Questa è la storia della Casa dei bambini n°6, dell'esilio segreto di 170 bambini nell'URSS di Stalin e della repressione a cannonate della "Vienna Rossa" nel febbraio 1934, una delle tante storie rimosse, taciute..
di Angela Mayr
Pauli aveva dodici anni, Lucie soltanto sei, Karl dieci...
ln tutto erano 170 i bambini e ragazzi che tra febbraio e settembre del 1934
furono fatti fuggire in treno da Vienna a Mosca, accompagnati dal Soccorso Rosso Internazionale. Vestiti per bene per non dar nell’occhio, muniti di identità false, giunsero nella capitale dell’Urss: nello stato degli operai e dei contadini. All’arrivo fu di nuovo paura, vedendo tanti uomini in divisa: ma stavolta era infondata. Li aspettava un’accoglienza trionfale: <<La piazza era piena di bandiere, fiori e striscioni. Ogni fabbrica, ogni ufficio aveva mandato una delegazione per riceverci, una folla immensa>>, ricorda Karli, <<più tardi abbiamo saputo che erano stati mandati: noi pensavamo che fossero venuti di loro iniziativa>>. Rappresentanti del soviet di Mosca, del Partito Comunista, del Komsomol e del Komintern tennero i discorsi di saluto. <<Siamo stati accolti da eroi, però eroi erano stati i nostri genitori>>. Frida si rendeva già
conto dell’essere seconda generazione, non protagonista diretta degli eventi che avrebbero determinato tutta la vita di ciascuno di loro.
I loro padri infatti erano stati Februarkampfer, combattenti del febbraio>> appartenenti
al Republikanischer Schutzbund, la milizia armata che il Partito
socialdemocratico operaio (Sdap, oggi evolutosi
nel Partito socialdemocratico austriaco, Spo) aveva costituito nel ‘22
in reazione alla crescente violenza delle milizie della HeimWehr (difesa della
patria) legata ai cristiano-sociali, prevedendo il ricorso alla lotta armata
quando fosse stata in pericolo la democrazia. Ma essa era già a terra, dopo la
chiusura del parlamento e della corte costituzionale ordinata dal cancelliere
Dollfuss e tra continue irruzioni armate nelle sedi socialiste, quando il 12
febbraio 1934 il Schutzbund decise l’insurrezione. Da soli, Senza più aspettare
indicazioni del partito, gli operai del Schutzbund furono <<i primi in
Europa a combattere con le armi il fascismo>>, come ricorda la lapide nel
Karl-Man-Hof , l’imponente complesso residenziale comunale simbolo della
<<Vienna rossa>>.
La resistenza, spontanea e disperata, finì schiacciata nel
sangue. Il suo ultimo bastione, il Karl-Marx-Hof cadde il 15 febbraio sotto le
cannonate dell'esercito. La richiesta di Mussolini a Dollfuss, dell’agosto ‘33,
di dare <<un carattere marcatamente dittatoriale al governo>> era esaudita; e l’avvento dell’
austrofascismo chiudeva l’esperimento di utopia concreta della Vienna rossa. I figli
dei combattenti di febbraio uccisi o arrestati furono accolti a Mosca, dove fu
allestita una residenza apposta per loro in un bell’edificio, la <<casa
per bambini n. 6>>, nel vicolo Kalashnij.
La loro vicenda - <<ora si ricordano di noi, quando la maggior parte di
noi é morta o ha più di 80 anni>>, dicono - e stata riscoperta quest’anno
(2004,n.d.r.) dal Wiener Festwochen, il festival organizzato ogni anno dal
comune di Vienna e da poco conclusosi.
A 70 anni dai fatti di febbraio, il festival diretto da Luc
Bondy ha dedicato un ciclo del proprio programma al <<Febbraio 1934 -
Dizionario del silenzio. Schizzi teatrali sulla guerra civile in
Austria>>. <<E’ il capitolo di storia austriaca più taciuto e controverso, privo finora di
qualunque rappresentazione pubblica>>, spiega la direttrice dei programmi
teatrali del festival, Marie Zimmennann. La memoria é rimasta ambigua:
Engelbert Dollfuss, massacratore degli operai e pochi mesi dopo (luglio ‘34)
vittima dei nazisti hitleriani, e a tutt’oggi considerato lui martire dal
partito popolare (flvp) successore dei cristiano-sociali, che tengono il suo ritratto
nei locali del gruppo parlamentare. <<Non hanno voluto farcela
fotografare, l’abbiamo fatta riprendere di nascosto>>, raccontano gli
organizzatori del festival. Sul retro del parlamento, invece, una lapide fatta
realizzare dall’ex cancelliere socialdemocratico Franz Vranitzky ricorda
Koloman Walisch, il Capo dello Schutzbund giustiziato nel ‘34. Il modello di democrazia
consensuale senza conflitti della seconda repubblica aveva il suo fondamento,
apparentemente sicuro, nell’elusione di un
vero confronto pubblico sul conflitto del ‘34, mai più elaborato.
