piccole o medie (per Thompson, Fanucci), che ne hanno proposto nuove edizioni molto curate nella grafica e nella traduzione, e spesso corredate di apparati critici.
Per Alet, Jim Thompson: una biografia selvaggia (pp. 640, € 20,00), una delle migliori biografie letterarie degli ultimi anni. In queste densissime pagine, premiate nel 1995 con il prestigioso Natìonal Book Critics Gircle Award, e l’anno successivo con l'Edgar Award come miglior saggio di critica su un autore di crime fiction, Robert Polito ripercorre l'intera esistenza di Thompson, e trascina il lettore in un viaggio appassionante nel quale le ossessioni private dello scrittore e le sue opere dense di rabbia e di pulsioni autobiografiche si stagliano dentro un quadro accurato, credibile, a tratti sorprendente del Novecento americano. Nato nel 1906 ad Anadarko, Oklahoma, in una terra di frontiera che si era appena trasformata in Stato, ancora popolata di sceriffi e leggendari fuorilegge, cresciuto in perenne peregrinazione tra lo stesso Oklahoma, il Nebraska e il Texas, con un padre che nel torno di pochi anni accumula e perde autentiche fortune, Thompson è costretto a guadagnarsi da vivere (e a mantenere la famiglia nei momenti di affanno economico) fin dalla primissima adolescenza, inanellando una serie di mestieri che ha dell'incredibile perfino per l'America delle infinite opportunità e della mobilità sociale che siamo stati abituati e conoscere e amare in modo spesso troppo acritico: garzone di giornali e poi giornalista, fattorino d'albergo, trivellatore di pozzi e operaio addetto alla costruzione di oleodotti, gestore di sale cinematografiche, contrabbandiere di alcol. Molti di questi mestieri lo avvicinano ai personaggi americani più marginali, sempre al confine della legalità: hobas e gangster, truffatori e puttane, spacciatori e artisti della speculazione, regalandogli quel patrimonio di conoscenze cui attingerà a piene mani per i suoi formidabili noir.
Negli anni trenta, attraverso il Fedeml Writers’ Project, si avvicina per la prima volta, ma senza successo, al mestiere di scrittore, e arriva a un passo dall'incriminazione e dall’arresto per le sue idee politiche (probabile, anche se mai confermata, l’adesione al Partito Comunista).
Si trasferisce allora in California, a San Diego, dove lavora in una delle industrie aeronautiche impegnate nella produzione bellica e scrive il suo primo romanzo, Inferno sulla terra, nel quale la struttura e l’ambientazione, chiaramente riconducibili al realismo proletario di moda negli anni della Depressione, cedono spesso il campo alle ossessioni private di una personalità perennemente scissa tra mitezza e violenza: ossessioni che costituiscono l'autentico fil rouge di tutta la narrativa di Thompson e che consentono di leggerla, al di là delle coordinate di genere, come un vero e proprio unicum.
E comunque Nulla più di un omicidio, terzo romanzo di Thompson e suo primo noir, pubbiicato nel 1949, a segnare il punto di svolta, e l’avvio di una vera e propria carriera di scrittore: a paitire dal 1952 si apre la collaborazione con la Lion Books, collana di tascabili da edicola, che nel giro di quattro anni porta Jim a sfornare qualcosa come tredici romanzi, tra i quali almeno quattro capolavori (L’assassino che é in me, Notte selvaggia, Diavoli di donne ed E' già buio, dolcezza), e a entrare dalla porta principale nel mondo di Hollywood, collaborando alla sceneggiatura di due capolavoti di Kubrick come Rapina a mano armata e Orizzonti di gloria. Una produzione impressionante, che coincide con il breve apogeo dei paperback a grande distribuzione e che comincia perciò a diradarsi a partire dalla fine degli anni cinquanta. Sempre più minato dall’alcolismo e da una salute fisica e mentale in costante declino, abbandonato da Hollywood, Thompson si trasforma progressivamente in un fantasma. Riesce comunque a scrivere altri tre capolavori - nobilitali da altrettante, splendide versioni cinematografiche: Getway, Rischiose abitudini e Colpo di spugna, prima di spegnersi, dimenticatpo da tutti, senza un solo volume che non fosse fuori stampa, nel 1977. Sul letto di morte (ed é con questo aneddoto che si apre il libro di Polito) raccomanda alla moglie Alberta di conservare con cura i suoi romanzi, manoscritti, articoli e contratti e aggiunge; <<Abbi solo pazienza. Dieci anni dopo che sarò morto diventero famoso>>.
Nell’ affrontare questa storia d’artista cosi superbamente americana, Polito, autentico esperto di noir, ha saputo evitare un errore fondamentale, un vizio d’origine presente, per esempio, in tutte le biografie dedicate a un altro maestro della crime fiction come Raymond Chandler: quello di esaltare i meriti letterari dell’autore giocandoli contro il genere nel quale si inquadrano i suoi romanzi. Per Thompson, nell’interpretazione acuta e pienamente condivisibile del suo biografo, il noir è un approdo naturale, uno spazio privilegiato nel quale proiettare tanto le sue pulsioni personali (e in particolare il conflitto edipico con un padre troppo ingombrante) quanto la sua amara visione del capitalismo americano, maturata attraverso le esperienze di lavoro nei campi petroliferi prima ancora che dalla lettura delle opere di Marx. La scelta, da cui nascono quasi tutti i suoi romanzi miglioti, di proiettarsi con prodigioso ventriloquismo nella mente dei suoi disturbati protagonisti (tutti criminali, siano essi sceriffi come il Lou Ford de L'assassino che è in me o piccoli imbroglioni come il Dolly Dillon di Diavoli di donne) consente poi a Thompson di trasportare di peso dentro l’architettura della crime story una serie di meccanismi tipici del romanzo modernista, a partite dal monologo interiore, spesso evidenziato con un corsivo che fa pensare da vicino a Faulkner.
Polito decide deliberatamente di citare in abbondanza dai romanzi di Thompson, ma anche dalle sue opere occasionali e dimenticate: saggi autobiografici, racconti, poesie, true crime. Al di la della qualità inevitabilmente diseguale, emerge con chiarezza dal tessuto dei richiami testuali la voce inconfondibile di un autore che ha saputo raccontare come nessun altro l’America e le sue derive. E a fare da controcanto o da coro greco, come nelle storie orali che Polito assume espressamente a modello, si accumulano le testimonianze dirette dei familiari, dei colieghi scrittori, registi, sceneggiatori, editor. Voci, tutte, di grande fascino, che scandiscono i ternpi del racconto, lo arricchiscono di dettagli vividi, riescono davvero a restituirci i sapori di un’epoca lunga quasi un secolo e insieme il ritratto a tutto tondo di un grande scrittore <<maledetto>>, capace di stregare cineasti come Kubrick, Peckinpah, Godard e Tavemier, ma anche scrittori come Ellroy e King, o addirittura musicisti come Bruce Springsteen.
In estrema sintesi, Jim Thompson: una biografia selvaggia sa essere insieme racconto corale sul Novecento americano e ritratto d’artista; rappresenta una lettura godibile e la miglior introduzione a un autore importante, che abbiamo solo cominciato a riscoprire. Dubito si possa chiedere di più a una biografia letteraria...
L. Briasco