Dal punk ai rave <<La sfida più forte è legare il mio lavoro alla vita. Più che alla musica penso al Contest>> dice 1’artista, che vive a Londra, dove ha un suo studio indipendente. Figura chiave dell’inglese Factory records, le sue copertine lanciano King Crimson, The Smiths, Stone Roses, Pulp, Suede... E' Peter Saville..
Insignito con la prestigiosa medaglia del London Design , il riconoscimento più famoso del Regno Unito per quanto riguarda il graphic designer. Pesantemente coinvolto anche nel settore della moda dove, afferma, il <<controllo mentale di massa e la banalità schiavizza e induce le persone al consumo. All'inizio di quest'anno mi era stato chiesto di elaborare un progetto per celebrare l' 80 ° compleanno della Lacoste. Hanno detto: "Fai tutto quello che vuoi, ma non toccare il logo del coccodrillo." Ecco, questo è proprio quello che ho fatto: ho distrutto il coccodrillo in digitale, frantumandolo in 80 modi diversi.>> Mostra le camicie derivate. <<"Un coccodrillo completamente fottuto>>, dice ridendo. <<Ho sentito che dovevo farlo per questa sorte di ossessione per il marchio. La gente parla dei brand ed è terribile. Si può vendere tutto con un logo. Questo doveva essere messo in discussione>>. Sempre controcorrente e alternativo, ricorda il suo lavoro, apparentemente mortificato dagli aspetti commerciali. <<Ricordo di essermi seduto in una riunione e c'era una situazione di stallo, e l'uomo a capo del tavolo disse: " Relax, siamo tutti qui solo per fare soldi.." A dire il vero, non sono qui per fare soldi. Sono qui per cercare di fare qualcosa di buono, di diverso. L'idea è che le persone fanno cose solo per fare soldi, perchè in realtà non ci sono altri valori , e faranno qualsiasi cosa necessaria per questo obiettivo, che non ha nulla a che vedere con quello che io ho fatto e che faccio.>> Peter Saville non ha un agente, non è in cerca di lavoro, anche se ne ha bisogno, perché..<< è costoso e difficile vivere Londra.>>. Chiaramente è enormemente orgoglioso del suo lavoro in questi ultimi anni come direttore creativo per il consiglio comunale di Manchester, sua città natale, anche se alla fine non ha idea di quello che ha effettivamente fatto, oltre che frequentare incontri e riunioni: in una di queste rifiutò di adottare come slogan la frase "Modern Original", alchè il Consiglio decise di annullare il suo contratto nel 2011 e, con tutta la buona volontà del mondo, si può capire perché. <<Le band musicali non mi hanno mai detto o imposto cosa progettare,>> dice. <<I Joy Division erano troppo impegnati a cercare di capire come suonare i loro strumenti, e dopo la morte di Curtis, i New Order erano troppo occupati a discutere tra di loro. Io ero irrimediabilmente impreparato per le realtà della vita fuori dalla Factory, per così dire..>> Uno stato di cose che non lo ha aiutato, insieme al fatto di aver eredito non solo l'idealismo di Tony Wilson, (vedi sotto) ma anche il suo leggendario e spaventoso senso degli affari . Nonostante tutto, nel 2010, la cover di Power, Corruption and Lies dei New Order, è stata premiata con il rilascio di un francobollo nazionale di prima classe.
Peter Saville ha vissuto in prima persona la scena creativa di Manchester alla fine degli anni Settanta, che in campo musicale avrebbe dato vita a progetti come Joy Division e i New Order, e successivamente a gruppi come The Smiths e gli Stone Roses. Da allora Saville ha continuato a disegnare copertine di dischi per band come i King Crimson, e in seguito per i Pulp e i Suede, e a lavorare per le campagne di stilisti di moda come Yohji Yamamoto. Dopo aver collaborato con studi internazionali di graphic-design ha ora uno studio indipendente a Londra, dove ha lavorato all’immagine grafica del Barbican Centre, la Whitechapel Gallery e il Design Museum, che ha ospitato una retrospettiva del suo lavoro. Figura di culto nell’ambito dell’arte grafica è stato ospite a Treviso di Fabrica.
Che ruolo hai avuto nella fondazione della Factory Records di Manchester, nel 1978?