<<Questa imposizione sociale del silenzio é stata piena di conseguenze, e
non solo per i combattenti, le vittime e i loro congiunti, il cui vissuto non
si trova rappresentato nelle storiche
della società postbellica>>,
sottolinea Zimmermann, che ha compiuto una <<ricognizione degli effetti
di quell’ostinato silenzio», restituendone le voci. Merle Karusoo, teatrante e sociologa estone che si é
conquistata una certa notorietà in
Europa con il suo teatro biografico e documentario, ha ricercato le tracce
degli ex abitanti della <<Casa per bambini numero 6>> di Mosca incontrando
i pochi sopravvissuti, studiando lettere, documenti e diari dei vivi e dei
mortj. Ne è nato un collage teatrale sconvolgente, che ha ricostruito una storia
collettiva rimasta sconosciuta ai suoi stessi ex-protagonisti. In una prima
fase i 170 ragazzi vivevano in condizioni relativamente privilegiate, migliori
di quelle della maggior parte dei loro coetanei sovietici, perché <<figli
degli eroi di febbraio>>
La Casa dei bambini chiude
Ma in coincidenza col patto di non aggressione Hitler-Stalin
la Casa dei bambini venne chiusa. Improvvisamente sui tram la gente prese ad alzarsi e far sedere i ragazzi, in
segno di riverenza, quando li sentiva parlare in tedesco. Con lo scoppio della
guerra le vie dei dello Schutzbund si separarono radicalmente. Alcuni divennero
vittime dello stalinismo, altri combatterono nell’Armata Rossa, tornando a Vienna
come soldati delle potenze occupanti. Qualcuno di loro vive ancora oggi in
Russia. Il giorno della <<prima>>, gli ex-abitanti della Casa per
bambini presenti sono saliti sul palco a fine spettacolo per abbracciare gli
attori, scambiati per i loro veri ex-compagni. Tra il pubblico, Lucie e Karl Munichreiter.
Loro padre Karl fu il primo dei 21
condannati a morte dalla Corte marziale
ad essere giustiziato, il 14 febbraio 1934. Non era un capo importante, ma si trattava
di dar subito l’esempio. <<Muoio perché a qualcuno deve toccare>>,
scrisse nella lettera d’addio ai figli. Ferito gravemente nei combattimenti,
non fu in grado di camminare: lo portarono all’impiccagione in barella. Lucie,
che allora aveva sei anni, lo vide nella cella della morte poche ore prima dell’esecuzione.
<<Vai via, non sei mio padre>>,
fece, non riconoscendolo cosi pieno di sangue e con i capelli diventati
bianchi di colpo.
Munichreiter faceva
il calzolaio, ma malgrado il suo mestiere i figli d’estate giravano senza
scarpe, perché costava meno: essendo socialista, aveva perso molto del lavoro che aveva. Era stato gravemente ferito già nella prima
guerra mondiale. Dall’esperienza sul fronte tornò pacifista convinto. Tutto
cambiò però il 15 luglio 1927, quando un
tribunale mandò assolti gli <<assassini di
Schattendorf>>, tre killer fascisti responsabili di vari delitti
politici, e migliaia di operai indignati
si ribellarono spontaneamente nelle strade di Vienna. Bruciò il palazzo di giustizia e la polizia
sparò sulla folla, uccidendo 89 lavoratori
e ferendone 1600. Di fronte a un massacro del genere e alla radicalizzazione
dello scontro politico e di classe, Munichreifer non riuscì a restar da parte e
aderì allo Schutzbund. E venne quel 12
febbraio 1934. <<All’improvviso a scuola ci dissero: potete andare a
casa>> - ricorda il fglio Karl.
<<Eravamo a pranzo quando piombò in casa uno dello Schutzbund gridando a mio padre: ‘Karl, ascolta, è
sciopero generale, la correnteèe stata tolta’. Mio padre premeva l’interruttore, in effetti
non c’era la luce. Si precipitò fuori casa>>. Dalle soffitte, cantine, giardini e sezioni si tiravano fuori le armi
nascoste. A Munichreiter fu assegnato il
comando di Ober St. Veit (un quartiere di Vienna) dal capodistretto, partito alla
ricerca dei leader del partito per avere istruzioni. Non arriveranno mai.
<<I medici consigliano di aspettare>> era l’indicazione in codice
con cui il leader socialdemocratico Otto Bauer chiedeva allo Schutzbund di
restar fermo.
“Lo zio Otto é malato”
L’assenza di direzione politica e la totale disorganizzazione
sono stati tematizzati da “Zio Otto é malato”, del russo Evgenij Grishkovets,
specializzato nella rappresentazione teatrale di fallimenti storici. Lo sciopero generale era
solo parziale; e falli anche perché l’immediato blocco completo dell’elettricità
e dei trasporti rese ancora più difficili le comunicazioni. <<Mio padre
fu mandato allo sbaraglio>>, commenta amaro e stanco Karl Munichreiter figlio,
signore ottantenne che incontriamo
nella sua modesta casa di Vienna. Ma il
suo ricordo dell’infanzia nella Casa dei bambini a Mosca è invece felice. Nel
‘4l, Karl e Lucie trascorsero le vacanze in un campo di pionieri a Novojebnja, in Bielorussia, dove passava la linea di
confine tra Urss e Terzo Reich. Due giorni dopo il loro arrivo inizio l’attacco
nazista, il campo di pionieri si dissolse e Karl e Lucie finirono in mezzo ai
due fronti. Dopo una lunga odissea riuscirono a tornare in Austria nel ‘43.
Pauli Munichreiter, il più grande dei fratelli, voleva arruolarsi nell’Armata Rossa...
Non ci riuscì, malgrado tutti gli sforzi e gli interventi tentati anche da sua madre presso il Partito Comunista
Austriaco (Kpo) perché premesse su Mosca. Karl Munichreiber tira fuori un pezzo di carta stropicciato: é
la lettera che il Kpo spedì allora alle istanze sovietiche. Descriveva Paul e
la madre come persone indisciplinate, scostanti e poco affidabili. Paul
Munichreiter morirà ventenne, durante un
controllo per strada, trapassato da una pallottola sparatagli da un agente
russo, entrata dalla guancia e uscita dalla nuca. Era senza documenti e con in
tasca una lettera in lingua straniera. Con tutto ciò suo fratello Karl è ancora
iscritto al Partito Comunista Austriaco, quello con la più lunga osservanza filo-sovietica.
<<E’ qui che ormai ho tutti gli amici>>, dice.
Quando si incontra con gli ex abitanti della Casa per bambini n. 6, parlano
solo in russo…
Angela Mayr
Inaugurato nel 1930, il Karl-Marx-hof coronò l’attività edilizia della Vienna Rossa (l’amministrazione
socialista della capitale austriaca) che tra il 1922 e il 1934 costruì 61,175
case comunali. Furono finanziate tassando pesantemente i proprietari di case e
i beni di lusso: <<bolscevismo fiscale>>, lo chiamava la borghesia,
odiando più di tutti l’assessore alle finanze Hugo Breitner. Di architettura
eterogenea, nei più diversi quartieri della città, le case comunali dovevano avere
un 50% di cortili con area verde per garantire Iuce, aria e spazio di
movimento; ed essere collegati con i mezzi di trasporto. Erano provvisti di
strutture collettive sociali: asili nido, lavanderie, cliniche odontoiatriche
ed erano centri di vita culturale con sale di lettura, biblioteche, ecc. L’affitto
nel 1926 era il 4% del salario medio operaio. Oggi il Karl Marx-hof é abitato da 4500 persone, ci sono lavanderie
collettive, un asilo nido e una sala per feste. ll 25% dei viennesi vive ancor
oggi nelle case comunali, arrivate nel frattempo a 220mila. L'impegno del
comune é di costruire 5000 alloggi comunali o di edilizia sociale ogni anno,
destinate anche ai ceti medi. L'affitto
massimo nella categoria più alta, comprensivo di condominio, è di 4 euro al metro
quadro; il più basso di 1,3O.
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