Quando frequentavo l’art college di Manchester erano esplosi i Sex Pistols, tra il 76 e il 78 in citta c’erano molti concerti di gruppi punk. Il punk dava fastidio all’establishment, esattamente come i rave nei primi anni Novanta. Cosi le autorità cominciarono a togliere le licenze ai locali dove si suonava, e nel 1978 a Manchester tutto era praticamente chiuso. Tony Wilson faceva il giornalista per una tv locale e cominciò a presentare il fenomeno del punk e della new wave. Quindi con l’attore Alan Erasmus decise di aprire un locale e di chiamarlo Factory. Warhol non c’entra, eravamo in piena recessione economica, si vedevano molti cartelli con scritto “Factory closing» (fabbrica chiusa), quindi decisero di dar vita a un locale, mettendo i manifesti <<Factory opening>>. Per cambiare un po’. Tramite Malcom Garrett, un amico che stava già lavorando con i Buzzcocks, sono andato da Tony Wilson, che aveva già fatto un poster per la Factory, utilizzando un’immagine tratta dal manuale dei situazionisti. Decisero di autoprodurre un disco che presentasse le band che suonavano alla Factory, come Cabaret Voltaire e Joy Division. Da li nacque l’album Factory Soundbook di cui disegnai la copertina, e la stessa Factory records. Il disco è andato a ruba, ci hanno sommerso di demo, tra cui quello degli Orchestra Manoeuvres in the Dark. Però la casa discografica ha preso corpo solo nel 79, quando i Joy Division decisero di fare un disco con noi, Unknown Pleasures, dopo aver avuto contatti con tutti i discografici di Londra. I Joy non avevano contratto, anticipi, pubblicità o promozione, avrebbero solo ricevuto il 50% degli utili sulle vendite, e questo è andato avanti per anni, anche con i New Order, fino alla fine della Factory.
C’é una storia dietro alla creazione della copenina di Unknonw Pleasures?
L’idea é venuta ai Joy Division. Come tutti i gruppi sapevano alla perfezione che immagine doveva avere la copertina del loro primo album; mi passarono dei ritagli tra cui un’immagine di Ralph Gibson, cosa che all’epoca non sapevo. I Joy Division volevano un album bianco fuori e nero dentro, senza credits, senza titolo o nome. E stato l’unico accordo che abbiamo avuto fino al 2000. Nel frattempo ho continuato a fare copertine per loro. Lì ho seguito i loro input, pero ho fatto l’interno bianco e la copertina nera. Di solito mentre disegni la copertina di un disco non conosci ancora la musica, la data finale per l’incisione di un album o la masterizzazione di un cd corrisponde a quella della copertina. Quindi in pratica prendi tutte le decisioni prima di ascoltare il disco. Perciò non ho mai fatto copertine sulla musica, piuttosto sul contesto. Non ho fatto altro che individuarla come un prodotto, non secondo i paradigmi del marketing, ma più che altro per inserirla in uno schema più ampio. La grafica è come il servizio postale, non fa che passare qualcosa restando sempre al servizio della fotografia o della moda. La cosa di per sé e abbastanza scialba. Invece mi ha sempre intrigato vedere come legare il lavoro alla vita.
C'é un’influenza post-moderna nel suo approccio stilistico?
Certo, è assolutamente post-moderno, ma non in modo intenzionale. Quando avevo venticinque anni non intellettualizzavo ciò che facevo. Credo che solo per il fatto di aver avuto quindici anni nel 1970 potevo considerarmi post-moderno. Gli anni Sessanta mi hanno formato, ma alla fine gli hippies sopravvissuti non avevano molto da dire… Con David Bowie e i Roxy Music le cose sono cambiate. C’è un film che mi ha molto colpito, cioè Bonnie and Clyde: era strano che un film del 1968 fosse ambientato negli anni Trenta. Perciò ero automaticamente post-moderno, perché tutto ciò che mi interessava riguardava il periodo prima degli anni 60. Lo stile degli anni Settanta visto in chiave di Cultura stilistica post-moderna, é giustificabile nelle mani di chi ha dei valori preesistenti. Chi era cresciuto negli anni sessanta sapeva con cosa aveva a che fare, vedi Sottsass con il progetto Memphis; la giocosità che mette nel suo approccio. Nel 1978, quando ho cominciato, si doveva litigare con clienti e discografici per fare le cose in modo diverso, e lo stesso negli anni 80. Negli anni Novanta la nuova generazione del marketing conosceva benissimo design e pubblicità. Teoricamente non sarebbe più servito discutere, invece si era obbligati. Il design é il nuovo strumento di comunicazione subliminale, codifica ogni aspirazione. Tutto si riduce all’essere desiderabili attraverso l’immagine.
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